Pubblicazioni - Annali 2002 |
Sulla
norma decemvirale in tema di aqua pluvia (XII tab. 7,8). |
Nella
"palingenesia" delle XII tavole elaborata da vari studiosi ed edita
da M.H. Crawford, a proposito di XII tab. 7,8, il precetto sull'aqua pluvia
(1), non è citato D.39,3,22,2 (Pomp. 10 ex var. lect.): Sed et si fructuarius
opus fecerit, per quod aqua pluvia alicui noceat, erit quidem actio legitima
cum domino proprietatis: an vero etiam utilis in fructuarium actio aquae
pluviae arcendae danda sit, quaesitum est: et magis est ut detur. Il
passo ha rilievo in quanto, con ogni probabilità, costituisce una ulteriore,
chiara affermazione dell'origine decemvirale del rimedio giudiziario contro
chi avesse posto in essere una situazione per cui si aveva ragione di ritenere
che aqua pluvia nocet. Si
sa che l'esistenza di verba legis duodecim tabularum "si aqua pluvia
nocet" è affermata dallo stesso Pomponio in D.40,7,21pr. (7 ex Pl.). Il
passo probabilmente, nella sua prima parte (Labeo-nocere poterit), è una
citazione letterale dai libri posteriores Labeonis, almeno 40 libri postumi
del grande giurista augusteo (Gell. 13,10,2) (2). Dato che Pomponio non cita
da quale libro dell'opera labeoniana desuma la propria citazione; e dato che i
libri posteriores di Labeone, come si sa, furono epitomati da Giavoleno, e
dato che Giavoleno aveva scritto dei libri ex Plautio, è possibile che
Pomponio, nella preparazione dei propri libri ex Plautio da cui è escerpito
D. 40,7,21pr., abbia avuto occasione di trarre la citazione da Labeone non
direttamente dai posteriores epitomati da Giavoleno (nel qual caso si sarebbe
trovata l'indicazione del libro labeoniano con il passo citato da Pomponio),
bensì proprio dai libri ex Plautio di Giavoleno, che egli certo avrà dovuto
consultare nel preparare la propria opera omonima (3). Come che sia di ciò, trascriviamo la parte di D. 40,7,21pr.
che qui interessa: Labeo libro posteriorum ita refert:
et quod ita scriptum
est "videbitur" (4), pro hoc accipi debet "videri poterit":
sic et verba legis duodecim tabularum veteres interpretati sunt "si aqua
pluvia nocet", id est "si nocere poterit"
I
veteres in questione, con ogni probabilità, sono tali rispetto a Labeone,
sicchè si tratta di giuristi repubblicani d'epoca abbastanza risalente. 2.
Possediamo un'altra testimonianza su una norma decemvirale in tema di aqua
pluvia nocens, probabilmente in D. 43,8,5 (Paul. 16 ad Sab.) (5): Si per
publicum locum rivus aquae ductus privato nocebit, erit actio ex lege duodecim
tabularum, ut noxa domino caveatur. Qui
non interessano particolarmente le ultime parole che hanno fatto sorgere
problemi testuali. Molti editori antichi dei Digesti hanno mutato noxa in
noxae (certo intendendo l'ultima frase: "in modo da dar garanzia al
dominus per il danno"); e vi è stato chi ha addirittura negato che si
possa considerare latino un uso di noxa come soggetto del verbo caveri (6). Ma
non si vede perché noxa vada interpretato come nominativo e non come
ablativo, intendendo il passo nel senso di "in modo da dare garanzia al
dominus per il danno" (cfr. locuzioni celebri delle fonti come boves
sanos esse noxisque praestari spondes, in Varr., Res rust. 2,5,11; noxa
solutus, ad es., in Sen., Contr. 7,6,23; D. 21,1,17,17). Cujas, sulla base
d'un passo dei Basilici che ora non possediamo, leggeva invece di caveatur,
sarciatur (e un lieve indizio a favore di questa lettura potrebbe trovarsi nel
fatto che nella Florentina si legge carveatur, con successiva cancellazione
della "r" ) (7). A me sembra che Paolo abbia bene potuto scrivere
che l'azione decemvirale era intesa a garantire dal danno ingiusto (noxa) il
dominus sul cui fondo gravava la minaccia di un nocere, per eventuale
ingrossamento a causa di aqua pluvia, di un rivus aquae che era stato ductus
da un privato attraverso un locus publicus per qualche tratto del suo
percorso. Si
sa che lactio aqua pluviae arcendae detà progredita era con clausola
restitutoria (D. 39,3,22,1, per citare un solo testo; più oltre tornerò
brevemente sul punto); ed attraverso la restitutio, cioè la neutralizzazione
della situazione che alterava il naturale decorso dellacqua piovana, si
realizzava proprio una garanzia contro futuri danneggiamenti. Qui
non interessano i problemi relativi al regime dellazione in caso di
parziale presenza di luoghi pubblici nel complesso dei terreni interessati al
regime dellaqua pluvia (8). Ma dobbiamo dire almeno che sembra
ingiustificato desumere dal cenno al per publicum locum rivus ductus (9)
lesistenza duna specifica azione decemvirale in tema di aqua, in questo
caso particolare di danno ad un privato proveniente da opere o attività su un
terreno pubblico, come pare abbiano fatto quegli studiosi che hanno distinto
in XII tab. 7,8 un precetto a (per cui si cita D.40,7,21pr.) ed un
precetto b (per cui si cita appunto D. 43,8,5) (10). 3.
