Questo mio intervento, che si affianca alla relazione
di M. Amelotti, sarà specificamente incentrato
sulla documentazione papirologica, quale preziosa fonte
di cognizione della prassi giuridica antica: sono infatti
i documenti, a noi pervenuti in grandissimo numero dall'Egitto
soprattutto e da poche altre zone del Vicino Oriente,
che hanno permesso allo storico dei diritti antichi ed
al giusromanista in particolare di affrontare più
concretamente il tema assai complesso e delicato del rapporto
tra diritto romano e diritti stranieri.
E
proprio sulla base di queste fonti già è
stato possibile dare alcune risposte alle molte domande
che L. Mitteis (1)
si poneva alla fine del secolo scorso: quale è
la posizione di Roma nei confronti delle tradizioni giuridiche
vigenti nei territori da lei occupati? Persistono quelle
tradizioni oppure vengono da Roma abrogate? Quale situazione
si instaura dopo il 212 d.C., quando attraverso la Constitutio
Antoniniana la cittadinanza di Roma è conferita
a tutti gli abitanti liberi dell'impero?
Ma
da quegli anni ormai lontani, nei quali le nostre conoscenze
sulla prassi documentale nelle province romane d'Oriente
erano rappresentate pressoché esclusivamente dai
materiali ritrovati nei siti degli antichi villaggi della
chora egiziana, dove accanto alle migliaia e migliaia
di documenti confezionati e conservati in Egitto era venuto
alla luce anche qualche rarissimo esemplare scritto in
altre località orientali - Side in Panfilia, Myra
in Licia, Pompeiopolis in Paflagonia, Seleucia in Pieria,
Rodi, Antiochia, Apamea, ecc. -, la situazione appare
oggi alquanto mutata e lo studioso del diritto di Roma
ha ora a disposizione numerose altre testimonianze, che
sono venute e vengono tuttora alla luce direttamente da
quelle zone d'influenza romana (2).
Esse
sono costituite dai ritrovamenti fatti a partire dalla
prima metà di questo secolo fino ai giorni nostri
nelle province romane di Syria, Judaea, Mesopotamia,
Arabia, dove si sono incontrate ed anche scontrate
con Roma popolazioni, tradizioni, diritti, scritture e
lingue diverse: basti pensare alla significativa compresenza,
già sul piano meramente formale, di due o più
lingue non soltanto in gruppi omogenei di documentazione,
quali sono gli archivi, ma addirittura all'interno di
uno stesso documento: latino e greco nei ritrovamenti
di Dura; ebraico, aramaico e greco oppure nabateo, aramaico
e greco nelle carte venute alla luce nel deserto della
Giudea; greco e siriaco nei testi della Mesopotamia; greco
ed arabo nei papiri di Nessana.
Alcuni
di questi documenti sono invero già conosciuti
da qualche decennio sia attraverso isolate pubblicazioni
sia poi nella loro edizione critica complessiva, come
per i materiali recuperati sul sito dell'antica Dura Europos
(3)
o nella località di Nessana (4),
e già sono stati oggetto di indagini se pur parziali
(5).
Si tratta nel primo caso di una ricchissima documentazione,
gran parte della quale è rappresentata dagli archivi
latini di una coorte romana, la vicesima Palmyrenorum,
stanziata in quella importante città carovaniera
ai confini del deserto siro-iracheno tra la fine del II
secolo d.C. e la metà del III secolo d.C., e la
cui presenza ha certamente influito sulla progressiva
romanizzazione della zona. Si sono così conservati,
insieme con un calendario delle festività militari
- il cosiddetto Feriale Duranum e con moltissimi
esemplari di corrispondenza ufficiale, di pridiana,
di deposita e seposita, anche i testi,
se pur frammentari e lacunosi, di alcune decisioni in
materia civile pronunciate nel 235 d.C. dal comandante
della cohors, il tribuno Laronio Secundiano: preziosa
testimonianza, che conferma esplicitamente come gli alti
ufficiali dell'esercito di Roma esercitassero spesso in
provincia le funzioni di iudices dati, talvolta
in virtù di una delega permanente da parte del
governatore, come avviene per i documenti qui ricordati
(P. Dura 125 126).
Ma
sempre da Dura, località di origine assira
che poi è divenuta colonia macedone e poi punica,
prima di essere occupata dopo il 165 d.C. dai Romani,
insieme all'archivio militare sono state pure restituite
numerose pergamene greche di contenuto negoziale - mutui
anticretici, donazioni, compravendite, depositi, atti
di divorzio - risalenti sia a questo stesso periodo sia
all'età precedente ed attestanti quella particolare
Doppelbeurkundung, che già caratteristica
delle scritture private greche dell'Egitto tolemaico trova
probabilmente la sua più antica origine proprio
nella tradizione giuridica orientale e più propriamente
semitica, anche se per alcuni casi, dove agiscono cives
romani, c'è chi ha pensato invero ad una mediazione
attraverso la testatio romana (6):
una doppia scritturazione - interior chiusa e sigillata
ed exterior invece accessibile - atta a preservare
in questo modo il documento da possibili alterazioni e
manipolazioni (7).
Per
quanto attiene ai ritrovamenti di Nessana nel deserto
del Negev anch'essi già pubblicati da tempo, si
tratta di materiale papiraceo, pressoché esclusivamente
in lingua greca, appartenente invece ad una età
assai più tarda e costituito da archivi diversi
venuti alla luce nei magazzini di alcune chiese cristiane.
Così in un caso sono riuniti i documenti che attestano
tutta una serie di atti negoziali - mutui di denaro, divisioni
di proprietà, compravendite, contratti di matrimonio,
ecc. - che riguardano alcuni soldati appartenenti al numerus
Theodosiacus, stanziato a Nessana a partire dal 505
o poco prima fino alla fine del VI secolo, quando il campo
fu abbandonato sotto la pressione persiana. Un secondo
gruppo, databile agli inizi del VII secolo, è rappresentato
dal piccolo archivio dell'abate Patrizio, figlio di Sergio,
che restituisce documenti di natura contabile e finanziaria.
