Pubblicazioni - Annali 2002

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Congetture in tema di predigesti.
di Bernardo Albanese

 

1.         Riprendendo una sua interessante congettura sul complesso problema del metodo di composizione del Digesto, il Cenderelli ha di recente cercato di trovare qualche indizio a favore di essa in alcuni passi delle costituzioni Deo auctore del 530, e Tanta del 533.

La congettura che, a mio avviso, non è stata considerata dalla dottrina con l'attenzione che merita (del che giustamente l'autore si duole) è quella che i compilatori non abbiano lavorato direttamente su libri di giuristi classici, bensì abbiano utilizzato un predigesto, costituito probabilmente da una raccolta di frammenti classici elaborata dai commissari teodosiani, in vista del celebre progetto maggiore, che poi essi non realizzarono, di un'opera legislativa nella quale fossero messi a frutto anche tractatus e responsa dei prudentes (CTh. 1,1,15) (1).

            In definitiva ora la congettura in questione viene presentata in questa forma che enunzio utilizzando le parole stesse dell'autore. Si suppone che Triboniano, nel corso del lavoro che svolgeva negli archivi imperiali (in palatio) per la raccolta e la selezione delle costituzioni da inserire nel primo Codex, abbia fatto una scoperta che lo convinse della realizzabilità di una completa compilazione sistematica dei iura. Tale convinzione, si suppone ulteriormente, fu condivisa dai luminari della scienza giuridica convocati per vagliare la questione, soltanto allorchè anch'essi furono introdotti nel palazzo imperiale e poterono constatare direttamente la natura e la consistenza di quella scoperta che aveva indotto Triboniano ad iniziare nei confronti di Giustiniano l'opera di persuasione che lo condusse a disporre la compilazione del Digesto (2).

            A sostegno di questa ipotesi sta, anzitutto, la lettura di Deo auctore 3, che cercheremo tra poco di esaminare. Ma, in vista di questo esame, è necessario preliminarmente ricordare l'importante contesto del paragrafo precedente della costituzione del 530.

            Deo auctore 2 dice sostanzialmente che, una volta realizzato il Codex, Giustiniano si affacciò all'idea di procedere rapidamente (properare) a una sistemazione completa del ius (plenissima iuris emendatio), cioè ad una raccolta (colligere) ed elaborazione (emendare) di tutta l'opera della giurisprudenza romana (omnis Romana sanctio), per racchiudere in una sola raccolta (unus codex) tanti distinti e disparati (dispersa) volumi dei giuristi classici.

            Si trattava, specifica questo paragrafo 2, di una impresa che nessuno mai aveva osato neppure sperare e desiderare, e che lo stesso Giustiniano considerava difficilissima e quasi impossibile. Tuttavia, l'imperatore, conclude il paragrafo che stiamo parafrasando, invocò l'aiuto celeste e stabilì in cuor suo di affrontare anche quell'impegno: eam quoque curam nostris reposuimus animis.

            Il progetto del Digesto come opera da realizzare rapidamente è presentato dunque come idea personale di Giustiniano e non di Triboniano. Quanto ciò sia corrispondente al vero ormai non è più possibile sapere con certezza. Ma la singolare e ricca personalità dell'imperatore, e soprattutto il fatto che egli aveva già concepito e realizzato il primo codice, certo senza una decisiva iniziativa di Triboniano, allora non ancora elevato al ruolo di coordinatore dell'attività legislativa, rendono quantomeno verosimile la rivendicazione formulata in Deo auctore 2.

