1. La natura del presente scritto - volto ad onorare un
maestro di diritto e di costume, cui tutti noi siamo debitori di pensieri e
di esempi - valga a chi scrive la comprensione del lettore, per la rapidità
con la quale si è affrontato qualche aspetto d'uno dei più dibattuti problemi
delle nostre scienze e la connessa mancanza quasi totale di riferimenti
espressi alla imponente dottrina, cui, peraltro, nella misura. in cui la
conosco, attribuisco doverosamente e volentieri un peso determinante nella
formazione delle convinzioni qui sommariamente espresse.
2. Uno dei risultati più sicuri - se non anche più largamente diffusi - cui
abbia condotto il pensiero giuridico attuale, nello sforzo costante di
prendere sempre migliore consapevolezza di sè, è costituito senza dubbio
dalla persuasione, ormai radicata, della insignificanza ed insufficienza di
una considerazione meramente dogmatica (come si dice) del fenomeno giuridico;
e, parallelamente, della inopportunità, o addirittura impossibilità, d'una
considerazione meramente empirica del medesimo.
Fermo restando il convincimento di fondo, per cui nota
essenziale e chiave per una retta intelligenza del diritto sia l'avvertenza
della sua natura storica (di fatto, cioè, umano nel tempo), è chiaro che di «
dogmatica » in senso proprio e tecnico è assurdo parlare. Nel contempo, però,
è altrettanto chiaro come, nella scienza del diritto, sia necessario sempre
far luogo ad uno schema logico, artificiale, voluto, entro cui sistemare, ed
alla cui luce confrontare, i dati storici.
Sicchè costruzione sistematica ed esperienza storica, nel diritto, sono
entrambe mezzi inseparabili di conoscenza, prospettive - come pur si usa dire
- l'una e l'altra per l'impostazione e l'analisi dei fenomeni; e prospettive
necessariamente concorrenti.
Però, è da osservare che il rischio d'una considerazione prevalentemente
empirica (o, se fosse possibile, esclusivamente empirica) della fenomenologia
giuridica si può considerare in pratica inesistente - checch'è se ne pensi,
in contrario, da alcuni. Ciò, perchè l'esperienza mostra che anche i più
antidogmatici dei giuristi necessariamente si servono di schemi logici per
inquadrare il loro lavoro (pur potendosi, naturalmente, a torto o a ragione,
secondo i casi, lamentare che gli schemi adoperati siano erronei,
insufficienti, mal aggiornati e via dicendo). Il rischio opposto appare, al
contrario, assai più grave, in pratica. In effetti, ancora l'esperienza
mostra come una considerazione prevalentemente dogmatica (o, se fosse
possibile, esclusivamente dogmatica) possa tendere ad una mortificazione
grave della realtà storica. L'amore per lo schema, la passione dell'astratto
ragionare, la tendenza a far forza alla materia risultante dall'esperienza e
dai documenti con l'applicazione di categorie cui si attribuisce un valore
metastorico, assoluto, sono altrettante tentazioni gravi, che possono dar
luogo a cecità e apriorismi, a danno della verità storica, prima, e poi anche
a danno della stessa logica.
Diciamo a danno della stessa logica, giacche è facile vedere come tutti gli
schemi logici che si è soliti applicare alla fenomenologia giuridica sono, a
buon conto, elaborati per astrazione sulla base di dati ricavati
dall'esperienza storica, sicchè sono anch'essi - sebbene in modo diverso e
riflesso - dato storico. Sopravvalutarli, in conseguenza, ed assolutizzarli,
come purtroppo avviene di continuo, equivale a servirsi con piena fiducia, e
a ritenerli assoluti, di valori, che per natura loro sono legati a dati che
possono ben essere superati proprio nel momento in cui - per una specie di
vischiosità degli schemi - si continua ad adoperare i valori che ne son
derivati.
La logica ferrea che si vuol basare su strumenti di tal fatta è, quindi, una
logica sbagliata, come quella che rifiuti di prender coscienza della pur
innegabile relatività delle sue premesse.
