1. Qualche tempo fa ho sostenuto l'idea che la nozione
di actio non si situi, alle origini, sul terreno
processuale, ma su tutto il terreno dell'esperienza giuridica.
(1)
I dati del vocabolario sono già di per sé
eloquenti. Oltre ai significati processuali, actio
indica, da un lato, anche il negozio, lo schema negoziale
e, dall'altro, l'iniziativa del magistrato o la sua proposta
dinanzi all'assemblea popolare, al punto che egli è
chiamato actor.
Qualcuno ha detto che si tratta di significati tecnici
(2).
In nome di che? Della nozione di processo, che dovrebbe
essere l'unico referente della nozione di actio.
Ma, per i rilievi terminologici fatti, è proprio
tale nozione che va messa in discussione. Ciò che
è da accertare è se essa sia risalente alla
più antica esperienza giuridica. (3)
A me è parso che la nozione di processo nasca solo
in progresso di tempo, a misura che il diritto va separandosi
dall'azione. (4)
E ciò è tanto vero che in origine si parla
di legis actio, ossia, nel significato più
risalente dell'espressione, di pronunzia di verba sollemnia,
unilaterale, costitutiva, potenzialmente esente da
limiti di operatività. (5)
Perciò in questo significato il termine actio
si impiega, al di fuori del processo, proprio nel campo
dell'agere negoziale e nel campo dell'agere
cum populo, nei quali si riscontrano pronunzie aventi
gli stessi caratteri. Né a tale larghissimo impiego
fanno ostacolo le nozioni di attività legislativa,
elettorale,giudiziaria, negoziale, poiché anche
esse, come la nozione di attività processuale,
sono frutto dello svolgimento storico. (6)
Ora, io vorrei cercare una conferma della tesi dell'originaria
unità dell'actio, indagando sulle sue modalità
di tempo e di luogo e mi propongo di dimostrare che ordinariamente
il tempo ed il luogo dell'actio coincidono in tutte
le manifestazioni. Non voglio dire, beninteso, che tale
coincidenza si debba sempre riscontrare. In certe manifestazioni
l'actio può svolgersi in ogni luogo e, almeno
a partire da una certa età, in ogni tempo. (7)
Ma la coincidenza si verifica nella normalità dei
casi. La spiegazione del fenomeno è data, appunto,
dalla originaria unità dell'actio.
2. Tempo dell'actio. E noto che la
legis actio processuale si svolgeva ordinariamente
nei dies fasti (Varr. 1.1. 6, 29 30 ). Ma,
alle origini, è negli stessi dies
e non nei dies comitiales che si
svolgeva 1'agere cum populo. Ne dà notizia
Liv. 1,19,7: Idem (Numa) nefastos dies fastosque fecit,
quia aliquando quando nihil cum populo agi utile futurum
erat.
Si
spiega così come, quando furono introdotti, i
dies comitiales non costituirono un insieme a sé
stante, ma solo una parte (195 su 237) (8)
dei dies fasti. In questo senso va inteso
Varr.
l.l. 6, 29 ... Dies fasti, ... comitiales
dicti, quod tum ut <ad>esset populus constitutum
est ad suffragium ferendum (i dies fasti, ... sono
detti comitiales, dal momento che si stabilì
che il popolo fosse presente per votare)
da
cui risulta che l'introduzione dei dies comitiales
è da porre in rapporto al riconoscimento della
partecipazione del popolo all'attività comiziale
mediante il voto.
Analogamente è nei dies fasti che si doveva
svolgere normalmente l'attività negoziaIe. Ciò
vale, ovviamente, dato l'originario identificarsi dei
dies comitiales con i dies fasti, per quelle
forme negoziali che richiedono la riunione dell'assemblea
popolare, come il testamento calatis comitiis, la
adrogatio((9)
(e la detestatio sacrorum). Ciò
vale, d'altra parte, almeno per la in iure cessio e
la manumissio vindicta, poiché le fonti
dicono esplicitamente che si tratta di legis actiones
(non di negozi o di finti processi), Ciò vale inoltre
per la solutio per aes et libram, alla quale si
doveva ricorrere per la liberazione del iudicatus
o del confessus nei giorni delle nundinae,
nei quali l'attore doveva portarlo, per tre volte di seguito,
nel comizio, dinanzi al pretore e dichiarare solennemente
(praedicare) per quale somma era stato iudicatus.
(10)
Originariamente le nundinae dovevano cadere, infatti,
nei giorni fasti. (11)
Un altro indizio, più diretto, che la solutio
per aes et libram fosse una legis actio è
dato dalla presenza nel suo formulario dellespressione
secundum legem publicam (Gai.
3, 174). Questa espressione ricorre anche nella formula
pronunziata dal familiae emptor nel testamentum
per aes et libram (Gai. 2, 104) e deriva dal testamentum
calatis comitiis. In essa lex publica significa
pronunzia solenne dinanzi ai testimoni (originariamente
dinanzi al popolo), come ha intuito lo Stein (12)
e come può dimostrarsi al confronto con il tenore
della successiva nuncupatio (ita do ita lego
ita testor itaque vos quirites testimonium mihi perhibetote).
Perciò tanto la solutio per aes et libram
che il testamentum calatis comitiis erano legis
actiones e si dovevono compiere nel tempo in cui è
fas.
3.
Infatti il testamentum calatis comitiis si compiva,
secondo la congettura del Mommsen, (13)
nella parte in cui è fas dei due dies
QRCF (il 24 marzo ed il 24 maggio).
L'analisi di questi dies consente una verifica
della tesi qui sostenuta. La loro definizione è
in
Varr.
l.l. 6,31 ... Dies qui vocatur sic `quando rex
comitiavit fas', [s]is dictus ab eo, quod eo die rex sacrific[ilulus
dicat ad comitium, ad quod tempus est nefas, ab eo fas:
itaque post id tempus lege actum saepe.
Ho riportato la lezione, comunemente accolta, di Goetz
e Schoell. Nessuna difficoltà fa la correzione
di fassis in fas is.
Molto più dubbia è, invece, la restituzione
sacrific[i]ulus, poiché
il manoscritto utilizzato reca sacrificiolus,
anche se essa si appoggia in qualche modo su
Fest. Paul. 311, 1 3 Quandoc rex comitiavit
fas, in fastis notari solet, et hoc videtur significare,
quando rex sacrificulus divinis rebus perfectis in comitium
venit.
Varr. 1.1. 6,31 direbbe: Il dies che è chiamato
`quando rex comitiavit fas ' è
così detto perché in quel giorno il
rex sacrificulus rivolge pronunzie (dicat)
al comizio. Fino a quel tempo è nefas da
quel tempo in poi è fas. E perciò
dopo quel tempo si è svolta spesso 1'attività
del lege agere
Come
nel dies QSDF, del quale Varrone parla immediatamente
dopo ( 6, 32 ), (14)
nei dies QRCF è nefas all'inizio
e fas a partire da un certo momento. Similmente,
nei dies intercisi, dei quali Varrone parla immediatamente
prima (6, 31, prima parte) (15)
è nefas all'inizio e alla fine, è
fas tra due momenti di un sacrificio (l'uccisione
della vittima e l'offerta degli exta).
