Pubblicazioni - Annali 2002

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Sul formulario della mancipatio familiae in Gai 2,104
di Bernardo Albanese

1. Come è notissimo, le Istituzioni di Gaio, dopo avere accennato quasi senza alcun dettaglio ai due più antichi testamenti (calatis comitiis ed in procinctu: Gai,2,101), soggiungono che ad essi successivamente si era aggiunto un tertium genus testamenti quod per aes et libram agitur. La struttura di esso è descritta nelle linee essenziali, attraverso il rilievo che un soggetto che non avesse fatto un testamento comiziale o in procinctu e che si trovasse a rischio di morire a breve scadenza (qui…subita morte urguebatur) amico familiam suam, id est patrimonium suum, mancipio dabat eumque rogabat, quid cuique post mortem suam dari vellet (l'errore di amanuense: dare velletur è di ovvia correzione), e che, dato l'uso della mancipatio accennata, l'atto venne designato come testamentum per aes et libram (Gai 2,102). Gaio soggiunge (2,103) che, caduti in desuetudine i due più antichi testamenti, rimase in uso solo quello librale. Ma, chiarisce subito, al tempo in cui egli scrive il testamento per aes et libram aveva assunto tratti diversi da quelli originari (sane nunc aliter ordinatur, quam olim solebat).

In origine, l'amico familiae emptor aveva la posizione di vero e proprio erede (heredis locum optinebat), e cioè, sia pur a fini particolari, acquistava davvero il patrimonio ereditario, tanto che il testatore era tecnicamente costretto ad affidargli mandato di disporre dei beni acquistati in blocco  a favore d'altri, una volta che egli fosse morto.

Ora il familiae emptor è soltanto un soggetto utilizzato per motivi di forma negoziale mantenuta per tradizione (dicis gratia propter veteris iuris imitationem familiae emptor adhibetur) mentre nell'atto si aggiunsero heredis institutio, ed eventualmente legati.

E' notissimo, inoltre, che la descrizione della forma nuova del testamentum per aes et libram (2,104) ha fatto sorgere in dottrina, da gran tempo, anche a causa dello stato del manoscritto veronese, gravi dubbi per quel che attiene al tenore dei verba di cui familiae emptor utitur. Per il resto, e cioè per quanto attiene alla premessa per cui il testatore, con intervento, sicut in ceteris mancipationibus, di cinque testi cittadini romani e di un libripens, mancipat alicui dicis gratia familiam suam, e prima ancora alla premessa che ciò avviene postquam tabulas testamenti scripserit; nonché alla descrizione di ciò che avviene, nel rito, dopo la pronunzia dei verba da parte del familiae emptor (percussione della bilancia con aes e consegna dello stesso aes al testatore da parte del familiae emptor; nuncupatio del testatore realizzata tenendo in mano le tabulae) (1), Gai 2,104 non pone particolari problemi.

Per chiarezza, credo utile riprodurre il testo dei verba del familiae emptor così come si leggono nel palinsesto:

FAMILIAM PECUNIAMQUE TUAM ENDO MANDATELA TUAM CUSTODELAQUE MEA QUO TU IURE TESTAMENTUM FACERE POSSIS SECUNDUM LEGEM PUBLICAM HOC AERE, et ut quidam adiciunt, AENEAQUE LIBRA ESTO MIHI EMPTA.

Che vi sia qualcosa di sbagliato dal punto di vista grammaticale o ortografico in questa redazione è evidente, e la dottrina lo ha rivelato da sempre (2).

Intanto, i tre accusativi iniziali (familiam pecuniamque tuam) non si accordano con il nominativo finale (empta); e poi endo mandatela tuam è inammissibile.

Tenendo presenti i difetti formali, ed interrogandosi sui profili sostanziali, gli autori delle ricostruzioni dottrinali più significative di questa formula mancipatoria si sono orientati in due sensi nettamente distinti. Da un lato, vi è chi ha ritenuto sostanzialmente completa, anche se meritevole di qualche correzione abbastanza incisiva, la struttura attestata dal manoscritto; e quindi ha considerato la formula mancipatoria come intesa sostanzialmente soltanto ad affermare solennemente che il familiae emptor emit con rito librale la familia pecuniaque altrui. Da un altro lato, vi è chi ha ritenuto, invece, quella struttura meritevole d'una minima correzione, e però di una incisiva integrazione; ed in particolare ha giudicato che, come nelle normali mancipazioni la cui forma ci è nota soprattutto attraverso Gai 1, 119 il familiae emptor, prima di affermare che l'altrui familiae pecuniaque era empta (sibi) con rito librale, dichiarava che quella familia pecuniaque si trovava in una situazione particolare predicata con l'uso dei sostantivi mandatela e custodela. Questa seconda posizione sembra dominante in dottrina.