Più numerosi e di data più recente - siamo
infatti ormai nella seconda metà del VII secolo
- sono i papiri appartenenti a Giorgio, figlio di Patrizio
e a suo figlio Sergio, anch'egli abate e soprattutto grande
proprietario terriero: esso raccoglie testi diversi che
rispecchiano le varie attività economiche di questi
due personaggi e i loro rapporti da un lato con gli esponenti
della comunità locale e dall'altro con il governatore
provinciale. Un ultimo archivio è costituito da
papiri bilingui, di età araba, la più gran
parte dei quali riguardano questioni amministrative,
in particolare la tassazione e i servizi liturgici. Ad
essi si possono aggiungere alcuni testi letterari, tra
i quali mi interessa segnalare due frammenti giuridici,
databili paleograficamente al VI/VII secolo d.C. e fino
ad oggi del tutto ignorati dagli studiosi (P. Nessana
II, 11 e 12). Nel primo caso si è conservata, insieme
ad alcuni frustuli minori, una parte abbastanza ampia
di una pagina di codex, relativa - sembra - a tematiche
di diritto ereditario, mentre nel secondo caso è
rimasto di un codex un solo ampio frammento di
pagina, contenente anch'esso alcuni passi di diritto successorio
(8).
Non
posso indugiare oltre su questi ultimi materiali di età
bizantina, su alcuni dei quali tornerò peraltro
tra breve, per i collegamenti che essi presentano con
i papiri giustinianei trovati di recente a Petra, e passo
invece ai ritrovamenti fatti alla metà di questo
nostro secolo nel deserto della Giudea e risalenti al
periodo delle due sanguinose rivolte ebraiche, quella
che si concluse a Masada nel 74 d.C. con la caduta della
fortezza nelle mani degli occupanti romani e quella che
prende il nome da Bar Kokhba, il protagonista di una seconda
estenuante guerra contro Roma negli anni 132-135 d.C.,
e che ebbe drammaticamente termine con la morte dei rivoltosi
rifugiatisi nelle numerose grotte di Nahal Hever, sulla
sponda occidentale del mar Morto.
Anche
in questo caso mi è possibile fare soltanto qualche
rapido accenno a questi preziosi documenti, dei quali
voglio almeno ricordare l'archivio di Babatha figlia di
Simon, che è stato ripubblicato (9),
dopo l'edizione preliminare di alcuni isolati documenti.
Si tratta delle carte appartenenti a questa donna ebrea,
che insieme con la famiglia aveva lasciato il suo villaggio
di Maoza nella provincia romana d'Arabia, dove sempre
aveva vissuto, e si era rifugiata in Giudea al tempo della
rivolta di Bar Kokhba, trovandovi probabilmente la morte:
i papiri per la più gran parte in greco ma con
sottoscrizioni in aramaico e nabateo appartengono agli
anni 93-132 d.C. e conservano atti di compravendita, mutuo
ipotecario, deposito, donazione, contratti di matrimonio,
tutti redatti in doppia scritturazione, come i ritrovamenti
di Dura più sopra menzionati.
Ma
accanto a questi documenti negoziali Babatha ha anche
conservato in tre copie la formula greca di un'azione
processuale (10),
che si collega strettamente ad altri papiri dello stesso
archivio, attinenti ad una delicata e lunga controversia
nella quale sono coinvolti la donna e i tutori di suo
figlio orfano (11).
Siffatta
formula, a parte la prima clausola, inter actorem quem
et reum quem usque ad MMD denariorum iudices peregrini
sunto (12),
da intendersi plausibilmente - secondo l'interpretazione
qui da me accolta - come delega di giurisdizione
da parte del governatore provinciale ai giudici peregrini
competenti per cause fino a 2500 denari, essa corrisponde
perfettamente alla formula edittale dell'actio
tutelae che recita « iudex esto. quod
Numerius Negidius Auli Agerii tutelam gessit, qua de re
agitur, quidquid ob eam rem Numerium Negidium Aulo Agerio
dare facere oportet ex fide bona, eius iudex Numerium
Negidium Aulo Agerio condemnato. si non paret, absolvito».
Già
oggetto di un'edizione preliminare, questo interessantissimo
documento aveva subito attirato l'attenzione degli studiosi
(13)
e questo mi esime ora dal riproporre tutti gli interrogativi
che allora erano stati formulati ed ai quali A. Biscardi
(14)
in particolare aveva già dato alcune risposte piuttosto
convincenti, che qui vengono in parte seguite: mi limito
soltanto a ricordare come nella sua puntuale indagine
lo studioso, anziché suggerire un'applicazione
in provincia dell'ordo iudiciorum per lui alquanto
improbabile, avesse preferito collocare questa formula
processuale nell'ambito ormai della cognitio, cui
ora sembra ricondurre il procedimento della paraggelia,
esplicitamente attestato negli altri documenti dell'archivio
a quel tempo inediti. E concludeva il Biscardi che la
formula in questione poteva essere intesa come `paradigma
d'istruzione materiale' del governatore d'Arabia (15)
ai giudici da lui stesso delegati, cioè a quegli
xenokritai della città di Petra ivi menzionati
e dei quali è precisata la relativa competenza.
Ma ad un'altra domanda aveva ancora risposto A. Biscardi,
quando di fronte all'ipotesi da alcuni (16)
avanzata che la formula in questione fosse stata trascritta
e tradotta dall'albo edittale del governatore, dagli stessi
tenuto distinto dall'editto pretorio - ma qui non
voglio toccare il tema assai spinoso dell'esistenza o
meno di un editto provinciale (17)
-, più semplicemente aveva pensato che essa potesse
appartenere ad un qualche prontuario o repertorio `destinato
all'uso forense', che ben doveva circolare negli uffici
del praeses provinciale e per le mani non soltanto
di avvocati e giudici, ma anche - si può
ora aggiungere - di coloro che approntavano materialmente
i documenti processuali.
Oggi
infatti su questo specifico punto sappiamo molto di più:
numerosi papiri dell'archivio di Babatha allora inediti,
tra i quali rientrano specificamente alcune citazioni
in giudizio relative a quel processo in tema di tutela
che coinvolge la donna, sono stati redatti da un tal Germano
figlio di Giuda (18),
che appone la propria sottoscrizione ai documenti da lui
confezionati in una particolare formulazione egraphe
dia Germanou Ioudou, assai interessante per chi abbia
dimestichezza con la prassi notarile di età bizantina.
In alcuni casi poi, accanto al suo nome ed al suo patronimico,
compare l'epressione librarius, che ne qualifica
più esattamente le funzioni - forse svolte in qualche
ufficio amministrativo - come suggeriscono sia alcuni
papiri di provenienza egiziana, nei quali compare lo stesso
vocabolo (19),
sia una recentissima testimonianza, di cui parlerò
più avanti.
Uno
scriba dunque, almeno bilingue se non trilingue, che poteva
anche lavorare nell'ufficio del tribunale provinciale
e che, insieme ad altri come lui (20),
nell'ambito dei propri compiti di tipo notarile, aveva
l'opportunità di conoscere e di accedere a questi
prontuari processuali.