Ma la lezione di Goetz e Schoell va incontra a due difficoltà:
1) `dicat ' è senza oggetto (e le
proposte di emendarlo di Ursinus, (16)
di Mommsen (17)
e di Hirschfeld (18)
non soddisfano); 2) se fino alla pronunzia del rex
è nefas, tale pronunzia cadrebbe nel
nefas.
Il Paoli (19)
ritiene questa una mostruosità giuridica, che Varrone
avrebbe compiuto per affermare la sua nozione di giorni
fasti e nefasti. Questi ultimi non sarebbero stati quelli
nei quali non è consentito di lege agere nel
senso di pronunziare i verba legitima, ma ma sarebbero
le feriae. Basta tuttavia dare uno sguardo alla
successione dei giorni nefasti nel calendario, (20)
per scartare la tesi del Paoli.
Per il Magdelain (21)
non si tratterebbe, invece, di mostruosità giuridica,
poiché il rex presiedeva (questo sarebbe
il senso di comitiare) una assemblea
non deliberante, come quella delle nonae, che possono
cadere nei giorni nefasti, in cui, secondo Varr. 1.1.
6, 28, (22)
faceva 1'editio delle feriae menstruae. Ma,
anche se l'assemblea non è deliberante, una pronunzia
del rex (dicat) v'è sempre (e, come vedremo,
si tratta di pronunzia di ius) e non può
cadere nel nefas, poiché le pronunzie del
magistrato sono legate al fas. Varr. 11. 6,
29-30 dice, infatti, che i dies fasti
sono quelli nei quali è consentito ai pretori
di dire omnia verba, mentre i dies nefasti
sono quelli nei quali non possono pronunziare i verba
legitima (6,53) della iurisdictio e per
ciò non si può agire, perché la legis
actio è pronunzia di verba. (23)
Quanto alle nonae, vedremo che v'è traccia
nelle fonti di un regime analogo a quello dei dies
QRCF, (24)
per cui 1'editio feriarum può ricondursi
alla parte fasta del giorno.
4.
Ogni difficoltà scompare se si accolga la lezione
di Varr. l.l. 6, 31 contenuta in tutti i codici
seriori (tra i quali il più antico, il cod. Laurentianus
51, 5 del 1427) e difesa dal von Blumenthal. (25)
Varr.
1.1. 6, 31 ... Dies qui vocatur `quando rex
comitiavit fas' is dictus ab eo quod eo die rex <ex>
sacrificio ius dicat ad comitium, ad quod tempus est nefas,
ab eo fas: itaque post id tempus lege actum saepe.
In
effetti, Varr. l.l. 6, 31 deve avere menzionato
un sacrificio, come risulta dal confronto con Fest. 346,
27, ove, nel contesto della voce `Regifugium',
si legge ... ficium (26)
; con Ovid. Fast. 5,727 s., che spiega la sigla
del calendario dicendo: Quattuor inde notis locus est,
quibus ordine lectis / vel mos sacrorum vel fuga regis
inest; e con lo stesso Fest. Paul. 311,1 3, ove
`rebus divinis perfectis' allude al sacrificio.
C'è solo da integrare prima di sacrificio
un ex ( caduto per una di quelle aplografie
che sono frequenti nel manoscritto archetipo del De
lingua latina) e che regge un complemento di tempo
(dal momento del sacrificio). (27)
Ora, accolta questa diversa lezione di Varr. 11 6, 31,
risulta che `dicat' ha un oggetto (ius)
e che la pronunzia del rex cade nel fas, poiché
il momento del tempo che segna il passaggio dal nefas
al fas è dato dal sacrificio e la pronunzia
del rex avviene dopo il sacrificio.
Una cosa sola è da aggiungere all'analisi formale
del testo. `Dicat', che non c'è bisogno
di correggere in `dicebat ', come vuole il von
Blumenthal, può essere forma di `dicare', piuttosto
che di `dicere', come attesta il confronto con
un altro brano di
Varr.
1.1. 6, 61 ... Ennius: `dico qui hunc dicare';
hinc indicare, quod tunc ius dicatur; hinc iudex, quod
iu(s) dicai accepta potestate, id est quibusdam verbis
dicendo finiti sic enim aedis sacra a magistratu pontifice
prae<e>unte dicendo dedicatur. Hinc, ab dic[a]<e>ndo,
indicium; hinc illo indicit illum, indixit funus, prodixit
diem, addixit iudicium
5. E passiamo alla interpretazione del testo. La prima
questione è: chi è il rex? Può
trattarsi del rex sacrorum come del rex
politico (e in 1.1. 6,28 (28)
lo stesso Varrone usa il termine rex per indicare
la prima volta il rex politico e la seconda volta
il rex sacrorum). A me sembra certo che
si tratti del rex politico, anzitutto perché
la sua pronunzia ha per oggetto il ius e, inoltre,
perché la sigla del calendario QRCF risale al cosiddetto
calendario numano.
La seconda questione è: che cosa fa il rex?
Secondo la sigla egli svolge l'attività del
`comitiare', secondo la spiegazione di Varrone
egli `dicat ius'. E allora il Santalucia (29)
pensa che il re tenga un comizio a scopo di giurisdizione
(e si tratterebbe di giurisdizione criminale), dopo di
che si svolgerebbe il leggi agere.
Ma la lezione corretta di Varr. 1.1. 6, 61, che
anche il Santalucia segue, impone una importantissima
conseguenza. Poiché `post id tempus'
si riferisce al sacrificio (e non alla pronunzia del
rex), non c'è alcuna ragione di separare
temporalmente la pronunzia del re dal lege agere. E,
infatti, anche la pronunzia del re rientra nella parte
fasta del dies. Ciò è dovuto al fatto
che la stessa pronunzia del rex era legis actio.
La conferma è data dalle fonti più recenti,
(30)
che parlano non solo di legis actio apud magistratum,
ma anche di legis actio del magistrato (in questa
consiste la pronunzia dei verba legitima, che sono
i verba della legis actio). Ma, in particolare,
ciò risulta anche dallo stesso contesto. Varr,
1.1. 6, 31 parla di un ` ius dicare'
del re. Ma lo stesso Varrone, in 6, 29 30, come
si è visto, definendo i giorni fasti e nefasti,
ha legato il ius dicere del magistrato alla
definizione del lege agere. Il `ius dicare'
del re era, come il ius dicere del magistrato,
pronunzia solenne che si deve compiere nel fas
e, perciò, legis actio.((31)
6. Se però vogliamo determinare con precisione
che cosa fa il rex, dobbiamo distinguere l'attività
del comitiare, di cui alla sigla,
dal ius dicat della spiegazione
di Varrone.
In effetti, altro è il ` comitiare', altro
ciò che Varrone indica con l'espressione 'ius
dicat'.
`Comitiare', come denominativo di comitium,
significa `provocare un comizio', `convocare un comizio'.
(32)
E ciò fa capire perché nella spiegazione
di Varrone si parli di un sacrificio. Anche se ciò
è poco noto, risulta infatti dalle fonti
che il sacrificio è un momento del rito di convocazione
dei comizi. Basta citare, fra i numerosi testi che lo
provano,
Macr.