Si può tornare adesso su D.39,3,22,2 che abbiamo trascritto allinizio. E
si può sostenere che il cenno allactio (aquae pluviae arcendae) legitima
contro il dominus, in contrapposto alla utilis actio contro lusufruttuario,
non costituiva un generico riferimento al fatto che quellazione contro il
proprietario, non essendo formularmente strutturata con artifici pretori (ad
es., fictio; intentio in factum
) era una actio directa (cfr., per tutti,
Gai 4,34: il bonorum possessor, in quanto successore pretorio e non legitimo
iure (11), non habet directas actiones) contrapposta allazione utile
pretoria. Salvo errore, nelle fonti, per unazione diretta di questo genere
non si parla mai di actio legitima. Nelle rare attestazioni della locuzione
actio legitima, qualche volta ci si riferisce alla lex per eccellenza, cioè
alle XII tavole. Così,
per quel che vale, in D.1,2,2,6 il notissimo passo dellEnchiridion
attribuito a Pomponio, si legge: ex his legibus (XII tab.)
actiones
compositae sunt
et appellatur haec pars iuris legis actiones, id est
legitimae actiones. Nel consueto arruffio formale e concettuale di questa, pur
preziosissima, fonte, non ha rilievo lequazione incondizionata
apparentemente stabilita tra legis actiones e legitimae actiones-una equazione
imprecisa, dato che, come tutti sanno, alcune legis actiones non nacquero da
lex , bensì dai mores, sicchè è errato dire che tutte le legis actiones
derivavano dal codice decemvirale. Quel che interessa è, invece, levidente
uso, ben corretto, della categoria dellactio legitima come mezzo
processuale legato, nel suo sorgere alle XII tavole. Un
nesso analogo si ritrova in D.19,5,14,3 (Ulp. 41 ad Sab.): Aristone escludeva,
in una particolare fattispecie, il ricorso ad una actio legitima, in quanto
non era applicabile lactio de pastu pecoris ex lege duodecim tabularum (XII
tab. 8,7; cfr. 8,9), né lactio de pauperie (XII tab. 8,6), né lactio
damni iniuriae (si sa che nelle XII tavole era previsto un rimedio contro il
damnum: D.9,2,9pr). Così
ancora in Coll.2,5,5 (Paul.l.sing. (12) et titulo de iniuriis): lactio
iniuriarum legitima deriva dalle XII tavole (cfr. 8,4), ed è distinta dallactio
iniuriarum honoraria. Contrapposizione
tra azioni legitimae e honorariae anche in D. 9,3,5,12 (Ulp. 23 ad ed.: è
citato Servio che afferma linapplicabilità duna legitima et honoraria
actio in un caso particolare di positum et suspensum); in D.35,2,32pr. (Maec.
9 fid.: in un discorso generalizzante si parla di azioni penali o legitimae o
honorariae, o populares); e pure, in qualche modo, pur se implicitamente, in
D. 39,1,19 (Paul. quaest.: legitimae actiones sono contrapposte alla operis
novi nuntiatio, tipico rimedio pretorio); ma in tutti questi casi non sembra
sussistere uno specifico riferimento alle XII tavole. In
questo stato, certo non univoco, delle fonti che parlano di actio legitima, a
me sembra che il cenno di Pomponio (di Labeone, crediamo) in D. 39,3,22,2 alla
natura di actio legitima dellazione contro il dominus nel cui fondo un
usufruttuario abbia realizzato una situazione di aqua pluvia nocens possa, e
probabilmente debba, intendersi come attestazione dellorigine decemvirale
della. aqua pluvia arcendae. Ed è doveroso segnalare che, pur se
implicitamente, una conclusione analoga era stata già raggiunta da non
recenti editori dei resti delle XII tavole, tra i quali basterà ricordare il
Riccobono in FIRA I, p. 50 nt.8 a A, dove si cita, senza commento,
D.39,3,22,2. 4.
