Pubblicazioni - Annali 2002 |
Alle
origini del sindacato di costituzionalità (Dalla monarchia alla repubblica) |
PremessaUn discorso sullesistenza di
organi e procedimenti miranti ad accertare la legittimità costituzionale di
atti o comportamenti posti in essere dagli organi di uno Stato trova una sua
naturale collocazione nel contesto di unesperienza moderna, caratterizzata,
innanzi tutto, dallesistenza di una Carta o, quanto meno, di una prassi
costituzionale rispetto alle quali valutare la conformità dei singoli
provvedimenti. In
effetti, il problema del sindacato di costituzionalità si è posto,
specificamente, col sorgere del concetto di costituzione quale ordinamento
disciplinante la struttura e lorganizzazione di una comunità politica,
nella variegata molteplicità di rapporti intersoggettivi e di poteri che ne
costituiscono lordito e della connessa nozione di costituzionalismo. Entrambe codeste nozioni
- quanto meno nella loro organica e compiuta formulazione sono
creazione dellesperienza politico costituzionale moderna, e traggono
origine dalle vicende di politica e di pensiero che caratterizzarono
lInghilterra del secolo decimosettimo, trovando la loro conclusione nella
Gloriosa Rivoluzione del 1688-89. Non meno decisivi furono, inoltre,
gli apporti della speculazione filosofico politica francese del
secolo decimottavo e della conseguente esperienza rivoluzionaria, e
linflusso, infine, delle dottrine elaborate dai pensatori politici
nordamericani, matrice della rivoluzione
delle colonie inglesi dAmerica. Le nozioni suddette
presuppongono, innanzi tutto, lorganizzazione di una civitas ossia
di una comunità politica; organizzazione posta in atto attraverso uno
strumento, non solamente
normativo, che sancisca taluni principi ritenuti fondamentali per
lesistenza stessa di siffatta comunità, che disponga listituzione dei poteri e delle strutture organizzative mediante i quali essi
si realizzano e, nel contempo, la loro disciplina, che garantisca le
situazioni giuridiche soggettive dei componenti la comunità politica: uno
strumento, siffatto, che si identifica, per lappunto, in un ordinamento , sancito in unapposita Carta o
risultante da una prassi politica, cui si dà il nome di
costituzione. In particolare, la nozione di costituzionalismo
presuppone una razionalizzazione concettuale dei principi e degli strumenti
che trovano posto nella costituzione, tra i quali, fondamentale, il principio
della separazione dei poteri, di fronte alla riconosciuta esistenza di un
complesso di situazioni giuridiche soggettive la cui titolarità compete a
ciascun componente la comunità politica ancor prima che uti civis, in
quanto uomo, essere dotato di ragione[1].
Situazioni il cui punto dimputazione è, quindi, luomo come tale, che si
identificano nei diritti naturali sanciti solennemente dalle
dichiarazioni del secolo decimottavo, ma anche dalle Chartae delle
libertà e dei diritti di cui si sostanzia lesperienza politico
costituzionale inglese del tardo Medioevo. Codesti diritti naturali che si
concretizzano, in definitiva, nei diritti innati o personalissimi dei moderni
ordinamenti positivi, o anche nelle c.d. libertà fondamentali si pongono
come situazioni giuridiche soggettive preesistenti allo Stato, dal quale sono
riconosciute ma non costituite, e possono bene considerarsi come il
fondamentale prodotto delle dottrine ispirate al liberalismo e al conseguente
avvento dello Stato di diritto in antitesi allo Stato assoluto
( o di polizia ), che aveva caratterizzato il quadro politico
costituzionale durante il Medioevo e agli albori dellEtà moderna. Ciò posto, è nostro
convincimento che anche per letà antica,
e nel contesto di
unindagine volta a ricostruire la storia delle antiche costituzioni, sia
legittimo e metodologicamente corretto porre il problema dellesistenza di
organi e di procedimenti di accertamento della legittimità costituzionale di
atti o di comportamenti statualmente rilevanti, posti in essere dai soggetti
istituzionali nel quadro dellesperienza giuspubblicistica romana, nelle
diverse fasi di cui siffatta esperienza ebbe a sostanziarsi. Porre, in altri
termini, il problema di un costituzionalismo ante litteram, traendo
motivo da una perspicua ricerca condotta da uno studioso inglese in un passato
ormai non più recente[2]. E noto che
unattività nomofilattica veniva esercitata già in Grecia da appositi
organi[3].
A Roma la situazione non è diversa, sebbene sia necessario distinguere, a
nostro avviso, per momenta, tra le varie fasi che hanno contraddistinto
il fluire della storia costituzionale romana. E ciò per il diverso porsi non
solo dellesperienza costituzionale allinterno delle formae civitatis
delle quali si sostanzia la storia costituzionale di Roma, ma anche per la
diversa incidenza dei parametri alla cui stregua valutare loperato dei
singoli soggetti istituzionali, in
relazione alla nozione della giuridicità di un ordinamento, quali che ne
siano i fattori determinanti siffatta giuridicità[4]. Sebbene, come si è or
ora sostenuto, la formulazione e lelaborazione delle nozioni di
costituzione e di costituzionalismo siano il prodotto del pensiero
giuspubblicistico moderno, non può negarsi che siffatte nozioni abbiano
trovato una loro prima sistemazione e un approccio scientifico nel pensiero
politico classico greco-romano: in particolare, nella speculazione filosofico-
politica di Platone e Aristotele e nella riflessione di Cicerone. Nel pensiero platonico
aristotelico la nozione di costituzione si precisa nella descrizione delle
forme di Stato e di governo considerate, a differenza dai moderni, come un unicum.[5]
Peraltro, codesta
nozione non ha un carattere meramente descrittivo sibbene
assiologico e quindi normativo, in quanto che essa ricomprende il
valore del nomos ossia della legge, quale criterio cui riferire
la legittimità del potere e del suo esercizio[6].
Anzi, è, per lappunto, la conformità del potere considerato sotto i
due profili, della titolarità e dellesercizio alla legge ciò che, a
nostro giudizio, consente di discorrere, per lesperienza costituzionale
greca, di un costituzionalismo, sia pure con caratteri e significato diversi
da quelli che la nozione ha assunto in epoca moderna. Daltra parte, la
conformità di cui discorriamo è alla radice della teoria platonico
aristotelica della ciclicità delle costituzioni e del loro degenerare in
forme corrotte, nelle quali chi governa siano costoro luno, i pochi, i
molti non persegue il bene comune e linteresse dei governati, ma il
personale interesse. Non diversamente si pone
il problema per lesperienza costituzionale romana, nel cui contesto si
colloca, con valore paradigmatico nei riguardi del pensiero politico
repubblicano, la riflessione ciceroniana. Ciò val quanto dire che
anche per i Romani lesigenza di un sindacato di costituzionalità delle
leggi e degli atti statualmente rilevanti sia stata avvertita a iniziare dalla
Repubblica, come forma civitatis succeduta al regnum. Tuttavia, è nostro
convincimento che anche riguardo al regnum si possa discorrere di
unesigenza costituzionalistica e di un controllo della conformità dei
poteri e del loro esercizio a modelli in qualche modo prestabiliti. Non
diversamente è legittimo discorrere di un costituzionalismo rispetto alle
esperienze politico costituzionali del Principato e del Dominato. Per quanto attiene, in
particolare, al sindacato di costituzionalità, questo, pur dovendosi
considerare, come si è detto, un prodotto della moderna problematica
costituzionale, risponde a unesigenza antica[8].
Gli strumenti alluopo
realizzati o semplicemente concepiti risalgono alletà moderna[9],
ma già nellesperienza giuspubblicistica greco-romana il problema venne posto e risolto con listituzione di
soggetti istituzionali cui era, tra gli altri compiti, demandata la funzione
di un controllo della legittimità degli atti e dei comportamenti statualmente
rilevanti. Per quel che riguarda
letà moderna, il problema del sindacato costituzionale è stato fortemente
condizionato dal modo in cui il pensiero politico e lesperienza storica
vennero a rappresentarsi la nozione di costituzione. Una nozione, codesta, che
coinvolgeva, a sua volta, la soluzione del problema della sovranità,
scomposto nei suoi due profili della titolarità e dellesercizio.
La concezione monista
della costituzione, propria delle monarchie del secolo decimonono, attribuendo
la sovranità nella titolarità e nellesercizio al re sovrano,
escludeva di per sé la possibilità, anche a
livello teorico, di un sindacato di costituzionalità rimesso a
soggetti costituzionali specificamente creati alluopo. E, daltra parte, la
situazione non mutò con lavvento del liberalismo e della penetrazione
delle idee politiche liberali nella tematica costituzionalistica. Il pensiero politico
liberale esaltava il ruolo sovrano del parlamento, quale organo
rappresentativo delle istanze politiche dei cittadini, ruolo che si
manifestava nellesclusiva competenza del parlamento, titolare del potere
costituente, a creare lordinamento costituzionale e a disporne la
revisione, qualora esso non fosse conforme alle istanze della coscienza
sociale. Siffatta concezione, che
si riannodava, in qualche modo, alla teoria totalitaria russeauiana del popolo
sovrano, identificava, comè noto, nella legge espressione della
sovranità del parlamento o, secondo Rousseau, del popolo come totalità dei
cittadini il solo strumento con cui rendere costituzionale ciò che
contrastasse con la costituzione[10].
Ciò non escludeva, daltronde, che lesigenza di una giustizia
costituzionale autonoma, anche sul piano concettuale, fosse oggetto del
dibattito politico sviluppatosi in Francia, ai tempi della rivoluzione[11]. Ma
è nel nostro secolo appena trascorso che il problema del controllo di
costituzionalità si è posto e risolto organicamente, con particolare riguardo alle
esigenze degli Stati federali, sul precedente storico dellesperienza
costituzionale degli Stati Uniti dAmerica. Non è un caso che « il primo
organico esperimento di giustizia costituzionale aperto al controllo di
costituzionalità sulle leggi » [12]sia
stato quello realizzato nella costituzione austriaca del 1920. Lavvento
delle costituzioni pluraliste, caratterizzate dallingresso dei partiti
sulla scena costituzionale e dalla conseguente apertura delle carte
costituzionali a principi programmatici ispirati alle diverse ideologie, ha,
poi, contribuito al diffondersi di organismi imparziali cui delegare il
delicato ruolo del sindacato di costituzionalità. In
Italia, comè noto, listituzione della Corte Costituzionale non è
avvenuta in modo, per così dire, indolore. Il
controllo di costituzionalità che presuppone, in effetti, unattività
interpretativa del dettato costituzionale ai fini della sua attuazione, fu
oggetto di un acceso dibattito politico, in sede di Assemblea Costituente, nel
quale tornarono a manifestarsi problematiche e tendenze apparentemente sopite
durante lesperienza fascista. Problematiche e tendenze che riecheggiavano
antiche idee sulla sovranità del popolo realizzantesi attraverso il
parlamento e il primato della legge, intesa anche come strumento di revisione
e di attuazione della costituzione, e che crearono notevoli resistenze
riguardo alla determinazione delle attribuzioni della Corte. Lesigenza
maggiormente avvertita dai nostri costituenti del 47 era di evitare che,
nel contrasto tra Corte e potere legislativo, la prima potesse condizionare e
sminuire la sovranità del legislatore, assumendo un ruolo politico tale da
pregiudicarne limparzialità e, nel contempo, da consentirle di usurpare
funzioni proprie, in linea di principio, di altri soggetti istituzionali[13].
Per quanto riguarda
lesperienza giuspubblicistica romana, se prescindiamo dalla fase monarchica
in cui il sindacato costituzionale è rimesso, fondamentalmente, al re, e
si configura, come vedremo, con connotazioni affatto specifiche è durante
la successiva Repubblica che siffatto sindacato assume i caratteri che, in
certa misura, lo assimilano al moderno controllo di costituzionalità. Esso viene, infatti,
esercitato, fondamentalmente, da due dei soggetti istituzionali che
costituiscono lordinamento repubblicano lassemblea centuriata e il
senato i quali, pur
partecipando della sovranità dello Stato, manifestano in questo modo una loro
propria sovranità. Ma è giunto, a questo
punto, il tempo di addentrarci nella ricerca, iniziando col porre il nostro
problema in relazione alla prima delle formae civitatis assunte
dalla comunità politica romana, il regnum.
Cap.ICostituzione e sindacato di costituzionalità nel Regnum
1.- La costituzione regia e il potere costituente del re.
Nella concezione dei
Romani lordinamento costituzionale del regnum viene istituito, in
una con la fondazione di Roma, dal suo leggendario eponimo, Romolo. Nel
medesimo tempo in cui provvede allimpianto territoriale della città,
Romolo dat iura ossia crea le strutture organizzative e gli
ordinamenti della primitiva comunità politica. Sin dalle origini due
sono gli elementi strutturali sui quali poggia la costituzione romulea: il
ritus e la lex. Lo attesta espressamente
Livio, là dove narra ( 1.8.1 ), che Romolo «rebus divinis r i t e
perpetratis vocataque ad concilium multitudine, quae coalescere in populi
unius corpus nulla re praeterquam l e g i b u s poterat, iura dedit ». Nel pensiero politico
romano Romolo si pone, quindi, come lipostasi del potere costituente. Egli
è il padre della
costituzione , se è lecito servirci della locuzione usata da Kelsen. Romolo, peraltro, non
procede di suo pieno arbitrio, ma è vincolato, nella sua opera, dal volere
divino, manifestato attraverso gli auspicia, segni tangibili, questi
ultimi, dellautodeterminazione degli dei. Nella rappresentazione
che ne offrono gli antichi anche gli auspicia sono opera del re: lo
attesta Cicerone ( de re publ., 2.10.17 ), « cum
haec
egregia duo firmamenta rei publicae peperisset, auspicia et senatum,»
e quindi è al re che deve attribuirsi la creazione delle tecniche
mediante le quali sia possibile interpellare gli dei e conoscerne il volere. Pertanto, anche il ritus
è di creazione regia, ovviamente per quel che riguarda i procedimenti e
le tecniche di accertamento delle manifestazioni di volontà degli dei. Non si
trascuri, al riguardo, il fatto che gli antichi pongono nel dovuto risalto la
caratterizzazione augurale del potere regio il rex come optimus
augur intendendo in questo modo sottolineare la preminente attitudine
regia nella conoscenza dei procedimenti e delle tecniche auspicali. Peraltro, il ritus
non si identifica esclusivamente con gli auspicia. Gli
antichi discorrono di mores et instituta maiorum. Studi recenti hanno
identificato i primi con azioni-poteri posti in essere dai singoli; i secondi
con il complesso di siffatti comportamenti che, per la loro tipicizzazione, si
concretizzano in altrettanti modi di vivere sia dei singoli che dei gruppi cui
essi appartengono. Di conseguenza il ritus ossia il complesso dei
comportamenti e delle tecniche rituali costituirebbe la sostanza del primitivo
ordinamento e ciò conformemente al valore semantico originario espresso
dal termine ius la cui connotazione fondamentale sarebbe la
fattualità, e quindi il carattere ontologico, con esclusione della
caratterizzazione deontologica propria della moderna nozione di ordinamento[14].