Per maggior chiarezza, trascrivo le più autorevoli ricostruzioni dell'uno e dell'altro tipo.

In FIRA II², 65-66, la parte di Gai 2,104 che ci interessa è così letta (seguendo fedelmente l'edizione gaiana di Krüger-Studemund, che è seguita anche da numerosi altri autori) (3):

FAMILIA PECUNIAQUE TUA ENDO MANDATELAM CUSTODELAMQUE MEAM, QUO TU IURE TESTAMENTUM FACERE POSSIS SECUNDUM LEGEM PUBLICAM, HOC AERE , et ut quidam adiciunt, AENEAQUE LIBRA, ESTO MIHI EMPTA.

Alcuni studiosi che fondamentalmente seguono questa lettura se ne distaccano solo per le parole ENDO MANDATELA CUSTODELAQUE MEA, in luogo di ENDO MANDATELAM CUSTODELAMQUE MEAM.

Nell'edizione gaiana di Seckel-Kübler, troviamo la differente lettura (che, salvo dettagli minimi corrisponde a quella delle edizioni di De Zulueta, di Bizoukides, di Girard-Senn, ed altri):

FAMILIAM PECUNIAMQUE TUAM ENDO MANDATELA TUA CUSTODELAQUE MEA< ESSE AIO, EAQUE>,QUO TU IURE TESTAMENTUM FACERE POSSIS SECUNDUM LEGEM PUBLICAM, HOC AERE, et ut quidam adiciunt, AENEAQUE LIBRA, ESTO MIHI EMPTA.

Anche in questo caso, alcuni studiosi che fondamentalmente aderiscono alla lettura trascritta, preferiscono leggere ENDO MANDATELA CUSTODELAQUE MEA (o  ENDO MANDATELAM CUSTODELAMQUE MEAM)(4), in luogo di ENDO MANDATELA TUA CUSTODELAQUE MEA.

 

2. Fornite queste notizie di massima, converrà notare subito che le correzioni del manoscritto veronese che portano a leggere endo mandatela custodelaque mea, o endo mandatelam custodelamque meam, non mi sembrano accettabili.  

La soppressione del termine tuam si potrebbe giustificare paleograficamente, a mio avviso, solo se vi fossero stringenti motivi di sostanza. Ma, al contrario, un riferimento originario ad una mandatela tua, cioè del soggetto che mancipa la familia pecuniaque, sembra assolutamente corretto e necessario.

Mandatela è certamente un termine arcaico (salvo errore, non esistono altre significative attestazioni di esso) connesso con il verbo mandare. E questo verbo predica specialmente, pur tra altri significati, l'idea, che nel nostro caso è del tutto ragionevole, di "dare incarico".

Il familiae emptor, infatti, è espressamente qualificato da Gaio (ma non vi sarebbe ragione di giudicare diversamente, anche se, per avventura, una qualifica espressa non esistesse) come colui che mandabat…quid cuique post mortem suam dari vellet (Gai 2,103; in 2,102 si usa rogabat, ma il concetto è ovviamente identico). Pertanto, il familiae emptor si trova, rispetto alla familia pecuniaque di colui che gliela mancipa, nel ruolo di chi ha a che fare con una entità patrimoniale che gli viene affidata, che si trova in una situazione di affidamento da parte di altri che, al riguardo, provvede ad un mandare.

Come è già stato osservato da gran tempo, mandatela è un sostantivo di natura "durativa", come custodela (ed anche tutela, clientela) (5); ed a me sembra che, nel nostro caso, mandatela, con la specificazione determinata dall'uso dell'aggettivo tua, esprima la situazione duratura (fino all'esecuzione dell'incarico) di chi ha ricevuto appunto l'incarico altrui (e ciò giustifica il tua) di disporre d'un patrimonio, secondo istruzioni precise ricevute. Armonicamente la formula mancipatoria parlava invece di custodelaque mea, dato che la situazione di durevole obbligo di custodire la familia pecuniaque, situazione ovviamente derivante dall'accettazione dell'altrui incarico era propria del familiae emptor che pronunzia i verba del negozio (e ciò giustifica il mea).