Sat. 1,15,10: Itaque sacrificio a rege et minore
pontifice celebrato idem pontifex calata, id est votata,
in Capitolium plebe iuxta curiam Calabram..., quot numero
dies a kalendis ad nonas superessent pronuntiabat...
(33)
relativo
all'assemblea nella quale il pontifex minor
(e in origine, forse, il re politico) con una pronunzia
solenne (praedicabat) fissava le nonae
e, soprattutto, la fondamentale testimonianza di
Liv.
1,8,1 (Romulus) Rebus divinis rite perpetratis vocataque
ad concilium multitudine, quae coalescere in populi unius
corpus nulla re praeterquam legibus poterat, iura
dedit...
relativa
alla prima convocazione dei comizi curiati da parte di
Romolo.
7. Il rito di convocazione dei comizi consta, tuttavia,
di varie fasi. In quale momento si pone il sacrificio?
Per
i comizi centuariati le varie fasi sono descritte da
Varr. l.l. 6, 88 In commentariis consularibus
scriptum sic inveni: Qui exercitum
imperaturus erit, accenso dicit hoc: `Calpurni,
voca in licium omnes quirites huc ad me'. Accensus dicit
sic: `Omnes quirites, in licium visite huc ad iudices'.
`C. Calpurni', cos. dicit, voca ad conventionem
omnes quirites huc ad me. Accensus dicit sic: `omnes
quirites, ite ad conventionem huc ad iudices'. Dein consul
eloquitur ad exercitum: `impero qua convenit ad comitia
centuriata'.
La prima fase è la in licium vocatio.
Il console rivolge all'accensus il comando: Calpurni
voca in licium omnes quirites
huc ad me'. E 1'accensus dice: `
Omnes quirites in licium visite huc ad iudices'. Dopo
che i quirites si sono riuniti in licium,
inizia la seconda fase, la vocatio ad con(ven)tionem.
Il console ordina all'accensus: ` C. CaLpurni,
voca ad conventionem omnes quirites huc ad me' e 1'accensus
dice: `Omnes quirites, ite (non visite!)
ad conventionem hunc ad iudices'. Si apre così
la conventio (concio). La terza fase è la
vocatio ad comitiatum, che prelude alla deliberazione.
Ora soltanto lassemblea deve essere ordînata.
E perciò il magistrato comanda: `Impero qua
convenit ad comitia centuriata'.
L'antichità presumibile della in licium vocatio
(il termine `licium' è oscuro e frainteso
dallo stesso Varrone, che usa la forma sostantivale `inlicium')
(34)
e il fatto che i comitia curiata non siano ordinariamente
una assemblea deliberante (35)
fa ritenere che le prime due fasi di questo rito di convocazione,
ed esse sole, siamo comuni ai comitia curiata.
E allora, poiché Liv. 1,8,1 si riferisce ad un
concilium non deliberante (il rex `iura
dedit'), la vocatio di cui si parla in questo
testo deve essere ad conventionem e il sacrifico
deve porsi prima della vocatio ad conventionem.
È infatti probabile che esso avvenisse dinanzi
ad una assemblea e che questa. fosse il `licium'.
Così si spiega l'altrimenti incomprensibile 'visite
' di Varr. 1.1. 6, 88, che significa letteralmente
` venite a vedere' (per la vocatio ad conventionem
si dice solo `ite' ). La vocatio
in licium è una vocatio ad un'assemblea
a scopo sacrale, nella quale si assiste al sacrificio
che apre la contio. È possibile che `licium'
indichi anche, in un primo più concreto significato,
il recinto e che questo corrisponda al templum.
(36)
8. Dopo il sacrificio avviene la vocatio ad con(ven)tionem
e la con(ven)tio.
La conventio è la forma dell'assemblea propriamente
assunta dai comitia curiata. Gli atti che ricadono
nella competenza di questi comizi si concludono, infatti,
in concione, poiché non richiedono, fuorché
la adrogatio, una deliberazione dell'assemblea.
(37)
Essi consistono in pronunzie unilaterali, rispetto alle
quali l'assemblea svolge una funzione di testimonianza,
ma nel senso antico, per cui non è mezzo di mera
prova o di pubblicità dell'atto, ma adprobatio,
cioè approvazione dello stesso da parte del corpo
soci, destinata a rafforzarlo, anche se questa approvazione
si manifesti in modo tacito o con l'acclamazione (suffragium).
Questa è la funzione svolta dai quirites,
come ha intuito il Magdelain, (38)
commentando lespressione ex iure quiritium
e ricostruendo sotto questo riguardo la funzione di
Quirinus come ` dio della comunità' dei
quiriti riuniti in assemblea.
È perciò che la pronunzia unilaterale dinanzi
ai comizi curiati, tanto se promani dal rex che
se promani dal privato, si risolve in una lex publica,
nel senso più antico, già visto, giacché
avviene davanti al popolo testimone.
9. Tale pronunzia, nella con(ven)tio, doveva costituire
un agere. Solo quando l'assemblea assume funzione
deliberante, 1'agere (cum populo) viene
ad identificarsi, come vuole Messala apud Gell.
N.A. 13,16, (39)
con la vocatio ad comitiatum e la successiva presentazione
della rogatio all'assemblea da parte del magistrato.
E ciò avviene nella terza fase del procedimento
comiziale, dinanzi ai comizi centuriati.
La pronunzia unilaterale del magistrato non costituisce
più, di per sé, lex, ma richiede
l'assenso dell'assemblea, che esercita funzioni che tendono
a diversificarsi (legislativa in senso moderno, ristretto;
elettorale; giudiziaria). La pronunzia del privato, che
non richiese mai, tranne che nel caso dell'adrogatio,
l'assenso dell'assemblea, non è più una
lex publica, ma tende ad assumere una funzione
negoziale (e, corrispondentemente, dà luogo, in
taluni casi, a negozi bilaterali). Così, parallelamente,
nel processo civile si sviluppa 1'agere cum adversario.
Ma è significativo che in tutti questi casi sopravviva
l'antico residuo terminologico per cui, sia che si tratti
di attività legislativa o elettorale o giudiziaria
o negoziale, si continua a parlare, come nel processo
civile, di actio.
10.
Dopo lo sviluppo della funzione deliberante dell'assemblea
popolare, `comitiatus' è solo l'ultima parte
dell'agere cum populo. Ma un `comitiare',
di cui il comitiatus è il risultato, si
aveva anche nei comitia curiata.
A tacer d'altro, ciò risulta dall'espressione `calatis
comitiis in populi concione', usata a proposito
del testamento comiziale e dal fatto che Labeone parli
di comitia calata per l'inaugurazione del re e
dei flamini. (40)
`Comitium ' è, d'altra parte, propriamente
il luogo della riunione, non della deliberazione, e così
si doveva chiamare già anticamente, quando vi si
riunivano i soli comitia curiata. E significativa,
del resto, la simmetria tra comitium (da comire)
e con(ven)tio (da convenire).
La differenza è che il `comitiare' dei comitia
curiata è provocare la formazione di quella
assemblea deliberante che è la contio.
11.
Ora finalmente possiamo dire di avere spiegato il significato
del termine `comitiavit' della sigla QRCF.