In altri
termini, i mores, lungi dal concretizzarsi in regole di condotta, si
identificherebbero in comportamenti i quali, a motivo della loro regolarità
rituale vincolerebbero sia i singoli che i gruppi cui riferirsi. Pur
accogliendo, in linea di massima, i risultati cui gli studi suddetti sono
pervenuti, è nostro convincimento che lordinamento regio non possa
risolversi a pura e semplice fattualità[15],
ma, al contrario, si caratterizzi anche per la presenza di norme cui imputare
i comportamenti sia dei singoli che dei gruppi cui riferirli. Già il
concetto stesso di regolarità rituale racchiude, a nostro avviso, la
consapevolezza di un complesso di regole
ossia di norme alla cui stregua valutare i comportamenti e i procedimenti
posti in essere. Ma non
basta. Si è esattamente rilevato che la fattualità del primitivo ordinamento
non esclude ma anzi ricomprende «la
posizione di criteri positivi di guida e di valutazione della condotta sociale
collettiva »[16] cui riferire i
comportamenti dei singoli e dei gruppi, così come le relazioni
intersoggettive allinterno di ciascun gruppo e tra gruppi diversi. Siffatti
criteri, i quali si risolvono, in definitiva, in altrettanti giudizi di
valore, erano rimessi, nelletà che precedette il costituirsi della prima
comunità politica, ai patres, nella loro qualità di capi sovrani dei
gruppi precittadini familiae e gentes e, successivamente
al rex nella sua qualità di supremo capo politico e militare, di sommo
sacerdote, di giudice del gruppo cui era preposto. Daltra
parte, lordinamento regio non appare riducibile unicamente ai mores et
instituta maiorum ossia, in altri termini, al ritus. In effetti,
accanto al ritus si pone la lex ( regia ), ossia la
manifestazione della sovrana autodeterminazione del rex. Infatti,
sebbene gli antichi attestino lesistenza, in epoca regia, di un
procedimento legislativo non dissimile, nella sostanza e nella forma, da
quello proprio delletà repubblicana[17],
sembra assai certo che la legge si concretizzasse, durante il regnum,
in una manifestazione normativa unilaterale della volontà del rex, e
che le testimonianze degli antichi al riguardo siano il prodotto di un
procedimento metodologico assai frequente nei loro tentativi di ricostruzione
storica di eventi assai risalenti: il procedimento dellanticipazione di
istituti e di eventi meno risalenti alle fasi più antiche della storia
costituzionale romana. Daltra
parte, ove si presti fede alle antiche testimonianze, e si ritenga verosimile
che il presentasse le sue proposte di legge al comizio lassemblea
curiata la legge rimane pur sempre un atto diniziativa regia e quindi,
in qualche modo, uno strumento dellopera costituente del re[18].
Se,
quindi, la costituzione monarchica, pur con lapporto personale dei singoli
re, si pone e si evolve sulla base del ritus e della lex, è a
codesti elementi che è necessario fare riferimento se si intenda dare inizio
a un discorso sullesistenza e sulla legittimità, sotto il profilo
metodologico, di un controllo di costituzionalità in epoca regia. 2.- Il
sindacato di costituzionalità in epoca regia: il procedimento. E
opportuno iniziare il nostro discorso sul controllo della legittimità
costituzionale in epoca regia accennando al procedimento mediante il quale
siffatto controllo veniva esercitato. Innanzi
tutto per quanto concerne i soggetti costituzionali cui codesto sindacato era
riservato. Al
riguardo, codesti soggetti si identificavano, secondo il nostro convincimento,
nel re, nei componenti il collegio augurale, e, infine, nei patres del regium
consilium ossia del primitivo senato[19]. Per
quanto riguarda il re è ovvio che essendo questi lesclusivo titolare del
potere costituente e il supremo legislatore della comunità cittadina, il
controllo della legittimità costituzionale dei suoi atti statualmente
rilevanti, così come degli atti e dei comportamenti degli altri soggetti
istituzionali, competesse a lui in prima istanza. Ma non solo per questo. Non si
trascuri, infatti, che il re, per la sua posizione nei riguardi delle divinità
e per il possesso degli auspicia, rivestiva la posizione di custode e,
insieme, di garante della regolarità rituale degli atti, regolarità in cui
si concretizzava è legittimo pensarlo laccertamento della
legittimità costituzionale. In altri
termini, accertare la legittimità costituzionale di un atto o di un
comportamento doveva, di necessità, implicare, in quellepoca, la sua
conformità al ritus se latto, cioè, fosse stato compiuto rite-
e, inoltre, se fosse o meno conforme ai segni
auspicia e auguria mediante i quali gli dei
manifestavano la loro volontà[20]. Non si
trascuri, al riguardo, che la creazione degli auspicia secondo
lopinione degli antichi era da ascriversi al primo rex. Al re
competeva, quindi, linterpretazione primaria, se non esclusiva insieme
col monopolio dei procedimenti e delle tecniche di accertamento della volontà
divina degli auspicia e, congiuntamente con gli augures,
linterpretazione degli auguria ossia dei signa che la divinità
avesse voluto offrire di propria iniziativa. E,
ancora, da ritenere che laccertamento e il conseguente giudizio in ordine
alla regolarità rituale dellatto non si limitasse alla sua conformità
agli auspicia e agli auguria, ma contemplasse anche la sua
conformità ai mores et instituta maiorum. In altri
termini, il controllo di costituzionalità compiuto dal re doveva assumere,
quale termine di riferimento, non solamente l ordinamento
divino, sibbene anche l ordinamento
dei maiores ossia dei soggetti, precisamente i patres, i
cui poteri avevano dato luogo alle strutture organizzative che avevano
preceduto e, nel contempo, determinato la nascita della prima comunità
politica romana. Pertanto,
anche il regium consilium costituito, per lappunto, dai patres
doveva esercitare un controllo sulla regolarità rituale degli atti
compiuti dai soggetti istituzionali della primitiva organizzazione statuale.
Siffatto controllo non avrebbe potuto concretizzarsi in altra forma se non
quella dellauctoritas patrum, sia pure nei contenuti e nei limiti
che codesta funzione assume in epoca regia[21]. Quanto sosteniamo trova,
daltronde, conferma nella testimonianza degli antichi, i quali attestano
che lauctoritas patrum costituiva il necessario complemento del
potere regio[22],
e che la pronuncia dei patres, sulle questioni loro sottoposte dal re,
assicurava la legittimità rituale dellatto da compiere. Per
quanto, infine, riguarda il collegio augurale, il sindacato da questi
esercitato concerneva la conformità degli atti alla volontà divina,
manifestata mediante i signa. Peraltro, il collegio augurale non si
limitava a dichiarare la non conformità alla volontà divina dellatto
preso in esame, ma ne annullava gli effetti. La pronuncia degli auguri era,
quindi, costitutiva di efficacia giuridica non ristretta al ius sacrum ,
sibbene estesa al ius publicum se ci è consentito di valerci di
questa nozione in riferimento alletà monarchica data
la rilevanza degli auguria e degli auspicia in tema di ius
publicum.[23]
In questa prospettiva si colloca il divieto opposto dallaugure Atto Navio a
Tarquinio Prisco di mutare i nomi dei Titienses, dei Rhamnenses,
e dei Luceres, nel quadro delle riforme costituzionali decise da
codesto re:«
nec potuit ( scil.Tarquinius ) Titiensium et Rhamnensium
et Lucerum mutare, cum cuperet, nomina quod auctor ei summa augur gloria Attus
Navius non erat,» ( Cic., de re publ., 2.20. 36; cfr. anche Liv.,
1.36.3 ). Non si trascuri, infine, che anche il sindacato esercitato dagli
auguri costituiva una manifestazione della loro auctoritas, non
diversamente dai patres del regium consilium. E, quindi,
verosimile che il controllo della regolarità rituale dellatto venisse
esercitato anche dai componenti del collegio augurale indipendentemente o, a
seconda delle circostanze, congiuntamente al controllo regio. Daltronde, il
re stesso era, come si è detto, augure; anzi, come attestano gli antichi, optimus
augur ( Cic., de divin., 1.2.3 ).
Cap.IICostituzione e costituzionalismo nellesperienza repubblicana1.- Il problema della costituzione nella Repubblica. Il dato
fondamentale che emerge dalle antiche testimonianze sullordinamento
costituzionale repubblicano è identificabile nellassenza di una
costituzione scritta ossia di un documento tecnico-formale che ponga e
definisca lassetto generale della comunità politica, lorganizzazione
dei poteri istituzionali, le relazioni tra poteri e cittadini, i diritti e i
doveri di questi ultimi. Nel
sistema delle fonti del diritto quale è presentato dalle antiche
testimonianze non vi è traccia di una Charta costituzionale, ma è,
viceversa, la lex ( publica ) che viene menzionata al primo
posto[24]. Daltra
parte, lesistenza, nella lingua dei Romani, del termine constitutio
da cui discende il nostro costituzione
non offre argomento per indurre che ai Romani fosse presente la
nozione di un documento formale. In effetti,
come tra poco vedremo, codesto termine non può considerarsi quale
omologo del nostro, ma assume ben diverso valore e significato. Non vi
è, quindi, traccia, in Roma, di una costituzione in senso formale né di un
sistema di norme costituzionali distinte e sovraordinate rispetto alle norme
poste dalle leges ( publicae ), sistema da cui possa trarsi la
nozione di una gerarchia delle norme quale, viceversa, è dato rilevare nel
dualismo ateniese politéia nomoi. Il fatto
che, nel sistema delle fonti del diritto, la lex occupi il primo posto
conferma, senza possibilità alcuna di dubbio, che essa rivestiva,
nellesperienza giuridica romana, nel contempo i caratteri e la natura della
norma costituzionale e della norma ordinaria, e serviva a soddisfare entrambe
le esigenze: di provvedere, cioè, alla creazione o alla modifica
dellassetto organizzativo dello Stato e, insieme, alla disciplina dei
rapporti intersoggettivi tra i privati[25]. La lex,
peraltro, rivestiva un ruolo costituente , come abbiamo veduto
anche nella precedente forma civitatis, il regnum. Essa era
lo strumento di cui si servirono i reges per dare vita
allorganizzazione della comunità politica: la lex regia si pone,
infatti, quale manifestazione della volontà regia, considerata nella sua
funzione di produzione
dellordinamento costituzionale[26]. Parimenti
è mediante la lex che viene costituito lordinamento costituzionale
repubblicano, la cui vicenda più volte secolare è marcata da talune leges
che costituiscono altrettanti punti di riferimento per la storia
dellorganizzazione della civitas repubblicana[27]. Ammesso
pure che alle origini dellordinamento costituzionale repubblicano vi fosse
una sorta di norma
fondamentale che garantisse la stabilità dellassetto istituzionale,
mediante il divieto di ripristinare il regnum, si rimane pur sempre
nellambito della lex. [28] E,
codesto, un aspetto peculiare dellesperienza costituzionale repubblicana.
Una singolarità che può, forse, spiegarsi alla luce di una caratteristica
specifica della lex: lessere, questa,
una manifestazione
normativa costituente ossia
idonea a produrre ordinamento e, in particolare, ordinamento costituzionale. In
effetti, le leges publicae delle quali abbiamo notizia rivestono, in
larga maggioranza, siffatto carattere, in quanto che pongono in essere
strutture organizzative della civitas o incidono comunque sulla sua
organizzazione. Tradotto
il nostro discorso nei termini dellattuale terminologia costituzionalistica
si può, quindi, legittimamente affermare che ogni lex publica è, in
varia misura, una legge costituzionale[29]. Codesta
singolarità consente di comprendere come mai mancasse, nellesperienza
giuspubblicistica dei Romani, una Carta costituzionale, una costituzione
scritta distinta, anche sotto il profilo formale, dalla legge ordinaria. E,
infatti, la legge lelemento strutturale portante della comunità politica
e, nel contempo, ne è il polo di aggregazione. Un carattere, codesto, che
viene recisamente sostenuto da Cicerone, la cui opinione può considerarsi
paradigmatica rispetto al pensiero giuspubblicistico romano di età
repubblicana[30]. Pertanto,
pur non escludendo che la nozione romana di constitutio assuma, in
genere, una valenza di ordine biologico rappresentando, in concreto, la
struttura per così dire corporea
della comunità politica pur non escludendo il carattere
fattuale dellorganizzazione
costituzionale repubblicana[31], non possiamo non
riconoscere che, quanto meno nella tarda Repubblica se dobbiamo prestare
fede alla testimonianza di Cicerone il pensiero giuspubblicistico romano
abbia posto laccento sulla componente normativa di siffatta organizzazione
e sullincidenza della legge al suo interno[32]. Se,
peraltro, la lex assolve siffatta funzione, ciò avviene, a nostro
giudizio, in quanto che essa non è semplicemente una determinazione
autoritativa emanante da determinati soggetti istituzionali, ma è il prodotto
di un pactum, di una conventio tra costoro, e precisamente tra magistratus,
populus, senatus. La
partecipazione di questi soggetti istituzionali è paritaria, nel senso che
essi si dispongono su di un medesimo piano, nellequilibrio dinamico dei
poteri che, rispettivamente, esprimono e, nel contempo, manifestano, per
lappunto, nella legge: potestas ( ma, forse, meglio si direbbe imperium
) magistratuale, libertas comiziale, auctoritas senatoria. Il
carattere pattizio della lex publica risulta, del resto, bene
lumeggiato dalla definitio che ne dà Cicerone ( de re publ.,
1.32.49 ), secondo cui la lex è civilis societatis vinculum ossia
e in altri termini nullaltro che obligatio, sebbene codesta
definizione ponga in risalto il prodotto della conventio e non il
momento genetico da cui deriva il rapporto obbligatorio come, viceversa,
avviene, con maggiore consapevolezza, nella definitio che ne dà
Papiniano in D.1.3.1. Posta,
quindi, la natura convenzionale della lex, e la sua funzione
costituente nel senso prima precisato si spiega come la
costituzione stessa della civitas, quanto meno per quella parte posta
in essere dalle leges, si ponga come il prodotto storicizzantesi di
altrettante conventiones tra i soggetti istituzionali. E si spiega,
altresì, lefficacia relativa, nel tempo, della lex, nel senso che
essa quanto meno durante la Repubblica non assume la natura e i
caratteri della norma generale e astratta, sibbene la natura e i caratteri
della disciplina dei casi concreti, la cui durevole efficacia nel tempo è
determinata dalla concorde volontà dei soggetti che lhanno posta in
essere. Una volontà che, in ogni momento, per varie cause, può divenire
discorde. Daltra
parte, lidea di un patto
tra le forze politiche e i poteri istituzionali che esse esprimono, concluso
in un determinato momento storico, non è estranea, a nostro giudizio, alla
genesi delle moderne carte costituzionali, specie per quel che attiene al fine
politico che queste carte intendono esprimere e, nel contempo, conseguire, e
intorno al quale si dispongono[33].
