II titolo di questa mia relazione è palesemente ispirato,
nelle prime due parole, al famoso libro di LUDWIG MITTEIS,
Reichsrecht und Volksrecht in den östlichen Provinzen
des römischen Kaiserreichs,edito a Leipzig nel
1891. Libro ben definito «pionieristico», che
apre la problematica sui rapporti tra diritto romano e diritti
locali. Ma naturalmente, dopo oltre un secolo dalla sua
pubblicazione, esso presenta i suoi limiti. Anzitutto riguardo
alle fonti, perché utilizza per il periodo imperiale,
accanto ai testi di provenienza romana, quasi soltanto dei
papiri egizi. In questo ambito il Mitteis inizia veramente
la papirologia giuridica, ma al di fuori poteva conoscere
assai poco. In secondo luogo riguardo alle concezioni che
sono alla base della sua trattazione e che sono quelle del
suo tempo. Con particolare riferimento al diritto privato,
diritto romano e diritti locali sono da lui visti rigidamente
come ordinamenti giuridici, cui i singoli individui appartengono.
Ma stando a Gai. 1.1 ciò può essere vero per
la civitas romana come per le altre civitates
dell'impero. La massa dei sudditi delle ex monarchie
ellenistiche non sono civesné hanno un proprio
ius civile:a parte le disposizioni loro imposte dall'alto,
si potrà tutt'al più parlare di usanze, di
tradizioni giuridiche.
Comunque nei primi tempi del principato leventuale
conflitto tra diritto romano e diritti locali riveste poca
importanza per il minimo numero di cittadini romani in Oriente:
governatori e funzionari inviati da Roma, militari di diverse
provenienze. Il numero dei cittadini andrà poi crescendo
per funzionari che vengono scelti sul posto; per veterani
che si fermano in provincia, ma si tratta pur sempre di
una stretta minoranza.
Per precise esigenze, spesso più pubblicistiche che
privatistiche, interviene il Provinzialrecht, cioè
un diritto emanato dall'autorità romana specificamente
per una provincia. Non saprei dire quando è nata
questa terminologia, ma essa esprime con efficace sintesi
un problema complesso, reso ancora più arduo dalla
commistione con quello del cosiddetto edictum provinciale.
La possibilità che i governatori provinciali,
all'atto dell'ingresso in carica, emanassero un programma
cui si sarebbero attenuti nella loro attività giurisdizionale,
programma modellato sull'editto urbano, ma con aspetti suoi
particolari, è più che plausibile per l'età
tardo repubblicana e magari ancora dopo per le province
senatorie, ma lascia assai perplessi per le province imperiali
(1).
Certo è che in queste province i governatori, in
particolare il prefetto d'Egitto che meglio conosciamo,
operavano a colpi di editti specifici, in gran parte di
contenuto fiscale, ma con riflessi politici o invece privatistici.
Ad esempio è con esenzioni fiscali che il prefetto
d'Egitto differenzia nella cèra dalla massa dei contadini
egizi le élites greche, facendone dei notabili fedeli
al potere di Roma (2).
Nella creazione di questo diritto romano locale egli poteva
giovarsi di norme del diritto romano, introdurre nuove norme
o anche recuperare norme dei precedenti signori, i Lagidi.
Mi piace ricordare al riguardo il § 37 del Gnomon dell'Idios
Logos il noto regolamento fiscale di età romana
non solo perché esso mi rimanda ad una ricerca
svolta or sono cinquant'anni con Bingen e la compianta Lenger,
ma perché l'interpretazione che allora sostenemmo
ha ora ricevuto definitiva conferma. Dice il § 37:
«Coloro che hanno trasgredito i prost£gmata
basilwn À p£rcwn,agendo in maniera
non conforme alle prescrizioni, furono multati, chi della
quarta parte dei beni, chi della metà, chi dell'intero».
I prost£gmata p£rcwn sono senza dubbio
gli editti dei prefetti d'Egitto, ma che cosa sono i prost£gmata
basilwn ? Noi traducemmo come ordinanze dei re (sc.