2.                Detto questo, veniamo specificamente a Deo auctore 3 che sta alla base dell'ipotesi del Cenderelli.

               In questo paragrafo Giustiniano soggiunge, rivolgendosi a Triboniano destinatario della Deo auctore, ed ora per la prima volta chiamato in causa: "E considerai (si usa il verbo respicere) l'ottimo servizio della tua forza leale (3), ed a te per primo affidai anche (4) questa opera, avendo avuto prova del tuo ingegno attraverso il lavoro per il Codex. E ti incaricai di sceglierti, per lavorare con esse in collaborazione (ad sociandum laborem), tra i professori e gli avvocati della capitale, quelle persone che tu avessi ritenuto degne di fiducia. Così, dopo che quelle persone erano state riunite ed introdotte nel nostro palazzo, e dopo che esse erano state approvate da me (si usa il verbo placere) in base alla tua attestazione, autorizzai la realizzazione di tutto il progetto, però a condizione che ogni cosa si svolgesse sotto il tuo attentissimo controllo (tui vigilantissimi animi gubernatione)".

Il Cenderelli interpreta questo testo che abbiamo cercato di rendere fedelmente, anche se non elegantemente, in italiano, in un modo che, per qualche importante sfumatura, a noi sembra dubbio.

Così, egli ritiene che il passo attesti che Giustiniano prese la decisione di investire una commissione del problema della possibilità di realizzare il Digesto, al fine d'una valutazione preliminare del piano di Triboniano, prima che fosse autorizzato l'avvio del lavoro; e che la commissione fu designata appunto perché ancora sussisteva una iniziale situazione di persistente incertezza, o scetticismo, in merito all'effettiva possibilità di realizzazione dell'opera (5).

Ora, a me sembra che la costituzione Deo auctore documenti chiaramente invece, che non solo, come ho già detto, Giustiniano vuole attribuirsi personalmente il progetto dei Digesta, sicchè può dubitarsi se sia il caso di parlare di un piano di Triboniano (6), ma soprattutto che Giustiniano dichiara d'esser stato lui a decidere di realizzare il progetto affidandone la elaborazione a Triboniano; e che poi la commissione scelta da Triboniano fu ricevuta nel palazzo imperiale e da lui approvata (si trattò certo d'una nomina ufficiale su designazione di Triboniano); e che, infine alla commissione fu ufficialmente affidata l'impresa (totam rem faciendam permisimus) sotto la presidenza di Triboniano. 

Quindi, l'ipotesi di una convocazione della commissione per valutare preliminarmente la possibilità di redigere il Digesto non sembra conforme al procedimento delineato in Deo auctore 3. In quel passo, la commissione appare riconosciuta degna della designazione che Triboniano aveva fatto (ricordiamo ancora il placere) e ricevuta solo per l'affidamento dell'incarico di dar corpo ad un opera che viene presentata come già decisa da Giustiniano e da lui affidata anzitutto (cfr. tibi primo et hoc opus commisimus) a Triboniano.

L'esplicita menzione della introductio in palatium non appare quindi, nel discorso giustinianeo, se non mi inganno, come un "momento autonomo nel procedimento che sfociò nell'avvio ufficiale dell'attività compilatoria"; e tanto meno, da quel discorso, traspare l'esistenza d'una "commissione incaricata di vagliare concretamente il piano di Triboniano in termini di fattibilità" (7). L'introduzione nel palazzo imperiale è semplicemente delineata, nel racconto di Giustiniano, come momento necessario per conferire l'investitura ufficiale a persone che erano state scelte e proposte informalmente da Triboniano. E, come si è visto, la fattibilità del piano di realizzare i Digesti (fosse esso di Giustinano, o di Triboniano come dopotutto non si può certo escludere) appare in Deo auctore 2-3 già presupposta e accertata, prima della nomina della commissione. A questa spettò, sembra, il dovere di tentare di realizzare l'opera; non il diritto di valutare le possibilità di realizzazione.

 

3.     Anche l'indizio ulteriore che il valoroso studioso vuole desumere da Tanta 1 in connessione con il successivo paragrafo 17 non mi sembra persuasivo.

Si sa che Tanta 17 parla della disponibilità ampia (copia) di libri giurisprudenziali antichi offerta (cfr. praebuit) specialmente (maxime) da Triboniano, ed accenna al fatto che molti di quegli antichi scritti erano ignoti anche agli studiosi più eruditi.