La differenza, rispetto allesperienza romana, sta in ciò che codesta
convenzione si è obiettivata, per così dire, cristallizzandosi in un sistema
che, almeno in linea di principio, non viene ritenuto suscettibile di
modificazioni. 2.- Constitutio,
status, forma civitatis: la costituzione nella terminologia degli antichi. Sulla base delle fonti di
cui disponiamo sembra certo che il termine constitutio sia stato usato,
per la prima volta, da Cicerone[34]. Tra gli
scritti ciceroniani più strettamente attinenti allesperienza
costituzionale romana, è nel de re publica che il termine ricorre più
di frequente[35], con una varietà di
significati che ne pongono in risalto sia laspetto dinamico quale
attività volta a disporre e sistemare un insieme di elementi i quali si
correlano e si compongono in un insieme omogeneo sia il profilo statico
dato, per lappunto, dalloggettivarsi di siffatta attività ordinatrice[36].
In questo secondo significato constitutio
esprime la nozione di un assetto istituzionale in cui ordine normativo e
strutture organizzanti e organizzate si fondono in un unicum; ma anche
la nozione di una struttura essenziale e, al contempo, esistenziale della civitas,
il suo modo di essere
in un determinato momento storico. Peraltro,
il modo di essere di una comunità politica non è altra cosa che il suo status:
non a caso si trovano frequentemente usate da Cicerone le locuzioni status
rei publicae status civitatis nel medesimo significato e valore
di constitutio.[37]. In
questa prospettiva il pensiero politico della Repubblica che può
senzaltro identificarsi con la riflessione ciceroniana conferisce alla
nozione di constitutio una chiara connotazione tecnica. Una
connotazione che si rivela nel profilo organizzativo della constitutio,
nel suo porsi quale ordinamento esclusivo
della comunità politica[38],
e che, in definitiva, è alla radice del moderno concetto di costituzione. Dunque, constitutio
come modo di essere, ma
anche come manifestazione sostanziale ed esclusiva di una civitas, di
cui si possa cogliere, in certo senso, laspetto esteriore ossia la
forma [39].
In effetti, dalla terminologia degli antichi appare legittimo indurre
lequazione forma = constitutio, equazione che consente di
comprendere come il mutamento della forma di governo venga configurato come
modificazione della forma civitatis. 3.- La constitutio
come status, modo di essere della comunità politica, e come forma di
Stato e di governo. Si è
pocanzi osservato come la constitutio , colta nel suo profilo
statico, si risolva in uno status civitatis ossia in un modo di essere,
in una situazione istituzionale obiettiva assunta, in un dato momento storico,
dalla comunità politica. E,
quindi, la constitutio che conferisce a una civitas una sua
specifica forma, la quale, al tempo stesso, ne rivela lessenza e la
distingue da ogni altra comunità politica. In
questa prospettiva non sorprende che il pensiero politico repubblicano
consideri la civitas medesima come uno status ( o, ciò che è
lo stesso, una constitutio ),
del populus ossia di quel che, per i Romani, identificava la nozione di
Stato[40]. In
questordine di idee si può bene affermare che la forma della civitas
conferisca al populus una connotazione specifica, la quale si concreta
in una forma di Stato e di governo[41]
in cui lunico, sovrano, titolare del potere sia il populus ossia la
totalità dei cittadini[42]. La
speculazione politica ciceroniana procede, comè noto, dalla tripartizione
aristotelico polibiana delle forme di Stato, che vengono identificate nei tria
genera rerum publicarum: regnum, optimatium dominatus, civitas
popularis.[43] Lidentificazione
della civitas popularis con la terza forma di Stato la democrazia
si correla alla costruzione concettuale della civitas quale constitutio
populi e, al contempo, ne rende ragione. In questo senso: che la civitas,
nellambito dei tria genera di res publica, costituisce il genus
in cui populo sunt omnia,[44]
e, correlativamente, omnia per populum geruntur.[45] Lidentificazione
della civitas ( popularis ) con la democrazia viene, daltra
parte, confermata dallulteriore configurazione della civitas quale iuris
societas, una forma di Stato e di governo nella quale pari sono la
situazione giuridica e la titolarità dei diritti dei cittadini, nella sfera
pubblicistica e in quella privatistica[46]. Parimenti,
la configurazione del regnum e delloptimatium dominatus con
altrettali status di una comunità politica rende, a nostro giudizio,
legittima lidentificazione della nozione di status modo di essere
con la forma di Stato governo, e, in definitiva, con l ordinamento politico-istituzionale
della comunità medesima. Nel
pensiero giuspubblicistico tardo-repubblicano regnum, optimatium
dominatus, civitas popularis si identificano, peraltro, con
altrettanti status rei publicae. E,
quindi, da ritenere che la nozione di res publica non esprima una
specifica forma di Stato e di governo. E
vero che Cicerone identifica, nella sua celeberrima definizione, la res
publica con la res populi, ma è altresì vero che anche il regnum,
come si è testé detto, viene considerato come una forma ( status
) di res publica. E, di certo, il regnum non può considerarsi
una res populi, bensì una sua res del re. Non si
trascuri, infatti, che il regnum implica, secondo Cicerone, una servitus
ossia lesatto contrario della libertas, anche se la servitus
generata dal regnum è una servitus iusta, conforme alla
regolarità rituale, laddove la servitus generata dalla tirannide è
una servitus iniusta, difforme dalla regolarità rituale. Di
conseguenza, il concetto moderno di repubblica
non può farsi derivare dal concetto romano - anche se talune
oscillazioni negli impieghi ciceroniani del termine e della corrispondente
nozione possano generare, talvolta, perplessità al riguardo - e non esprime,
a nostro giudizio, l'idea di una forma di Stato opposta alla
monarchia [47]. 4.- La
costituzione come prassi politica, come tradizione, come esperienza. Altre
connotazioni della costituzione romana sono ravvisabili in talune sue
manifestazioni, in ordine alle quali essa si pone, al contempo, come prassi
politico-istituzionale, tradizione, esperienza. Codeste
manifestazioni si colgono, a nostro giudizio, nellaffermazione con cui
Cicerone dà inizio alla trattazione del secondo libro del de re publica,
e precisamente là dove sostiene il primato della civitas romana sulle
altre civitates, per la ragione che
« nostra
res publica non unius esset ingenio, sed multorum, nec una
hominis vita, sed aliquot constituta saeculis et aetatibus.».[48] Lorganizzazione
costituzionale della comunità politica romana, a differenza delle comunità
straniere, non scaturisce, quindi, dallattività costituente di un
legislatore, in un determinato
momento storico, sibbene da un
complesso di apporti che si sono manifestati nel corso della storia , più
volte secolare, della Repubblica. Codesti
apporti provengono da varie fonti e da diversi soggetti dotati di potere
costituente: innanzi tutto dai mores et instituta maiorum ossia dai
comportamenti rituali riconducibili
ai patres e ai loro rapporti intersoggettivi; dalle leges ossia
dalle manifestazioni di volontà normativa del populus Romanus; da quei
fatti e comportamenti non necessariamente costanti o legittimi che, con
terminologia mutuata dalla moderna dottrina costituzionalistica, possiamo
definire come consuetudini ( ma anche convenzioni ) costituzionali[49];
dalle interpretazioni e dalle riflessioni dei giuristi in ordine a codesto
complesso di fenomeni[50];
dalla dialettica cui danno vita le forze politiche e i poteri istituzionali di
cui si intesse lordito della civitas. In
questa prospettiva la costituzione romana repubblicana si pone sia pure
limitatamente a talune sue connotazioni come prassi. Una prassi che si
inserisce nel contesto di una tradizione che essa medesima concorre a formare.
Una prassi che appare profondamente connessa al tessuto dellesperienza
culturale, prima ancora che politica, dei Romani, in quanto determinata e, al
tempo stesso, condizionata dalla loro concezione dello Stato e dal modo di
rappresentarsi la res publica. La
convinzione che la comunità politica ripetesse dagli antichi mores il
suo primo ordinamento
emerge, daltronde, dalla domanda che si pone Cicerone, commentando il verso
enniano «moribus antiquis res stat Romana virisque», e cioè se rimanga
ancora qualcosa delle antiche costumanze che costituivano le fondamenta della res
publica.[51] Questa
convinzione traspare, peraltro, da varie altre testimonianze ciceroniane,
secondo le quali i mores e gli instituta maiorum da una parte,
le leges dallaltra, costituivano lordito della costituzione
repubblicana[52]. In
siffatto ordine di idee si comprendono appieno il significato e il valore che
riveste lexemplum ossia il fatto o il comportamento che si conformi
a un precedente ovvero lo contrasti o lo neghi, sebbene negli exempla
che punteggiano la storia costituzionale della Repubblica siano da ravvisare,
come vedremo, talune convenzioni costituzionali[53]. Mores,
leges, exempla insieme alla
interpretazione e alla riflessione operata dagli antichi in ordine a codesti
fenomeni concorrono a risolvere lordinamento costituzionale romano
nella ben più vasta nozione di esperienza giuridica, e a cogliere, nel
contempo, di siffatto ordinamento, il carattere precipuo che risulta ,
daltronde, ribadito dalla testimonianza ciceroniana ( de re publ.,
2.1.2 ) della sua storicità,
del suo continuo attuarsi nella quotidiana vicenda umana[54]. 5. I
poteri costituenti nellesperienza
costituzionale repubblicana. La
nozione di potere
costituente appartiene, comè noto, al pensiero politico moderno[55].
Essa esprime lattitudine di un soggetto istituzionale sia questi da
identificare con una persona fisica ovvero con un ente collettivo a
produrre ordinamento e, in specie, ordinamento costituzionale. Di
regola il titolare del potere costituente venuta meno, ormai, lepoca
delle monarchie assolute in cui tale potere apparteneva al monarca viene
identificato nel popolo che, direttamente o indirettamente, attraverso suoi
mandatari ad es., unassemblea costituente detta a se stesso talune
regole cui conformarsi, e appresta un complesso di strutture organizzative che
lo costituiscono in una societas civium, in una comunità politica
organizzata, conferendogli, al contempo, una specifica identità[56].
Il
potere costituente non può che emanare da un soggetto sovrano ossia da un
soggetto che non ripeta da altri la propria attitudine a produrre ordinamento,
e che trovi in se stesso il titolo della propria legittimazione. Codesto
potere è, pertanto, la fondamentale, se non esclusiva, manifestazione della
sovranità. Or non
vi è dubbio che lordinamento costituzionale repubblicano scaturisca,
fondamentalmente, dallattitudine costituente di taluni soggetti sovrani,
nel senso pocanzi precisato. Intendiamo riferirci ai magistratus cum
imperio, al senatus, al complesso dei comitia. Magistratus,
senatus, populus inteso, questultimo, nel significato specifico di
insieme dei cives deliberanti nelle assemblee comiziali [57]
costituiscono altrettanti elementi strutturali della civitas, e ne
determinano lordinamento che ciascuno di essi concorre a costituire[58]. Si è
prima osservato che, in assenza di un documento costituzionale redatto in
forma scritta, è alla legge che occorre, in primo luogo, rivolgere la nostra
attenzione, e segnatamente alla lex ( publica ) rogata,
pur non potendosi a priori escludere che talune leggi costituzionali per
avvalerci di una moderna locuzione rivestissero la natura e i caratteri
della lex data, come avvenne, ad esempio, nel caso della lex XII
Tabularum. Posto,
quindi, che la lex ( publica ) sia produttiva di ordinamento
costituzionale, risulta confermato il carattere sovrano dei poteri che
concorrono, rispettivamente, alla sua formazione: imperium , auctoritas,libertas. La lex
si pone, quindi, come manifestazione di sovranità, e ciò in un duplice
significato: come manifestazione della sovranità limitata ci si passi
lespressione propria di ciascuno dei tre poteri costitutivi della civitas;
come manifestazione della sovranità complessiva del populus Romanus,
considerato come sintesi delle tre partes che concorrono a costituirlo,
e a cui i tre cennati poteri appartengono: magistratus, senatus, comitia.[59]
6.- I
caratteri dello status civitatis nella riflessione ciceroniana e le sue
implicazioni in ordine al problema del controllo di costituzionalità. E
necessario, a questo punto, riprendere in esame la testimonianza ciceroniana
sui caratteri della costituzione repubblicana per le implicazioni che ne
derivano riguardo al problema del sindacato costituzionale. Come si
è veduto, nel sostenere la tesi della superiorità della forma civitatis
romana rispetto a quella delle altre civitates, Cicerone traeva
argomento dal procedimento di formazione dellordinamento costituzionale e
dalle conseguenti connotazioni di siffatto ordinamento: de re
publ.,2.1.2:« Is dicere solebat ob
hanc causam praestare nostrae civitatis statum ceteris civitatibus, quod in
illis singuli fuissent fere, qui suam quisque rem publicam constituisset
legibus atque institutis suis, ut Cretum Minos, Lacedaemoniorum Lycurgus
nostra
autem res publica non unius esset ingenio, sed multorum, nec una hominis vita,
sed aliquot constituta saeculis et aetatibus.». Secondo Cicerone, dunque,
lordinamento costituzionale della Repubblica non poteva considerarsi il
prodotto dellattività
costituente di un singolo legislatore, ma sibbene come il risultato di
unattività posta in essere dalle generazioni che si erano succedute, nel
corso della storia, sulla scena politico-costituzionale romana. Siffatto
ordinamento era, quindi, il prodotto delle esigenze culturali, dei conflitti
politici e delle istanze economico-sociali quali si erano venute manifestando
nella coscienza collettiva, attraverso la diuturna vicenda della storia.
Esigenze, conflitti, istanze di cui si alimentava la lotta per il potere, che
si manifestavano sia in singoli e specifici provvedimenti normativi le leges
publicae sia, e ancor più, in una prassi politica caratterizzata dai
comportamenti dei soggetti di diritto pubblico magistrati, senato,
assemblee popolari, e dalle valutazioni che di siffatti comportamenti venivano
compiute dalla collettività. Dalla
testimonianza ciceroniana emergono, a nostro giudizio, due fondamentali
connotazioni della costituzione repubblicana, che bene possono estendersi
alla costituzione romana considerata nelle sue diverse fasi e nei suoi
assetti, quanto meno sino allavvento del Dominato: la sua
fattualità nel
significato che di siffatta nozione è stato, tempo addietro, precisato, e la
sua normatività[60].
