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...Sezione:
Archeologia Subacquea |
Esportazioni
di corallo mediterraneo in India nell'età ellenistico
romana

di Federico De Romanis
da: Corallo di ieri, corallo di oggi, Atti del Convegno,
Ravello,
13-15 dicembre 1996, ed. EDIPUGLIA, Bari, 2000, pp. 211-216. |
Résumé
Les exportations de corail méditerranéen en
Inde sont un phénomène qui s'est produit sur
une très longue durée, de 1'Antiquité
jusqu'à nos jours. Dans les plus anciennes exportations,
on distingue quatre phases: dans la première, au
Ile s. av. J. C., le corail s'intègre aux relations
commerciales entre Patale, dans le delta de l'Indus, et
le golfe Persique; dans la deuxième, au le' s. av.
J. C., il suit plutót la route tgypte Arabie Inde
septentrionale; dans la troisième (époque
d'Auguste et Tibère) le corail se répand en
Inde méridionale et finalement (quatrième
phase), il arrive au Sri Lanka dans la deuxième moitié
du Ier s. ap. J. C.
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Le esportazioni in Asia del corallo mediterraneo sono un
fenomeno la cui rilevanza può difficilmente essere
sopravvalutata, sia in considerazione della sua enorme estensione
cronologica in effetti esso si continua, oppure riaffiora,
dall'età antica, a quella medioevale, a quella moderna
sia tenendo conto dei vari significati culturali
che esso assunse nelle diverse aree dell'Asia. Rispetto
alla vastità e alla complessità del fenomeno,
il presente lavoro si propone un obiettivo molto limitato,
quello cioè di delineare alcuni dei più antichi
percorsi del corallo mediterraneo nel subcontinente indiano.
La nostra esposizione può prendere le mosse dall'Arthasastra,
il celebre trattato sanscrito sul governo e l'amministrazione
dello stato. In un passo dell'opera attribuita a Kautilya,
si passano in rassegna i beni che possono in qualche modo
entrare in possesso del tesoro reale e di cui il kosadhyaksa
il «sovrintendente al tesoro» deve saper
stimare il valore. L'elenco inizia con gli svariati tipi
di perle, prosegue con le gemme e con le pietre preziose
rubino, berillo, zaffiro, cristallo, diamante e prima
di passare ai legnami e ai tessuti pregiati, menziona il
corallo, specificando che che pravalakam alakandakam
vaivarnikam ca raktam padmaragam ca karatagarbhinikavarjamiti
« il corallo prezioso è l'àlakandaka e il vaivarnika,
rosso e color del loto. Non ha valore invece quello rigonfio
di karata» (Arth. II 11, 42). Analoghi problemi di valutazione
sono pure evocati, in termini più generici, nella
Manusmrti il «Codice di Manu», dove si
prescrive che il vaisya, il membro della casta dei
mercanti, sappia conoscere il valore di gemme, perle, corallo,
metalli etc. (Manu IX 329)
Il
punto su cui noi ora vorremmo richiamare l'attenzione è
la denominazione àlakandaka - o àlasandraka
o àlatsandraka, come leggevano i commentatori
- assunta da uno dei tipi di corallo nell'Arthasàstra.
L'aggettivo, che deriva dal toponimo di Alessandria e significa
dunque «alessandrino», individua, nel nostro
passo, una particolare qualità di corallo, che l'autore
delI'Arthasástra distingue e contrappone a
quella vaivarnika, quella, cioè, «priva
di colore». Tali evoluzioni semantiche, per cui una
merce o una particolare qualità di merce
finisce coll'essere indicata col luogo di produzione o di
smercio, o anche coll'etnico dei mercanti che la esportano
etc., sono, come è noto, fenomeni linguistici assolutamente
banali e ricorrenti. Tuttavia, nel caso specifico, la qualifica
di `alessandrino' di uno dei tipi di corallo valutati dal
tesoriere reale ci rassicura circa l'itinerario percorso
dal corallo mediterraneo nella sua via verso l'India, garantendoci
che nel lungo viaggio dai centri di pesca nel Mediterraneo
agli empori dell'India una tappa importante era rappresentata
dalla città di Alessandria d'Egitto.