Il Cenderelli esclude che dal passo possa arguirsi, come è opinione corrente in dottrina, che Triboniano possedesse una ricchissima biblioteca giuridica. Ciò in quanto egli ritiene non credibile che un "semplice funzionario" qual era Triboniano nel 530, per di più "estraneo al mondo della scienza e delle professioni giuridiche, potesse avere accumulato" un gran numero di libri di giuristi classici (8).

Egli ritiene che quella copia offerta da Triboniano non fu altro che la disponibilità di testi giurisprudenziali antichi conseguente al fatto che Triboniano aveva "ritrovato negli archivi imperiali una massa di materiali derivati dalle opere della giurisprudenza classica" (9).

Questa massa di materiali sarebbe stata costituita, non da libri integri, bensì da frammenti di opere classiche. E proprio a tale congetturata massa  di frammenti alluderebbe Tanta  1 nel tratto in cui Giustiniano racconta : ipsa vetustatis studiosissima opera iam paene confusa et dissoluta eidem viro excelso permisimus tam colligere, quam certo moderamini tradere.

Ora, a me sembra, da un lato, che le espressioni di Tanta 17 mal si adattano ad una situazione del tipo di quella supposta dal Cenderelli. Non sembra accettabile, infatti, piegare le parole librorum copiam…Tribonianus…praebuit a significare che Triboniano si limitò a notificare a Giustiniano (ed ai suoi colleghi di commissione) l'esistenza d'una gran quantità di libri conservati negli archivi imperiali. La locuzione praebere copiam sembra adatta a predicare un'azione consistente materialmente nel dare, nell'offrire disponibilità d'una gran quantità di oggetti. Quindi, interpretare quella locuzione come frase allusiva ad una semplice indicazione di esistenza nella sfera di disponibilità del destinatario del praebere (nella specie, Giustiniano) sembra poco plausibile. E' difficile che si possa parlare di mettere a disposizione di qualcuno in relazione a cose che qualcuno aveva già nella propria disponibilità.

Da un altro lato, Tanta 1, nel tratto massimamente chiamato in causa dal Cenderelli (il cenno a vecchi opera iam paene confusa et dissoluta), mal si presterebbe, crediamo, a indicare una massa di frammenti d'opere classiche già escerpiti dai commissari teodosiani. Se si parla di opera, ci si riferisce certo a libri e non a frammenti. E, del resto, in Deo auctore 4, l'imperatore aveva narrato di aver dato ordine alla commissione presieduta da Triboniano (10) di antiquiorum prudentium…libros…legere et elimare. E ancora di libri, precisamente di libri veteres e di vetera volumina, non già di frammenti, si parlava in Deo auctore 7 e 10.

Il fatto che, in Tanta 1, i libri degli autori classici siano qualificati opera iam paene confusa et dissoluta (espressione che certo, a prima vista, sembrerebbe coerente con l'ipotesi del Cenderelli), a me invece sembra un accenno al fatto che, per il gran tempo trascorso, quei libri erano ormai (iam) testi oscuri e disorganici. Di ius antiquum confusum per il decorso di quasi 1400 anni si parla in Deo auctore 5; è certo qui l'aggettivo confusus non può indicare affatto un fenomeno di collezione di frammenti. Di dispersa volumina degli autori classici,  con qualificazione che può essere utilmente accostata a quella di dissoluta su cui fa leva il Cenderelli, si parla in Deo auctore 2; e certamente si allude al fatto che le opere dei giuristi antichi non erano raccolte in una unica e compiuta collezione; non si può assolutamente pensare, crediamo, che dispersa alluda ad uno smembramento in frammenti.

Certo, in astratto, Giustiniano potrebbe aver mentito dissimulando l'utilizzo di predigesti (di matrice teodosiana o d'altro genere). Ma a me sembra che nessun indizio in ordine a quella eventuale menzogna possa fondatamente ricavarsi dai passi che abbiamo brevemente discusso.