Peraltro,
ove si intenda porre il problema dellapplicabilità, alla costituzione
repubblicana, delle nozioni elaborate dalla moderna dogmatica
costituzionalistica al fine di precisare la natura e i caratteri delle moderne
costituzioni, si può legittimamente configurare siffatta costituzione come un
ordinamento storico, aperto, flessibile. E
appena il caso di avvertire che
lambito di applicazione della testimonianza ciceroniana va ristretto alla
costituzione repubblicana e forsanche a quella monarchica. Con
lavvento del Principato, e, via via che si procede verso il Dominato,
lordinamento costituzionale perde sempre più marcatamente il carattere
della fattualità per assumere sempre più decisamente una connotazione
esclusivamente normativa , connessa al valore e allincidenza delle
manifestazioni della volontà del princeps. Daltra
parte, un procedimento di indagine metodologicamente corretto neppure può
considerare la costituzione monarchica o quella repubblicana come ordinamenti
unitari e omogenei, ma deve distinguere i momenta attraverso i quali si
pongono e si evolvono le strutture organizzative e normative della civitas.[61] E,
quindi, per pure finalità descrittive che discorriamo di costituzione
monarchica o repubblicana, laddove sarebbe, invece, più corretto discorrere
di costituzioni monarchiche o di costituzioni repubblicane. Peraltro,
posto che la genesi dellordinamento costituzionale non si esaurisce in un
unico atto né si manifesta in un momento storico determinato, e data
lassenza di un testo normativo formale da cui codesto ordinamento tragga
origine, il problema della legittimità costituzionale di un provvedimento o
di un comportamento assume connotazioni del tutto particolari, ben diverse da
quelle che caratterizzano gli ordinamenti moderni. Inoltre,
riconosciuta la mancanza di un sistema gerarchico che distinguesse tra norme
costituzionali e norme ordinarie, è verosimile che il problema della
legittimità costituzionale dovesse risolversi nella obiettiva conformità di
un singolo fatto alla prassi consolidata o nei giudizi di valore
espressi dalla comunità, considerata nella collettività dei cittadini o in
taluni soggetti istituzionali nei cui poteri rientrasse lesercizio del
controllo di costituzionalità. Si
è, peraltro, rilevato che la
prassi costituzionale repubblicana si concretizzava
in talune regole di condotta o in taluni comportamenti che rivestivano
la natura e i caratteri delle convenzioni e delle consuetudini costituzionali. Gli
antichi discorrevano di exempla, qualificando come nova, perniciosa,
pessima exempla quei fatti o quei comportamenti ( ma anche quelle norme ),
che violavano o contraddicevano manifestamente lordine
costituzionale. Daltra
parte, non sempre lavverarsi di siffatti exempla comportava, di
necessità, una violazione della costituzione, ma si poneva come un fatto
costituente ci si passi la locuzione ossia produttivo di un nuovo
ordine costituzionale. Un fenomeno, codesto, di cui va tenuto conto nel quadro
di unindagine volta ad accertare la natura e i caratteri di un sindacato di
costituzionalità. 7.- I
fenomeni della decostituzionalizzazione
e della rottura della
costituzione alla luce dei
caratteri dellordinamento costituzionale repubblicano. Mediante
la nozione di rotture
della costituzione la dottrina costituzionalistica intende le modifiche
apportate alla costituzione « nelle forme a ciò prescritte, rivolte a
derogare solo per singole fattispecie a determinate norme, le quali pertanto
rimangono in vigore continuando a regolare tutte le altre.»[62]. Si
tratta, quindi, di deroghe che, di solito, non implicano un sovvertimento di
elementi essenziali o non contrastano con le finalità dellordinamento
costituzionale, la cui giustificazione risiede o nellespressa previsione da
parte del testo costituzionale o nelle lacune del medesimo, lacune che possono
evidenziarsi di fronte allemergere di nuove istanze nella coscienza
sociale. Diverso
dalle rotture della costituzione è, viceversa, il fenomeno della cosiddetta
decostituzionalizzazione , che si manifesta in un mutamento
dellordinamento costituzionale dovuto, in genere, a modificazioni tacite
della costituzione. Il
fattore discriminante i due fenomeni risiede, quindi, nellesistenza o meno
di di una specifica previsione da parte del testo costituzionale, sia che essa
si manifesti in norme espressamente dettate dal legislatore costituente sia
che essa sia configurabile al livello di una semplice possibilità. In ogni
caso entrambi i fenomeni presuppongono, di necessità, lesistenza di una
costituzione formale, rigida , data la loro non sicura configurabilità di
fronte a un ordinamento costituzionale caratterizzato dalla flessibilità e
dalla storicità. Per
quanto riguarda lesperienza costituzionale romana della Repubblica, e la
possibilità di configurare, nel suo ambito, i due fenomeni cui si è
accennato, è nostra opinione che soltanto il primo le rotture della
costituzione possa configurarsi, pur con le necessarie cautele, imposte
dallimpiego, in ordine a unesperienza del passato, di categorie e schemi
concettuali formulati per unesperienza del presente. Al
riguardo occorre avere presente la peculiarità dellordinamento
costituzionale romano che non si fonda, come si è detto, su di una
costituzione scritta, ma si viene formando e completando attraverso la prassi
e la legislazione ordinaria. Siffatta
peculiarità esclude che si possa identificare, in ordine alla costituzione
repubblicana, il fenomeno della decostituzionalizzazione, in quanto che lo
strumento usato per introdurre modifiche costituzionali è quasi sempre
individuabile nella legge, sia essa data o rogata, nellopera
riformatrice di magistrature straordinarie per lo più costituenti ad es.
le magistrature istituite con lespressa finalità di rem publicam
constituere e, infine, nelle consuetudini e nelle convenzioni
costituzionali. A ciò si aggiunga lattitudine a
produrre ordinamento insita,
quale sua peculiare caratteristica, nellimperium dei magistrati. Un
potere, siffatto, il cui contenuto non si esaurisce nella sostanza e nelle
connotazioni di eminente carattere militare, ma si manifesta, non meno
essenzialmente, nella potestas constituendi ossia nel potere di emanare
norme organizzative e di comportamento le quali accrescono ininterrottamente
lordinamento[63]. La
prassi, per ciò che la concerne,
non opera, in genere, modifiche, quanto, piuttosto, rotture dellordinamento
costituzionale, attuate mediante lo strumento dellexemplum ossia del
fatto o del comportamento contrario alle leges o ai mores et
instituta maiorum.[64] Taluni
tra siffatti comportamenti si risolvono, in effetti, in altrettali deroghe
dellordinamento esistente; altri, viceversa, in innovazioni le quali
implicano abrogazioni in tutto o in parte dellordinamento vigente. Quali
esempi del primo ordine di deroghe possono essere ricordati due episodi
narrati da Livio, concernenti altrettante contentiones tra i tribuni
plebis e i magistrati patrizi. Il primo
viene narrato in Liv.,
7.17.12-13:« In secundo interregno orta contentio est, quod duo
patricii consules creabantur, intercedentibusque tribunis interrex Fabius
aiebat in duodecim tabulis legem esse, ut, quodcumque postremum populus
iussisset, id ius ratumque esset; iussum populi et suffragia esse. Cum
intercedendo tribuni nihil aliud, quam ut differrent comitia, valuissent, duo
patricii consules creati sunt, C. Sulpicius Peticus tertium M. Valerius
Publicola, eodemque die magistratu inierunt.» ; Il
secondo in Liv.,
9.33. 4-9:« Ap.Claudius censor circumactis decem et octo mensibus, quod
Aemilia lege finitum censurae spatium temporis erat, cum C. Plautius collega
eius magistratu se abdicasset, nulla vi compelli ut abdicaret potuit. P.
Sempronius erat tribunus plebis, qui finiendae censurae intra legitimum tempus
actionem susceperat, non popularem magis quam iustam nec in vulgus quam optimo
cuique gratiorem. Is cum identidem legem Aemiliam recitaret auctoremque eius
Mam. Aemilium dictatorem laudibus ferret, qui quinquennalem ante censuram et
longinquitate potestatem dominantem intra sex mensum et anni coegisset spatium,
Dic agedum inquit, Appi Claudi, quidnam facturus fueris, si eo
tempore quo C. Furius et M. Geganius censores fuerunt censor fuisses.
Negare Appius interrogationem tribuni magno opere ad causam pertinere suam;
nam, etsi tenuerit lex Aemilia eos censores, quorum in magistratu lata esset,
quia post illos censores creatos eam legem populus iussisset, quodque
postremum iussisset id ius ratumque esset, non tamen aut se aut eorum
quemquam qui post eam legem latam creati censores essent, teneri ea lege
potuisse.». Entrambi
i brani che, per migliore comprensione, abbiamo trascritto nellintero
contesto, attestano linsorgere di due exempla che si risolsero in
altrettali deroghe alla costituzione della civitas. Ambedue le deroghe
concernevano il disposto di leges publicae, le quali, malgrado la
violazione subita, rimasero in vigore e continuarono a produrre i loro
effetti. La prima
deroga che si risolveva nella creatio di due consoli, entrambi
patrizi - costituiva unaperta
violazione della lex Licinia-Sextia de consule plebeio, del 367 a.C.,
la quale, comè noto, aveva disposto la riserva di uno dei due seggi
consolari ai plebei[65].
La
seconda deroga si traduceva in una violazione della lex Aemilia, rogata
dal dittatore M.Mamerco Emilio nel 434 a.C., che limitò, verosimilmente, la
durata della censura a diciotto mesi, apparendo contraria ai mores et
instituta maiorum loriginaria durata quinquennale della magistratura
censoria. Anche in questo
caso si trattava di un exemplum, posto in atto dal censore Appio
Claudio, nel 310 a,C. In verità,
in questultimo caso, la rottura dellordinamento era imputabile a un solo
soggetto, avendo laltro censore, collega di Appio, osservato il disposto
della legge. Peraltro, sotto il profilo formale, il problema si poneva
ugualmente, dato che il comportamento di Appio si poneva in palese contrasto
con la disciplina imposta dalla lex Aemilia. Gli
esempi or ora addotti riguardano le deroghe allordinamento costituzionale. Costituivano,
viceversa, exempla implicanti la rottura della costituzione determinata
da una sua abrogazione, sia pure parziale, i casi del cosiddetto senatus
consultum ultimum, dellabrogatio magistratus, e dellabrogatio
imperii. Per
quanto riguarda il Sc. ultimum, codesto provvedimento deliberato, forse
per la prima volta, dal senato in occasione dei torbidi interni provocati dai
tentativi di riforma dellordinamento costituzionale posti in atto da
Tiberio Gracco nel 132 a,C.,[66]
sospendeva le garanzie costituzionali della intercessio, tribunizia e
magistratuale, e della provocatio ad populum. Sotto il
profilo costituzionale, peraltro, esso si risolveva in unabrogazione
parziale dellordinamento, per quella parte che concerneva, per lappunto,
le garanzie disposte dalle leges sulla provocatio e,
verosimilmente, dalle leges ordinatrici del tribunato della plebe, in
favore del cittadino[67]. In
effetti, le connotazioni del ricorso costante e della stabilità, assunte da
siffatto provvedimento senatorio, inducono a ricorrere, quale criterio di
valutazione, alla nozione di abrogazione, piuttosto che a quella della deroga,
data la sistematica disapplicazione della disciplina legislativa e, insieme,
consuetudinaria, delle garanzie e dei conseguenti limiti allimperium
magistratuale in favore dei singoli cives. Codesta disapplicazione può
assumersi, in effetti, quale indizio dellemergere di un nuovo assetto
costituzionale relativo alla situazione che contraddistingueva, sotto il
profilo del ius publicum e della constitutio rei publicae, il
cittadino che venisse dichiarato formalmente hostis rei publicae. In
ordine allabrogatio magistratus, uno dei pochi casi attestati nelle
fonti è quello della destituzione disposta dal concilio della plebe,ai danni
del tribunus plebis M. Ottavio, collega, di Tiberio Gracco. La
motivazione con cui Tiberio giustificò il gravissimo provvedimento non ne
attenua il carattere di aperta violazione dell'ordine costituzionale[68]. Infine,
per quel che riguarda labrogatio imperii, qualunque ne fosse stato
loriginario campo di applicazione, essa rimaneva un exemplum
di estrema gravità, in quanto che limperium era considerato
come un potere personale del magistrato, non conferito da alcuno, e quindi
sottratto alla competenza elettorale delle assemblee popolari[69].
8.- Il
problema delle modificazioni dellordinamento costituzionale alla luce del
principio Quodcumque postremum populus iussisset id ius ratumque esset
. Abbiamo
or ora veduto come il problema delle modifiche apportate allordinamento
costituzionale assumesse specifiche connotazioni in relazione alle particolari
caratteristiche dellesperienza politico costituzionale romana. Dobbiamo
adesso occuparci di un ulteriore profilo di codesto problema, di fondamentale
rilievo ai fini della sua soluzione. Ci riferiamo allesistenza, nel quadro
dellordinamento costituzionale della Repubblica, di un principio che
sanciva lonnipotenza del potere legislativo del populus. Codesto
principio, attestato nella forma espressa dalla locuzione tecnica
quodcumque postremum populus iussisset id ius ratumque esset
,[70]
risaliva, secondo gli antichi, alla legge delle XII Tavole, ed esprimeva il
sovrano potere del populus Romanus di cassare ogni sua precedente
manifestazione di volontà normativa, in una specifica materia, nel caso in
cui avesse nuovamente deliberato. Esso
esprimeva, in altri termini, la sovrana autodeterminazione del populus
nel significato di ente
collettivo risultante dalla sintesi dei soggetti istituzionali che ne
costituivano la struttura, magistrati, senato, assemblee deliberanti e,
pertanto, la sua illimitata potestas constituendi, la quale giungeva al
punto che esso potesse annullarsi quale soggetto costituzionale sovrano, e
farsi oggetto dellaltrui potere sovrano[71]. Codesto
principio manifestava una
concezione fondamentalmente storicistica e relativistica del diritto, onde
questultimo si poneva come un fenomeno in continua evoluzione, così come
in continua evoluzione era la coscienza sociale dei cittadini. Pertanto, la
legge, al pari delle altre fonti del diritto, non era considerata come un dato
assoluto, cristallizzato e insensibile al mutare dei tempi e delle condizioni
storiche. La sua validità e la sua efficacia erano relative, e, mutando i
tempi e le esigenze della coscienza collettiva del populus, qualunque
legge, anche la più solenne, perdeva la sua forza. La
nostra argomentazione può apparire lapalissiana, ma, a quel che sembra, non
lo fu per i nostri costituenti del 1946,
se si considera che lart.131 del Progetto del vigente testo costituzionale
così recitava: « La forma repubblicana è definitiva per lItalia e non può
essere oggetto di revisione costituzionale », e che, nel testo
definitivo ( art.139 ), pur essendo stato rimossa laffermazione del
carattere definitivo, è rimasta lesclusione della possibilità di una
revisione costituzionale. Un vero monstrum giuridico, inconcepibile per
i Romani[72]. Il
divieto, per noi incomprensibile, di modificare lordinamento preesistente,
sancito in uno dei capita
inseriti nella sanctio di ogni lex rogata, veniva
contestualmente contraddetto e
neutralizzato dal disposto di unaltra clausola, anchessa inserita nella sanctio
delle leges publicae: il caput tralaticium de impunitate,
che disponeva la non imputabilità, in ordine al crimen di fraus
legi, di quanti, magistrati o cittadini, avessero, con le loro azioni o
omissioni, contravvenuto al disposto delle leggi precedenti[73]. Nel
pensiero politico repubblicano la perpetuità della legge è nulla più che
unaspirazione del legislatore, e le clausole che sembrano sancirla non
sopravvivono alla sorte della legge che le contempla[74]. Linnato
pragmatismo dei Romani li poneva al riparo da una concezione dogmatica,
feticistica , del diritto. Essi concepivano lordinamento della civitas
come un fenomeno che veniva evolvendosi secondo levolversi delle istanze di
vario ordine sociale, economico, politico, culturale, religioso via
via che queste istanze venivano manifestandosi nella coscienza sociale. Non
deve, quindi, stupire che il fenomeno delle modifiche dellordinamento
costituzionale, poste in essere sia dalla prassi che dalla legislazione, fosse
assai frequente a Roma, sì da potere essere considerato come una costante
dellesperienza politico-costituzionale dei Romani. In
questa prospettiva, il giudizio di valore espresso sugli exempla cui
abbiamo accennato può considerarsi come indizio dellemersione di una
concezione fondamentalmente normativistica dellordinamento costituzionale.