Purtroppo, la cronologia dell'Arthasastra non è
determinabile con la precisione che vorremmo. Naturalmente,
però, la menzione del corallo alakandaka presuppone
già ben sviluppati contatti commerciali tra l'Egitto
e almeno una particolare regione dell'India da cui, possiamo
precisare, si dipartivano una via (commerciale) per
lo Himavat (Himalàya) e una via
(commerciale) per il daksinapatha (Sud dell'India)
(Arth. VII 12, 22). Il terminus post quem per la
denominazione àlakandaka si fissa dunque tra
la fine del II e gli inizi del I sec. a.C., periodo che
vede il consolidarsi, successivamente ai viaggi di Eudosso
di Cyzico, di una rotta commerciale Egitto Arabia India
(De Romanis 1996, 121 146), di cui la fonte ellenistica
di Plinio (n.h. VI 100) sa valutare in 10 000 stadi la distanza
della tratta Syagros Patale (De Romanis 1997b).
Per il primissimo arrivo del corallo mediterraneo in India,
però, può essere suggerito un terminus
ante quem ancora anteriore e un diverso percorso. Sia
i ritrovamenti di gioielli e amuleti di corallo nella città
di Ai Khanoum (Rapin 1992, pl. 79; 117. 11 12), la
cui distruzione viene datata intorno al 145 a.C., sia la
prima menzione, nella letteratura cinese, della parola shan hu,
prestito iranico indicante appunto il corallo (Chmielewski
1960, 83 86) essa ricorre in un'opera del poeta
Sima Xiangru, vissuto tra 179 e 117 a.C. - obbligano infatti
a presupporre significative esportazioni di corallo nella
Battriana e quindi in Cina già almeno alla metà
del II sec. a.C. Ciò è confermato anche dagli
annali cinesi, dove si afferma (Han shu 96A)
che il corallo viene da Chi pin, Gandhara o
Kashmir (Leslie Gardiner 1996, 256 257). Anche
in ragione dei motivi simbolici indiani che caratterizzano
uno dei reperti di corallo da A? Khanoum è possibile
che la presenza di corallo in Battriana (e in Cina) si debba
al prolungamento, diramantesi lungo la via della seta,
di esportazioni in India nord occidentale (Rapin 1992,
181).
Assumendo come discrimine lo stabilizzarsi della rotta Egitto Arabia India
tra fine del II e inizi del I sec. a.C. possiamo dunque
distinguere due fasi nelle esportazioni di corallo in India
nordoccidentale: la prima, precedente ai viaggi di Eudosso,
deve aver approfittato dei collegamenti via mare tra golfo
Persico e foci dell'Indo (quegli stessi che portano il péperi
in Occidente e il libanotos il kinnamomon ad Ai Khanoum);
la seconda fase, posteriore ai viaggi di Eudosso, è
invece connessa alla nuova rotta marittima Egitto-Arabia-India,
che alla lunga prevarrà sulla prima, almeno per quanto
riguarda il corallo, come prova la denominazione alakandaka.
Anche in questa nuova fase delle esportazioni, il corallo
mediterraneo continua, risalendo la «via della seta»
a penetrare nell'Asia centrale. Vale la pena di ricordare
che la presenza di corallo nel Punjab e in Asia centrale
è archeologicamente attestata, in contesti spesso
più recenti di quello di Ai Khanoum, a Khorezm, Kojkrylgam Kala,
TepaiSax, Kampyrtepe, Dal'verzin tepe, Qol i Nader,
Begram, Taxila (Rapin 1992, 180 181). Alla fine del
I sec. a.C. il commercio occidentale in India subisce importanti
modifiche.
In un passo della Naturalis Historia che già
poc'anzi abbiamo parzialmente richiamato (N. H., VI, 100 6),
Plinio traccia un'interessante storia delle navigazioni
nell'oceano Indiano, dalla navigazione della flotta di Alessandro,
da Patale a Susa, fino alla rotta commerciale (maggiormente)
frequentata alla sua età. In essa si intravvede un'evoluzione
del commercio occidentale, che dal Il sec. a.C. alla metà
del I sec. d.C. progressivamente estende la propria attività
dagli empori delle coste nord occidentali dell'India
(Patale, Sigerus) a quelli del Malabar (Muziris, Becare).
Questo allargamento del raggio d'azione del commercio occidentale
in India presupposto dalla ricostruzione pliniana coincide
altresì con un aumento complessivo del volume dei
traffici dei commerci con l'India, testimoniato anche da
Strabone (II 5, 12; XVII 1, 13), che inizia subito dopo
la conquista romana dell'Egitto e si accentua nei decenni
augustei e tiberiani.