Per chiudere, un cenno alla più probabile natura del rimedio decemvirale in
caso di aqua pluvia nocens. Da
molto tempo si è prospettata lipotesi dun uso della l. a. per arbitri
postulationem (13); un uso della l.a. sacramenti in personam forse non è da
escludere in età precedente a quella della prima introduzione della l.a. per
iudicis arbitrive postulationem. Però va osservato in contrario che
lintroduzione di questa l.a., normalmente attribuita alle XII tavole per i
casi di crediti ex sponsione e divisione delleredità, sulla base di Gai
4,17a, potrebbe farsi risalire addirittura già ad epoca predecemvirale,
almeno nella forma di rituale postulatio dun arbiter per vari casi tra i
quali potrebbe essersi trovato proprio quello dellaqua pluvia nocens. Comunque,
a favore dellipotesi duna applicazione decemvirale della l.a. per
arbitri postulationem deve citarsi soprattutto Cic., Top. 9,39. In questo
passo, a proposito della definizione di aqua pluvia-dopo una citazione di Q.
Mucio (in 9,38), per il quale non doveva farsi riferimento solo allacqua
imbri collecta, bensì a omnis aqua (quindi anche ad acqua non piovana, credo
si voglia dire), quae pluendo crevisset-si precisa che propriamente (cfr.
genus propius) la categoria tecnica e giuridica di aqua pluvia dovrebbe farsi
coincidere con laqua de caelo veniens che crescit imbri e che risulta
nocens per effetto di attività realizzate da qualcuno nel proprio fondo (15). Ora,
in Top. 9,39 si dice in sostanza che eius generis (cioè del genus propius di
aqua pluvia) sussistono due formae (cfr. Top. 7,31; 8,33):quella aqua pluvia
che è loci vitio nocens e quella che è manu nocens; e che soltanto
questultima iubetur ab arbitro coerceri. Le
ultime parole vanno considerate con attenzione. Esse alludono ad un iubere
relativo al coercere laqua pluvia manu nocens, cioè in relazione ad una
attività materiale del titolare dl fondo da cui lacqua piovana defluisce o
refluisce. Tale iubere va riferito, con ogni probabilità, crediamo, proprio
alla legge delle XII tavole che pur non è esplicitamente menzionata (16).In
questo senso mi sembra significativo luso di iubere, che ritroviamo in Top.
2,10, con riferimento certo alle XII tavole (1,4); e in De leg. 2,24,60 in cui
il cenno: lex iubet si riferisce certamente a XII tab. 10,7. Quanto
al coerceri ab arbitro, è di tutta evidenza, in primo luogo, che il verbo
coercere è proprio un composto di quell'arcere che ricorre nella
denominazione tecnica dell'actio aquae pluviae arcendae. Coercere è
specificamente usato, da giuristi e non giuristi, proprio in relazione
all'attività di frenare, tener lontana l'acqua, e in specie, l'aqua pluvia
nocens. Basti citare, ad es., Ovid., Fasti 6,413 (coercere aquas ripa); Liv.
27,47,11 (coercere amnem ripis); Tac., Ann.1,76 (coercere flumen); cfr. per
metafora, in relazione ad un dilagare di parole, Cic., Brut. 91,316: nos
coercere
extra ripas diffluentis; e soprattutto, in relazione all'a. aquae pluviae
arcendae, D.39,3,1,17; 22,1, che parlano di coercere aquam; e di aquam
coercere parlava qualche volta l'editto pretorio: ad es. D.43,22,1,6 (cfr. D.
43,22,1,8-9; v.a. D. 43,12,1,12). In
secondo luogo e soprattutto, è da considerare con attenzione, in Cic., Top.
9,39, il cenno all'arbiter. Se iubere si riferisce, come ci è sembrato, alle
XII tavole, se coercere si riferisce, come pare sicuro, al tecnico arcere
aquam pluviam, allora Cicerone sembra alludere con chiarezza ad una
disposizione decemvirale in tema di aqua pluvia nocens che conteneva un
richiamo esplicito all'intervento d'un arbiter. E quindi ad una applicazione
decemvirale, nel caso in questione, della l.a. per (iudicis) arbitri
postulationem. Che
in un passo classico in tema di a. aquae pluviae arcendae si parli di arbiter
e arbitrium (D. 39,3,24pr-2: Alf. 4 dig. a Paulo epit.) può indicare, ma
forse solo per l'epoca di Paolo e non per quella di Alfeno, un riferimento
all'arbitrium iudicis nel iussus restituendi in base alla clausola arbitraria.