Ma ora abbiamo colto definitivamente anche la portata,
già individuata, della spiegazione di Varrone,
per il quale il rex `ius dicat'. Con queste
parole Varrone non spiega il termine `comitiavit'
della formula. L'ha fatto, sia pure implicitamente, con
quel cenno alla convocazione che è contenuto nel
riferimento al sacrificio e che si completa con il riferimento
all'assemblea già riunita (ad comitium),
come destinataria della pronunzia.
Con le parole `ius dicat ' Varrone spiega il termine
` fas '. E, infatti, per lui il fas, come
si è visto, regge la pronunzia solenne, in particolare
del magistrato. Poiché, dopo che il rex
ha `comiziato ', è fas, il rex può,
per Varrone, compiere la sua pronunzia di ius,
che è un lege agere. Per ciò ancora
Varrone parla della consuetudine, sopravvissuta fino ai
suoi tempi, di lege agere dopo il sacrificio nei
dies QRCF (itaque post id tempus lege actum
saepe), anche se egli con queste parole allude all'attività
giurisdizionale in senso stretto del magistrato, poiché
ai suoi tempi il lege agere si è ristretto
al campo del processo.
Ma, originariamente, nel lege agere consentito
nella parte fasta dei dies QRCF (e, in genere,
in ogni giorno interamente fasto) poteva rientrare qualsiasi
pronunzia solenne dei privati come del rex.
Il lege agere del rex non riguardava, infatti,
la sola funzione giurisdizionale, ma anche la repressione
criminale (v., ad esempio, la lex horrendi carminis
emanata dal rex, come dice Liv. 1,26,5, ` concilio
populi advocato', che è un atto di investitura
dei duoviri e un incarico di condannare). (41)
Il lege agere del rex comprende anche atti
di investitura dello stesso rex (lex curiata
de imperio) o dei suoi ausiliari (v., oltre la lex
horrendi carminis, il presumibile archetipo della
optima lex in magistro populi faciundo). (42)
Esso comprende, infine, pronunzie a carattere più
propriamente legislativo (alcune delle leges regiae;
cfr. l'iscrizione del cippo arcaico del comizio, sulla
quale torneremo). (43)
Forse perché ha questa ampia portata il lege
agere del rex è indicato con l'espressione
`ius dicat'. Certo, Varrone non poteva usare l'espressione
`ius dicit', che avrebbe ristretto la rappresentazione
dell'attività del rex alla moderna funzione
giurisdizionale. Perciò egli non ha trovato di
meglio che usare il termine `dicare', che ha il
pregio di accentuare la ritualità della pronunzia.
Un riscontro di tutto quello che si è detto è
fornito da Liv. 1,8,1, che occorre ancora una volta leggere
Liv.
1,8,1 (Romulus) Rebus divinis rite perpetratis
vocataque ad concilium multitudine, quae coalescere in
populi unius corpus nulla re praeterquam legibus poterat,
iura dedit...
Qui,
come si è visto, (44)
con riferimento al primo atto di convocazione dell'assemblea
da parte di Romolo, si dice che esso avviene dopo un sacrificio.
L'assemblea non è deliberante. È solo un
concilium, al quale il rex comunica le sue
pronunzie (iura dedit). In questa espressione,
per quel che è detto in seguito, prevale certamente
la considerazione dell'aspetto legislativo dell'attività
del rex. Ma `iura dare, reddere' sono
espressioni usate in altri luoghi, riguardo al rex,
per indicare ogni suo atto normativo (compresa la
giurisdizione). (45)
Può darsi che Livio abbia trovato l'espressione
` iura dedit ' nelle fonti cui attingeva
e nelle quali essa doveva assumere questa più ampia
portata.
12.
Solo ora possiamo leggere il lemma QRCF di Festo,
che ci fornirà una conferma di quanto abbiamo detto.
Riproduciamo anche il lemma `Quadruplatorem', che
precede, e i corrispondenti lemmi di Paolo Diacono, seguendo
l'edizione di Lindsay e indicando in tondo le nostre integrazioni.
Fest. L. 308, 32 36; 310, 1 21.
308,
|
33
<Quadruplatorem dictum ait Aelius G>allus
34 < qui eo quaestu se tuebatur, ut eas
res persegue>
35 < retur, quarum ex legibus quadrupli
erat > actio
36 <actio>nibus
|
310,
|
1
<testa>menta
2 <testimo>nio
est
3 abant
4 ab
eo
5 es
in
6
<divinis rebus per>fectis
7 que
licto
8 r populo
9 <comi>tia
ca
10 <lata> omen
legum
11
populi do
12 <Q.
R. C. F. Quandoc Rex co>mitia sit
13 <fas>
<i>n honorem
14
<feriis> menstruis scrip
15 <tis> Rege
dicuntur.
16 <scriptori>bus
traditae sunt.
17 r
pars ante
18 <rior> Posterior
19 si
quis alius pro Rege
20 <sacr a faciat ut pon>tifex, tum
is dies
21 <F. est.>
|
Fest. Paul. L. 309, 11 13; 311, 1 3.
309,
|
11
Quadruplatores dicebantur, qui eo quaestu se tuebantur,
12 ut eas res persequerentur, quarum ex legibus
quadrupli
13 erat actio.
|
311,
|
1
Quandoc rex comitiavit fas, in fastis notari solet,
et boc
2 videtur significare, quando rex sacrificulus
divinis rebus
3 perfectis in comitium venit.
|
Il lemma `Q. R. C. F. ' non comincia, come vuole
Lindsay, in 310, 12, ma in 308, 36, poiché
il lemma `Quadruplatorem' finisce con la parola
` actio ' del rigo precedente, come mostra il confronto
con l'epitome di Fest. Paul. 309, 13. Del
resto, in 310, 6 `...fectis' corrisponde a
`perfectis' di Fest. Paul. 311, 2. Si possono
ipotizzare le seguenti integrazioni:
308,36: probabilmente <actio>nibus; 310,1:
<testa>menta
310, 2 : <testi>monio est;
310,6 <divinis rebus per>fectis
310, 7 8 : licto<r>
|
Poiché qui si parla di lictor, in 310,8
e in 310,11 di populus e in 310,10 di
leges, si può integrare anche
310,9 10: <comi>tia
ca<lata>
|
Fino a questo punto Festo doveva svolgere il lemma con riferimento
alle actiones, e specialmente, ai testamenta,
come pronunzie consentite nel fas dei dies QRCF
e doveva spiegare il significato di `comitiavit' in
rapporto alla convocazione, previo sacrificio, dei comitia
curiata, che sono `calata' mediante il lictor
curiatus. (46)
Di questi comizi doveva ricordare anche l'attività
legislativa. Nel seguito
in
310,12 è errata l'integrazione di Lindsay
<QRCF Quandoc co> e si può
integrare solo <co>mitia sic
(che si legge invece di `sit');
in 310,13 si può integrare solo <i>n
honorem;
in 310,14 <feriis> menstruis scrip<tis>;
in 310,15 si legge, infatti, ` rege':
si ricordi la notizia di Varr. l.l. 6,28
sulla editio delle feriae menstruae,
da parte del rex, in sacris nonalibus;
in 310,16 si può accogliere l'integrazione
<scriptori>bus traditae
sunt;
in 310,17 18 si può integrare ante<rior>;
in 310,19 21 si quis alius pro rege
<sacra faciat ut pon>tifex, tum is
dies <F. est.>.
|
Il tratto probabilmente riguardava una equiparazione,
in ragione della carica del rex, ai dies QRCF
delle nonae, secondo l'opinione tradita
da scriptores per i quali in quei giorni, destinati
alla editio delle feriae menstruae, la
pronunzia del rex dinanzi all'assemblea, dopo
il sacrificio dei sacra nonalia, doveva
cadere nel fas nella parte posterior del
dies. Ecco la traccia, cui avevamo accennato,
(47)
di un regime delle nonae analogo a quello dei dies
QRCF. Analogamente, anche nelle kalendae, delle
quali parla Varr. 1.1. 6,27 (cfr. Macrob.