Tornando
un'ultima volta sulla formula processuale dell'actio
tutelae, conservata nell'archivio in esame e qui
così interpretata anche alla luce degli altri papiri
ad essa collegabili, va peraltro detto che vi è
oggi un tentativo di riportare invece il documento nuovamente
al processo per formulas e di intendere conseguentemente
gli xenokritai ivi citati quali recuperatores
(21):
una tesi che almeno a chi vi parla sembra poco probabile,
se si pensa sia all'età in cui ci troviamo, cioè
l'età adrianea, sia alla zona di provenienza, una
provincia imperiale, sia anche alle parti coinvolte nel
processo, che non sono cittadini romani ma peregrini,
per i quali appare assai più ovvio il ricorso a
giudici locali a ciò delegati dal governatore provinciale,
abitualmente residente nella lontana fortezza di Bostra,
piuttosto che nella metropoli di Petra, dove soltanto
annualmente egli tiene il suo conventus giudiziario.
Quale
che sia la tesi da accogliere riguardo al tipo di procedimento
formulare o cognitorio , nel quale ha trovato utilizzazione
questo `prontuario processuale', che è e resta
indubbiamente romano, non è comunque questo l'unico
riferimento al ius di Roma presente in questo archivio,
proveniente da una zona, che prima di diventare parte
nel 106 d.C. della nuova provincia romana d'Arabia era
rimasta piuttosto ai margini del mondo greco, anche se
ne aveva comunque recepito la lingua per evidenti ragioni
commerciali: non bisogna infatti dimenticare che il greco
è stato per secoli la lingua franca di tutto l'emporium
mediterraneo. Una zona dunque che, diversamente da
altri territori come l'Egitto e la Siria, che prima della
conquista romana avevano vissuto l'esperienza plurisecolare
del dominio delle monarchie ellenistiche, più facilmente
aveva mantenuto accanto a pur inevitabili influenze greche
le proprie tradizioni giuridiche nabatee.
Ma
all'arrivo dei Romani, attraverso la loro amministrazione,
le loro forze armate e soprattutto i loro tribunali, ai
quali ora ci si rivolge per ottenere giustizia, molti
elementi propri del diritto di Roma - e questo avviene
ben prima della Constitutio Antoniniana - penetrano
nella prassi locale e si esplicitano nei documenti, alla
pari della datazione consolare e del calendario romano,
che sono costantemente utilizzati nell'archivio in questione,
accanto alla menzione dell'era locale.
Significativa
è al riguardo la testimonianza di quel procedimento
tipicamente romano, adoperato per l'ottenimento di documenti
pubblici, noto con la formula descriptum et recognitum,
cui corrisponde nell'archivio di Babatha l'espressione
greca equivalente, eggegrammenon kai antibeblemenon:
esso si trova sia in un estratto dagli atti del senato
municipale di Petra, affissi nel tempio di Aphrodite (22),
sia nella copia di un'apographe di proprietà
trascritta dall'albo delle dichiarazioni censuali, esposto
anch'esso pubblicamente (23).
Vi è poi una presenza piuttosto consistente di
vocaboli latini, semplicemente traslitterati in caratteri
greci tribounalios per tribunal, akta per
acta, praisidion per praesidium,
miliarios per miliarius, kollegas
per collega, basilike per basilica
(24),
oltre al sopra menzionato librarios per librarius
(25),
che già di per sé riflettono ovviamente
la corrispondente realtà romana. E soprattutto
c'è l'uso di clausole proprie del ius di
Roma, se pur tradotte in greco, quali la clausola stipulatoria
kai eperotetheis homologhesa (26),
utilizzata nei documenti contrattuali di questo archivio
di età adrianea assai prima di quando essa appaia
nei documenti di Dura, dove è presente in un atto
di divorzio del 204 d.C. (27),
o nei papiri d'Egitto, dove sarà attestata soltanto
in anni posteriori alla Constitutio Antoniniana
(28):
una clausola che, posta usualmente a chiusura del
contratto, dichiara in sintesi l'avvenuta adesione di
una parte alla richiesta rivolta dalla controparte di
accettare tutto quanto è stato tra loro convenuto
e riversato nel documento stesso.
Ed
è interessante notare che proprio in questa clausola,
che sembra costituire un significativo esempio di «mimetismo»
giuridico, e quasi a rafforzarla sia menzionata costantemente
la pistis (29),
cioè la fides, che diventa kale pistis,
cioè bona fides, nella formula di giuramento
presente in quella dichiarazione di beni fondiari, più
sopra ricordata (30):
ma quale funzione può avere in questi casi l'uso
di un vocabolo, dal significato così pregnante,
presente anche in numerosi documenti contrattuali di provenienza
egiziana di età ben più tarda (31),
se non quella di dare protezione giuridica ai negozi dei
peregrini, anche attraverso il ricorso alla lealtà
e alla correttezza reciproca? Può qui valere, se
pure in termini speculari, quanto già aveva osservato
A. Biscardi a proposito della formula processuale dell'actio
tutelae, dove è proprio grazie alla bona
fides (kale pistis)... che ...istituti
nazionali come la tutela pupillare si trasformano da istituti
di stretto ius civile in istituti suscettibili
di applicazione al di fuori delle anguste barriere di
questo e tendono in qualche misura a fondersi con i corrispondenti
istituti di altri popoli e di altre civitates.
Accanto
all'archivio di Babatha, vorrei ancora segnalare tra i
documenti ritrovati nel deserto della Giudea un altro
piccolo gruppo di carte di recentissima individuazione
e pubblicazione (32)
appartenenti a Salome Komaise figlia di Levi, una
donna ebrea anch'essa originaria dello stesso villaggio
di Maoza, nella provincia romana d'Arabia, che -
come Babatha - era fuggita verso nord durante gli
anni della rivolta di Bar Kokhba, portandosi dietro i
preziosi documenti, rinvenuti nelle grotte di Nahal Hever,
dove probabilmente morì.
Datati
agli anni 125 131 d.C., questi papiri scritti in
greco, con sottoscrizioni in aramaico e nabateo, presentano
anch'essi le caratteristiche formali che già avevamo
evidenziato nell'altro archivio, e cioè la Doppelbeurkundung,
il sistema di datazione consolare romano affiancato
all'era locale della nuova provincia istituita nel 106
d.C., e la clausola stipulatoria, nella quale è
presente quell'esplicito riferimento alla fides, di cui
già abbiamo discusso in relazione all'archivio
di Babatha.