Non è un puro caso che le testimonianze, al riguardo, appartengano, in
maggioranza, allultimo secolo della Repubblica. In effetti, è in questo
periodo che, specie nel pensiero politico ciceroniano, si può cogliere la
tendenza a enfatizzare il valore e il significato della legge e, nello stesso
tempo, levoluzione che questa presenta nellesperienza giuspubblicistica
repubblicana. In questo senso: che da regola del caso concreto, da semplice precedente , la cui validità ed efficacia sono poste
continuamente in discussione dalla dialettica delle forze politiche e dei
poteri istituzionali, la legge si avvia a divenire la norma gerarchicamente
sovraordinata alle altre fonti del diritto, e ad assumere i caratteri della
generalità e astrattezza che alla legge assegna il moderno pensiero
giuspubblicistico[75].
Non è un caso che la prima sistematica delle fonti del diritto appaia, se non
ci inganniamo, proprio in Cicerone[76],
e che la definizione della lex publica come generale iussum populi
appartenga a un giurista, Ateio Capitone, vissuto tra la fine dellultimo
secolo della Repubblica e gli inizi del Principato[77].
Peraltro, pur enfatizzando, come si è detto, il valore della legge, il
pensiero politico ciceroniano -
da noi assunto, di necessità, come paradigma del pensiero politico
tardo-repubblicano - non riesce a svincolarsi dai condizionamenti imposti
dallesperienza costituzionale repubblicana, in guisa che riesce difficile
determinare se esso descriva uneffettiva realtà costituzionale o non
manifesti, piuttosto, una nobile
aspirazione del filosofo dello Stato, oscillando comè dato cogliere
nelle sue numerose testimonianze tra lessere e il dover essere. Il
princio quodcumque
postremum populus iussisset può
chiarirci la ragione dellassenza di una
costituzione formale nellesperienza giuspubblicistica dei Romani. La lex
publica, in forza di codesto principio, si poneva, in effetti, come
manifestazione della sovrana volontà del populus come corpus di
universi cives e, quindi, escludeva una distinzione e una
discriminazione gerarchica tra norme costituzionali e norme ordinarie. Il
principio in questione riconduceva, in altri termini, il potere costituente,
il potere di revisione e il potere legislativo a un unico soggetto
istituzionale: il populus[78]. 9.- Il
costituzionalismo romano e il
controllo di costituzionalità. Abbiamo
già rilevato come sia la nozione che il termine medesimo di
costituzionalismo non
provengano dallesperienza politico-costituzionale dellantichità
classica, ma siano il prodotto del pensiero politico e dellesperienza
costituzionale delletà moderna[79]. Costituzionalismo è un termine che si connette
a costituzionale
ossia a un qualificativo che esprime, fondamentalmente, la sostanza
delle forme di Stato e di governo caratterizzate dai principi della
separazione dei poteri, delle garanzie dei diritti pubblici soggettivi nei
confronti dei poteri dello Stato, e del conseguente controllo della legittimità
costituzionale degli atti posti in essere dagli organi e dai poteri dello
Stato. In
questa prospettiva il fenomeno del costituzionalismo si correla alle dottrine
del razionalismo settecentesco e del liberalismo ottocentesco le quali, comè
noto, affermavano la titolarità in capo a ogni uomo, in quanto persona ossia
in quanto essere dotato di ragione, di un complesso di diritti innati che
lo si è già detto lo Stato ha il compito di riconoscere e di garantire
attraverso la predisposizione di strumenti idonei, primo fra tutti
lemanazione di una Carta costituzionale. Lesistenza
di una costituzione, formalizzata in un documento scritto cui si riconosceva
una particolare solennità, rispondeva, in effetti alle istanze propugnate
dalle dottrine cui si è accennato, istanze che si manifestavano
nellesigenza del garantismo, secondo cui lorganizzazione stessa dello
Stato assumeva carattere strumentale ai fini della tutela delle libertà
fondamentali del cittadino[80]. Si è già
rilevato come, da un attento esame delle connotazioni assunte
dallesperienza politico-costituzionale di Roma, così come da quella della
Grecia classica, sia parso legittimo e corretto, sotto il profilo
metodologico, discorrere di un costituzionalismo degli antichi, intendendo
condensare, in siffatta nozione, gli elementi speculativi e le concorrenti
vicende politico-costituzionali che, così in Grecia come a Roma,dimostrano il
sorgere e laffermarsi di esigenze non dissimili da quelle che fornirono
materia al sorgere della moderna nozione[81]. E
necessario, tuttavia, distinguere tra lesperienza greca e quella romana, in
quanto che esse si presentano con connotazioni differenti e, in particolare,
per la discriminante costituita relativamente allesperienza greca
dallesistenza di una costituzione scritta e da un sistema gerarchico delle
norme costruito sulla base della distinzione politéia nomoi.[82] Nellesperienza
politico-costituzionale della Grecia classica è dato ritrovare lesistenza
di un concetto di costituzione nei due rispettivi significati di
organizzazione della polis e di testo normativo nel quale erano sanciti
il fine e lideologia di una comunità politica, e, nel contempo, veniva
disciplinata la posizione dei suoi organi e dei suoi poteri. Lesistenza di
una charta, redatta, di solito, da un legislatore costituente più o
meno leggendario, assolveva, infatti, a quelle esigenze di certezza del
diritto e di garantismo che costituiscono la sostanza della moderna nozione di
costituzionalismo. La legge
( nomos ) assumeva una funzione strumentale nel soddisfacimento di
siffatte esigenze. Ciò emerge nettamente da un brano della Politica di
Aristotele che è operae pretium trascrivere integralmente: Arist., Polit.,
4.1.1289 a : « La costituzione è un ordine imposto alla città concernente
il modo di distribuzione delle magistrature, il governo della cittadinanza e
il fine della comunità nel suo complesso e di ciascuno dei suoi membri.Le
leggi, in quanto distinte dalle norme fondamentali della costituzione, hanno
il compito di prescrivere le regole secondo cui i magistrati devono governare
e punire i trasgressori.»[83]. La
consapevolezza dellesistenza di un complesso di principi-guida cui deve
ispirarsi lorganizzazione della polis; lintuizione della
distinzione tra norme costituzionali nelle quali quei principi si
incarnino e norme ordinarie, e della loro relazione gerarchica; la
coscienza che lazione dei poteri statali debba uniformarsi a siffatti
principi come condicio sine qua della sua legittimità consentono, come
si è, pocanzi, affermato, di ritrovare nellesperienza
politico-costituzionale dei Greci taluni dei contenuti essenziali dai quali,
in seguito e nelletà moderna, trarrà alimento la nozione moderna del
costituzionalismo. Per
quanto riguarda Roma la presenza di tematiche costituzionalistiche si rivela,
innanzi tutto, nellesigenza tipica della forma civitatis
repubblicana di premunirsi nei riguardi di una sempre possibile
restaurazione del regnum ossia di una forma di Stato e di governo la
cui connotazione dominante era, nella concezione dei Romani, la servitus.[84] Livio (
2.1.9 ) narra che Giunio Bruto, il capo dei congiurati che avevano rovesciato
la dispotica monarchia etrusca, aveva indotto il popolo a giurare che mai più
avrebbe tollerato che un re regnasse in Roma. Codesto giuramento trovò, di lì
a poco, sanzione legislativa in una delle leges Valeriae dell'anno 509
a.C., che configurava come crimen, punito con la pena della sacratio
capitis et bonorum, l'adfectatio regni ossia il disegno di
ripristinare la forma monarchica di Stato[85].
In codesta legge, che sanciva il carattere definitivo e irrinunciabile della
forma repubblicana della civitas, si ravvisa, a nostro parere, la prima
fondamentale manifestazione del costituzionalismo romano. In
questa prospettiva si collocano, analogamente, le leges in materia di provocatio
ad populum, unicum praesidium libertatis secondo Livio[86],
le quali rispondevano all'esigenza di limitare lassolutismo dellimperium
magistratuale nei confronti del cittadino, sia con limporre al magistrato
di concedere la provocatio al cittadino fatto oggetto della sua coercitio
sia col vietare listituzione di magistrature esenti dal limite della provocatio. Siffatte
leggi, ponendo il cittadino al riparo dall'arbitrario esercizio del ius
coercitionis ad opera del magistrato, rispondevano alle medesime esigenze
che, molti secoli più tardi, avrebbero condotto all'emanazione, in
Inghilterra, dell'Habeas Corpus. D'altra
parte, lesigenza di premunirsi nei riguardi di una pur sempre possibile
restaurazione del regnum riappare nella proposta di legge del tribuno
della plebe C.Terentilio Harsa che
prevedeva listituzione di una magistratura di cinque membri avente la
finalità di regolamentare per legge limperium consolare[87].
Limperium dei consoli avrebbe dovuto, dora in avanti, essere
sottoposto alla definizione e ai limiti della legge, nella quale
sidentificava la sovrana volontà del populus.
A Roma,
nellassenza di una costituzione scritta, è, infatti la legge che risponde
alle esigenze del costituzionalismo. Lo
conferma, daltronde, unincisiva testimonianza ciceroniana, tratta
dallorazione in difesa di Aulo Cluenzio, che possiamo considerare
esemplare, in relazione alle tematiche che animavano il dibattito politico nel
quadro dellesperienza costituzionale repubblicana: Cic.,
pro Cluent. 53.146:« Ut corpora nostra sine mente, sic civitas
sine lege suis partibus, ut nervis ac sanguine et membris, uti non potest. Legum
ministri magistratus, legum interpretes, iudices, legum denique idcirco omnes
servi sumus ut liberi esse possimus.». La legge
è, quindi, lelemento portante delle strutture organizzative che compongono
la civitas. Essa è, nel contempo, lo strumento che realizza e
garantisce la libertas ossia non solo lautodeterminazione del
singolo, ma altresì la sua partecipazione responsabile e attiva alla gestione
della res publica. A patto, però, che ci si disponga a unobbedienza
e a un rispetto assoluti nei confronti della legge, sì che possa configurarsi
una condizione di assoggettamento di tutti, magistrati e cittadini, non
dissimile dalla schiavitù. Una schiavitù nei riguardi della legge. Cicerone
si vale, al riguardo, di una locuzione usata, secoli prima, da Platone, nel
dialogo sulle Leggi, per affermare la necessità logica che il cittadino
obbedisca alla legge nellinteresse comune e, in definitiva, per la salvezza
della polis.[88] La
legge, dunque, caratterizza la forma civitatis repubblicana nei
confronti del regnum. Ciò
traspare nettamente da due testimonianze fornite, rispettivamente da Livio e
dal giurista classico Pomponio. La prima
si segnala per la sua singolarità, poiché scolpisce, sia pure in forma
aneddotica, lantitesi tra regno e Repubblica sulla base, per lappunto,
dellesistenza o meno della legge nel quadro politico-costituzionale: Liv. 2.3.2-4:« Erant in Romana iuventute adulescentes aliquot, nec ii tenui loco orti, quorum in regno libido solutior fuerat, aequales sodalesque adulescentium Tarquiniorum, adsueti more regio vivere. Eam tum aequato iure omnium licentiam quaerentes, libertatem aliorum in suam vertisse servitutem inter se conquerebantur: regem hominem esse a quo impetres ubi ius, ubi iniuria opus sit; esse gratiae locum, esse beneficio , et irasci et ignoscere posse, inter amicum atque inimicum discrimen nosse; leges rem surdam, inexorabilem esse, salubriorem melioremque inopi quam potenti, nihil laxamenti nec veniae habere, si modum excesseris ». Lantitesi è posta tra il re e
la legge, ma è evidente che essa sottende lantitesi tra du forme di Stato,
la monarchica e la repubblicana, caratterizzate da due distinte forme di
normazione: la volontà del re e la legge. La prima
partecipa, per così dire, della condizione umana del re, con cui, in buona
sostanza, sidentifica; la seconda è colta nel suo oggettivarsi nella realtà
del diritto, indipendentemente dalle persone fisiche e dalle volizioni che
labbiano posta in essere. Lastrattezza
e limparzialità della legge si contrappone, quindi, alla concretezza e
alla parzialità della volontà regia, ipostatizzata nella persona fisica del
monarca. Ora, per
tornare al nostro problema, non vi è dubbio che la legge realizzi la completa
parificazione giuridica dei cives, risolvendosi nellabolizione di
ogni privilegio e garantendo, nel contempo, le classi socialmente ed
economicamente più deboli. In altri termini, la legge realizza le condizioni
di una par condicio civium e di certezza del ius che connotano
la nuova forma civitatis, e la distinguono nettamente dalla forma
precedente, nella quale il principale, se non lunico elemento di
valutazione e di guida degli atti e dei comportamenti, individuali e
collettivi, è dato dalla volontà del re. Codeste
condizioni ben possono farsi rientrare nellambito della nozione del
costituzionalismo repubblicano. Esse, daltra parte, emergono nettamente
dalla seconda testimonianza, fornita, come si è detto, da Pomponio, in un
brano del suo Enchiridion: D.