Stando così le cose, si capisce bene perché il tuam del palinsesto non può espungersi a cuor leggero. L'espunzione ha l'effetto di attribuire la mandatela allo stesso familiae emptor (endo mandatela mea), cosa che presuppone l'attribuzione a mandatela d'un valore corrispondente, non alla situazione di chi ha ricevuto l'incarico altrui, bensì alla situazione di chi svolge un'attività connessa alla propria situazione di persona incaricata. E ciò è artificioso, mi sembra, e del tutto improbabile, specie in un linguaggio tecnico arcaico. La soppressione del tuam è tanto più inaccettabile, poi, a mio avviso, in quanto basta correggerlo in tua per dare alla locuzione di cui stiamo dicendo un ottimo senso, conforme a quel che pare più ragionevole per l'arcaico mandatela, e conforme, cosa non meno importante, al ruolo esatto del familiae emptor (dapprima, si sa, heredis loco: Gai 2, 103).

Quel che ho accennato spiega anche perché la locuzione endo mandatela tua custodelaque mea appare preferibile anche a quella endo mandatelam tuam custodelamque meam che, sotto qualche punto di vista, potrebbe sembrare migliore (6); e che però sembra meno probabile paleograficamente per il maggior numero di correzioni che comporterebbe.

 

3. Per orientarsi in ordine al problema più ampio della scelta meno arbitraria tra le due strutture complessive della formula mancipatoria nel testamento librale progredito che sono state proposte dagli studiosi, se si ci limita al profilo puramente paleografico (prescindendo ormai dalla correzione di tuam in tua, dopo mandatela, a proposito della quale tutti concordano, e che è effettivamente necessaria), credo che si debba anzitutto tener presente l'impossibilità di esprimere un giudizio sicuro. La prima struttura ha il vantaggio di non ipotizzare la caduta di parole di notevole peso (esse aio, eaque), caduta di cui non vi è indizio alcuno nel manoscritto; ma ha lo svantaggio di esigere una triplice correzione iniziale, mutando in familia pecuniaque tua il familiam pecuniamque tuam che si trova nel palinsesto. La seconda struttura non propone correzioni delle parole leggibili nel Veronese (a parte il tuam emendato in tua, dopo custodelaque), e questo è certo un motivo di accettabilità; e tuttavia esige l'inserzione di esse aio, eaque, per cui, come or ora dicemmo, non esistono appigli testuali.

Quindi, occorre, se è possibile, valutare le due strutture proposte in dottrina su un piano diverso da quello paleografico. Ed a me pare che l'accusativo iniziale familiam pecuniamque tuam possa considerarsi degno d'esser mantenuto per la circostanza della sua corrispondenza perfetta con l'accusativo iniziale che si riscontra nella formula delle normali mancipazioni (Gai 1,119: hunc ego hominem). Ciò implica ulteriormente, è naturale, che io ritengo che si debba considerare corretta anche la inserzione del verbo aio, senza il quale quell'accusativo iniziale resterebbe in aria. In sostanza, credo che la seconda struttura prospettata in dottrina sia preferibile all'altra.

Credo assai probabile, dunque, che anche la mancipatio familiae d'età progredita (con l'innesto della nuncupatio del mancipio dans, ormai vero testatore in senso moderno), abbia contenuto una iniziale dichiarazione solenne espressa con il verbo aio in ordine all'altrui familia pecuniaque, esattamente come avveniva, sembra certo, per la mancipatio familiae nella sua più antica versione, allorchè il familiae emptor usava una dichiarazione iniziale contenente le parole familiam pecuniamque tuam meam esse aio.

La mancanza d'una struttura verbale come quella che supponiamo avrebbe, del resto, provocato quella che a me sembrerebbe una grave incongruenza. Un discorso formulato come semplice affermazione, da parte del familiae emptor, del fatto che "egli comprava con questo aes la familia pecuniaque della controparte, affinchè la controparte potesse fare testamento", non presenta particolari difficoltà logiche. Però le difficoltà nascono, e mi sembrano francamente insormontabili, allorchè si attribuisce al familiae emptor la dichiarazione che il suo emere era endo mandatelam custodelamque meam (il discorso non cambia se si leggesse endo mandatela tua custodelaque mea, come è preferibile a mio giudizio). In realtà, in strutture come quella supposta si postula un uso di emere, non in assoluto, bensì connesso ad una mandatela custodelaque. Ora, un riferimento ad una situazione di mandatela custodelaque (parole che, comunque le si voglia analiticamente interpretare, rinviano certo ad un ruolo di incaricato e di custode per chi enunzia la formula), proprio per la connotazione durativa già accennata degli antichi sostantivi mandatela e curatela, non può affatto accordarsi con un atto singolo di acquisto (emere) che in sé si concluda (salvo sviluppi successivi, ma estranei allo stesso atto di acquisto). Quel riferimento ad una situazione durevole si attaglia soltanto ad una relazione tra il familiae emptor che parla e la familia pecuniaque, quindi solo ad un esse particolare della familia pecuniaque rispetto a chi è in procinto di acquistarla hoc aere (aeneaque libra). Insomma, per dar senso al cenno della mandatela e custodela sembra indispensabile ammettere che esso non si riferisca all'atto istantaneo dell'emere, bensì ad una condizione (esse) particolare della familia pecuniaque.