Nel servirci, quindi, di qualunque concetto, categoria o costruzione
giuridica, tutte le volte che appaia necessario farlo, per la sistemazione
dei dati interessanti lo studio giuridico, è indispensabile tenerne presente
la natura di comodo e relativa, la storia particolare, ed inoltre il rischio
continuo di ipostasi.
Come e quanto, in pratica, un tale atteggiamento di cautela sia possibile è
difficile precisare in generale; ne potrebbe apparire utile, se pur
possibile, una valutazione, a questa luce, delle correnti dominanti
nell'odierna letteratura giuridica. Meno difficile, ma parimenti inutile in
questa sede, sarebbe l'attardarsi nell'analisi delle tappe - spesso
aspramente polemiche, sempre fruttuose - attraverso le quali si è pervenuti,
in linea di massima, a quella persuasione della necessità d'una
considerazione assai cauta e attenta delle prospettive dogmatiche intese nel
loro giusto valore storico. Del resto, il relativo processo di chiarificazione
si può ormai ben considerare compiuto, e le esasperazioni in senso
unilaterale - cui o particolari temperamenti e formazioni intellettuali, o
passionali prese di posizioni hanno dato, e talora ancor dànno, non lodevole
occasione si possono, sostanzialmente, ben considerare superate (1). Meglio è, piuttosto, constatare come
esistano, non poche ormai, ricerche particolari, le quali si possono, a buon
diritto, considerare modelli validi o abbozzi felicissimi dell'accennata,
equilibrata impostazione che non sacrifica indebitamente le ragioni
dell'esperienza né quelle della concettualizzazione.
Ne vi è giurista, credo, sollecito del fondamento stesso del proprio indagare
che non vada spontaneamente, a questo punto, con il pensiero, a quegli
storici del diritto, a quei filosofi del diritto ed a quei cultori del
diritto positivo vigente cui la nostra scienza è debitrice di queste
acquisizioni. Naturalmente, tra gli scritti cui alludiamo un posto
particolarmente degno occupano i contributi degli storici del diritto a
quella che si può a ragione chiamare la storia della dogmatica giuridica:
quell'atteggiamento, cioè, della storia giuridica che si volge
particolarmente al difficile compito di stabilire gli antecedenti remoti,
meno remoti e recenti dei concetti generali con cui operano i giuristi
contemporanei.
3. Le ricerche sulla storia della dogmatica giuridica son state
particolarmente feconde, di recente, nel settore del c.d. diritto soggettivo (2).
Anche questa categoria dogmatica - cosi centrale nella speculazione
giuridica, e cosi, in essa, strettamente connessa a tanti altri temi
fondamentali (diritto oggettivo, ad esempio, soggetto di diritto, azione,
successione, negozio giuridico, e via dicendo) - si è venuta sempre meglio
chiarendo come strumento logico, elaborato in tempi abbastanza recenti, sotto
l'influsso di determinati fattori storici.
Più che riecheggiare, qui, anche di volo, i risultati di coloro che hanno
dedicato al tema dotti ed acutissimi saggi, vorrei invece, sulla loro
medesima traccia, cogliere un aspetto non privo di interesse nella storia
della nozione di diritto soggettivo, nella speranza che ne possano derivare
ulteriori considerazioni utilizzabili da parte di chi - anche, e specialmente
- nell'ambito del diritto vigente, si trova ad operare di continuo con quella
nozione.
Le più antiche intuizioni di cui abbiamo notizia, in ordine ad una precisa
presa di coscienza da parte dei giuristi rispetto all'esistenza di ciò che si
dice diritto soggettivo, sono unanimi nel rilevare, come nucleo concettuale
di questa categoria, un valore di potere, di facoltà, di
libertà, di interesse, di disponibilità, e via
dicendo: in sostanza, un valore di vantaggio per il titolare del diritto
soggettivo stesso. Escogitata, poi, la categoria di rapporto giuridico, fu
unanime e spontaneo coordinare ad essa la nozione di diritto soggettivo,
intendendo quest'ultimo come il lato attivo, di favore per dir così, del
rapporto.