1.2.2.1 ( Pompon. Libro sing. Enchirid. ):« Et quidem initio civitatis
nostrae populus sine lege certa, sine iure certo primum agere instituit
omniaque manu a regibus gubernabantur.». Non
diversamente, nella sostanza, da Livio, anche Pomponio pone unantitesi: da
una parte la lex e il ius;
dallaltra la manus del re. Anche
Pomponio pone in risalto il fisicalismo
dei fatti di produzione normativa per valerci della felice
concettualizzazione dellOrestano in età regia, i quali si concretano e
si risolvono nellassorbente e assoluto potere del rex, che tutto
governa e dal quale tutto dipende. Un concetto, codesto, ribadito da Pomponio,
là dove afferma che « initio civitatis huius constat reges omnem potestatem
habuisse » ( D. 1.2.2.14 ). Lassenza
di certezza del diritto e delle leggi caratterizza, nel convincimento di
Pomponio, la posizione giuridica del cittadino nei confronti del re, di fronte
al quale non stanno cives, soggetti di diritto, bensì schiavi, res.[89]
La
fondazione della res publica, o meglio, della civitas popularis
per usare la locuzione ciceroniana denota, quindi, in antitesi al regnum,
lavvento dello Stato di diritto per valerci, in questo caso, di una
nozione moderna dello Stato fondato sulle leggi. In
effetti, listituzione della magistratura decemvirale aveva per scopo
principale la redazione di un corpo di leggi come risulta dalla titolatura
medesima del decemvirato, legibus scribundis [90]
affinché, osserva Pomponio,« civitas fundaretur le gibus».[91] Posto,
quindi, che il rispetto della legge contraddistingue la forma civitatis repubblicana,
e che nella legge sidentifica il fondamentale criterio di legittimazione
dei comportamenti di tutti i componenti la civitas magistrati e
cittadini e lo stesso principio di legalità, ne deriva che il problema
dellaccertamento della costituzionalità di siffatti comportamenti
- e degli atti che ne derivano si risolve, sia pure non
esclusivamente, nel problema della conformità dei medesimi alla legge[92].
A codesto problema occorre rivolgere, adesso, la nostra attenzione. 10.- Il
sindacato costituzionale come controllo della conformità alle leges degli
atti e dei comportamenti imputabili ai soggetti istituzionali. Opportunità di
distinguere un sindacato improprio e un sindacato proprio ( o tecnico ) di
costituzionalità. Abbiamo
prima veduto come, nei confronti di atti o comportamenti che si ponessero in
contrasto con le leges o con i mores et instituta maiorum gli
antichi discorressero di exempla, nova o mala che
fossero. Luso
di codesto termine esprime, indubbiamente, un giudizio di valore manifestato
dalla comunità politica; un giudizio che, a parer nostro, può bene essere
considerato come il prodotto di una sorta di sindacato costituzionale che
chiameremmo improprio, in quanto esercitato non da soggetti istituzionali tra
le cui attribuzioni rientrasse anche quella del controllo di costituzionalità,
sibbene dalla civitas nel complesso dei suoi componenti. In
effetti, il sindacato in senso proprio sidentifica, a nostro giudizio, con
la funzione lato sensu nomofilattica esercitata dal senato e, in via
subordinata, da altri soggetti istituzionali. In
questa prospettiva va considerato, ad es., il giudizio formulato dai censori
nei riguardi dei retori latini: « Haec nova, quae praeter
consuetudinem ac morem maiorum fiunt, neque placent neque recta videntur».
[93].
Sebbene si sia ravvisata in codesto giudizio una prova della inderogabilità
dei mores, e siffatta inderogabilità sia stata elevata a
principio fondamentale del diritto pubblico [94] romano, sembra che il
giudizio censorio si fosse risolto in una valutazione di ordine morale e,
forse anche, di opportunità politica[95]. Peraltro,
perché possa discorrersi di un sindacato di costituzionalità in senso
proprio, è necessario riferirsi, fondamentalmente, alle leges publicae,
nel senso che è la conformità o la difformità di un atto o di un
comportamento nei confronti delle leges che determina un giudizio di
legittimità costituzionale. Daltronde,
tra gli atti illegittimi, sotto il profilo costituzionale, è compresa,
ovviamente, anche la legge, e la legge comiziale in particolare. La legge, in
effetti, pur concretandosi, come si è detto, in un atto complesso[96],
cui partecipano i tre soggetti istituzionali dellordinamento repubblicano
- magistrati, comizi, senato e pur esprimendo la sovrana
autodeterminazione del populus Romanus, quale sintesi di siffatti
soggetti, avrebbe potuto bene essere affetta da vizi sia formali che
sostanziali[97]. Vedremo,
tra poco, come la testimonianza degli antichi intervenga, al riguardo,
presentandoci una casistica che, quandanche fosse lontana dalla
completezza, ha il pregio di mostrare come il principio decemvirale che
sanciva lonnipotenza della potestas constituendi del populus
incontrasse, in realtà, taluni limiti che questultimo non poteva valicare,
pena la nullità delle sue deliberazioni. Si
è pocanzi accennato allopportunità di distinguere tra un sindacato di
costituzionalità in senso proprio e un sindacato in senso improprio.
Rinviando, per il momento, lesame della prima species di sindacato,
è necessario fermare adesso la nostra attenzione su quei soggetti
istituzionali i quali esercitavano, a nostro avviso, la seconda species
di sindacato. Codesti soggetti si identificano con i magistrati in genere, con
i tribuni della plebe, con taluni collegi sacerdotali quali i collegi dei
pontefici e degli auguri[98].
Cap.IIIIl sindacato di costituzionalità improprio 1.- I magistrati: lesercizio del sindacato improprio di costituzionalità alla luce di taluni principi strutturali della magistratura romana. Per
quanto concerne gli atti e i comportamenti dei magistrati, il problema della
loro incostituzionalità si presenta di non facile soluzione. Una casistica in
questo senso ci condurrebbe ben oltre i limiti della nostra indagine e
sarebbe, forse, impossibile. E' sufficiente, a parer nostro, tenere presenti i
principi che informano la magistratura e, in particolare, quelli della
temporaneità, della responsabilità e della collegialità, per renderci conto
delle specifiche connotazioni che possa assumere il profilo
dellillegittimità costituzionale degli atti e dei comportamenti
magistratuali, e delle particolari modalità cui debba informarsi il relativo
sindacato. La
durata temporanea, in genere annuale, caratterizza, nella costituzione
repubblicana, tutte le magistrature ordinarie, salvo talune eccezioni. Ciò
comportava, come è stato esattamente rilevato[99],
un limite temporale allesercizio del potere da parte del titolare
dellufficio e, nel contempo, lirrevocabilità dellufficio medesimo
nelle ipotesi di vizi da cui fosse affetto o di atti o comportamenti contrari
allordinamento costituzionale. Pertanto,
ove si fosse manifestata lesigenza di rimuovere dallufficio il
magistrato, nelle ipotesi or ora accennate, non si sarebbe potuto procedere
alla sua destituzione, ma sarebbe stato necessario che fosse il magistrato
medesimo a dimettersi, di sua iniziativa. Ciò per il carattere eminentemente
personale del potere magistratuale e nellassenza di una legge di
conferimento del medesimo e di una conseguente istituzionalizzazione[100]. E'
da ritenere, quindi, che nellipotesi di un giudizio di illegittimità
costituzionale emesso nei confronti del magistrato, nellassenza di mezzi di
coazione diretta, sul terreno del ius publicum, tutto fosse rimesso
alla fides.[101]
In ossequio a codesta norma di comportamento - avvertita come cogente ancora
nellepoca di maggior fiore della Repubblica - è assai probabile che il
magistrato abdicasse spontaneamente al suo ufficio. Al
principio della temporaneità è strettamente connesso quello della
responsabilità del magistrato. Siffatto
principio implicava che il magistrato fosse responsabile sia nei riguardi dei
privati cittadini che nei riguardi del populus Romanus, ma codesta
responsabilità diveniva operante solo successivamente alluscita di carica
del magistrato[102]. Per
quanto riguarda il nostro problema è certo che i magistrati erano tenuti, al
momento di entrare in carica, a iurare in leges - un giuramento
sostanzialmente non dissimile dallodierno giuramento, prestato dai membri
del governo, di osservare la Costituzione - così come erano tenuti a giurare,
al momento di rimettere la carica, di avere osservato le leges durante
la gestione del loro ufficio. Ma, verosimilmente, codesta prassi si affermò a
partire dal II sec. a.C.[103]
, e solo da quellepoca acquistò rilevanza giuridica. In effetti, il senato
avrebbe potuto non approvare la relatio presentata dal magistrato
uscente, con la conseguenza che quest'ultimo avrebbe potuto essere sottoposto
a un processo, dapprima, probabilmente, extra ordinem,[104]
e successivamente, una volta affermatosi il sistema delle quaestiones
perpetuae, dinanzi ai tribunali ordinari. Un processo, peraltro, che, pur
risolvendosi in un giudizio sulla legittimità costituzionale degli atti e dei
comportamenti imputabili al magistrato, doveva essere fortemente segnato da
connotazioni di prevalente ordine politico. Per
quanto, infine, riguarda la collegialità, è nostra opinione che il diritto
di opporre intercessio agli atti del magistrato non condivisi dal
collega assolvesse, in certo modo, alla funzione di un provvedimento connesso
a un giudizio di legittimità costituzionale degli atti e dei comportamenti
del magistrato, emesso dal collega. L'effetto era, in questo caso, il blocco
della specifica attività del magistrato con la conseguente sospensione degli
atti posti in essere. Verosimilmente, il criterio vigente era il medesimo che
presiedeva alle normali manifestazioni del ius prohibendi del
magistrato: il criterio espresso nella nota formula par maiorve potestas plus valeto[105]. In
questa prospettiva rientrava non solo il potere di obnuntiatio connesso
all'intervento magistratuale in caso di auspicia sfavorevoli - ma
sibbene il divieto di servare de coelo. Siffatti poteri, miranti a
bloccare lattività dei magistrati dotati di minor potestas,
manifestavano se non proprio un giudizio in senso tecnico, quanto meno una
valutazione discrezionale del magistrato in ordine alla legittimità
costituzionale degli atti compiuti dai magistrati inferiori.
2.-
Il sindacato dei tribuni plebis. Anche
nel caso dei tribuni della plebe si può discorrere di un sindacato di
costituzionalità improprio, ma con le necessarie riserve. Le
connotazioni rivoluzionarie del tribunato della plebe implicavano che i
tribuni potessero non soltanto esercitare il loro ius intercessionis
contro gli abusi degli altri soggetti istituzionali, ma spingere la loro
azione sino alla riforma delle leges e dello stesso mos maiorum.[106] Sarebbe,
forse, legittimo discorrere, in questo caso, di un'attività mirante alla
rottura dell'ordinamento costituzionale ( patrizio ), piuttosto che a
reprimere atti o comportamenti illegittimi. In effetti, la configurazione
della intercessio tribunizia come potere di annullamento - cassazione
dell'atto compiuto dal magistrato non rende, forse, intera ragione della
complessità della sua natura[107]. Peraltro,
posto che il sindacato di costituzionalità ricomprende, come si è detto, il
controllo della conformità degli atti e dei comportamenti dei soggetti di ius
publicum alle leges publicae, non vi è ragione di dubitare che
esso si estendesse alle leges sacratae e ai senatus consulta,
con la conseguente intercessio in caso di violazioni dellordinamento
costituzionale. A
questo riguardo, per quel che si riferisce, in particolare, ai SCC.
giova trascrivere una testimonianza che evidenzia siffatta attività di
controllo della legittimità costituzionale dei senatoconsulti, che ne
dimostra, tra l'altro, il carattere risalente: Val
Max., 2.2.7:« Illud quoque memoria repetendum est, quod tribuni pl. intrare
curiam non licebat, ante valvas autem positis subselliis decreta patrum
attentissima cura examinabant, ut, si qua ex eis improbassent, rata esse non
sinerent. Itaque veteribus sanatus
consultis C littera subscribi solebat, eaque nota significabantur illa
tribunos quoque censuisse.». Nell'ambito
concettuale in cui ci muoviamo non appare
superfluo addurre ancora una testimonianza. Intendiamo riferirci alla lex
( ma, verosimilmente, un plebiscitum ), rogata nel 67 a.C. dal tribuno
della plebe Gaio Publio Cornelio, che sanciva lobbligo, per i pretori, di
attenersi, nell'esercizio della loro iurisdictio, alleditto
pubblicato all'inizio dellanno magistratuale. Si tratta di un brano di Asconio che si rivela, a nostro giudizio, di estremo interesse in quanto che è lunica testimonianza - se non ci inganniamo - che mostri di riferire testualmente parte del disposto della legge: Ascon.,
in Cornel., 1.48.119 ( Stangl ):« Aliam deinde legem Cornelius,
etsi nemo repugnare ausus est, multis tamen invitis tulit, ut praetores ex
edictis suis perpetuis ius dicerent: quae res cunctam gratiam ambitiosis
praetoribus, qui varie ius dicere assueverant, sustulit.». E'
evidente che lintervento del tribuno era dovuto allesigenza di reprimere
labuso di potere dei pretori,
i quali ritenevano perfettamente legittimo non doversi attenere alle promesse
e ai programmi formulati nei loro editti giurisdizionali. Alla radice di
siffatta iniziativa era, quindi, lintento di ricondurre lattività
edittale del pretore nei binari della legittimità e della legalità
costituzionale. 3.-
Il sindacato dei collegi sacerdotali: pontefici e auguri. Anche
taluni collegi sacerdotali e, in particolare, i collegia dei pontifices
e degli augures, esercitavano una sorta di sindacato
costituzionale. La
competenza del collegio pontificale non si limitava alla religio e al ius
sacrum, ma si estendeva alle res profanae, intendendo ricomprese
nel loro ambito sia le res privatae che le res publicae, come
attesta una chiara testimonianza ciceroniana: Cic.,
de har.resp., 7.14 :«
quorum ( scil. pontificum )
auctoritati, fidei, prudentiae maiores nostri sacra religionesque et privatas
et publicas commendarunt.».[108] Ai
pontifices, così come agli augures, competeva, in effetti, il
controllo della regolarità dei riti, della religio, del ius sacrum,
degli auspicia, e le loro pronuncie, in materia, avevano effetto
vincolante nei riguardi dei destinatari. E'
vero che non si trattava di un sindacato avente a specifico oggetto il ius
publicum e le leges, ma abbiamo già prima osservato come, nell'età
più risalente e ancora per molti secoli, sino a quando le sfere del ius e
del fas non assunsero i loro fines e non si compì il processo
di laicizzazione del diritto, ius publicum, ius sacrum, religio
costituissero altrettanti aspetti di una poliedrica esperienza che dalla loro
interazione traeva, per lappunto, fondamento e sostanza[109]. E,
daltra parte, è certo che ancora alla fine della Repubblica e oltre,
nelletà del Principato, il ius sacrum costituiva una delle
componenti strutturali del ius publicum, come non mancò di rilevare la
giurisprudenza delletà dei Severi, attraverso la celeberrima definitio ulpianea: D.1.1.1.2
( Ulp. libro primo inst.):« publicum ius in sacris, in sacerdotibus,
in magistratibus consistit.». Se,
inoltre, si ponga mente allintima compenetrazione degli auspicia nella
complessa problematica del potere, e alla conseguente interazione tra imperium
e auspicium, tra auspicia e auctoritas patrum, tra auspicia
patrum e interregnum, apparirà chiaro come non sia possibile,
altrimenti che sotto il profilo concettuale, operare una netta distinzione tra
siffatti elementi e quelli più specificamente connessi alla sfera
costituzionale. Anzi, se è vero che la nozione antica della constitutio
civitatis è quella di una struttura essenziale come dicemmo e, al
contempo, esistenziale della comunità politica, è chiaro come, neppure sotto
il profilo metodologico sia del tutto legittimo o, quanto meno, opportuno
separare ciò che, viceversa, era connesso, offrendosi a una rappresentazione
unitaria. Per
quanto riguarda gli auguri, che la loro competenza si estendesse anche a
materie di rilevanza costituzionale risulta esplicitamente attestato da
Cicerone: Cic.,
de leg., 2.12.31:« Quid enim maius est, si de iure quaerimus,
quam posse a summis imperiis et summis potestatibus comitiatus et concilia vel
instituta dimittere vel habita rescindere?