Sat. 1,15,10), (48)
il sacrificio doveva ritenersi il momento del passaggio
dal nefas al fas e poichè in questo
caso la successiva pronunzia delle nonae dinanzi
all'assemblea è fatta dai pontefici (o dal pontifex
minor), si può spiegare come il lemma di Festo
si concluda con l'equiparazione del sacrificio compiuto
dal pontifex (cui haec provincia delegabatur)
a quello compiuto dal rex.
13. Luogo dell'actio. Anche il luogo generalmente
coincide in tutte le manifestazioni dell'actio.
Un indizio è dato dal nome che indica il sita occupato
dal magistrato. Questo è detto tribunal tanto
per l'attività giurisdizionale che per 1'agere
cum populo (oltre che per le attività connesse
al comando militare) (49)
II tribunal è costituito da un luogo elevato,
da un suggesto: fino ad età relativamente recente
da quelli che, a partire dal 338 a.C., furono chiamati
rostra e che furono la sede del magistrato nell'agere
cum populo. Era vicino il puteal di Atto Navio,
che le fonti indicano come la prima sede destinata alla
iurisdictio. (50)
Può darsi che si tratti dello stesso sito. (51)
In ogni caso, secondo la tradizione, il rex prendeva
posto anche per lo svolgimento dell'attività giurisdizionale
nel luogo nel quale si svolgeva l'agere cum populo.
La notizia si trae da Dion. Hal. 2,29,1, che dice
che Romolo fissò il tribunale, dove sedeva in giudizio,
nel più visibile luogo del comizio (en toi phanerotatoi
tes agoras). (52)
Lo stesso Dionigi (2,50,2) indica questo luogo:
(Romolo e Tito Tazio) `costruirono il comizio... qui (i
Romani) tenevano le assemblee, trattando gli affari (chrematizontes)
nel piccolo tempio di Efesto, che si trova sopra il comizio'
(v. Gell. N.A. 4,5,1 5 locus editus),
vicino ai rostra (Dion. Hal. 1, 87, tes
agiras
en toi kratistoi chorioi para tois embolois).
Nello stesso sito Dionigi dice che era stata eretta una
stele (3,1,2), la stessa, forse, recante un'iscrizione
in caratteri greci, di cui parla in un altro passo (2,54,2).
(53)
In conclusione, secondo la tradizione, il tribunal
dovette avere originariamente sede su un rialzo naturale
della zona dove fu costruito il comizio, nel luogo in
cui fu situato il Volcanal, vicino ai rostra,
e nel quale sorgeva una stele con iscrizione in caratteri,
probabilmente latini arcaici.
In questo luogo Dionigi dice che il re svolgeva l'attività
giurisdizionale, ma usa anche una espressione (chrematizontes)
che lascia aperta la possibilità che ivi si compissero
anche le attività negoziali. E, infatti, noi abbiamo
visto come nel comizio si compissero almeno la adrogatio,
il testamentum calatis comitiis, la solutio
per aes et libram; la manumissio vindcta e
la in iure cessio. (54)
V'è qualche indizio nelle fonti che ivi si compissero
anche il nexum e la confarreatio (e l'atto
contrario). (55)
Ma nel comizio, come vedremo, (56)
si compivano probabilmente tutti gli atti che richiedono
la testimonianza dei quirites.
14.
La tradizione è confermata dalla archeologia. Sulla
base delle ricerche del Coarelli, (57)
si può stabilire con certezza il luogo in cui si
svolgeva generalmente l'actio, in tutte le manifestazioni,
e si possono individuare i monumenti eretti in questo
luogo in vista, appunto, di questa funzione.
Consideriamo la zona sud orientale del comizio (Fig.
1 e, per i particolari, Fig. 2), ove si trovano il niger
lapis e i monumenti sottostanti, collegabili alle
più antiche pavimentazioni del comitium.
Al pavimento II (databile per il Coarelli (58)
intorno alla metà del VI secolo o poco prima) si
connette il cippo arcaico con l'iscrizione (Fig 2; A).
È coeva la stipe votiva.
Al pavimento III (fine VI sec. metà V sec.)
si collegano il suggesto C, corrispondente ai più
antichi nostra e la piattaforma D, che doveva già
ospitare un monumento simile a quello (G) che lo sostituì
sul pavimento IV (seconda metà del IV sec.).
La situazione attuale (Fig. 3) mostra il monumento G e,
da un lato, dietro un tronco di colonna, l'adiacente cippo,
dall'altro la zona dei rostra.
Il monumento G è un'ara e un'ara doveva essere
il monumento precedentemente esistente al suo posto. (59)
Dunque, nella prima metà del VI sec. (sotto il
regno di Servio Tullio, secondo le date tradizionali),
in questo luogo del comizio sorgeva un santuario (il cippo
e la stipe votiva sono da collegare alla sua fondazione).
15.
I monumenti considerati costituiscono un complesso unitario.
È chiara la connessione dell'ara con la piattaforma
adiacente e del cippo con l'ara. Lo si desume non solo
dalla contiguità spaziale, ma anche dalla conservazione
del cippo al momento della ricostruzione dell'ara e dal
fatto che l'ara ha mantenuto la posizione precedente.
Alla unità strutturale deve corrispondere l'unità
funzionale.
La tradizione indica non solo l'unità strutturale
(poiché connette il tempio sul comizio il
Volcanal ai rostra e ricorda in esso
una stele), ma anche l'unità funzionale.
Dion. Hal. 6,67,2 dice infatti che il Volcanal
serviva da tribunal e in 6,17,2 e 11,39,1, in particolare,
per convocare l'assemblea. (60)
Ed è perciò che nel comizio (che era forse
un templum per il suo orientamento e le tracce
di una forma quadrilatera circoscritta), (61)
vicino alla piattaforma poi detta rostra, da cui
il rex doveva indirizzare i comandi al suo aiutante,
esisteva un'ara. Era l'ara che serviva al sacrificio necessario
per la convocazione.
16. Se anche il cippo si connette funzionalmente all'ara,
la conferma dovrebbe essere data da quel che può
decifrarsi dai residui dell'iscrizione.
Vediamo ciò che è certo, ciò che
è probabile e ciò che è semplicemente
possibile riguardo alla lezione del testo e alla sua interpretazione.