Tali intuizioni, in sostanza, si mantengono, immutate, anche nell'odierna
speculazione quale che sia la sfumatura che, poi, ciascun autore è venuto
fornendo per precisare la sua nozione di diritto soggettivo; e costituiscono,
tra le tante divergenze che, al riguardo, dividono la dottrina, un punto,
l'unico punto, fermo. Cosi, il diritto soggettivo, per tutti - e, per quanto
sembri paradossale, anche per coloro che ne hanno negato la sussistenza o
l'ammissibilità - è una attribuzione positiva d'un soggetto garantita
dall'ordinamento giuridico.
E pure un siffatto modo di intendere, alla radice, il diritto soggettivo -
per naturale che appaia ormai a tutti noi, che siamo stati da secoli abituati
ad una siffatta nozione, e che ad essa abbiamo conformato il nostro linguaggio
tecnico e, quel che più conta, anche il nostro parlare comune - solo che lo
si osservi un istante sotto un profilo meno consueto, presenta almeno una
stranezza.
Questa stranezza - certo altre volte rilevata, ed anzi utilizzata per
costruire categorie diverse - consiste, come è facile intendere, nella non
piena corrispondenza (e convertibilità) che viene a stabilirsi logicamente -
e questa volta « logicamente » si vuol riferire alla logica, per dir così
assoluta, generale, derivante dal comune modo di operare intellettualmente -
tra il diritto soggettivo in tal modo concepito ed il c.d. diritto oggettivo.
La logica vorrebbe, infatti che - come, nelle locuzioni diritto oggettivo e
diritto soggettivo, varia soltanto l'aggettivo, fermo restando, in entrambe,
il sostantivo (diritto) - il diritto soggettivo si concepisse come un quid
del tutto identico al diritto oggettivo nella sostanza e differente da
esso solo nel punto di vista (subiective positum, invece che obiective
positum); sì che dovesse bastare, per dir così, di sommare tutti i
diritti soggettivi esistenti in un determinato momento, in base ad un
determinato ordinamento, per realizzare automaticamente il diritto oggettivo,
cioè l'ordinamento medesimo.
Ora, che - in base alla concezione corrente di diritto soggettivo questa
identità di sostanza tra le due positiones del diritto esista, è da
ammettersi senz'altro, anche tenendo presenti i rilievi, notissimi e da tutti
condivisi, circa la circolarità logica tra il diritto soggettivo e quello
oggettivo, circa la subiettivazione (come è stato detto) del diritto
oggettivo rappresentata dal diritto soggettivo, circa la generalità e
astrattezza del diritto oggettivo e l'individualità e concretezza del diritto
soggettivo, e via dicendo.
Ma questa identità di sostanza - generalmente ammessa - non è, nelle
concezioni odierne, identità di tutta la sostanza. In effetti, al diritto
oggettivo appartengono, in concreto, non solo le attribuzioni positive (i
diritti soggettivi, appunto, secondo le concezioni moderne) dei soggetti, ma
anche le attribuzioni, o meglio le determinazioni negative. Oltre che poteri,
facoltà, libertà, disponibilità, etc., dei soggetti, ineriscono al diritto
oggettivo limiti, doveri, divieti, imposizioni etc. per i soggetti.
Ora, limitandosi all'armonia formale che ha fatto distinguere diritto
oggettivo e diritto soggettivo (come facce d'una medesima medaglia, secondo
quanto usa dire), e seguendo la logica che vorrebbe una piena convertibilità
tra questi due aspetti, si dovrebbe pretendere che anche le determinazioni
negative dei soggetti venissero pleno iure chiamate diritti
soggettivi.
Il fatto che, nelle teoriche correnti in ordine al rapporto giuridico,
all'esigenza logica ora vista si ovvii, formalmente, con l'introduzione della
categoria dogmatica - per vero non molto diffusa di «situazione giuridica
soggettiva», tanto più ampia del vulgato concetto di diritto soggettivo; e,
sostanzialmente, con il rilievo intuitivo, per cui nel concetto stesso di
diritto soggettivo è implicita la considerazione del dovere o dei doveri
corrispondenti a carico di soggetti diversi dal titolare dei diritto
soggettivo medesimo, non modifica l'innegabile non piena corrispondenza
concettuale e terminologica rilevata, tra diritto oggettivo e diritto
soggettivo.