Ciò era certo previsto nella formula della nostra azione in età progredita:
D. 39,3,6,6 (Ulp. 53 ad ed.): Officium
iudicis hoc erit, ut
iubeat
restituere. E si vedano i cenni al tollere che era ordinato nel iussus
restituendi, in D. 39,3,6,7, ed anche in D. 39,3,7pr (Paul. 18 ad ed.) ed in
D. 39,3,15 (Paul. 16 ad Sab.); alla restitutio operis in D. 39,3,4,2 (Ulp.
53ad ed.); D. 39,3,5 (Paul. 49 ad ed.), in D. 39,3,11,1-4 e 6 (Paul. 49 ad
ed.) e in D. 39,3,14,3 (Paul. 49 ad ed.); nonché al restituere in D. 39,3,16
(Pomp. 20 ad Sab.) e in D. 39,3,22,1 (Paul. 10 ex Varr. lect.). Ma per Alfeno,
in D. 39,3,24pr-2 cit. è ben probabile un riferimento alla l. a. per iudicis
arbitrive postulationem, dato che egli viveva prima nella definitiva
abolizione augustea di quasi tutte le legis actiones. Ciò è probabile anche
per il fatto che nel testo non si parla di arbitrium iudicis, bensì
specificamente di arbiter aquae pluviae arcendae, una locuzione che si adatta
bene alla legis actio in questione, ma non è affatto adatta invece in
relazione all'arbitrium iudicis nel iussus de restituendo formulare, dato che
questo progredito arbitrium iudicis non ha per oggetto l'arcere aquam pluviam
(che è oggetto generale dell'azione arbitraria), bensì, appunto, il
restituere. E' ovvio che per l'epitomatore di Alfeno, invece, il passo
repubblicano era ormai riferito al processo formulare. Di
arbiter si parla anche in D. 23,2,28 (Lab. 7 Pith. a Paulo epit.), un passo
che non contiene espliciti riferimenti al tema dell'aqua pluvia, ma che molti
studiosi ritengono proprio attinente a quel tema (17). Per mio conto sarei
cauto, dato che, tra l'altro, non può escludersi affatto un riferimento all'arbiter
familiae erciscundae o communi dividundo. Ciò
che abbiamo prospettato per Alfeno va detto certo anche per Cic., Top. 10,43,
passo in cui, in modo ancor più esplicito di quanto non accadeva in Top. 9,39
da cui abbiamo preso le mosse, si parla di arbiter aquae pluviae arcendae,
un'espressione che, ripeto sembra adattarsi meglio al processo per legis
actiones che a quello formulare. Schönbauer
(18) aveva supposto, a suo tempo, per XII tab. 7,8, un tenore originario del
tipo: Si aqua pluvia nocet, arbitrum arcendi postulato. Successivamente, si è
prospettata una congettura lievemente diversa da parte del Sitzia (19):
arbitrum
arcendo (con richiamo a Prob. 4,10: arbitrum liti aestimandae) dato (con
richiamo a XII tab. 12,3: arbitros tris dato). Da ultimo, nella raccolta a
cura del Crawford (20), si dice che sarebbe stata sufficiente un'apodosi
semplicemente formulata con l'imperativo arceto. Quest'ultima
congettura sembra poco probabile, dato che un cenno all'arcere senza
riferimento all'arbitro avrebbe autorizzato l'autodifesa. Per mio conto,
rinunziando a congetture più dettagliate, penso che il precetto decemvirale
dovesse contenere, dopo la protasi Si aqua pluvia nocet per cui c'è la
testimonianza esplicita di Labeone citata da Pomponio in D. 40,7,21pr.,
l'apodosi con riferimento alla postulatio (o, se si vuole, alla datio) di un
arbiter, e però anche alla finalità di aquam arcere. Ciò in relazione al
nome tecnico dell'azione che sembra antico; un testo
decemvirale con menzione solo dell'arcere e non specificamente dell'aquam
arcere, mi sembra meno probabile. Purtroppo,
non abbiamo alcun riferimento al tenore originario di XII tab. 5,10 e 7,12 che
prevedevano, rispettivamente per la divisione dell'eredità e per il
regolamento dei confini, la nomina di un arbiter, e che furono anch'essi, come
XII tab. 7,8, precetti che erano alla base di denominazioni tecniche di
actiones (familiae erciscundae e finium regundorum), con il ricorso al
genitivo del gerundio, come accadde per l'actio aquae pluviae arcendae. E'
presumibile che, come ipotizziamo per XII tab. 7,8, anche quegli altri due
precetti decemvirali menzionassero esplicitamente, in ordine all'operato d'un
arbiter, le attività di fines regere e familiam ercisci.