Queste evoluzioni, naturalmente, non possono non ripercuotersi
sulle esportazioni di corallo mediterraneo in India. Il
Periplus Maris Erythraei offre una rappresentazione
straordinariamente precisa dei traffici dell'oceano Indiano
intorno alla metà del I sec. d.C.: il suo autore,
sicuramente un mercante egiziano, sa indicare per ogni emporio
quali merci una nave dovrebbe esportare e potrebbe importare.
Orbene, il corallo viene ricordato in quest'opera tra le
merci esportate nell'emporio sudarabico di Cane (PME 28),
in quello di Minnagar, alle foci dell'Indo (PME 39), in
quello di Barygaza, odierna Broach, presso Bombay (PME 49),
e in quelli della Limyriké, nella costa del Malabar
(PME 56). Insomma, alla metà del I sec. d.C. il corallo
è ormai esportato in tutti gli empori della costa
occidentale dell'India, fino al Malabar: alle esportazioni
verso Patale e Barygaza, empori di aromi e terminali oceanici
della «via della seta», si aggiungono quelle
agli empori della Limyriké, centri di esportazione
di pepe, perle e pietre preziose. Portato dalle navi che
esercitavano il piccolo commercio porto dopo porto tra Egitto
e Arabia, il corallo venduto a Cane era insomma destinato
non già agli Arabi, ma alle grandi navi che facevano
rotta per l'India.
Notevole, inoltre, è il caso di Cane, unico tra gli
empori sudarabici per cui l'autore del Periplus Maris
Erythraei registra importazioni di corallo. L'eccezione
tuttavia potrebbe essere più apparente che reale,
dal momento che Cane fungeva al tempo stesso da emporio
e da necessario punto di scalo per rifornimenti d'acqua
lungo la rotta Egitto-India. È supposizione verosimile,
pertanto, che a Cane il corallo più che esportato
fosse smistato per le varie destinazioni indiane (in una
lettera di età medioevale trasmessa da un papiro
della Genizah del Cairo, un mercante cairota informa lo
zio di aver trovato, ad Aden, prezzi troppo bassi per il
proprio corallo e di aver pertanto deciso di riesportarlo
egli stesso a Sindàbar, emporio nella costa occidentale
indiana: Goitein 1987).
Praticate con navi dai tonnellaggi diversi, ma talvolta
molto grandi, le rotte del corallo alessandrino
nell'oceano Indiano muovevano dai porti egiziani sul mar
Rosso di Myos Hormos e Berenice, raggiunti da Alessandria
risalendo il Nilo fino a Coptos e quindi attraversando il
deserto. La navigazione attraverso il mar Rosso e l'oceano
Indiano si svolgeva da luglio a settembre ottobre,
in concomitanza col monsone di sud ovest. A partire
da novembre (o dicembre gennaio, a seconda delle latitudini),
col favore del monsone di nordest, iniziava il viaggio di
ritorno che, dopo l'approdo a Berenice o Myos Hormos, l'attraversamento
del deserto orientale egiziano e quindi la discesa lungo
il Nilo, terminava in primavera ad Alessandria.