4. I precedenti rilievi - va detto subito - non son proposti affatto per
avanzare minimamente una nuova « definizione » o « nozione » del diritto
soggettivo. Sebbene io sia convinto della maggior logicità d'una nozione più
ampia quale sarebbe quella conseguente ai rilievi or ora fatti - di più:
dell'innegabile convenienza d'una simile, più ampia, nozione ad ordinamenti
diversi da quelli, in un modo o nell'altro, ispirati alla tradizione
romanistica; e particolarmente ad ordinamenti futuri pensabili, nell'ipotesi
di diversa considerazione dei capisaldi che fondano quella tradizione: il
rilievo della persona singola, ad esempio, o il diritto di proprietà privata,
o i canoni dell'ordinamento giudiziario, e via discorrendo - sebbene, dunque,
io sia convinto della maggiore rigorosità logica e delle possibili, future
fortune d'una siffatta, più ampia, nozione di diritto soggettivo, sono il
primo a riconoscere l'impossibilità di applicarla all'attuale sistema della
scienza giuridica.
Se, quindi, ho avanzato il rilievo che precede, è stato solo al fine di
rafforzare le premesse del presente discorso. Cioè, al fine di cogliere un
esempio vistoso della natura relativa e di comodo dei concetti giuridici. Un
ulteriore rilievo permette di cogliere, altresì, particolarmente, la natura
storica di quei medesimi concetti.
Le indagini storiche sul dogma del diritto soggettivo, cui ci riferivamo più
su, hanno messo in luce - ed è questo un merito particolarissimo del Villey e
dell'Orestano - come le formulazioni di quel concetto, emerso a piena
chiarezza e divenuto oggetto di speculazione espressa solo a partire dal XVII
secolo, si sian nutrite di sostanza politica, ed abbiano seguito, con alterne
fortune, le vicende dell'idea che, in modo sommario ed approssimativo, potremmo
chiamare individualista e moderna. All'affermazione crescente del valore
sociale e politico dei singoli, in contrapposto a concezioni « corporative »
e autoritarie, più o meno illuminate, corrisponde, nel campo della scienza
giuridica, un progressivo affinamento (ed una progressiva utilizzazione) del
concetto di diritto soggettivo, inteso come attribuzione positiva dei
singolo.
Decisivo, su entrambi i piani - quello giuridico e quello politico e sociale
- è l'influsso del pensiero giusnaturalistico, e, più tardi, quello
dell'ideologia liberale vera e propria. Sarebbe possibile anche, ma in altra
sede, mostrare come le flessioni e i regressi di quelle idee filosofiche,
politiche e sociali abbian trovato, e trovino ancora, in sede giuridica,
un'eco puntuale, che si esprime subito con avversioni e ritrosie per la
categoria stessa del diritto soggettivo tradizionale.
Tutto questo che, per necessità, così sommariamente s'è accennato, ed altro
ancora che potrebbe soggiungersi dal punto di vista della storia parallela
delle idee e delle strutture economiche e forse da altri ancora, è, comunque,
decisivo per la comprensione della storia del concetto corrente di diritto
soggettivo, sotto il profilo della determinazione delle ragioni del fenomeno.
E decisivo, cioè, per la determinazione delle cause che hanno portato ad
un'intensificata considerazione del fenomeno giuridico dall'angolo visuale
delle situazioni giuridiche subiettive, intese, in particolare, come
situazioni di «vantaggio» del soggetto.
5. Il rilievo che ora vorrei aggiungere tende a spiegare, invece, come - dal
punto di vista formale, esteriore, cioè - la scienza giuridica abbia trovato,
nella tradizione romana, gli appigli tecnici più adatti per costruire quel
concetto di diritto soggettivo inteso come potere, oggi così diffuso.