quid magnificentius quam posse
decernere, ut magistratus se abdicent consules? quid religiosius quam cum
populo, cum plebe agendi ius aut dare aut non dare? quid? leges
non iure rogatas tollere, ut Titiam decreto collegii, ut Livias
consilio Philippi consulis et auguris? nihil domi, nihil militiae per
magistratus gestum sine eorum auctoritate posse cuiquam probari?». Le
pronuncie del collegio augurale riguardavano la regolarità delle assemblee,
la decadenza dei magistrati dal loro ufficio, la regolarità della procedura
di convocazione dei comitia e dei concilia, la conformità delle
leggi alla costituzione, la legittimità degli atti e dei comportamenti
magistratuali. Per
quanto riguarda, in particolare, le leggi sembra certo se dobbiamo prestar
fede alla testimonianza ciceroniana che la pronuncia degli auguri
producesse leffetto dellabrogazione della legge non iure rogata,
giustapponendosi allanaloga pronuncia del senato. Laccertamento del
vizio che inficiava la legge non si limitava, quindi, a dichiararne la non
conformità alla religio, ma giungeva sino ad annullarne gli effetti,
ponendosi come pronuncia direttamente esecutiva e costitutiva, al contempo, di
effetti giuridici sia sul terreno del ius sacrum che nellambito del ius
publicum.[110]
Cap.IVIl sindacato di costituzionalità in senso proprio: le assemblee popolari e il senato. 1.- Lillegittimità costituzionale delle deliberazioni comiziali e senatorie.
Dalla
testimonianza degli antichi è dato rilevare che un sindacato di
costituzionalità poteva essere esercitato non solo sulle deliberazioni delle
assemblee popolari, leges, sibbene anche sulle deliberazioni del
senato, senatus consulta. Siffatto
sindacato poteva riguardare sia la legittimità che il merito del
provvedimento. Limitando,
per ora, il nostro esame alle
leggi, è opportuno avvertire che, in ordine ai motivi di merito, la casistica
che è dato trarre dalle fonti è varia, e una sua disamina ci condurrebbe ben
oltre i limiti che abbiamo prefissato alla nostra indagine[111]. In
ordine alla legittimità, questa poteva essere rilevata sia sotto il profilo
formale che sotto quello sostanziale. Noi
fermeremo la nostra attenzione unicamente su quei vizi di illegittimità
formale e sostanziale che si rivelano, a nostro giudizio, particolarmente
rilevanti sotto il profilo costituzionale[112]. In
ordine alla forma del provvedimento le fattispecie che richiamano il nostro
interesse riguardano linosservanza dei limiti derivanti dallobnuntiatio,
dal divieto di servare de coelo, dal mancato rispetto degli auspicia,
dalla turbativa dei lavori assembleari in seguito allesercizio della
violenza morale dovuta, in genere, alla presenza di armati[113].
Linosservanza di codesti limiti si concretizzava, comè evidente, in
altrettali vizi del procedimento di formazione della legge o del
senatoconsulto. Per
quanto concerne i limiti derivanti dal divieto di servare de coelo e
dallobnuntiatio, linosservanza era imputabile al magistrato, e
non inficiava unicamente il procedimento legislativo ( o del senatoconsulto ),
ben potendosi estendere come si è detto agli atti di governo e agli
altri comportamenti statualmente rilevanti del magistrato. Codesti
vizi, peraltro, non si profilavano come cause specifiche di invalidazione
dellatto, ma ricadevano nella generica inosservanza dei limiti posti dalla religio
e dagli auspicia. Ad
analoghe considerazioni deve, a nostro giudizio, pervenirsi in ordine alla
fattispecie della rogatio contra auspicia, particolarmente frequente
durante lultimo secolo della Repubblica, in piena crisi delle istituzioni,
tenuto conto del silenzio delle fonti al riguardo. La
turbativa dei lavori delle assemblee popolari si risolveva in una fattispecie
specifica: la legge per vim lata.[114]
In
ordine alla sostanza veniva in considerazione, innanzi tutto, un limite che
definiremmo strutturale
della libera civitas: il divieto di ripristinare il regnum,
mutando, quindi, la forma civitatis. Siffatto
divieto aveva formato loggetto del giuramento imposto da Giunio Bruto ai
congiurati contro i Tarquini; giuramento sanzionato successivamente in
unapposita legge, e precisamente nella lex Valeria del 509 a.C., che
aveva configurato, per lappunto, come crimen, punito con la sacratio
capitis et bonorum, ladfectatio regni ossia il disegno di
mutare, apertamente o surrettiziamente, lassetto istituzionale dello Stato. Si deve
ritenere che codesto divieto fosse avvertito, nella coscienza sociale, come un
limite invalicabile da parte dei soggetti istituzionali, ravvisandosi in esso
la fondamentale garanzia costituzionale dei cittadini. Non
diversamente si poneva un secondo limite, derivante dal divieto di infliggere
pene capitali ai cittadini senza concedere loro il diritto di provocare ad
populum. Siffatto
divieto aveva formato loggetto, per la prima volta, di una lex Valeria,
rogata anchessa nel 509, e, successivamente, era stato ribadito da una
norma delle XII Tavole e da altre deliberazioni popolari, nel corso
dellepoca repubblicana. In
effetti, anche il ius provocandi ad populum costituiva una garanzia
costituzionale del cittadino nei confronti dellassoluto imperium magistratuale.
Una garanzia estesa sino al divieto di istituire magistrature esenti dal
limite della provocatio, disposto da una delle leges Valerio
Orazie del 449 a.C. Un terzo
limite derivava dal divieto di privilegia rogare ossia proporre
disposizioni legislative che riguardassero il singolo cittadino[115].
Anchesso rientrava, a nostro avviso, nellambito delle garanzie
costituzionali, tenuto conto di ciò che il privilegium si risolveva,
in genere, in una disposizione legislativa sfavorevole nei riguardi del
destinatario, e che, inoltre, appariva sfornita del carattere della generalità,
essendo disposta nei confronti di un singolo cittadino[116].
Altri
vizi di legittimità, oltre a quelli cui si è accennato, riguardavano,
rispettivamente: linosservanza del divieto di abrogazione di una legge
regolarmente deliberata[117]
o di una legge preesistente[118];
il mancato rispetto del divieto di cassazione di una specifica legge imposto,
con apposito giuramento, ai senatori[119];
linosservanza, infine, dei limiti al potere legislativo delle assemblee
deliberanti, in materia di ius ( civile ), di ius
sacrosanctum, di leges preesistenti[120]. E
necessario fermare, adesso, la nostra attenzione su codesti vizi. Per
quanto riguarda il mancato rispetto del divieto di abrogazione totale o
parziale di una legge preesistente, detto divieto era disposto in appositi capita
della sanctio. Così, ad es., recitava il caput IV del fragmentum
Tudertinum: « ne
quis hanc rogationem abrogato neve huic rog]ationi abrogato, neve de hac
rogatione derogato [ quod eius contra leges publicas populi Romani ]
senatusve
populi Romani ius[sionem factum non erit. Quod aliter rogatum e[rit in hac
rogatione]
eius h(ac) l(ege) n(ihil) r(ogatur).».[121] A
codesto divieto, che la dottrina considera assoluto, faceva riscontro il
limite, relativo, che sanciva il divieto di abrogazione o deroga per
saturam.[122] La
sanzione, comè dato indurre dal brano testé trascritto, era data dalla
nullità della rogatio presentata in violazione del divieto. Tuttavia,
è da ritenere che codesti limiti non vincolassero in assoluto il potere delle
assemblee deliberanti, le quali ben potevano, in ossequio al principio quodcumque
postremum populus iussisset, cet., approvare rogationes presentate
in contrasto con i cennati limiti. Daltra
parte, nella sanctio di ogni legge figurava anche il c.d. caput
tralaticium de quid impunitate, il quale sanciva
si quid contra alias leges eius legis ergo factum sit, id ne
fraudi esto , scagionando dallipotesi di fraus legi il
comportamento del magistrato che avesse proposto una rogatio in
contrasto con i suddetti limiti, che avesse compiuto atti o tenuto
comportamenti vietati o, infine, che avesse omesso atti o comportamenti
imposti dalle leggi preesistenti[123]. E
nostra convinzione che i limiti di cui discorriamo rivestissero un valore e un
significato meramente politico, e non fossero oggetto di una pronuncia di
illegittimità sotto il profilo del ius publicum. Natura
squisitamente politica rivestiva, in effetti, il divieto di una possibile
invalidazione, da parte delle assemblee o del senato, di una specifica legge.
Codesto limite, a quanto afferma Cicerone, era disposto nella rogatio
Clodia de exilio Ciceronis del 58 a.C., e sanciva
non posse nec per senatum nec per populum infirmari.[124] In ogni
caso, la validità e lefficacia di siffatti limiti era subordinata alla
vigenza della legge che li disponeva, nel senso che, una volta abrogata la
legge, veniva meno anche la sanctio con tutte le sue clausole. Lo
attesta inequivocabilmente Cicerone in un brano di una sua lettera allamico
T.Pomponio Attico, del novembre 58: Cic., ad
Att., 3.23.2: « sed vides numquam esse observatas sanctiones earum legum
quae abrogarentur. nam si id esset, nulla fere abrogari posset; neque enim
ulla est quae non ipsa se saepiat difficultate abrogationis. Sed cum lex
abrogatur, illud ipsum abrogatur quo non eam abrogari oporteat.». In altri
termini, anche se il legislatore tenda a rivestire di eternità quanto abbia
disposto, esso non può vincolare il legislatore futuro, sottovalutando il
fatto che ogni legge è, necessariamente, il prodotto temporum et aetatum.[125] A non
diverse considerazioni possiamo, infine, pervenire in ordine ai limiti
derivanti dal ius ( civile ), e dal ius sacrosanctum. Le
clausole che disponevano siffatti limiti sono, infatti, da intendersi e,
verosimilmente, lo erano nella valutazione che ne esprimevano i Romani
quali clausole autolimitatrici della potestas statuendi del populus.
Esse avrebbero in tanto dispiegato la loro efficacia e mantenuto la loro
validità in quanto e fintanto che il populus avesse inteso osservarle
e avesse, in questo modo, lasciato che esse condizionassero lesercizio
della sua sovrana autodeterminazione[126].
Senza trascurare, inoltre, il fatto che la presenza di codeste clausole induce
a ritenere a contrario che la lex publica potesse incidere anche
sulle materie in ordine alle quali si sanciva il divieto di legiferare, come,
in effetti, avvenne frequentemente nel corso della Repubblica[127]. I vizi
di cui si è discorso potevano, dunque, risolversi in altrettali cause di
invalidazione della lex publica, ma taluni di essi potevano investire
anche le deliberazioni del senato. Lo si evince, infatti, dalla testimonianza
di Cic., Phil.,
12.5.12: « Senatus consulta falsa delata ab eo iudicavimus: num ea vera
possumus iudicare? ». che si
riferisce alla pronuncia di incostituzionalità e alla conseguente cassazione
disposta dal senato in ordine a taluni senatoconsulti emanati su richiesta e
iniziativa di M. Antonio, dopo la morte di Cesare. 2.- Il
sindacato delle assemblee popolari. Alcuni
frammenti dellorazione pronunziata da Cicerone, nel 65 a.C., in difesa del trib.
pl. P. Cornelio, accusato di crimen maiestatis, ci informano in
ordine ai genera di invalidazione di una legge e al relativo
procedimento: Cic., pro
Cornel., 24: « Quattuor omnino genera sunt, iudices, in quibus per
senatum more maiorum statuatur aliquid de legibus. Unum est huiusmodi: placere
legem abrogari; ut Q. Caecilio M. Iunio coss., quae leges rem militarem
impedirent, ut abrogarentur
tertium est de legum obrogationibus, quo de
genere persaepe S.C. fiunt, ut nuper de ipsa lege Calpurnia, quo derogaretur.
quartum: quae lex lata esse dicatur, ea non videri populum teneri; ut L.Marcio
Sex.Iulio coss. De legibus Liviis.».[128] Codesti genera,
cui corrispondono altrettanti interventi del senato in materia di leges,
si concretizzavano, rispettivamente, nellabrogatio, nella obrogatio,
nella solutio legibus, e in un quarto genus, purtroppo andato
perduto nel brano ma che, verosimilmente, doveva identificarsi nella derogatio.[129]
Cicerone
non fornisce la definizione di ciascuno degli interventi menzionati,
limitandosi a lumeggiarli attraverso esempi[130]. Peraltro,
da alcune altre testimonianze apprendiamo che labrogatio si
risolveva in una rimozione totale della legge; la derogatio in una sua
rimozione parziale; lobrogatio in un emendamento al testo
legislativo[131]. Verosimilmente
lorazione pro Cornelio doveva espressamente trattare dei casi in cui
una legge potesse essere abrogata, in tutto o in parte, o anche privata della
sua efficacia, per vizi di legittimità o per motivi di merito. Per
quanto riguarda il soggetto istituzionale competente a esercitare il sindacato
di costituzionalità sulle leggi, la testimonianza ciceroniana induce a
ritenere lesistenza di una competenza specifica del senato a statuere
in materia: si sarebbe trattato, inoltre, di una competenza risalente ( more
naiorum ). Ma non di una competenza esclusiva. Infatti, dal tenore di altre testimonianze ciceroniane emerge che siffatta competenza era di pertinenza, congiuntamente, del senato e del popolo, il quale ultimo la esercitava mediante le deliberazioni legislative delle assemblee comiziali. Così,
ad es., in Cic., de
re publ., 3.22.33:« Huic legi nec obrogari fas est neque derogari aliquid
ex hac licet neque tota abrogari potest, nec vero aut per senatum aut per
populum solvi hac lege possumus, cet.». Altre
volte, viceversa, Cicerone discorre di una competenza esclusiva delle
assemblee popolari; così in De
inv., 2.45.134: «
deinde
indignum esse de lege aliquid derogari aut legem abrogari aut aliqua ex
parte commutari, cum populo cognoscendi et probandi aut improbandi potestas
nulla fiat;».[132] Non si
può, daltra parte, pensare che la competenza esclusiva del senato in
materia si limitasse unicamente ai casi di dispensa dallosservanza della
legge ( solutio legibus ) : lo escludono sia la testimonianza della pro
Cornelio, sopra trascritta, che altre testimonianze ciceroniane[133],
così come linequivocabile affermazione di De
dom.,
27.71: « Senatus, quidem, cuius est gravissimum iudicium de iure legum,
quotienscumque de me consultus esset, totiens eam nullam esse iudicavit.». E,
quindi, assai probabile che, in assenza di norme costituzionali in materia, la
competenza di cui discorriamo avesse subito un processo evolutivo sanzionato
dallaffermarsi di una prassi costituzionale, in questo senso: che dapprima
essa fosse di pertinenza del senato e delle assemblee popolari che la
esercitavano congiuntamente, e che, negli ultimi tempi della Repubblica, fosse
stata avocata a sé, in via esclusiva, dal senato[134].