 

4. E su tal via non sarei lontano, addirittura, dal ritenere probabile che il familae emptor, anche allorchè veniva usato solo dicis gratia propter veteris iuris imitationem, continuasse ad affermare, come l'antico emptor dell'originaria mancipatio familiae concretamente efficace (7), che familiam pecuniamque tuam endo mandatela tua custodelaque mea <meam esse aio, eaque>…mihi empta esto…

A questa congettura mi spingono, non solo la presumibile viscosità dei formulari antichi, per cui si può supporre una preferenza per il mantenimento della struttura fondamentale per il discorso rituale, salvo a svuotarne l'effetto mediante qualche aggiunta, ma alcune altre riflessioni.

Il sintagma presente nel formulario ordinario della mancipatio: hunc hominem meum esse aio, isque mihi emptus esto ha la notoria singolarità, tante volte oggetto di sforzi interpretativi della dottrina, di far precedere l'affermazione assoluta della sussistenza del potere che si acquista (meglio: si vuole acquistare) all'affermazione dell'atto di acquisto. Il mancipio accipiens prima dice di esser proprietario e poi stranamente dice in che modo sta per diventare proprietario.

Se si confronta, come pare corretto, questa aporia apparente del formulario della mancipatio ordinaria con quel (troppo poco, disgraziatamente) che sappiamo della l.a. sacramenti rem, si nota--nella fase processuale che si concluderà con una temporanea attribuzione della res controversa ad uno dei litiganti (vindicias dicere; Gai 4,16)--, ancora una volta, l'affermazione assoluta della sussistenza d'un potere (hunc ego hominem…meum esse aio) che, in realtà, solo subito dopo veniva rappresentato come acquistato con atto rituale (ecce tibi, vindictam imposui).

Sembra che in atti solenni intesi a costituire o a difendere poteri assoluti (nei casi che consideriamo: meum esse) fosse necessario iniziare il discorso iniziale con una dichiarazione incondizionata di già esistente titolarità dei poteri in questione.

Ciò spinge a supporre che anche il familiae emptor d'età progredita, alla stessa stregua di quanto certamente faceva quello delle origini, dovesse iniziare il discorso rituale con una affermazione relativa, a proposito di un altrui familia pecuniaque, ad un meam esse, sia pure in relazione a mandatela e custodela che incisivamente determinano limiti e finalità del meam esse. Sicchè deve anche supporsi che solo subito dopo il familiae emptor doveva ritualmente accennare, con i connessi gesti librali, al fatto di costituirsi come emptor di quella familia pecuniaque.                      

A favore della congettura proposta, potrebbe addursi anche il fatto che Gai 2,104 usa la locuzione qui facit testamentum…mancipat alicui dicis gratia familiam suam: un'espressione che avrebbe poca esattezza se l'atto non implicasse formalmente una mancipatio, e cioè un'alienazione (e quindi, di riflesso, non contenesse i verba del familia emptor con cenno all'acquisto).

E nello stesso senso milita naturalmente il fatto che anche nel nuovo assetto negoziale si continui a parlare di familiae emptor, cioè di acquirente della familia, precisandosi ovviamente che si tratta di soggetto utilizzato propter veteris iuris imitationem (Gai 2,103). Del resto, va rilevato che in Gai 1,190 si dice che, in quibusdam causis, dicis gratia tutor interponit auctoritatem suam a favore d'una donna sui iuris pubere: sembra ragionevole ritenere che l'auctoritatis interpositio, pur se ormai rilevante solo per ragioni di fedeltà al rituale tradizionale, si realizzasse con l'identico formulario in uso allorchè l'interpositio era invece necessaria e discrezionale. Per analogia, è ragionevole pensare che anche la mancipatio familiae realizzata dicis gratia fosse, con ogni probabilità, posta in essere con le stesse parole tecniche in uso allorchè il familiae emptor era heredis loco, e quindi con l'affermazione…meam esse aio.