E notissimo come, nella tradizione romana, non si rinvengano elementi d'una
elaborazione, anche embrionale, delle posizioni giuridiche soggettive sotto
il profilo del «diritto soggettivo». Cè stato addirittura chi ha negato che
mai i Romani abbiano, in tutta la loro storia giuridica, adoperato la parola ius
in senso puramente soggettivo (Villey). Noi, per conto nostro, non
condividiamo questa opinione. Non ci sembra discutibile un ricorrere del
termine ius in senso subiettivo nelle fonti, anche se non isolato
linguisticamente da un piu ampio senso, o valore, attributivo. Ci avviciniamo
alquanto alla posizione accennata ora nell'affermazione dell'utilizzazione
sistematica limitata e relativamente tarda di questa accezione soggettiva.
Essa, per noi, si è operata sulla fine della Repubblica in connessione ad un
processo graduale di autonomizzazione di specifiche situazioni soggettive
(diritti soggettivi, nel senso corrente: diritto di credito, di successione,
diritti reali frazionari) da un'originaria, indifferenziata situazione
soggettiva di prevalenza (meum esse) (3).
Comunque, anche gli autori che si sono opposti tanto alla radicale tesi
dell'assenza, quanto a quella, assai più limitata, or ora accennata, non
hanno mai negato l'inesistenza d'una elaborazione teorica del concetto di
diritto soggettivo, presso i Romani, o l'assenza d'un qualunque compiuto
sistema romano di diritti soggettivi (4).
E diffusissimo, e fondato, invece, il rilievo che i Romani abbiano spesso
operato classificazioni e distinzioni giuridiche sotto il profilo
processuale, dell'actio, cioè.
Or senza voler qui approfondire alcuno dei problemi, assai complessi, che si
possono presentare al riguardo (rapporto tra actio e posizione
giuridica soggettiva; rapporto tra actio ed il diritto soggettivo
inteso nel senso tecnico moderno; rapporto tra actio ed il diritto
oggettivo, ad esempio), appare certo che, nell'ambito della tradizione di studi
derivati dall'esperienza giuridica romana - dal Medioevo, almeno, alla
Pandettistica - la distinzione tra actiones in rem e actiones
in personam ha sempre assunto un'importanza fondamentale.
Come all'assunzione di importanza accennata abbian concorso varii fattori -
ad esempio, l'assoluta preminenza dell'elaborazione del diritto privato
(nell'ambito del quale la distinzione in parola era sorta), sia
nell'esperienza giuridica romana che in quella ad essa ispirata; ovvero,
l'indipendenza relativa della distinzione stessa da particolari forme
processuali, e quindi la sua permanenza anche in sistemi lontanissimi da
quelli, pur varii, romani; ovvero, ancora, la rispondenza del concetto di actio
in rem ad ogni sistema, anche moderno, che, come quello romano, facesse
centro sulla proprietà privata (la prima e la fondamentale delle actiones
in rem, a Roma, è la reivindicatio), e la parallela
adattabilità dell'actio in personam ad un sistema di sviluppate
relazioni obbligatorie, caratteristico delle civiltà sempre più dense di
traffici che si son seguite in Europa dal Medioevo in poi - non mette qui
conto di rilevare in dettaglio.
Quel che, invece, occorre qui rilevare è che il riferimento alla nozione di actio,
con la distinzione tra actio in rem e actio in
personam, ha fornito la base, nell'elaborazione verificatasi appunto, a
partire dal secolo XVII, alla formazione della distinzione capitale tra
diritti soggettivi personali, che, poi - precisata e allargata in quella tra
diritti assoluti e diritti relativi - ha assunto il ruolo di summa divisio
nei moderni sistemi di diritti soggettivi. E, ancor più, che appunto il
riferimento all'actio e alla distinzione tra actio in rem e
actio in personam ha avuto un peso determinante - formalmente - proprio
sulla concezione del diritto soggettivo della scienza giuridica degli.ultimi
secoli.