Interessante
è poi il contenuto di alcuni di questi documenti,
in particolare una donazione di terreni e parte di una
casa, fatta dalla madre Salome Grapte alla propria figlia
Salome Komaise, oppure il contratto di matrimonio della
stessa Salome Komaise con Iesus figlio di Menahem.
Anche
se mancano elementi più espliciti, è probabile
che i due documenti siano in qualche modo collegati tra
loro e che la donazione sia stata fatta in relazione alle
nozze, che sappiamo essere per la donna le seconde. Al
riguardo è stato notato da chi ha ora pubblicato
il piccolo archivio (33)
che il diritto successorio, quale traspare più
in generale nei documenti ritrovati in Giudea, non garantiva
alla donna di ereditare dai genitori, quando ad esempio
fossero presenti i figli dello zio paterno, e questo potrebbe
spiegare l'utilizzazione di queste donazioni inter
vivos. Per quanto riguarda invece il contratto di
matrimonio, pur avvicinabile nella sua forma strutturale
alla ketubba ebraica, è stato suggerito
che esso rispecchi piuttosto la tradizione giuridica greca
dell'agraphos gamos qui convertito attraverso
il ricevimento della dote da parte dell'uomo in
un eggraphos gamos (34).
Anche
nell'archivio di Babatha or ora ricordato, accanto ad
una vera e propria ketubba aramaica tuttora inedita
(35)
è conservato un contratto di matrimonio (P. Yadin
18), che parrebbe inquadrarsi nella tradizione giuridica
greca, cui esplicitamente sembra riferirsi attraverso
l'espressione, due volte ripetuta, helleniko nomo,
piuttosto che in quella ebraica: ma come spiegare questo
con l'isolamento nabateo e con l'influenza puramente formale
dell'ellenismo in questa zona del Vicino Oriente, che
alcuni degli studiosi che hanno esaminato con attenzione
questi documenti per altri versi piuttosto convincentemente
ipotizzano?
Lasciando per ora aperti questi interrogativi, ai quali
si potrà forse dare qualche risposta meno incerta,
quando si avranno a disposizione anche le edizioni di
tutti i materiali non greci conservati negli stessi archivi,
voglio soltanto menzionare, prima di passare ai recentissimi
ritrovamenti di Petra, un gruppo di papiri e pergamene,
provenienti dal medio Eufrate e risalenti alla metà
del III secolo d.C. (36),
dei quali sta uscendo via via l'edizione.
Già è stata pubblicata, pochi anni or sono,
una piccola serie di istanze indirizzate all'autorità
giudiziaria romana (37)
tra le quali assai significativa è una domanda
rivolta da alcuni abitanti di un villaggio della zona
al governatore di Celesiria, Giulio Prisco, perché
in attesa della sentenza che dovrà risolvere una
controversia in tema di proprietà, faccia sì
che panta en akeraio terethenai kai bian koluthenai,
cioè che tutto rimanga in integrum e che
sia proibita la vis: una richiesta di tutela del
possesso che suggestivamente richiama l'interdetto uti
possidetis. Il documento contiene anche la
subscriptio del governatore, con la quale egli
delegherà la questione alla giurisdizione locale
competente.
In
un'altra petizione, indirizzata ad un altro governatore
di Celesiria, Marcello, il ricorrente chiede di rientrare
nel possesso di un vigneto da lui ereditato dal padre
ed ora occupato abusivamente e con violenza da altri:
il caso è poi complicato dalla presenza di una
vecchia creditrice del padre, per garantire la quale il
terreno in questione era stato a suo tempo ipotecato e
che ora lo perseguita. Anche in questo caso la richiesta
fa eco ad un interdetto, più precisamente l'interdictum
de vi, con il quale era ordinata la restituzione
della cosa a chi ne era stato spogliato violentemente.
Appartengono
alle stesse carte una richiesta, in duplice esemplare,
di comparizione in giudizio di fronte al governatore romano,
presentata da chi è stato vittima di alcuni atti
di violenza, ed infine una petizione rivolta ad un centurione,
perché quest'ultimo certifichi una deposizione
fatta in un caso di omicidio e di usurpazione di beni.
Recentissima
è poi la pubblicazione di un altro piccolo gruppo
di documenti, facenti parte di questi stessi archivi e
consistenti questa volta in contratti di compravendita
(38),
il cui oggetto è costituito da giovani schiavi
e, in un caso soltanto, da animali. Sono pergamene redatte
in greco con sottoscrizioni in siriaco e presentano tutte
la duplice scritturazione e la formulazione oggettiva,
secondo lo schema bilaterale apedoto X venditore
epriato Y acquirente. Datati secondo il
sistema dell'eponimato consolare, cui si affianca l'era
locale seleucide, essi presentano significativamente abbinate
la clausola di garanzia contro l'evizione e la clausola
cosiddetta di 'katharopoiesis' sulla quale tornerò
tra breve, che garantisce ulteriormente il titolo di proprietà
dell'acquirente contro eventuali future contestazioni,
cui segue la clausola redibitoria contro i vizi occulti
della cosa, con specifico riferimento alla 'hiera nosos',
il morbo sacro di edittale memoria.
Ancora
interessante è la presenza della clausola stipulatoria,
accompagnata da quel riferimento alla pistis già
segnalato nei documenti di età adrianea appartenenti
all'archivio di Babatha. Ma soprattutto è la sottoscrizione
al documento, apposta da chi lo ha materialmente confezionato,
ad attirare l'attenzione di chi esamina la prassi documentale
antica non soltanto sotto il profilo del contenuto ma
anche negli aspetti più propriamente formali. In
alcuni casi il redattore è un nomikos, termine
ben noto a chi ha studiato gli instrumenta notarili
di età bizantina, in altri è un librarius,
termine invece assai più raro, ma suggestivamente
già presente più di un secolo prima nei
papiri della Giudea, per il quale era stata avanzata l'ipotesi
ora pienamente confermata di identificare
in costui uno scriba di professione: vocaboli diversi
per designare quella figura che i Romani più consuetamente
chiamano tabellio e la cui attività svolta
nel foro e negli archivi consiste appunto nell'instrumenta
formare, libellos concipere e testationes consignare
(39).
Ma veniamo finalmente ai papiri di età giustinianea,
ritrovati nel 1993 a Petra, una località che già
ho citato in relazione all'archivio adrianeo di Babatha,
nel quale più volte è fatto riferimento
al suo senato locale ed al suo tribunale: allora Petra
era capoluogo della provincia romana d'Arabia da poco
istituita, ora invece Petra appartiene da tempo, cioè
dalla riorganizzazione amministrativa attuata da Diocleziano,
alla Palaestina Tertia Salutaris, di cui fa parte
anche Nessana, l'altra importante località che
ci ha restituito quei preziosi archivi del VI/VII secolo,
di cui sopra ho fatto menzione.