CIL
I 1
quoi hon[
2
] sakros es
3
ed sord[
II 4
]a ias
5 recei io[
6
] evam
7 quos re[
III 8
]m kalato
9
rem hab[
10
]tod iouxmen-
11
ta kapia do tau[
12
m i ter pe[
IV
13 ] m quoi ha
14
velod neq(.)u[
15
]iod iovestod
V 16
loivqviod qo[
Quanto
alla lezione, è certo, in l.1: quoi (= qui);
in ll. 2 3 sakros esed (= sacer sit);
in 1.5: recei (= regi); in ll.
8 9: kala torem ( = calatorem);
in ll. 10 11: iouxmenta ( = iumenta);
in l.13 quoi ( = qui); in l.15
: iovestod (= iusto).
E, invece, probabile in l. 1: hon (= hunc);
in 1.3: sord (= sor des); in ll.
9 10: habetod (=habeat); in l.16 (per
me certo o, almeno, altamente probabile): loiuquiod
(= licio). (62)
E, invece, possibile in l. 6: devam (=
divinam); (63)
in l. 11: kapia do taura (= capita duo taura);
(64)
in ll. 13 14: havelod (= avillo: agno recentis
partus); (65)
in l. 16: qo (come prime lettere di una forma verbale
da 'comitiare' con la quale si chiude il testo).
Quanto alla interpretazione, risulta chiaro che il testo,
nel suo complesso, costituisce una lex arae. Essa
contiene, nella parte iniziale (ll. 1 3,4) la minaccia
della sanzione della sacertà per chi violi il cippo
o il luogo e, probabilmente una sanzione diversa per chi
lo insozzi. Segue (11.5 14) una serie di disposizioni
relative alle modalità del sacrificio (res divina).
E probabile che esse abbiano per destinatario
il re stesso (perciò il dativo recei),
(66)
del quale si dice che deve avere un calator,
che avrà proceduto alla convocazione dell'assemblea
in vista dell'esecuzione del sacrificio. (67)
Riguardo a questo sono indicati gli animali da sacrificare
(una coppia aggiogata di tori: iouxmenta duo tanta
e forse un giovane agnello). Tutto questo in vista
del risultato dell'atto compiuto ritualmente, che è
un comitiare, ossia un riunire i quirites mediante
un'assemblea (litio), che è qualificata giusta
(iusto) proprio per il compimento delle
formalità rituali. (68)
La conferma è data da ciò che sappiamo dalla
Lex arae Dianae in Aventino. Essa è coeva
(essendo stata dettata da Servio Tullio) e Dionigi (4,26,3 5)
dice che era scritta in caratteri greci (rectius:
latini arcaici), come quelli della stele sita nel Volcanal.
Il testo conteneva prescrizioni relative alla convocazione
e allo svolgimento successivo di attività giurisdizionali.
Del resto, anche le leges arae a noi pervenute,
alle quali la lex arae Dianae in Aventino servì
da modello, contengono prescrizioni relative ai sacrifici.
17. Un'ultima conferma può essere data dal fatto
che, secondo la tradizione, la tomba di Romolo è
localizzata nei (o vicino ai) rostra, mentre un'altra
tradizione, che si collega alla scomparsa di Romolo, considera
il niger lapis un luogo funesto, come destinato
alla morte di Romolo. La scomparsa di Romolo avviene,
d'altra parte, durante un'assemblea popolare, tenuta nel
comizio (o nel Campo Marzio) e Romolo si trasforma in
Quirino. (69)
Questa è forse la chiave per intendere la ragione
per cui il ricordo di questi luoghi ritorna insistentemente
nel racconto leggendario. Quirino è, secondo l'etimologia
più probabile (co-virinos), il dio dei quirites
(co-virites), ossia degli uomini delle
curie, che formano il populus riunito in assemblea
(anche l'umbro Vofonius è il dio della comunità).
È perciò che Romolo, secondo Liv. 1,8,1,
trasforma la `multitudo' `in unius populi corpus',
dandole iura, dopo averla chiamata ad concilium,
previo il compimento di un sacrificio. Romolo è
il fondatore, della comunità, che ha chiamato in
assemblea dal tribunal (poi rostra) neI
comitium, previo un sacrificio compiuto nel Volcanal.
Quirino, in cui Romolo si trasforma, sublima la funzione
di creatore della comunità organizzata e ne tutela
la funzione (70)
18. Questa funzione il Magdelain l'ha visto (71)
non riguarda solo il diritto pubblico, ma anche
i1 diritto privato ed il processo. Qui è evocata
nell'espressione `ex iure quiritium'. I
quirites, come si è visto, sono chiamati come
testimoni dellatto e perciò, nel senso più
antico, per approvarlo, sia pure tacitamente, oltre che
per assicurarne la prova e la pubblicita. (72)
Il Magdelain (73)
si accorge che questa funzione di garanzia dei quirites
nel processo e nell'attività negoziale è
analoga a quella esplicata nelle assemblee popolari e
arriva a sostenere che, al limite, la comunità
deve ritenersi presente (come lo è, ad es., durante
il processo di Virginia, cui assiste la civitas in
foro), poiché teoricamente la partecipazione
all'assemblea in tutti questi casi è necessaria.
Questo è ancora più vero per le origini,
quando la comunità può partecipare sempre,
perché è convocata, a tutte le manifestazioni
dell'actio.
Vi partecipa, perché 1'actio è pronunzia
rituale dinanzi ai testimoni (nuncupatio), che
sono i quirites. La lex, che è questa
pronunzia, poiché avviene dinanzi al popolo, è
publica, nel senso antico, più su visto,
(74)
di pronunzia resa davanti al popolo, anche se promani
dal privato. L'atto è unilaterale, ma è
compiuto agli occhi di tutti. Se nessuno si oppone, la
comunità deve garantirlo.
19. Ora appare chiaro come le modalità di tempo
e di luogo dell'actio non siano espressione di
un'esigenza imposta da mero formalismo, ma valgano ad
assicurare un requisito fondamentale della pronunzia:
che essa si compia dinanzi all'assemblea. Il momento individuale
(lex) e il momento sociale (publica)
si saldano nella dimensione temporale e spaziale del rito
comiziale. Dalla convocazione dell'assemblea, più
precisamente dal sacrificio, si apre, nel luogo dell'assemblea,
il comitium, il tempo in cui è fas,
in cui, perciò si può procedere alla pronunzia
di una lex publica.
Questo tempo, questo luogo sono comuni a tutte le manifestazioni
dell'actio. Esse costituiscono un'esperienza unitaria.
Il comitium e il fas rappresentano il focus
spaziale e temporale di questa esperienza.
|
Note:
1 Queste
pagine costituiscono il testo della conferenza tenuta nell'Institut
de droit romain de l'Université de Paris il
16 dicembre 1988. Esse sono destinate agli Studi in onore
di Salvatore Puleo, la cui pubblicazione è stata
ritardata da ragioni varie: Ho aggiunto qualche nota, rinviando
ad altra occasione la dimostrazione più estesa delle
tesi qui proposte.
Actio in diritto antico, Poteri Negozia Actiones nella
esperienza romana arcaica, Atti del 1 Convegno di diritto
romano (Copanello, 12 15 maggio 1982) 201 ss.
2 Così
TALAMANCA, Enciclopedia del diritto XXXVI (1987),
5, nt. 29 e già Atti Copanello I (1982), 248
ss., che non tiene conto della mia replica, ivi, 259.