Lagidi), ma altri pensarono a costituzioni imperiali o,
in un senso comprensivo di re e imperatori, ad atti del
potere sovrano. Tutte interpretazioni possibili finché
del Gnomon avevamo solo un papiro della seconda metà
del II secolo d. C., ma adesso che ci è pervenuto
un frammento in cui figura con identica formulazione il
§ 37, frammento risalente alla prima metà del
I secolo d. C., quei basilej non possono essere che
i Tolemei. Né più meraviglia allora che un
giudice romano in una sua sentenza, richiamando analoghi
precedenti, venga a fondarsi su ordinanze tolemaiche (3).
Altri casi di leggi dei monarchi ellenistici fatte proprie
dall'autorità romana sono testimoniati per altre
province d'Oriente da testi epigrafici (4).
Il momento di incontro e scontro del diritto romano con
i diritti locali è generalmente individuato nel 212
con la constitutio Antoniniana, che concesse
la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'impero
con scarse e discusse eccezioni. Sulle conseguenze del provvedimento
abbiamo nella dottrina due diverse posizioni, opposte nel
contenuto ma che muovono dalla stessa rigida concezione
di appartenenza degli individui agli ordinamenti giuridici.
Risale al Mitteis l'opinione che i cittadini romani, vecchi
e nuovi, sarebbero stati ormai tenuti ufficialmente all'osservanza
del diritto romano, mentre i diritti locali sarebbero degradati
ad usanze formalmente illegali: opinione ripresa da altri
studiosi, come l'Arangio Ruiz, che attenuano però
la visione di una lotta drammatica tra diritto romano e
diritti locali. Primeggia invece lo Schónbauer
nel sostenere la permanenza perfettamente legale, accanto
al diritto romano, dei diritti locali, in quanto i neocittadini
manterrebbero l'appartenenza alla città d'origine:
è la dottrina della cosiddetta doppia cittadinanza.
II problema va ripreso nel quadro di una visione complessiva
della politica severiana. Appartiene a Settimio Severo la
municipalizzazione dei centri abitati di una qualche importanza.
Se gli abitanti di Alessandria possono gioire per vedere
restituita alla loro illustre pÒlij già
soppressa dai tempi di Augusto, al contempo possono gioire
i capoluoghi dei nomo
della cèra egiziana,
che da grossi villaggi si vedono elevati a municipi. Ma
questi sono ormai comunità amministrative. Non è
più discorso di vere pÒleij, di civitates
con un loro ius civile, anche se certamente tali
comunità avranno una loro prassi giuridica. Sono
ancora i giuristi dell'età severiana ad elaborare
il concetto di consuetudo come fonte sussidiaria
rispetto alla legge, proprio in riferimento al fenomeno,
cui la constitutio Antoniniana ha dato pregnante
attualità, degli usi locali. Nei limiti in cui
essi servivano ad integrare localmente il sistema romano,
furono in questo assorbiti. È significativo che alla
stessa interpretazione dei diritti locali nel senso ormai
di usi siano arrivati il Modrzejewski e il Gallo, muovendo
dai diversi punti di vista del diritto praticato in Egitto
e dell'elaborazione giurisprudenziale a Roma (5).
Di fronte agli usi locali l'atteggiamento dei Severi è
per lo più d'indifferenza o, se vogliamo, di tacito
consenso. Ma ripetutamente essi fanno propri quegli usi.
È del tempo l'inserimento nel diritto romano della
longi temporis praescriptio. Parimenti viene accettata
la pratica, diffusa nelle province orientali, dei chirografi
nel senso di semplici dichiarazioni di debito, ai cui inconvenienti
si porge rimedio mediante quei mezzi processuali della cognitio
che si richiamano alla nozione di non numerata pecunia.
È Alessandro Severo che soccorre gli smarriti
provinciali, dell'Egitto se non di tutto l'impero, permettendo
loro di far testamento in lingua greca (6).