Questo
salto di secoli dall'età romana all'età
tardobizantina peraltro non meraviglia più di tanto
lo studioso della disciplina papirologica antica, perché
i ritrovamenti di materiale scritto, fatta eccezione per
l'Egitto che presenta pur con qualche lacuna una sua straordinaria
continuità, sono del tutto casuali e questa casualità,
per quanto attiene in particolare il Vicino Oriente, lascia
purtroppo ancora scoperte molte zone e molti periodi.
Fatta
questa necessaria precisazione, vorrei dare anche qualche
rapida informazione su questa eccezionale scoperta, che
consiste in una cinquantina di rotoli, venuti alla luce
in un magazzino adiacente ad una chiesa del V secolo,
devastata da un incendio, scoppiato probabilmente poco
tempo prima del grande terremoto che distrusse la zona
nel 551 d.C.: qui essi sono stati rinvenuti insieme con
altri diversi oggetti ed il loro stato di conservazione
è purtroppo alquanto precario, dal momento che
si presentano carbonizzati e solo per l'abilità
di un'esperta équipe di studiosi alcuni di essi
già sono stati svolti, fotografati e trascritti
(40).
Ne è stata anche data una prima parziale lettura
al Congresso Internazionale di Papirologia, che si è
tenuto a Firenze alla fine d'agosto di quest'anno (1998),
e proprio sulla base di queste edizioni preliminari e
delle descrizioni del restante materiale vorrei concludere
questo mio intervento. Si tratta di documenti tutti negoziali,
redatti in lingua greca e datati o databili all'età
giustinianea, per i quali allo stato parziale delle edizioni
si può presumere che rientrino nello stile redazionale
bizantino, ben conosciuto attraverso le testimonianze
egiziane, ma che certamente presentano aspetti nuovi.
Segnalo
innanzitutto una divisione tra fratelli di beni ereditari
vigneti, terreni arabili, schiavi e case site in
Petra stessa e nei dintorni , il cui testo se pure
incompleto occupa ben 208 righi di scrittura per una lunghezza
di oltre 3 metri (P. Petra inv. 10) (41).
Per quanto riguarda la fattispecie, questa diairesis
si avvicina alle analoghe divisioni di proprietà,
conservate numerosamente nei papiri dell'Egitto bizantino,
ma con alcune peculiarità che la avvicina maggiormente
ai coevi papiri di Nessana: è il caso di quella
particolarissima procedura di assegnazione dei diversi
lotti, la cosiddetta pessobolia, che consiste nel
lancio dei dadi, peraltro meramente fittizia ed il cui
significato sembra piuttosto quello di una conferma rituale
della divisione, fatta invece con estrema scrupolosità.
Un segno soltanto, ma inequivocabile, del legame con la
tradizione locale, cui appartengono quelle sortes biblicae,
alle quali era affidata in un tempo ormai lontano
l'assegnazione delle terre tra le tribù d'Israele
oppure la divisione del bottino di guerra (42).
Significativa
in questo documento è poi la presenza, accanto
alla clausola di bebaiosis, cioè
di mutua garanzia contro l'evizione, di un'altra clausola
quella di katharopoiesis per mezzo della
quale le parti, con specifico riferimento ad un nomos
ton katharopoieson, garantiscono ulteriormente il
titolo di proprietà: ma se la prima è piuttosto
frequente anche nei papiri egiziani (43),
la seconda sembra invece peculiare di queste zone, dal
momento che essa appare, oltre che nei coevi papiri di
Nessana (44)
sia nei più risalenti documenti del medio
Eufrate (45),
di Dura (46),
e della Giudea (47),
sia addirittura in un documento proveniente dall'Avroman,
nel Kurdistan persiano, datato al I secolo a.C. (48).
Piuttosto interessante è pure la formula di giuramento,
fatto in nome della Trinità e della salus
imperiale e così attestato anche a Nessana (49):
un binomio assai pregnante che formulato un po' diversamente
nei papiri d'Egitto della stessa età, dove alla
'soteria' dell'imperatore è sostituita la
sua nike (50),
riconduce chiaramente a quell'ideologia giustinianea,
ben nota a chi ha studiato la complessa personalità
di questo imperatore, che non è stato soltanto
un legislatore ma anche un appassionato teologo (51).
Un
altro papiro di notevole rilievo è costituito da
un documento del 537 d.C. (P. Petra inv. 68 (52)),
che attiene ad alcune disposizioni patrimoniali, collegate
ad un precedente contratto di matrimonio, peraltro non
conservato nell'archivio: il testo si presenta molto frammentario,
ma l'analogia delle clausole qui adoperate con quelle
presenti in alcuni coevi papiri egiziani permette di avvicinarlo
a quel tipo di documentazione, che spesso si accompagnava
al contratto scritto di matrimonio e che serviva a meglio
precisare quei punti di natura patrimoniale non sufficientemente
regolamentati nell'eggraphos gamos. Nel papiro
in questione Teodoro figlio di Obodianos e lo zio materno
Patrophylos, alla cui figlia Stephanous egli è
sposato, concludono tutta una serie di specifici accordi
in merito alla dote e ad altri beni, in caso di morte
sia di Teodoro, sia di Patrophylos, sia di Stephanous.
Lo stesso Teodoro e lo stesso Patrophylos, rispettivamente
marito e padre di Stephanous, compaiono poi in un altro
documento (P. Petra inv. 63+65 (53)),
di due anni successivo, che sembra in qualche modo collegarsi
alla stessa vicenda matrimoniale: anche in questo caso
la convenzione - il cui testo è conservato
in modo frammentario proprio nelle clausole decisive per
una sua maggiore comprensione - riguarda aspetti
specificamente patrimoniali e più in particolare
l'aumento della dote e dei beni parafernali. L'asphaleia
in questione è confermata dal giuramento in norne
della Trinità e della soteria imperiale
ed è completata dalle sottoscrizioni di entrambi
e dalle hypographai dei fideiussori: significativa
è anche la presenza in ciascuna sottoscrizione
della clausola stipulatoria, che nei documenti di età
precedente compariva solitamente in calce al testo del
documento, prima delle subscriptiones delle parti.
Ultimo interessante esemplare qui ricordato è costituito
da un papiro (P. Petra inv. 83 (54)),
che conserva il testo di una mesiteia relativa
ad una controversia assai complessa, di cui è protagonista
ancora una volta il già citato Teodoro figlio di
Obodianos insieme ad un certo Stefano figlio di Leonzio.