3 E,
invece, la tendenza è a fare del processo una nozione
metastorica, con la conseguenza che, come non si intende
l'esperienza originaria, nella quale tale nozione non è
ancora percepita, così non si coglie il senso dell'esperienza
successiva, nella quale essa comincia ad operare come momento
della trasformazione. Rappresentazione non meno falsa danno
quanti restano legati all'idea che il processo sarebbe nato
dal superamento del regime originario della violenza privata.
Contro l'una, come contro l'altra teoria sarebbe già
decisiva la considerazione dei caratteri della cultura primitiva,
quale si è sviluppata in un sistema di oralità
primaria. In questo quadro, sul quale basta qui rinviare
ad Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della
parola (tr. ital., 1986), si spiega l'atteggiarsi dell'actio
secondo le connotazioni indicate nel testo e la connessa
impossibilità di un originario manifestarsi, come
momenti distinti dell'esperienza giuridica, del diritto
e del processo.
4 V.
già quanto scrivevo in Potere ed azione nell'antico
diritto romano, Ann. Palermo 30 (1967), 103 ss., passim
e, specialmente, 610; Actio, cit., 201; 215 ss.
5 Su
questi caratteri della legis actio v. Potere ed
azione, cit., 308 ss.; Actio, cit., 214 s.
6 Actio,
cit., 216 ss.
7 Ciò
deve ammettersi, per il luogo, in ragione, almeno, della
manus iniectio vocati, se costituisce una legis
actio (per altre leges actiones estragiudizialí
v. Potere ed azione, cit., 201 [200], nt. 21); per
il tempo, in ragione della legis actio per
pignoris capionem. Ma qui può trattarsi di
possibilità riconosciuta in via interpretativa solo
in progresso di tempo: v. il mio intervento sulla relazione
tenuta da Bona al IV Convegno di diritto romano (Copanello,
1988).
8 Secondo
i risultati dei calcoli della KIRSOPP MICHELS, The Calendar
of the Roman Republic (1967), 34 s.
9 È
in questo atto che emerge la funzione di partecipazione
attiva del popolo. Sul compimento dinanzi al popolo degli
atti nel cui formulario è contenuta l'espressione
ex iure quiritium v. infra, §
18. Per la presenza di tale espressione nella formula pronunziata
dal familiae emptor v. Potere ed azione, cit.,
391 (389), nt. 4.
10
Gell., N.A. 20,1,46 47.
11
Si può argomentare in questo senso anche da Dion.
Hal. 7, 58, 3 e Rutil. ap. Macr. Sat. 1, 16,
34. Successivamente le nundinae dovettero essere
dichiarate dies nefasti (v. Fest. 176, 24, s.v. nundinas),
per poi tornare ad essere riconosciute come dies fasti
(nel più ristretto senso moderno) dalla lex Hortensia.
12
STEIN, St. Volterra, 2 (1971), 313 ss.; cfr., per la solutio
per aes et libram, Liv. 6, 14, 5: rem creditori palam
populo solvit libraque et aere liberatum emittit.
13
MOMMSEN, Die roem. Cronologie (1859), 241 ss. V.
Gai 2, 201: ... aut calatis comitiis bis in anno testamenti
f aciendis destinata erant.
14
Varr. 1.1. 6,32 Dies qui vocatur `quando stercum delatum
fas', ab eo appellatus, quod eo die ex aede Vestae stercus
everritur et per Capitolium clivum in locum defertur certum.
15
Varr. 11 6,31: Interci[n]si dies sunt per quos mane et
vesperi est nefas, medio tempore inter hostiam caesam et
exta proiecta fas; a quo quod fas tum intercedit aut eo[s]
intercisum nefas, intercisi[m]...
16
URSINUS: ` itat'. Ma il significato di ` itat'
è ` viene spesso' e non si accorda bene con
` venit' di Fest. Paul. 311, 1 3, su cui dovrebbe
appoggiarsi.
17
MOMMSEN: `it', che però è troppo lontano
paleograficamente.
18
HIRSCHFELD: `litat'. La correzione è meglio
fondata su 'divinis rebus perfectis' di Fest. Paul.
311, 1 3. Ma il 'comitiavit' della sigla può
richiamare semplicemente l'idea di un momento del sacrificio
come la litatio ? Cfr. CIPRIANO, Fas e
nefas (1978), 110 s.
19
PAOLI, REA 56 (1954), 125 ss. e già RHD
30 (1952), 293 ss.
20
La distribuzione dei giorni nefasti nei diversi mesi (0
in gennaio; 14 in febbraio; 1 in marzo; 14 in aprile; 4
in maggio; 10 in giugno; 9 in luglio; 0 in agosto e solo
6 nel resto dell'anno, secondo la Kirsopp Michels) non corrisponde
alle pratiche agrarie.
21
MAGDELAIN, RHD, 58 (1980), 5 ss.
22
Varr. l.l. 6, 28 Nonae appellatae aut quod ante diem
nonum idus semper, aut quod, ut novus annus kalendae Ianuariae
ab novo sole appellatae, novus mensis (ab) nova luna nonae;
eodem die [enim] in urbe(m) (qui) in agris ad regem conveniebat
populus. Harum rerum vestigia apparent in sacris nonalibus
in arce, quod tunc ferias primas menstruas, quae futurae
sint eo mense, rex edicit populo.
23
Varr. l.l. 6, 29: ... dies fasti, per quos praetoribus
omnia verba sine piaculo licet fari; ... contrarii horum
vocantur dies nefasti, per quos dies nefas fari praetorem
`do, dico, addico '; itaque non potest agi: necesse est
aliquo uti verbo cum lege quid) peragitur; 6,53 Hinc fasti
dies, quibus verba certa legitima sine piaculo praetoribus
licet fari; ab boc nefasti, quibus diebus ea tari ius non
est et, si fati sunt, piaculum f aciunt.
24
V. infra, § 12.
25
VON BLUMENTHAL, Rhein. Mus. N.F. 87 (1938), 271 ss.
26
Il testo, per quel poco che si può ancora leggere,
doveva contenere la critica dell'opinione secondo cui la
sigla QRCF doveva svolgersi in quando rex
comitio fugerit
27
VON BLUMENTHAL, op. cit., 272.
28
V. il testo supra, nt. 22.
29
SANTALUCIA, Atti del II convegno di diritto romano (Copanello,
1984), 247 ss.
30
V. i testi in PALMIERI, Synteleia Arangio Ruiz 1 (1964),
521 ss. (che li considera interpolati) e in FERNANDEZ DE
BUYAN, Est. Iglesias I (1988), 197 ss.
31
Ciò non è contraddetto dal fatto che,
come vedremo (infra, § 11), Varrone, nel dire
` itaque post id tempus lege actum saepe' si riferisce
alla legis actio successivamente sviluppatasi in
funzione di processo civile. Questa caratterizzazione non
gli impediva di pensare che la pronunzia del rex
si immettesse in un più ampio concetto di legis
actio, intesa come pronunzia solenne anche non giurisdizionale,
il che spiega il comune legame con il fas della pronunzia
del rex e di quella del magistrato giurisdizionale.