Al periodo severiano l'opinione comune attribuisce pure
la clausola stipulatoria, nella forma ka prwthqej
çmolÒghsa, che permette di assumere le più
diverse contrattazioni sotto l'egida della stipulatio
romana, salvo poi a discutere se derivi da disposizione
normativa o da interpretazione giurisprudenziale o da esperienza
della prassi. Ma stando alla nuova documentazione orientale,
di cui si dirà in seguito, quella clausola stipulatoria
appare già attestata in età adrianea, mentre
nei papiri egizi figura solo dopo la constitutio Antoniniana.
Naturalmente i romani non possono che respingere quelle
usanze provinciali che loro maggiormente ripugnano: è
il caso in Egitto delle unioni endogamiche, cui dopo il
212 venne solo concessa un'eccezionale transitoria prosecuzione
(7).
Altra politica seguono altri imperatori. L'attenzione cade
particolarmente su Diocleziano, che si oppone a molte pratiche
provinciali nel quadro del suo tentativo di restaurazione
dell'antico impero, romano e pagano, e in nome di una più
rigorosa osservanza del diritto ufficiale. Ma i suoi risultati
vanno poco oltre un limitato ritorno al latino e un esteriore
adeguamento a requisiti formali. Alle volte deve cedere
egli stesso, come ebbi occasione di sottolineare in mie
lontane ricerche. Così in tema di adozione, di esposizione
degli infanti, di tutela e cura. Né sa riportare
a nuova vita il decrepito testamento librale, salvo ad insistere
sulla presenza dei testimoni (8).
Costantino introduce un atteggiamento assai più aperto
alle istanze provinciali e alla realtà dei nuovi
tempi. Sfuggono però i termini della coesistenza
del diritto ufficiale con gli usi locali nel periodo postclassico,
per l'insufficienza delle testimonianze periferiche e l'intrinseca
contraddittorietà della stessa legislazione imperiale.
Né qui si può entrare nel terreno minato delle
pretese influenze elleniche sul diritto romano. Progressivamente
l'ordine si viene a ristabilire, nel corso del V secolo
e definitivamente con Giustiniano, nelle sembianze tanto
regolari quanto anonime della documentazione, nella quale
ogni negozio di un certo rilievo ormai si riversa. Aderendo
allo stile che il Wolff ha esattamente individuato come
costantinopolitano, i notai provinciali redigono i loro
documenti nell'enfatica e ridondante prosa bizantina con
sistematica ripetizione di formule e clausole, con obbediente
ossequio, ma non senza fraintendimenti, alle prescrizioni
imperiali. Se all'inizio, dopo i consueti simboli cristiani,
collocano la datazione nella triplice forma voluta da Giustiniano,
alla fine riportano completio e absolutio. Nel
caso del testo la descrizione che offrono dei vari negozi
poco o nulla fa capire del sottofondo di concezioni e pratiche
con le quali i provinciali svolgono i loro affari giuridici
(9).
Qualcosa tuttavia affiora. La preponderanza rispetto ai
testamenti di atti paratestamentari donazioni tra
vivi e dopo morte, divisioni d'ascendente, patti successorii
autonomi o inseriti in altri negozi denota una preferenza
per disposizioni di validità immediata e non revocabile,
che non diano adito a futura incertezza (10).
L'abbondanza di atti diretti alla pacifica conciliazione
di liti prospetta una realtà di transazioni private
che lo Schiller ha esasperato negando per l'epoca in Egitto
ogni ricorso ai tribunali (11).
Se invece guardiamo agli interventi imperiali provocati
da usanze locali, vediamo Giustiniano accusare gli abitanti
del villaggio di Sindys e gli ebrei di Tiro di unioni incestuose,
tollerarle al presente contro pagamento di sostanziose multe,
comminare altrimenti pene durissime; lo vediamo rivolgere
analoghe accuse alle popolazioni di Mesopotamia e Osroene,
indulgendo sul passato ma minacciandoli dell'estremo supplizio.
Aspre parole l'imperatore riserva pure agli abitanti dell'Armenia,
che hanno le barbare usanze di comprare le mogli e di escludere
le figlie dalla loro successione. Sono naturalmente solo
degli esempi (12).