E facile intendere, in effetti, come il riferimento a quella nozione e a
quella distinzione processuale abbia reso possibile, senza (almeno
apparentemente) soluzione di continuità con la tradizione romana, il sorgere
di un sistema di diritti soggettivi come l'attuale. Infatti, è essenziale,
prima di tutto, intendere come il riferimento all'actio e, in
conseguenza, fondamentalmente, alla distinzione processuale romana abbia
consentito di riassumere in forme tradizionali quelle profonde ragioni - che
già altri ha sapientemente messo in luce e noi stessi, poco più su, abbiamo
richiamato - di ordine politico, sociale ed economico che sollecitavano la
costruzione d'un concetto di diritto soggettivo inteso in funzione del
vantaggio del titolare. D'altra parte, altrettanto essenziale è comprendere
come il riferimento a quelle categorie romane abbia necessitato - cosa che
vale la pena di sottolineare particolarmente - il sorgere ed il tenace
persistere della concezione del diritto soggettivo inteso come potere.
Non occorre ricordare a chi legge le difficoltà logiche - insormontabili ad
onta d'ogni subtilitas - che questa concezione del diritto soggettivo
come potere ha determinato nella scienza giuridica, al contatto con la realtà
della necessaria ammissione di diritti soggettivi in soggetti incapaci di
potere alcunchè (infanti, pazzi, etc.). Queste difficoltà - e quelle più
generali, d'ordine logico, già rilevate a proposito della mancata piena
corrispondenza tra il diritto oggettivo ed il diritto soggettivo considerato
solo come attribuzione positiva del soggetto - erano inevitabili, proprio a
cagione della derivazione storica del sistema moderno del diritto soggettivo
dall'antica distinzione romana tra actiones in rem e actiones in
personam.
Che, in sede processuale, in realtà, venisse in considerazione esclusiva il
vantaggio dell'attore, ed il suo potere, è di per se evidente. Altrettanto
evidente è che, stabilitasi artificialmente una corrispondenza piena tra actio
e diritto soggettivo e tra actio in rem e diritto assoluto da un
lato, e actio in personam e diritto relativo, dall'altro, era
inevitabile concepire il diritto soggettivo (assoluto o relativo che fosse)
come un vantaggio e un potere.
Che poi questa costruzione « logica » risultasse profondamente illogica - e
determinasse, per ciò, tutte, o quasi, le difficoltà che ancor oggi si
oppongono ad una pacifica considerazione del sistema dei diritti soggettivi -
appare fatale: la simmetria corretta tra diritto soggettivo e diritto
oggettivo, da un lato, e la realtà quotidiana determinata dai moderni sistemi
di diritto, dall'altro, non son dati che possano piegarsi ad un manchevole
schema. D'altra parte, a sua volta, questo schema appare necessitato dalla
sua storia, che abbiamo indagata sotto il profilo sostanziale della crescente
affermazione - politica, sociale ed economica - del singolo, e sotto il profilo
formale della derivazione espressa da uno schema processuale romano.
Come le precedenti osservazioni giovino a porre in luce diversa in luce
storica, appunto - alcuni gravi problemi che si son dibattuti, anche di
recente, tra i giuristi non storici (e alludo ai notissimi, e pregevolissimi,
lavori italiani, specialmente, di Balladore Pallieri, di Barbero, di Allorio
e altri) appare chiaro. Qui, conformemente alla natura del presente scritto,
sia consentito di non affrontare problemi specifici; e di ribadire soltanto
il convincimento della natura storica di tutti i concetti operativi della
dogmatica giuridica, ed in particolare, per quel che se ne è detto, del
concetto corrente di diritto soggettivo.
Pretendere soluzioni logiche assolute per i connessi problemi equivale a
condannarsi ad un inutile lavoro; e ciò tanto più in quanto - senza pretesa
alcuna di fare il profeta - è assai probabile che gli sviluppi storici della
società in cui viviamo, e a cui è indissolubilmente legato ogni ordinamento
giuridico, e, con esso, ogni dogmatica giuridica, ben presto obbligheranno i
giuristi a modificare in profondità il corrente concetto di diritto
soggettivo, e forse la stessa considerazione, fin qui centralissima delle
posizioni giuridiche soggettive.
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