E per mio conto, e per quel niente che vale, manifesto anche il mio scetticismo in ordine alla verosimiglianza dell'assoluta necessità dell'esistenza di veri e propri predigesti. Ma questo è un altro, e ben più complesso, discorso che qui naturalmente non posso neppure sfiorare. Posso solo affermare che il motivo continuamente risollevato per sostenere la necessaria esistenza di predigesti--quello del tempo troppo breve della realizzazione giustinianea--non mi è mai sembrato stringente. Basta pensare alla rapidità di realizzazione di certe imponenti opere di raccolta da parte di singoli studiosi, come, ad es., il Mommsen.

Comunque, mi pare giusto concludere dicendo che, nel caso in cui dovessero finalmente emergere ragioni sicure per affermare che Triboniano e i suoi collaboratori utilizzarono precedenti ampie antologie di frammenti giurisprudenzali classici, la congettura del Cenderelli si presenterebbe particolarmente plausibile. Dal 429 d.C., data della costituzione Teodosiana che enunziava il disegno di un secondo codice con utilizzazione di tractatus e responsa prudentium, al 438 d.C., anno della pubblicazione del Codice Teodosiano e, deve pensarsi, anno dell'abbandono di quel disegno d'un secondo codice, intercorre un periodo d'una decina d'anni durante i quali i collaboratori di Teodosio possono benissimo aver preordinato una vasta raccolta di frammenti di iura.


© Bernardo Albanese

Note:

(1)   Cfr. Cenderelli, Digesta e predigesti. Riflessioni e ipotesi di ricerca, 1983; ed ora In tema di predigesto, in BIDR 96-97 (1997), 533ss. Per C. Th. 1,1,5, mi sia consentito di rinviare ad un mio studio in Ann. Pal. 38 (1985), 253ss., ora in Scritti giuridici 2, 1671ss.

(2)   In tema di predigesto, cit., 538s.

(3)   Questo mi sembra il valore più probabile della locuzione sinceritas tua utilizzata nella costituzione; è utile il richiamo di Deo auctore 1 con cenno al promptum praesidium offerto dalla sinceritas delle costituzioni imperiali, una volta che esse erano state rielaborate e raccolte nel primo Codex.

(4)   Si sa che Triboniano, allora soltanto magister inter agentes, era stato scelto per la compilazione del novus Codex: Haec, quae necessario 1.

(5)   Trascrivo praticamente parole del Cenderelli, op. cit., 538, ma usando una mia struttura sintattica.

(6)   In qualche modo, il racconto in Deo auctore 2 relativo al primo sorgere, in Giustiniano, della volontà di realizzare la raccolta di iura è ripetuto in Tanta pr., in un ben più complesso ed enfatico discorso. In questo passo, dopo la conclusione della redazione del Digesto, si accenna alla grande providentia della divina humanitas che praebuit a Giustiniano la possibilità di ridurre in una nova pulchritudo ed in un moderatum compendium le leges antiquae e invecchiate. E si ricorda che fu l'imperatore stesso che aveva deciso, dopo aver invocato l'aiuto di Dio (immortalitas praesidium), di affidare il patrocinio del futuro Digesto a Dio stesso, che così sarebbe risultato auctor di esso (il cenno alla costituzione Deo auctore di tre anni prima è evidente), ed anzi totius operis praesul; mentre la concreta realizzazione dell'opera venne affidata a Triboniano, affinchè egli, insieme ai suoi collaboratori, nostrum desiderium adimpleret (chiara la rivendicazione della paternità giustinianea, anche in questo passo). Pure in Tanta 1 si accenna di nuovo all'incarico conferito a Triboniano (eidem viro excelso permisimus; e poi mandata, quae ab initio ad memoratum virum excelsum fecimus); ma, e ciò è importante, si attribuisce esplicitamente a Triboniano la notizia, comunicata a Giustiniano, dell'enorme consistenza delle opere giurisprudenziali da escerpire. Questa ultima parte del passo, da un lato, conferma ciò che si desume più nettamente da Tanta 17 di cui parleremo nel testo; e, da un altro lato, rappresenta un chiaro riconoscimento della incomparabile centralità di Triboniano.

(7)   Cenderelli, l.c.

(8)   Op. cit., 539.

(9)   Op. cit., 540.


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