Tutto questo sistema di trasporti, complesso ma efficiente,
naturalmente non aveva come principale ragion d'essere l'esportazione
del corallo, tuttavia per ragioni particolari quella del
corallo era una voce importantissima tra le esportazioni
dell'Egitto romano. Sin dal II sec. a.C. ai mercanti occidentali
doveva essersi rivelato l'eccezionale potere di suggestione,
sugli Indiani, del corallo mediterraneo. Quelli che Plinio
definisce, con interpretatio romana, harispices
eorum (sc. Indorum) vatesque (in ragione delle competenze
magico sacrali implicite nei termini, noi saremmo portati
a identificarli con dei bramini), dovevano aver decretato
per tempo l'efficacia apotropaica del corallo: inprimis
religiosum id gestamen amoliendis periculis arbitrantur
(Plin., N. H., XXXII, 23). Come si è già
avuto modo di sottolineare, già ad Aï Khanoum
una perla di corallo reca motivi simbolici indiani e sempre
ad Aï Khanoum si trovano rametti di corallo non rifinito
con un foro a un'estremità, ciò che fa pensare
a un uso connesso alle credenze magiche riferite da Plinio:
surculi infantiae adalligati tutelam habere creduntur
(Plin., N. H., XXXII 24). La potenza magica del
corallo faceva sì che ivaisyàh arrivassero
a conferirgli lo stesso valore commerciale che avevano le
perle in Occidente: quantum apud nos Indicis margaritis
pretium est (...) tantum apud Indos curalio (Plin.,
N. H., XXXII, 21). Le esportazioni, nel corso
dell'età giulio claudia, assunsero proporzioni
smisurate: nunc tanta paenuria est vendibili merce, ut
perquam raro cernatur in suo orbe (Plin., N. H.,
XXXII, 23). E dentro e fuori del Mediterraneo si fece
più accanita la ricerca del corallo o di ciò
che poteva assomigliare ad esso. Un rapido confronto tra
i paragrafi relativi al corallo del De Materia Medica
di Dioscuride (V, 121) e della Naturalis Historia
di Plinio (XXXII, 21 4) rivela notevoli
differenze nell'indicazione dei luoghi di pesca: Dioscuride
infatti si limita a ricordare Pachino, presso Siracusa,
dove si troverebbe corallo in grande abbondanza (pesca di
corallo nel canale di Sicilia attesta già la formula
grattiana Melitensia curalia); Plinio invece,
evidentemente attingendo a informazioni o fonti più
recenti, sa dire che esso nasce anche nel mar Rosso e nel
golfo Persico, ma che il più apprezzato è
quello pescato nel sinus Gallicus (alle isole Stecadi,
presso Marsiglia) e in quello Siculus (presso le
Eolie e Trapani), aggiungendo poi che corallo nasce anche
presso Gravisca, davanti a Napoli e, molto rosso, ma anche
molle e dunque di scarso pregio, a Eritre. Questa moltiplicazione
dei centri di pesca del corallo o, ripeto, di ciò
che, p. es. nel Mar Rosso e nel Golfo Persico, gli assomiglia
(le madrepore impiegate a Berenice come materiale da costruzione?
Cfr. Harrell 1996, 106), non può non connettersi
al crescente volume dei traffici con l'India, che evidentemente
richiedeva sempre più grandi quantità di corallo
da esportare.
Finora, le ricerche archeologiche in India non hanno ancora
fornito adeguata conferma alle cospicue esportazioni di
corallo che le fonti letterarie obbligano a postulare: per
quanto è a mia conoscenza, nell'India vera e propria
reperti di corallo sono stati segnalati a Ràjgàht,
Benares (NarainSingh 1978, 31 32) e a Maski
nel Deccan meridionale (Thapar 1989, 282). Recentissimamente
perline di corallo, in notevoli quantità, sono state
segnalate a Sri Lanka, più precisamente a Ridiyagàma
e Anuràdhapura (Bopearachchi-Wijeyapala), ciò
che ci offre lo spunto per mettere a fuoco un ulteriore
sviluppo delle esportazioni di corallo nel subcontinente
indiano.
Rispetto a quella occidentale, la costa orientale indiana
e Sri Lanka restavano assai meno esposte alla penetrazione
del commercio romano: dopo gli empori della Limyriké,
sulla costa sud occidentale indiana, l'autore del Periplus
Maris Erythraei cessa di elencare le merci scambiate
a ogni porto, anche se sa precisare, p. es., che a Taprobane
(Sri Lanka) si producono, e dunque si esportano, perle,
pietre preziose, tessuti e gusci di tartarughe. Una notizia
derivata da fonte letteraria, tuttavia, mostra come già
nell'età di Claudio a Sri Lanka si arrivò
a conoscere e a fare uso del corallo mediterraneo. Si dice
che la civiltà indiana, come quella iranica e diversamente
da quelle greco romana e cinese, non ha avuto storiografia.
Ciò è sostanzialmente vero, purché
si riconosca che il corpus delle cronache buddiste
di Sri Lanka, per esempio, rappresenta, per questa regola,
un'eccezione non trascurabile. Si tratta, come è
noto, di una storiografia confessionale, che si potrebbe
forse confrontare con le storie ecclesiastiche tardo antiche.
Accanto ai due monumenti maggiori, il Dipavamsa e
il Mahàvamsa, storie in versi dei re di Sri
Lanka dal parinibbana del Buddha fino al IV sec.
d.C., di questa letteratura ci restano molte opere minori,
tra le quali è la Mahà vamsatikà,
commento al Mahàvamsa, che sebbene scritta
in età medioevale attinge a ottime fonti, per noi
ora perdute.