Il documento che si stende per più di 500 linee
di scrittura è uno dei rotoli più
lunghi ma anche meglio conservati tra questo materiale
, è datato al 544 (o 574) d.C., secondo il
sistema della triplice indicazione dell'anno imperiale,
consolare e dell'indizione cui si affianca l'era
locale dell'antica provincia d'Arabia, conformemente a
quanto è ormai stabilito dalla Nov. 47 (55).
Oggetto
principale della lite, la cui soluzione è stata
demandata ad un arbitro scelto concordemente dagli stessi
litiganti, è costituito dai diritti reclamati da
entrambi, kata ton palaion nomon, di sfruttare
l'acqua di una fonte e di condurla alle case di loro proprietà,
con relativa costruzione dei canali necessari a questa
opera. In calce al lunghissimo documento sono apposte
le sottoscrizioni dei due contendenti, i quali dichiarano
di aver accolto il giuramento della controparte e di essere
pronti a sottostare alla decisione arbitrale, la cui inosservanza
è sanzionata con una multa pecuniaria.
Con
quest'ultimo documento, che attesta chiaramente come in
questa età ed in queste zone dell'impero bizantino,
analogamente all'Egitto, il ricorso alla giustizia arbitrale
fosse frequente ed in certi casi forse preferibile alla
giustizia ordinaria, anche se ciò non significa
la totale inesistenza di tribunali per la discussione
delle cause civili, come taluni hanno forse troppo rigorosamente
sostenuto (56),
si conclude il mio intervento.
Spero
con esso di aver offerto qualche elemento in più
ad una discussione sui rapporti tra diritto romano e tradizioni
giuridiche locali, che si presenta ancora assai vivace
tra gli studiosi giusromanisti, come dimostrano le relazioni
di questo convegno.
|
Note:
1
1 L. MITTEIS, Reichsrecht und Volksrecht in den östlichen
Provinzen der römischen Kaiserreichs, Leipzig
1891, rist. Hildesheim 1963.
2
Un utilissimo elenco è riportato nel contributo
di H. M. COTTON W. E. H. COCKLE - F. G. B. MILLAR,
The Papyrology of the Roman Near East: A Survey,
in, JRS, 85 (1995) 214 235.
3
P. Dura = The Excavations at Dura Europos. Final
Report V.I: The Parchments and Papyri, ed.
C Bradford Welles R O. Fink J. Frank Gilliam,
1959: i papiri latini, tutti appartenenti alla cohors
vicesima Palmyrenorum, sono stati ripubblicati in
Chartae Latinae Antiquiores (Ch.L.A.), VI 1X.
4
P. Nessana = Excavations at Nessana (Auja Nafir, Palestine),
II: Literary Papyri, ed. L. Casson E. L. Hettich,
Princeton 1950; III: Non literary Papyri, ed.
C. J. Kraemer, Princeton 1958.
5
Si veda in particolare H. J. WOLFF, Der byzantinische
Urkundenstil Ägypten im Lichte der Funde von Nessana
and Dura, in RIDA, 8 (1961) 115 154, cui
si possono aggiungere dello stesso studioso, Le droit
provinzial dans la province romaine dArabie, in
RIDA, 23 (1976) 271 290 e, con alcune
modifiche ed aggiornamenti, Römisches Provinzialrecht
in der provinz Arabia (Rechtspolitik als Instrument der
Beherrschung), in ANRW. 2.13 (1980) 763 806.
6
Sul tema della duplice scritturazione in età romana,
accanto alle significative pagine di H. J. WOLFF, Die
kaiserzeitliche Testatio, nel suo Das Recht
der griechischen Papyri Agyptens in der Zeit der Ptolemaeer
und des Prinzipats, 2, München 1978, 78
ss., vedi anche M. AMELOTTI ( L. MIGLIARDI
ZINGALE), Osservazioni .sulla duplice scritturazione
nei documenti, in Symposion 1985, Köln Wien
1989, 305 309 (= Scritti giuridici, Torino
1996, 124 128), con ampia bibliografia.
7
Significativo al riguardo è quel passo del senatoconsulto
neroniano in tema di chiusura e sigillazione delle tabulae
negoziali, conservato nelle Pauli Sententiae (5.25.6),
dove si legge una chiara spiegazione di siffatta Doppelbeurkundung
nei documenti: ... ut exteriori scripturae
fidem interior servet.
8
Cfr. P. Nessana II, 11 e 12: gli editori si limitano ad
una assai sommaria descrizione del contenuto e solo per
il primo dei due testi richiamano un'analogia, peraltro
sul piano meramente formale e non contenutistico, con
P. Ryl. 475.
9
The Documents from the Bar Kokhba Period in the
Cave of Letters. Greek Papyri (= P. Yadin),
a cura di N. Lewis, Jerusalem 1989.
10
Si tratta di P. Yadin 28 30, che hanno avuto un'
ed. princ. già nel 1967, a cura di
H. J. Polotsky , e sono stati successivamente
ripresi in SB X 10288.
11
Vedi ora H. M. COTTON, The guardianship of Jesus son
of Babatha: Roman and local law in the province of Arabia,
in JRS. 83 (1993) 94 113.
12
È questa la traduzione proposta da A. Biscardi
nel suo studio infra citato alla n. 13 e qui accolta.
Sempre di A. Biscardi si legga anche la voce Xenokrilai
in NNDI 20 (1975) 1087 1090.
13
Accanto a E. Seidl e M. Lemosse che per primi hanno indagato
questo documento, si veda più specificamente H.
J. WOLFF, Le droit provincial dans la province romaine
dArabie, in RIDA. 23 (1976) 271 290
e con alcune modifiche ed aggiornamenti, Römisches
Provinzialrecht in der provinz Arabia (Rechtspolitik als
Instrument der Beherrschung), in ANRW. 2.13
(1980), 763 806; ma soprattutto A. BISCARDI,
Nuove testimonianze di un papiro arabo giudaico per
la storia del processo provinciale romano, in Studi
in onore di G. Scherillo, 1, Milano 1972, 111 152.
14
Cfr..Nuove testimonianze cit. supra alla
nt. 13.
15
In due papiri dell'archivio di Babatha (P. Yadin 14 e
15, datati al 125 d.C.), è citato
Giulio Giuliano, nella sua qualità di eparchos/heghemon
della nuova provincia d'Arabia, di cui Petra -
dove si tenevano le annuali assisi giudiziarie, alle quali
si fa specifico riferimento nei documenti appena ricordati
- era il capoluogo: su Petra e su Bostra, nel cui
campo fortificato risiedeva abitualmente il governatore
provinciale, vedi anche infra, nt. 36.