In Varrone v'è una tensione tra il valore più
ampio di lege agere (aliquo uti verbo; ius dicare
del rex) e il valore più ristretto, compreso
nel primo, di lege agere; (pronunzia dei tria
verba legitima; ius dicere del magistrato; forse, definizione
dei giorni fasti come di quelli che attengono alle res
privatae: Varr. ap. Macr. Sat. 1,16,27).
La stessa tensione si manifesta nel contrasto tra i plerique
che riconoscono alla pignoris capio la natura di
legis actio e 1a minoranza che la nega (Gai. 4,29).
Anche la minoranza, in fondo, ammette il valore di legis
actio come pronunzia solenne e, infatti, se nega tale
qualifica alla pignoris capio, lo fa per ragioni
diverse (mancanza di contraddittorio; del magistrato; del
tempo fasto) che riguardano l'assenza di caratteri processuali.
In seno alla legis actio si individua un valore più
propriamente processuale.
32
Cfr. CIPRIANO, op. cit., 115.
33
Cfr. Varr, 11 6,27 ...Primi dies mensium nominati kalendae,
quod bis diebus calantur eius mensis nonae a pontificibus,
quintanae an septimanae sint futurae, in Capitolio, in curia
Calabra sic dicto quinquies `kalo Iuno Covella' (Novella?),
septies dicto `kalo Iuno Covella'.
34
V. Varr. l.l. 6, 94 Quare non est dubium, quin
hoc inlicium sit... Tale forma avrebbe come esito un
insostenibile doppio accusativo nella formula ... voca
in licium omnes quirites... di Varr. l.l. 6,
88. Cfr., del resto, il parallelismo con l'espressione '
voca ad conventionem ', su cui v. anche, quantunque
imprecisa, la testimonianza di Fest. Paul. 100, 11 In
licium vocare antiqui dicebant ad conventionem vocare.
35
V, infra, § 8.
36
Per tracce della recinzione del templum nella zona
del comizio (è il comizio, come vedremo, fondamentalmente
il luogo dell'actio) v. COARELLI, Il foro romano,
I (1983), 140 s.; II (1985), 126 ss., con lett. Per
il termine licium, v., tuttavia, in senso
non conforme, le analisi linguistiche in ERNOUT MEILLE.T,
Dictionnaire étymologique de la langue latine4
(1959), 347, s.v. lanx.
37
Le fonti riportano il primo intervento di un cittadino addirittura
agli inizi della repubblica, con Sp. Lucrezio, suocero di
Collatino (o C. Minucio): v. Dion. Hal. 5,11,2; Plut. Publ.
3,3. Sul punto v. BOTSFORD, The Roman Assemblies
(1909), 145. L'episodio precedente di Giulio Proculo
(Liv. 1,16,5; Cic. rep. 2,10,20) ha carattere diverso,
trattandosi di un annuncio all'assemblea (ciò contro
BOTSFORD, op. cit., 145, nt. 4).
38
MAGDELAIN, MEFRA 96 (1948), 219 ss.; cfr. infra,
§ 18.
39
Sul testo v. Actio, cit., 208 s.
40
Gell. N.A. 15,27,1. In libro Laelii Felicis Ad Q. Mucium
primo scriptum est Labeonem scribere ` calata' comitia esse
quae pro conlegio pontificum habentur, aut regis aut flaminum
inaugurandorum causa. 2. Eorum autem alia esse curiata,
alia centuriata; curiata per lictorem curiatum calari, id
est convocari; centuriata per cornicinem. 3. Isdem comitiis,
quae `calata' appellata diximus, et sacrorum detestatio
et testamenta fieri solebant. Tria enim genera testamentorum
fuisse accepimus: unum, quod calatis comitiis in populi
concione fieret, alterum in procinctu, cum viri ad proelium
faciendum in aciem vocabantur, tertium per familiae emancipationem,
cui aes et libra adhiberetur. Sul primo punto v. specialmente
ALBANESE, Atti Copanello I (1982), 112 ss.
41.
V. Actio, cit., 212 ss.
42
Op. cit., 214.
43
V. in fra, § 16.
44
V. supra, § 6.
45
V. GIOFFREDI, Diritto e processo nelle antiche forme
giuridiche romane (1955), 69 ss.
46
Sull'impiego del lictor curiatus v. Gell. N.A.
15,27,2 (supra, nt. 40).
47
V. supra, § 3.
48
V. supra, p. 291 e nt. 33.
49
V. PERNICE, ZSS 14 (1893), 138 ss.
50
V. GIOFFREDI, SDHI 9 (1943 ), 246 ss.
51
Sul punto v. diversamente GIOFFREDI, op. cit., 249
ss.; COARELLI, Il foro romano II (1985), 28
ss.
52
Dionigi si riferisce alla giurisdizione criminale, ma per
lui la distinzione tra giudizi pubblici e privati è
successiva.
53
Su questi testi v. COARELLI, Il foro romano,
I (1983), cit., 162 ss.
54
V. supra, § 2.
55
Quanto alla confarreatio, si può argomentare
dal fatto che essa richiedeva un sacrificio e la presenza
del flamen dialis e del pontefice; quanto al nexum,
dal fatto che vicino al puteal di Atto
Navio, in età più recente, svolgevano la loro
attività i faeneratores (v. GIOFFREDI,
op. cit., 259 ss.).
56
V. infra, § 18.
57
V. COARELLI, op. cit., 161 ss.
58
COARELLI, op. cit., 130; 172..
59
COARELLI, op. cit., 172, con riferimento ai risulti
del Castagnoli.
60
Su questi testi, nel senso riferito, v. COARELLI, op.cit.,
163 s.
61
V. ultimamente COARELLI, op. cit., 140, con
lett. precedente; cfr. ante, p. 293 e nt. 36
62
La prima v reca un segno nel mezzo, che incide
il lato destro. Essa è da ritenere una indicazione
di cancellatura dell'erronea anticipazione della seconda
v: v. GOIDANICH, Mem. Acc. It.: serie VII,
vol. III, fasc. 7 (1943), 428, con lett. 63
CECI, Notizie degli scavi (maggio 1899), 28, 38 s.
64
PALMER, The King and the Comitium (1969), 10 ss.
65
PALMER, op. cit., 24
66
Potrebbe alludervi la notizia di Tac. Ann. 3,26,4
Sed praecipius Servius Tullius sanctor legum fuit, quis
etiam reges obtemperarent.
67
Giusta, da un lato, l'etimologia del termine e, dall'altro,
le funzioni residuali in età storica. Può
essere significativo, a quest'ultimo riguardo, Serv. ad
Georg. 1,268
pontifices sacrificaturi praemittere
calatores suos solent. Sulla funzione del calator
e sul suo rapporto con il lictor curiatus v.
MAZZARINO, Dalla monarchia allo stato repubblicano
(1945), 206 ss.
68
Su questo significato di iustus v. Potere ed azione,
cit., 153 ss.
69
Argomenta da ciò COARELLI, op. cit.,
188 ss.
70
Cfr., con richiamo a Liv. 1,8,1, PORTE, ANRW 17,1
(1981), 324.
71
MAGDELAIN, MEFRA 96 (1984), cít., 221 ss.
72
Su questa funzione globale originaria della prova, già
richiamata supra, § 8, v. Potere ed
azione, cit., 357, con lett.
73
MAGDELAIN, op. cit., 223.
74
V. supra, § 2.
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