È appunto in quest'opera che troviamo il ricordo
di importazioni di corallo da romanukharattha: pavàlajàlam
kàretvà ti parafire romanukharattham nàma pesetvà surattapavàlam
àharàpetvà sabbavantam parikkhepàraham mahantam pavàlacchikajàlamkàràpetvà.
«[sc. Bhàtikàbhaya, re di Sri Lanka]
fece fare una rete di corallo. Egli inviò qualcuno
al cosiddetto romanukharattha, oltre il mare, fece
venire il corallo rosso e fece fare una grande rete di corallo,
perché fosse posta tutta intorno (al cetiya)"
(ad Mah. XXXIV 47, 630 ed. Malalasekera).
Questa rete di corallo, stesa tutta intorno al Mahàthupa,
viene evocata nel verso 47 del capitolo trentaquattresimo
del Mahàvamsa, nel contesto degli atti di
devozione del re Bhatikabhaya nei confronti del reliquiario
buddista (il Mahàthúpa, appunto) annesso al
Mahàvihara di Anuradhapura: «Fatta una rete di corallo,
la dispose sul cetiya, e avendo disposto che dei
fiori di loto d'oro delle dimensioni di una ruota venissero
fissati nelle sue maglie e che un grappolo di perle venisse
appeso fino all'altezza del più basso dei fiori di
loto, rese omaggio al Mahàthupa con delle offerte».
Il luogo di provenienza del corallo adoperato per tale rete
è dunque romanukharattha, termine composto,
formato da rattha (regno) e romanukha, indianizzazione
dell'aggettivo latino Romanus. Va detto che questa
non è l'unica volta in cui, nelle letterature indiane
antiche, il corallo è connesso col mondo romano:
anche nel lapidario sanscrito Ratnapariksà
di Buddhabhatta (250 2), p. es., romaka appare
come luogo d'origine del corallo (tale connessione, invece,
forse ancora non appariva o non appariva nitidamente all'età
dell'Arthasàstra). La testimonianza della
Mahàvamsatikà appare tuttavia di notevole
interesse sia perché riferisce di un'importazione
di corallo romano avvenuta in un ambito cronologico ben
definito (Bhatikàbhaya deve aver regnato grosso modo
tra il 30 e il 60 d.C.), sia perché lo stesso termine
romanukharattha dimostra uno sforzo di penetrazione
nelle strutture della lingua latina (romanukha da
Romanus), che non trova paralleli nelle letterature
indiane. Queste due particolarità sono a loro volta
avvalorate e, al tempo stesso, in qualche modo chiarite
e spiegate dal fatto che proprio durante il principato di
Claudio a Roma giunse un'ambasceria da Taprobane (cioè
Sri Lanka) inviata dal re, riguardo la quale Plinio il Vecchio
ci offre un ampio resoconto (Plin., N. H., VI, 80 84)
infarcito, però, di topoi letterari: questa
volta le sue informazioni non sono così buone come
in altre occasioni (De Romanis 1997a).
È probabile che quella che Plinio indica come un'ambasceria
a Roma non debba essere distinta da quella che il pio autore
della Mahàvamsatàkà presenta
come una missione per l'importazione di corallo per il Mahàthupa.
Alternativamente si dovrebbe ammettere che subito dopo aver
inviato un'ambasceria a Roma il re di Sri Lanka avesse inviato
a Roma una nuova spedizione, questa volta per importare
corallo. Resterebbe evidente, in ogni caso, la prova dello
straordinario interesse, in Sri Lanka, per il corallo romano.
Lo stato attuale delle fonti non consente di focalizzare
altri momenti della lunga storia delle esportazioni di corallo
mediterraneo nel subcontinente indiano. Esse tornano a farsi
chiaramente visibili in età medioevale, attestate
con sicurezza da autori e documenti arabi a partire dal
X sec. d.C. Sullo sfondo di questo silenzio, tuttavia, restano
le ripetute evocazioni del corallo nelle varie rappresentazioni
di Ta Ch'in (la «Grande Cina», l'impero
romano) nella letteratura etnografica cinese (Leslie Gradiner
1997, passim). Pesca ed esportazione in Oriente del corallo
mediterraneo sono dunque un elemento di continuità,
dall'età antica a quella medioevale, nell'economia
del Mediterraneo e nei rapporti fra Oriente e Occidente?
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Bibliografia
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© Federico De Romanis
II Università degli Studi di Roma,
Dipartimento di Storia, Roma I |
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