16
Si veda in particolare E. SEIDL, Ein Papyrusfund zum
klassischen Zivilprozessrecht, in Studi in onore
di G. Grosso, II, Torino 1968, 345 ss.
17
Tra gli autori che propendono per la sua esistenza, mi
limito a citare H. ANKUM, La Iégislation des
préfets dEgypte et l'edictum provinciale,
in Anamnesis. GdSchr. Leeemans, Gand 1970,
63 ss. e G. PURPURA, Katholikon diatagma, in
Studi Biscardi, 2 507 ss. e tra quelli
che la negano J. MODRZEIEWSKI, La règle du droit
dans lEgypte romaine in Proc. XII Congr.
Congr. Papyr., 431 ss. e R. KATZOFF, Sources
of law in roman Egypt, in ANRW 2.13 (1980)
809 ss. Altra bibliografia in H. A. RUPPRECHT,
Kleine Einfuhrung in die papyruskunde, Darmstadt
1994, 101 ss., di cui uscirà tra breve, per i tipi
di Giappichelli, una traduzione italiana a cura di chi
scrive.
18
Alcuni di questi documenti P. Yadin 20, 45; 21,
33; 22, 39; 27, 19 sono atti negoziali, mentre P. Yadin
23, 25; 25, 68 e 26, 21 sono invece documenti processuali
e più in particolare sono citazioni in giudizio
di fronte al tribunale del governatore.
19
Si veda BGU II 423; P. Mich. III 166; SB X 10530.
20
In altri documenti contrattuali dello stesso archivio
P. Yadin 15, 39; 17, 43 e 18, 73 compare
un Theenas figlio di Simon, anch'egli qualificato come
librarius.
21
Accanto a D. MANTOVANI, Le formule del processo privato
romano, Como 1992, 50 e nt. 162 e a K. HACKL, Der
Zivilprozess des frühen Prinzipats in den Provinzen,
in ZSS. 114 (1997) 141 159 (più spec.
155 ss.) - una versione italiana di questo articolo
è stata presentata al Convegno internazionale di
Diritto Romano dedicato a Gli ordinamenti giudiziari
di Roma imperiale Princeps e procedure dalle leggi
Giulie ad Adriano (Copanello Lido 5 8 giugno
1996, in corso di stampa - si vedano soprattutto
gli articoli più specifici di D. NORR, in ZSS 112
(1995), spec. 54 ss. e in Israel Law Rev. 29 (1995)
83 ss. Questi studiosi accolgono l'identificazione xenokritai
= recuperatores anche sulla base di P. Oxy. 42, 3016
del 148 d.C., dove l'editore, P. J. Parsons, ipotizzava
appunto che gli xenokritai ivi menzionati fossero
un collegio di recuperatores, senza peraltro dimostrarlo
in modo convincente. Ma lo stesso A. Biscardi in un altro
suo meno noto contributo (Sulla identificazione degli
xenokritai' e sulla loro attività in P. Oxy.
3016, in Festschrift für Erwin Seidl, Köln
1975, 15 24), aveva cercato di dimostrare l'infondatezza
di tale identificazione, sostenendo che nel processo provinciale
romano il collegio giudicante nominato dal governatore
- era sua discrezionalità cognoscere in
persona oppure iudicem dare - ben poteva essere
composto da cittadini romani, `purché chiamati
a giudicare fra non romani', senza scomodare per questo
i recuperatores: è questo il tribunale di
xenokritai, cioè di giudici estranei rispetto
alle parti in causa, tra le cui competenze rientrano le
cause civili relative allo status personarum. Altri
dubbi su questa identificazione nella fonte ossirinchita
solleva oggi anche H. HORSTKOTTE, Xenokritai beim Praefectus
Aegypti (P. Oxy. 3016), in ZPE. 112 (1996) 192 196.
Per quanto attiene alle altre testimonianze alcune
delle quali di età ben precedente , ritenute
importanti da chi sostiene siffatta identificazione, non
posso qui soffermarmi e pertanto rinvio ad altra sede
e ad altro momento la relativa discussione: su
di esse si veda comunque D. Nörr supra cit.
alla nt. 21.
22
Cfr. P. Yadin 12, 1 e 4.
23
Cfr. P. Yadin 16, 1 e 3, dove apprendiamo che tale albo
così credo debba intendersi opportunamente
il termine pittakion era affisso en te
enthade basilike, cioè nel tempio del luogo:
sul termine basilike vedi nota immediatamente successiva.
Per quanto ancora riguarda la formula eggegrammenon
kai antibeblemenon, essa è ancora presente
in P. Yadin 33,1 e 4 e in P. Yadin 34, 1, ma la lacunosità
dei testi non permette ulteriori precisazioni.
24
Il termine, che si trova adoperato in P. Yadin 16 2 e
4 è sicuramente la traslitterazione del termine
latino basilica, in quanto è usato nella
clausola introduttiva del documento dove apprendiamo che
esso è una copia trascritta dall'albo delle dichiarazioni
censuali ivi affisso: sulla formula greca eggegrammenon
kai antibeblemenon, che corrisponde al latino descriptum
et recognitum, vedi supra nel testo.
25
Cfr. P. Yadin 15, 38; 20, 45; 21, 34; 22, 39.
26
Cfr. P. Yadin 17, 16 e 38; 18, 27 e 66; 20, 16 e 40; 21,
27; 22, 29; 37, 14: si tratta in tutti i casi di documenti
contrattuali, e più precisamente un deposito, un
contratto di matrimonio, una concessione di diritti, due
compravendite ed un altro contratto matrimoniale.
27
Cfr. P. Dura 31.
28
A questo sembrano fare eccezione alcuni documenti contrattuali
della metà del II secolo d.C., che contengono già
la clausola stipulatoria, ma in relatà si tratta
di documenti finiti in Egitto ma confezionati altrove
e più specificamente in località dell'Asia
Minore: vedi ad es. P. Turner 22 del 142 d.C., una compravendita
di schiavi redatta a Side, dove la clausola in questione
è per di più preceduta dalla menzione della
pistis, su cui vedi immediatamente nel testo
le relative osservazioni. Secondo alcuni studiosi tale
clausola sarebbe stata introdotta in Egitto, nella prassi
documentale, attraverso un'ordinanza prefettizia: sul
punto cfr. specificamente D. SIMON, Studien zur Praxis
der Stipulationsklausel, München 1964, 17
e 25.