Nel quadro ipotizzato, il punto veramente centrale della nuova mancipatio familiae dicis gratia parrebbe costituito dall'inserzione nel formulario delle parole quo tu iure testamentum facere possis secundum legem publicam. Questa precisazione del fine cui tende il familiae emptor d'epoca progredita può supporsi come intesa a precisare esplicitamente e solennemente i limiti della dichiarazione di acquisto, per tutto il resto rimasta immutata rispetto al negozio originario. In sostanza: "dichiaro mia, per tuo mandato ed in mia custodia, la tua familia pecuniaque e la acquisto libralmente, solo perché tu possa realizzare ritualmente (iure) un testamentum secundum legem publicam". Incidentalmente osservo che il cenno alla lex publica probabilmente non si riferisce ad una improbabile delibera comiziale che avrebbe introdotto il nuovo testamento librale, ma soltanto al fatto che quel nuovo testamento si realizzava con una solenne formula verbale, la nuncupatio, che proprio come formula verbale poteva qualificarsi lex (cfr., a tacer d'altro, la struttura lege agere); ed in particolare lex publica perché esplicitamente rivolta al popolo romano rappresentato dai cinque testimoni (cfr. Gai 2,104: itaque vos, quirites, testimonium mihi perhibetote) meno probabile che il cenno alla lex publica del formulario si riferisse all'emere aere aeneaque libra, come in astratto si potrebbe congetturare tenendo presente il cenno identico a secundum legem publicam a proposito del libram expendere nel rito della solutio per aes libram (Gai 3,174); e tenendo presente forse anche Prob. Eins. 34 (S.L.P.H.A.: secundum legem publicam hoc aere). Infatti non si vede perché la lex publica, se mai fosse stata menzionata come criterio relativo all'uso della libra e dell'aes, non figuri nel rito mancipatorio ordinario descritto in Gai 1,119. Ma non è il caso di estendere ulteriormente un discorso che abbiamo specificamente limitato al proposito di prospettare qualche rilievo intorno ai problemi formali di Gai 2,104.


1.    Tabulas testamenti manu tenens è correzione universalmente accettata; il manoscritto ha tabulas test manti. Nella nuncupatio, testor e perhibetote sono emendamenti di altre evidenti sviste del Veronese.

 

2.    Indicazioni bibliografiche assai accurate si possono trovare nell'ottima ricerca del Corbino, Il rituale della 'mancipatio' nella descrizione di Gaio ('Rem' tenens in Inst.1,119 e 2,24), in SDHI 42, 1976, 173-177; cfr. anche, di recente, Randazzo, Leges mancipii. Contributo allo studio dei limiti di rilevanza dell'accordo negli atti formali di alienazione, 1998, 42-45.

 

 

3.    Cfr. Corbino, op. cit. 173-174 (a nt. 71, oltre ad utili indicazioni bibliografiche sono esposte le ragioni della scelta); altre indicazioni bibliografiche in Randazzo, op. cit., 42 nt. 8 (questo studioso invece non accetta la lettura di cui parliamo).

 

4.    Su tutto ciò, da ultimo, con letteratura, Randazzo, op. cit., 42 ntt. 7 e 8.

 

 

5.    Weiss, Mandatela und custodela, in ZSS 42, 1921, 107. Questo studioso richiama giustamente la connessione di mandatela con mandare e quella di mandare con manus; e però, a mio avviso senza ragione, prospetta per mandatela il senso di riconoscimento della manus (potere) del testatore sulla familia pecuniaque. E' una presa di posizione che mi sembra contrastare radicalmente con l'alienazione effettiva (anche se fiduciaria) della familia pecuniaque realizzata nella più antica mancipatio familiae. A me pare invece che mandatela, come dico nel testo, alluda al riconoscimento da parte del familiae emptor, che la familia pecuniaque altrui si trova in una situazione durevole particolare connessa alla sua futura destinazione conformemente all'altrui mandato, situazione che cesserà di esistere naturalmente allorchè quel mandato verrò eseguito.

 

6.    Premesso che endo, come in, di cui rappresenta un arcaico corrispettivo, viene usato sia con l'ablativo che con l'accusativo, va detto che endo mandatelam…potrebbe esprimer meglio l'idea del fine in ordine al quale si realizzava l'acquisto del familiae emptor. Ma la portata durativa di mandatela e curatela orienta verso un uso dell'ablativo , più adatto a descrivere il permanere in una duratura condizione.

 

 

7.    Che, in origine, conteneva certamente il meam esse aio, dato che altrimenti il familiae emptor non avrebbe avuto alcun titolo per disporre efficacemente degli oggetti ereditari dopo la morte dell'amico.                


© Bernardo Albanese


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