Questa mia esposizione continua a presentare dei limiti.
Limiti soggettivi, nel senso che molte sono le semplici
opinioni che potranno trovare critici dubbiosi od avversi.
Limiti oggettivi in fondo ancora quelli del Mitteis
nel senso che i dati per la prassi provinciale sono
attinti quasi esclusivamente ai papiri d'Egitto, perché
ben poco finora è stato tratto e discusso dalle scarne,
frammentarie notizie relative alle altre province orientali.
Ma questo è sempre vero? Non abbiamo nuovi documenti
per quelle province su cui si debba riflettere? Sono interrogativi
ai quali adesso cercherà di rispondere, sulla base
delle sue ricerche, Livia Migliardi.
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Note:
1Vengono
qui di seguito pubblicati i contributi di M. Amelotti e
di L. Migliardi Zingale al Congresso della Società
italiana di storia del diritto su Diritto generale e
diritti particolari nell'esperienza storica, Torino,
19 21 novembre 19913.
Si ringrazia il Prof. U. S. Pene Vidari per la cortese autorizzazione
a pubblicare. Sul problema vedi per tutti R. Katzoff, Sources
of Law in Roman Egypt: The Role of the Prefect, in
Aufstieg und
Niedergang der römischen Welt, 2. Principat,
13. Recht, Berlin New York 1980, 825 ss.
2 Vedi
J. MÉLÈZE MODRZEJEWSKI, Entre la cité
et le fisc: le statut grec dans l'Égyple romaine,
in Symposion 1982, Valencia 1985 e Köln Wien
1989, 241 ss. (ristampa in Droit impérial et traditions
locales dans lAgypte romaine, Aldershot 1990,
I).
3 Vedi
L. MIGLIARDI ZINGALE, Ancora sui Prostagmata Basileon
nella provincia romana d'Egitto, in Symposion 1997
(in corso di pubblicazione).
4 Vedi
M. Amelotti, Leggi greche in diritto romano, ancora
in Symposion 1997.
5 Per
il Modrzejewski fondamentale è il saggio La règle
de droit dans l'Egypte romaine (État des question
et perspectives de recherches), in Proceedings of
the Twelfth International Congress of Papyrology, Toronto
1970, 317 ss., integrato da successivi studi e ripreso nella
sintesi Diritto romano e diritti locali, in Storia di Roma
3.2, Torino 1993, 985 ss. Per F. Gallo rimando al suo volume
Interpretazione e formazione consuetudinaria del diritto,
Torino 1993, 177 ss.
6 Vedi
M. AMELOTTI, Il testamento romano attraverso la prassi
documentale, Le forme classiche di testamento Firenze
1966, 217 ss.
7 Vedi
O. MONTEVECCHI, Endogamia e cittadinanza romana in Egitto,
in Aegyptus 59 (1979), 137 ss.
8 Rimando
al mio libro Per linterpretazione della legislazione
privatistica di Diocleziano, Milano 1960, e in materia
testamentaria al citato Testamento romano, 240 ss.
9 La
redazione del documento bizantino è da me analizzata
in M. AMELOTTI - G. COSTAMAGNA Alle origini del notariato
italiano, Roma 1975 (ristampa Milano 1995), 49 ss.;
85 ss,
10
Rimando al mio scritto Testamenti ed atti paratestamentari
nei papiri bizantini, in RIDA. 16 (1969) 211 ss., ripreso
in Scritti giuridici, Torino 1996, 452 ss. Vedi pure la
voce Testamento (diritto romano), in ED. 44 (1992) 467 s.
11
Mi riferisco allo scritto di A. A. SCHILLER, The Courts
are No More, in Studi Volterra, 1, Milano 1971
469 ss., le cui drastiche affermazioni hanno sollevato diffuse
perplessità.
12
Esempi tratti dalle Novelle 139, 154 e 21 e dall'Editto
3, su cui vedi G. LANATA, Società e di diritto
nel mondo tardo antico. Sei saggi sulle Novelle giustinianee,
Torino 1994, 39 ss.
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