29
Sulla pistis cfr. specificamente H. D. SCHMITZ,
H pistis in den Papyri, 1964 D. Simon nella sua
monografia, Sludien zur Praxis der Stpulationsklausel,
München 1964 (specificamente 49), cita pochi
altri casi, nei quali ricorre il termine pistis e
si tratta sempre e comunque di documenti provenienti da
queste stesse zone del Vicino Oriente BGU III, 887, scritto
a Side in Panfilia; P. Dura 26; 29 e 31.
30
Cfr. P. Yadin 16, 34.
31
Si veda orientativamente anche se ormai datato, l'elenco
riportato da R. TAUBENSCHLAG nel suo The Law of Greco roman
Egypt in the Light of the Papyri. 332 B. C. 640
A.D., Warszawa 1955, 44 nt. 168.
32
Sull'archivio ricostruito da H. M. Cotton, si veda il
relativo contributo, The Archive of Salome Komaise
daughter of Levi: Another Archive from the `Cave of Letters',
in ZPE. 105 (1995) 171 208: di questo archivio
fa parte P. Yadin 37, che conserva il contratto di matrimonio
di Salome Komaise.
33
Cfr. specificamente H. M. COTTON, The Archive, cit.
185.
34
Si veda ancora H. M. COTTON, The Archive cit.,
206 s., che respinge l'interpretatio hebraica proposta
insieme con altri studiosi da N. Lewis, primo editore
del documento in questione (P. Yadin 37), ma nuovamente
all'istituzione rabbinica del matrimonio per giovani minorenni
orfane si ricollega da ultimo R. Katzoff nella sua relazione
al Congresso Internazionale di Papirologia (Firenze 1998),
di cui sono stati pubblicati anticipatamente gli Abstracts
(ibid., 47).
35
Il testo sarà pubblicato nel secondo volume dell'archivio,
insieme con gli altri testi aramaici.
36
Cfr. D. FEISSEL J. GASCOU, Documents d'archives
romains inédits du Moyen Euphrate (III siècle
après J. C.), in CRAI 1989, 535 ss. Dagli
stessi studiosi saranno anche pubblicati due documenti
del III secolo d.C., provenienti dal territorio di Bostra:
dalla loro edizione potranno derivare altri preziosi elementi,
tanto più se si tiene conto che nel campo fortificato
di Bostra, piuttosto che nel capoluogo Petra, aveva la
sua residenza abituale il governatore della nuova provincia
d'Arabia.
37
Cfr. D. FEISSEL J. GASCOU, Documents d'archives
romains inédits du moyen Euphrate (IIIe s. après
]. C.). I. Les pétitions (P. Euphr. 1 à
5), in Journal de Savants 1995, 65 119.
38
Cfr. D. FEISSEL J. GASCOU J. TEIXIDOR,
Documents d'archives romains inédits du moyen
Euphrate (IIIe s. après J. C.). II. Les actes
de vente achat (P. Euphr. 6 à 10), in Journal
de Savants 1997, 3 57.
39
Cfr. D. 48.19.9.4 7 (Ulp. 10 de off. proc.).
Sul punto vedi M. AMELOTTI ( G. GOSTAMAGNA),
Alle origini del notariato italiano. Parte prima.
L'età romana, Roma 1975 (rist. Milano
1995), 15 e nt. 38.
40
Non è questo il solo caso di papiri carbonizzati:
accanto ai famosi rotoli filosofici trovati ad Ercolano,
posso citare anche gli analoghi casi dei papiri di Thmuis
e Bubastos, nel Delta nilotico, oppure quelli di Derveni
in Grecia.
41
L. KOENEN, First Observations on Legal Matters in the
Petra Archive(s).
42
Su questa particolare procedura, che fino ad oggi era
attestata soltanto in P. Nessana III 21, 20 e 22, 10,
vedi ibid. il commento dell'editore, che
cita utilmente molti esempi biblici, ma anche preislamici.
43
Sulla clausola di bebaiosis nei papiri d'Egitto
rinvio specificamente ad H. A. RUPPRECHT, Die
Bebaiosis zur Entwicklung und den räumlich zeitlichen
varianten einer Urkundsklausel in den graecoägyptischen
Papyri, in Studi in onore di Cesare Sanfilippo,
3, Milano 1983, 611 626.
44
Cfr. specificamente P. Nessana III, 22, 32 una
divisione di proprietà già sopra segnalata
per quel suo singolare riferimento alla pessobolia.
Nel VI secolo la clausola appare anche in alcuni papiri
egiziani.
45
Cfr. P. Euphr. 6 21 e 7 15 del 249 d.C., su cui più
in generale si veda supra nel testo.
46
Cfr. P. Dura 25 (180 d.C.) e P. Dura 26 (227 d.C.).
47
Cfr. P. Yadin 20, 15 e 38 (42 in versione aramaica); P.
Yadin 22, 20 entrambi del 130 d.C.
48
Questo dato potrebbe trovare conferma in P. Avroman 1
del I secolo a.C., dove in un contesto del tutto simile
è usato il verbo katharopoiesis.
49
Cfr. specificamente P. Nessuna III, 21, 22; 22, 12; 30,
13.
50
Oltre che nei papiri d'Egitto il giuramento sulla Trinità
e sulla vittoria imperiale è presente significativamente
anche in quel documento costantinopolitano ben noto ai
giusromanisti nell'edizione dei.Negotia, che va sotto
il nome di contractus cum exsecutore
litis de principis rescripto ad exitum perducendo
(FIRA III, 179).
51
Mi sia permesso rinviare a M. AMELOTTI L. MIGLIARDI
ZINGALE, Scritti teologici ed ecclesiastici
di Giustiniano (= Subsidia III), Milano
1985, introd.
52
A. ARJAVA, A Settlement Concerning Family Property.
53
T. GAGOS, Settlements out of Court in Byzantine Petra
and Elsewhere.
54
Cfr. M. KAIMIO, P. Petra inv. 83: A Settlement of Dispute.
55
Se fosse il 544 d.C., se ne potrebbe dedurre che a Petra
l'applicazione alla nuova normativa giustinianea è
pressoché contemporanea, mentre nei coevi documenti
di Nessana e d'Egitto il nuovo sistema di datazione non
pare attestato prima del 550/551 d.C.: sul punto vedi
H. j. WOLFF, Der byzantinische Urkundenstil cit.,
Anhang I. Zur Geschichte der Datumsformel, 144 150.
56
Vedi su questo A. A. SCHILLER, The Courts are No
More, in Studi in onore di E. Volterra, 1,
Milano 1971, 469 ss.
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