(1)
Roman Statutes 2 (1996) 73-75. (2)
D. 47,21pr. comincia con le parole: Labeo libro posteriorum ita refert,
sicchè ciò che segue si presenta proprio come una citazione fedele (cfr. ita). (3)
Va notato che il medesimo tenore di manumissio testamento, ma senza
aggiunta del legato connesso, è considerata da Pomponio (5 ad Sab.) in D.
40,4,8; anche la soluzione è quasi identica formalmente a quella di D.
40,7,21pr; è probabile che nel testo originario di Pomponio si citasse
Labeone, e che siano stati i compilatori ad eliminare la citazione. (4)
Il videbitur era usato in una manumissione testamentaria con legato
connesso di cui all'inizio del frammento viene trascritto il testo. La
manumissione era sotto condizione sospensiva: si rationes diligenter tractare
videbitur; il più importante dei problemi era quello della mancata
indicazione della persona alla quale si sarebbe dovuta provare la diligenza
nell'amministrare. Interpretando il si videbitur nel senso si videri poterit,
la condizione poteva considerarsi verificata, eventualmente, anche in mancanza
del ricorso ad uno specifico soggetto al quale rendere conto. Non è
improbabile qualche lieve guasto testuale nel tratto heredum-debebimus, dato
che sembra singolare parlare degli eredi come
persone arbitratum agentes. (5)
Nel libro si trattava proprio dell'aqua pluvia. (6)
Cfr. Roman Statutes cit., 674. (7)
Su tutto questo, cfr.
Roman Statutes cit., 673-674, ove sono anche cenni ad altre letture. (8)
Per tutti, Sitzia, Ricerche in tema di "actio aquae pluviae
arcendae (1977), 20ss. (9)
Mi sembra impossibile un'eventuale lettura che consideri aquae ductus
come un sostantivo; cfr. anche Sitzia, l.c., esattamente. (10)
Ad es., FIRA I, 50. (11)
Il ius legitimum, nella specie, era certo costituito dalle norme
decemvirali in tema di successione. Anche questo conferma che l'actio legitima
di D. 39,3,22,2 era quella nata dalle XII tavole.
(12)
Il richiamo a hoc edictum in Coll. 2,5,3 potrebbe far pensare che l'inscriptio,
oltre che lacunosa, sia sbagliata, e che il passo appartenesse ad un commento
ad edictum; del resto, cfr. D. 47,10,1pr.-1 (Ulp. 56 ad ed.). (13)
Confronta già Burckhard, Die actio aquae pluviae arcendae (1881),
479ss.; la tesi è stata condivisa da molti studiosi, e da ultimo dal Sitzia,
op. cit.,9ss. (a p. 10 nt.42, un utile elenco bibliografico). Da ultimo anche
Roman Statutes 2 cit., 675. (14)
Cfr., forse, Marrone, L'efficacia pregiudiziale della sentenza nel
processo civile romano, in Ann. Pal. 24 (1955), 539 nt.76, che però non
accenna alla possibilità di l. a. per iudicis arbitrive postulationem. (15)
Buone osservazioni in Sitzia, op. cit., 6ss., con letteratura; da
ultimo, cenni in Talamanca, Il riordinamento augusteo del processo privato, in
Atti Copanello: Gli ordinamenti giudiziari di Roma imperiale, 1996 (2000),
79ss. Qui basti addurre Ulp. 53 ad ed. D. 39,3,1pr. con citazione da Tuberone;
D. 39,3,1,15-16. (16)
In questo senso, esattamente, Talamanca, op. cit., 80, che parla
senz'altro d'una disciplina risalente alle XII tavole e di un rinvio alla
legislazione decemvirale (che, in realtà, non è esplicito). (17)
Cfr., con bibliografia, Sitzia, op. cit., 11; 107s. (18)
Die actio aquae pluviae arcendae. Ein Beitrag zur Geschichte des röm
Agrarrechts, in ZSS 54 (1934), 236. (19)
Op. cit., 10. (20)
Roman Statutes 2 cit., 674.
|
|
Ultima modifica: