Pubblicazioni - Annali 2002 |
La
donna conventa in vista di futuri sponsali |
1.
Alcuni anni fa, studiando due passi del De condicione agrorum di Siculo Flacco[1],
rilevavo l'uso del termine convenientia,
che mi parve da intendere come un patto tra possessores ai fini
dell'apposizione di confini ai terreni. Quel termine in eguale senso si
riscontra anche in Don., Ad Ter.,
Phorm. 474, e forse in Isid., Etym.
5,24,3; dubbio è invece il significato di "patto" per il termine convenientia in alcuni passi di autori cristiani, tra i quali il più
antico è Tert., De patientia 12. In
particolare, il passo di Donato accenna ad una convenientia come patto tra due soggetti in ordine alla futura
realizzazione d'un matrimonio duno di loro con una donna per cui interviene
l'altro. E il passo di Isidoro è una definizione della compravendita come rerum
commutatio atque contractus ex convenientia veniens; non è certo, ma convenientia
qui potrebbe alludere al consenso che sta alla base della compravendita (o
semplicemente alla congruità delle reciproche prestazioni nascenti dal
contratto?). Quel
mio lavoro mi è tornato in mente di recente leggendo alcuni testi in tema di
accordo matrimoniale, utilmente posti in evidenza dal Peppe in due scritti del
1997[2]. Si
tratta, anzitutto, di Iuv. 6, 25.26:
Conventum tamen et pactum et sponsalia
nostra tempestate
paras.
Giovenale si rivolge all'amico Postumio e si duole per il fatto che egli,
malgrado la profonda decadenza del costume matrimoniale nell'epoca attuale,
prepara egualmente il proprio matrimonio ponendo in essere conventum,
pactum e sponsalia. Un
importante contributo alla retta interpretazione della enumerazione di
Giovenale viene da altri passi opportunamente addotti dallo studioso che
abbiamo citato. Viene in questione Fest. Paul., s.v. Conventae condicio (L. 54): Conventae
condicio dicebatur, cum primus sermo de nuptiis et earum condicione habebatur.
E poi viene in questione un brano del commento di Servio, Aen. 10, 722 (un verso che accennava ad un ornamento di porpora
indossato da Acrone cui era stato donato dalla fidanzata: quest'ultima è
indicata come pacta coniunx): "Pactae
coniugis": hic ordo est: conciliata primo, dein conventa, dein pacta,
dein sponsa. Si
può quindi ritenere sulla base del lemma festino citato che l'aggettivo conventa,
in relazione ad una donna avviata verso le nozze, alludeva, in età risalente
(cfr. dicebatur, habebatur)[3],
ad una situazione sociale (condicio)
d'una donna per la quale era stato realizzato un primo colloquio intorno a
nozze progettate ed alle loro relative clausole. E coll'attestazione festina
si accorda l'elencazione di Giovenale, nella quale si parla d'un conventum
come atto iniziale nel procedimento che porterà agli sponsalia.
Invece
la condicio della donna conventa
è considerata connessa, non al primus
sermo de nuptiis, bensì ad un momento immediatamente successivo al primo,
nell'ordo schematicamente richiamato
nel passo di Servio citato. In questo modo il primo momento è quello in cui
la donna è conciliata, mentre
quello in cui la donna è, conventa,
è un momento ulteriore. Conciliare,
nel caso che consideriamo, ebbe certo il senso di "adoperarsi, presso due
soggetti interessati, al fine di favorire un futuro matrimonio". Per
citare solo le attestazioni più significative e sicure, si vedano: Fest.‑Paul.,
s.v. Conciliatrix (L. 54), che
spiega molto sommariamente il termine attribuendolo ad una donna quae viris conciliat uxores et uxoribus viros (saremmo quindi
nell'ambito di matrimoni già realizzati, non da realizzare); Corn. Nep., Att.
12, 2: harum nuptiarum conciliator fuit...M.
Antonius; Plaut., Mil. gl. 1410
in cui si allude ad una serva mezzana con le parole ancilla conciliatrix (v.a.conciliare
ai vv. 801 e 1212); Trin. 386: un
figlio dice al padre, invitandolo ad accordarsi con un terzo per il proprio
matrimonio, Tute ad eum adeas, tute
concilies, tute poscas; 442 ‑ 444: il padre in questione parlando al
terzo gli dice: Meus gnatus me ad te
misit...ut conciliarem...tuam volt sororem ducere uxorem; cfr. anche le
allusioni sommarie di Catull. 68,130; Lucr. 5, 963; Ovid., Amores 1,13, 42; Vell. Pat. 2, 59, 2 e Petr. 127,1. Non escluderei che in questa attività prenuziale del conciliare fosse ricompresa, in età risalente, un'offerta preliminare o una promessa di doni alla controparte da colui che caldeggia le nozze. Si sa che conciliare ebbe anche il valore tecnico di dare, o impegnarsi a dare, oggetti o denaro ad altri; ad es., lex repet. (122 a. C.?) in FIRA I n.17, lin. 3: ablatum, captum, coactum, conciliatum aversumque; cfr. Cic., In Verr. 2, 2, 58,142; 2, 3, 40, 91; Ad Att. 6,1, 21. Comunque,
pur se non relativo al primus sermo de
nuptiis, il termine conventa era
certo applicato ad una donna in relazione ad una fase iniziale delle
trattative che la riguardano.
Serv., Ad Aen. 10, 722 accenna ad
una fase immediatamente successiva a quella del conciliare,
e invece precedente a quelle del pactum
e degli sponsalia. Diverso ordo (il termine non è usato, però) è delineato in un lemma di Nonio (L. 706) che accenna al fatto che una virgo può essere sperata (priusquam petatur in sponsa), e promissa, e precisamente dicta o pacta o sponsa. Per dicta, Nonio richiama Verr., Aen. 2, 278 e 10,79; per sponsa, un passo di Titinio; mancano richiami per i termini pacta e promissa. Al riguardo va citato anche Non., s.v. Speratum (L. 275), che spiega speratum id est sponsum. Un'articolazione
analoga a quella di Nonio si trova in Arn., Adv.
nat. 4, 20: donne speratae, pactae
e sponsae interpositis stipulationibus. Una
prospettazione del pactum come
accordo informale preliminare alla conclusione formale di una sponsio
si trova, ad es., Plaut., Poen. 1175
ss. in cui si trova la frase significativa: Pactam
rem habeto
Spondesne igitur? Di filia
pacta, certo in vista di futuri sponsalia,
si trova menzione in Plaut., Trin. 1182 s. Tutti i testi che ho citato, e altri ancora, sono attentamente considerati anche dal Peppe. In
conclusione, sorge il problema di tentare di individuare esattamente che cosa
può aver specificamente significato il termine conventa sul piano delle trattative prematrimoniali. 2.
Congetturerei che lo stato di donna conventa
(Serv., Ad Aen., 10, 722; Fest.‑Paul.,
s.v. Conventae condicio) e l'attività
del conventum parare (Iuv. 6, 25 s.) non
alludessero al raggiungimento d'un accordo come pur potrebbero pensare, a
prima vista, altre celebri locuzioni affini. Ad esempio pactum conventum (D. 2, 14, 7, 7: è la celebre clausola edittale;
v.a. D. 2, 14, 17, 5; 21, 2; 27, 2, e 6; 28 pr. e 2; 30,2); oppure conventio,
che è , come è notissimo, la categoria generale di "accordo"
utilizzata da Ulpiano in D. 2 ,14, 7 pr.; v.a. lo stesso Ulpiano in D. 2, 14,
3: conventionis verbum generale est...,
e in D. 2, 14, 5 con cenno a tre species
di conventiones; del resto, d'un valore generale di conventio
come accordo esistono numerose altre attestazioni, tra cui quella notissima di
Paolo in D. 2, 14, 4 pr. Oppure infine, ed è il caso più rilevante, il verbo
convenire largamente usato fin da epoca antica (se ne trovano esempi
in Plauto e Terenzio, ad esempio) con il valore di "concludere un
accordo". Ma
se conventa e conventum
nei testi di Servio, di Festo e di Giovenale che qui consideriamo avessero
avuto un valore allusivo alla conclusione d'un accordo, non si spiegherebbe
come mai nel primo la condizione di donna conventa
è menzionata come stato precedente a quello di donna pacta;
e come mai, nel terzo, il conventum parare
è considerato come attività precedente a quella di pactum
parare. Non
resta che concludere, credo, che conventum
e conventa, nel caso che stiamo studiando,
si collegassero al valore primario, rea1istico del verbo convenire; cioè al valore di "venire insieme". Penserei,
in sostanza, che, nel caso dell'articolato procedimento usato per concludere
le nozze, si sia parlato di donna conventa
e di conventum, specificamente per
alludere ad un primo materiale incontro dei futuri sposi. Una opinione un po' diversa è stata espressa dal Peppe il quale, ritenendo che "c'è stato un periodo, assai probabilmente chiusosi agli inizi del II sec. a.C., nel quale vi è stata la necessità di precisare in tutta la sua scansione il percorso degli sponsalia", afferma che, in quella antica epoca, si fece ricorso al verbo convenire nel senso traslato di "convergere verso il patto"[4]. A mio avviso, in quella antica precisazione di articolazioni, convenire non alludeva ancora ad un pactum. Sicchè, in particolare il conventum di cui parla Giovenale ci sembra debba intendersi come materiale incontro in vista di futuri sponsali. La convenientia di Siculo Flacco era cosa assai diversa. |
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Note:
[1] Rispettivamente in Thulin 105,18‑106,4 = Lachmann 141,16‑142,4, ed in Thulin 106,19‑25 = Lachmann 142,18,24. Il mio scritto è Convenientia possessorum e patto per l'apposizione dei confini in Siculo Flacco, in AUPA, 43, 1995, pp.153 ss. [2] Peppe, L'urnetta n. 2, 620 di Chiusi ed il matrimonio romano arcaico, in Nozione, formazione e interpretazione del diritto, Ricerche dedicate a F. Gallo, 1997, pp. 116-123; e specialmente Storie di parole, storie di istituti. Sul diritto matrimoniale romano arcaico, in SDHA 63, 1997, pp. 160‑170. [3] Cfr., esattamente, Peppe, Storia di parole, cit., p. 162, che accede alla tesi diffusa per cui Fest. -Paul., s.v. Conventae condicio deriva sostanzialmente dal De iure pontificio di Ateio Capitone cfr., per tutti, Strzelecki, C. Atei Capitonis fragmenta, 1967, 28); e che rileva come anche Capitone doveva aver fatto rifemento ad una terminologia di epoca precedente alla sua. [4] Peppe, Storie di parole, cit., 163. Il rilievo del venir meno, già all'inizio del II sec. a.C. dell'ordo in cui è inclusa la condizione di donna conventa è fondato sulla circostanza per cui negli scrittori di quel periodo non si trova traccia dell'ordo stesso. |
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