A queste considerazioni siamo, daltronde, indotti da quanto Asconio
riferisce in altro luogo del suo commento alla pro Cornelio: in
Cornel., 57 ( Stangl 47 ):«
promulgavitque
legem ( scil.Cornelius ), qua auctoritatem senatus minuebat, ne
quis nisi per populum legibus solveretur. quod antiquo quoque iure erat cautum;
itaque in omnibus S.C., quibus aliquem legibus solvi placebat, adici erat
solitum ut de ea re ad populum ferretur: sed paulatim ferri erat desitum,
resque iam in eam consuetudinem venerat, ut postremo ne adiceretur quidem in
senatus consultis de rogatione ad populum ferenda;». Asconio,
quindi, mentre ribadisce che la competenza del senato in materia era
consacrata dalla vetustas antiquo iure ossia da una
prassi costituzionale consolidata al punto da ritenerla materia di ius
publicum iure riferisce che in tutti i senatoconsulti che
disponevano la solutio legibus era consuetudine inserire una clausola
che rinviava la decisione ultima al popolo. Col trascorrere del tempo,
peraltro, codesta prassi era caduta in desuetudine e la clausola veniva
regolarmente omessa. A questo
punto si potrebbe obiettare che Asconio non faparola di abrogazione o di
deroga della legge, sibbene unicamente della solutio. Ma la sua
testimonianza che si inserisce nel contesto dellargumentum dellorazione,
che egli riassume[135]
mira a lumeggiare la personalità del tribuno Cornelio e la sua ostilità
nei riguardi del senato. Ostilità che si era rivolta, in particolare, nei
riguardi degli interventi del senato in materia di dispensa dalle leggi, e
che, alla fine, aveva conseguito qualche risultato. Sappiamo, infatti, dal
medesimo Asconio, che Cornelio, non avendo potuto, per linsuperabile
opposizione del senato e della nobilitas, conseguire lo scopo di
rimettere la solutio legibus alle assemblee popolari, era, tuttavia,
riuscito a fare approvare una rogatio la quale sanciva che, in tema di solutio,
occorresse la presenza di almeno duecento senatori per la validità della
relativa deliberazione, escludendo, nel contempo, la possibilità di intercessio
da parte di quei tribuni che si fossero manifestati in favore del senato
avverso la sua rogatio: Ascon., in
Cornel., 57 ( Stangl 47 ):«
promulgavitque legem, qua auctoritatem
senatus minuebat, ne quis nisi per populum legibus solveretur
tum Cornelius
ita ferre rursus coepit, ne quis in senatu legibus solveretur nisi CC non
minus adfuissent, neve quis, cum quis ita solutus esset, intercederet, cum de
ea re ad populum ferretur.». Asconio
soggiunge che il testo della rogatio, così emendato, era favorevole
allauctoritas senatoria, ma, ciò malgrado, rimase inviso ai
senatori. Lo scopo perseguito da Cornelio come non manca di rilevare
Asconio era quello di minuere auctoritatem senatus ossia di ridurre
il ruolo costituzionale del supremo consesso, specie in tema di sindacato di
costituzionalità. Daltronde, che esistesse una prassi costituzionale consolidata secondo la quale era opportuno che il magistrato coinvolgesse sia le assemblee popolari che il senato, ogni qual volta fosse questione di procedere allinvalidazione di una legge, emerge chiaramente da un altro brano dellorazione: pro
Cornel., frgg. 20;21:«
possum
dicere hominem summa prudentia spectatum, C.Cottam, de suis legibus abrogandis
ipsum ad senatum rettulisset;».[136] ma codesta prassi aveva ceduto,
come abbiamo dianzi visto, a una nuova consuetudine: quella di rimettere
allesclusiva competenza del senato il giudizio sulla costituzionalità
delle leggi. Peraltro,
è da ritenere che il coinvolgimento dei due soggetti istituzionali popolo
e senato sebbene espressamente attestato sia da Cicerone che dal suo
commentatore, in tema di dispensa dallosservanza della legge, intervenisse
anche nei casi di invalidazione o modifica della legge per ragioni di
opportunità politica, come sembra emergere dal brano or ora trascritto. In
effetti, ove si ponga mente a quanto da noi prima sostenuto in merito alla
natura della lex publica lessere questa un atto complesso
risolventesi in una pactio tra magistrato, popolo e senato non deve
sorprendere che i medesimi soggetti istituzionali che avevano concorso alla
confezione della legge intervenissero a invalidarla, emendarla, o a
dispensarne dallosservanza quando ciò si rendesse necessario o opportuno.
Risolvendosi, secondo il nostro convincimento, la lex publica in una
convenzione costituzionale, è indubbio che essa si configurasse come il
prodotto della dialettica politica, che coinvolgeva non solamente i
tradizionali soggetti istituzionali della Repubblica, sibbene anche i tribuni
della plebe, il cui inquadramento tra i magistratus populi Romani,
quanto meno a partire dalla definitiva equiparazione dei plebiscita alle
leges, è fuori dubbio[137]. Posto,
quindi, che, quanto meno sino al III sec.a.C., il sindacato di costituzionalità
veniva esercitato dalle assemblee popolari, sia pure congiuntamente al
magistrato e al senato, è necessario adesso precisare il significato e il
valore che rivestiva, nel quadro dellordinamento costituzionale
repubblicano, il principio quodcumque
postremum populus iussisset id ius ratumque esset.[138] Codesto
principio sembrerebbe, in effetti, opporre uninsormontabile obiezione a
quanto da noi sinora sostenuto. Esso sanciva, infatti, la piena sovranità del
populus nel manifestare, con efficacia normativa, la propria volontà
sia nel presente che per lavvenire, con la conseguenza che il populus
avrebbe potuto revocare o modificare quanto precedentemente disposto, sia per
motivi di legittimità sia per motivi di merito o di opportunità politica,
ove quanto disposto si fosse posto in contrasto con la prassi costituzionale
consolidata o, semplicemente, con la sua
volontà attuale. E,
peraltro, nostra convinzione che il principio in questione non facesse
riferimento al complesso delle assemblee deliberanti, sibbene al populus
come corpus costituito dalle diverse sue componenti costituzionali
ossia, in altri termini, allo Stato romano, e che sancisse, quindi, il
principio della sovrana autodeterminazione dello Stato che, per lappunto,
nelle leges si manifestava. Siffatto
principio presupponeva, daltronde, il sussistere di una dialettica politica
che non avrebbe potuto avere libero corso se non attraverso il permanere di un
equilibrio dinamico tra le partes populi ( magistratus, comitia,
senatus ), le quali, ciascuna nel proprio ambito, si ponevano, nel quadro
dellordinamento repubblicano, quali soggetti sovrani[139].
Un equilibrio il cui tramonto segnò la crisi e la conseguente scomparsa della
Repubblica. Pertanto,
nellassenza di norme scritte al riguardo, la questione dellillegittimità
costituzionale delle leggi, o degli atti statualmente rilevanti, travalicava
spesso i confini del diritto per assumere la natura e i caratteri di un
problema di dialettica politica tra i concorrenti poteri dello Stato. E
da rilevare, a conclusione del nostro discorso sul sindacato esercitato dalle
assemblee popolari, che un tale sindacato aveva luogo già in sede di
emanazione della legge. Intendiamo
riferirci a quelle clausole le quali sancivano, come si è veduto, la nullità
delle deliberazioni comiziali in materia di ius civile, sacrosanctum o
in contrasto con leggi precedenti. Sebbene
leffettiva portata di codeste clausole costituisca un vero e proprio enigma
per lo studioso delle istituzioni romane, a parer nostro la loro efficacia e
la loro validità dovevano essere poste in relazione con la norma questa
effettivamente inderogabile che sanciva la sovrana autodeterminazione del populus,
nel complesso delle sue parti costitutive ossia dello Stato. Ciò
val quanto dire che le clausole di cui discorriamo si ponevano,
verosimilmente, nella concezione che di esse si facevano i Romani, quali
clausole autolimitatrici, come si è detto, della potestà normativa dello
Stato, alla cui sovrana determinazione era rimesso, in definitiva, il loro
vigore. 3.-
Il potere nomofilattico del senato. Sulla
base delle testimonianze prima esaminate possiamo, quindi, affermare che,
allincirca a partire dal III sec. a.C., si venne affermando, nel quadro
dellordinamento costituzionale romano, una esclusiva competenza
nomofilattica del senato. Siffatta
competenza si risolveva nella rescissione delle leges così come delle
deliberazioni senatorie ( senatus consulta ), che si rivelassero in
contrasto con le parti costitutive dellordinamento - mores et instituta
maiorum , ius civile, ius sacrosanctum, leges preesistenti - o che fossero
affette da vizi afferenti al procedimento di formazione. Peraltro,
prima di procedere nella trattazione, intendiamo precisare che lintervento
senatorio in tema di abrogatio, obrogatio, derogatio, solutio dalle leges
e dai senatus consulta incostituzionali, si manifestava attraverso
un iudicium che rivestiva, a nostro giudizio, la natura e i caratteri
di un provvedimento giurisdizionale. I
provvedimenti che il senato emanava nella forma del senatus consultum o,
più esattamente, come tosto vedremo, del decretum, possono, in
effetti, considerarsi come pronunce di giurisdizione costituzionale le quali
non solo dichiaravano lincostituzionalità dellatto sottoposto alla cognitio
senatoria, ma sibbene ne operavano la rimozione dallordinamento[140]. Al
riguardo, è da credere che la cassazione delle leggi e, in genere, dei
provvedimenti incostituzionali, si concretizzasse nella materiale rimozione,
disposta dal senato, delle tabulae in cui erano incisi, dagli alba
- le pareti imbiancate destinate alla pubblicazione dei pubblici documenti -
dal foro, come, con icastica locuzione, attesta Cicerone in Phil.,
12.5.11:«
num figentur rursus eae tabulae quas vos decretis vestris
refixistis?».[141] Un
discorso a parte deve farsi in ordine alla solutio legibus. In
effetti, la dispensa dallosservanza della legge era diretta - come risulta
dalle testimonianze - all'intero populus, ricomprendendo in codesta
nozione non solo i privati cittadini ma anche i magistrati. In
verità, codesta dispensa - per valerci di un termine usuale nel linguaggio
dei giuristi romani - appare, a prima vista, supervacua. Infatti, una
volta che il provvedimento incostituzionale fosse stato rescisso, non perdeva,
per ciò stesso, ogni efficacia? Eppure, come abbiamo veduto, la solutio
rientrava tra le manifestazioni del potere nomofilattico del senato. Non solo,
ma da Cicerone apprendiamo che unespressa solutio, non
necessariamente conseguente a una pronuncia di incostituzionalità, avrebbe
potuto essere disposta dal senato nel contesto di un giudizio di non
imputabilità nei riguardi di coloro - cittadini o magistrati - che si fossero
resi responsabili di comportamenti suscettibili di una sanzione giuridica: così,
ad es., nel caso di diserzione, come emerge da Cic.,
Phil. 5,12,34:« Quapropter
ne multa nobis cotidie decernenda sint,
censeo ut iis qui in exercitu
M. Antoni sunt ne sit ea res fraudi, si ante Kalendas Februarias ab eo
discesserint.».[142] La
motivazione menzionata da Cicerone - ne sit ea res fraudi - richiama
alla nostra attenzione lomologa locuzione presente nel testo del caput
tralaticium de impunitate, una delle clausole disposte nella sanctio di
ogni lex publica - id ei ne fraudi esto - che escludeva
limputabilità, relativamente al crimen di fraus legi, nei
riguardi di chi avesse tenuto un comportamento contrario alla legge, ove
questa avesse disposto in contrasto con leggi precedenti. Per
questo riteniamo, quindi, di dovere precisare che la solutio doveva,
verosimilmente, configurarsi come provvedimento autonomo e non necessariamente
conseguente alla cassazione del provvedimento dichiarato incostituzionale. A
meno di non essere costretti ad ammettere che, malgrado la cassazione, il
provvedimento continuasse a dispiegare la propria efficacia, al punto che si
rendesse necessaria unespressa dispensa dalla sua osservanza da parte dei
destinatari[143]. Vero
questo assunto, ne deriverebbe, quale logica conseguenza, limpossibilità
di ammettere, anche in linea di principio, lesistenza medesima di un
sindacato di costituzionalità; il
che è, peraltro, escluso dalla testimonianza delle fonti. A
nostro giudizio, lunica possibile chiave di lettura, in ordine al problema
della solutio, è data dalla natura dei rispettivi poteri del populus
e del senatus, dal loro fondamento costituzionale. Ponendosi
siffatti poteri come sovrani, e non ripetendo da una Carta costituzionale o da
una legge istitutiva la loro genesi e la loro disciplina, ben poteva darsi
che, nellesercizio della rispettiva sovranità, sia le assemblee popolari
che il senato giungessero al punto di escludere, in determinate ipotesi,
lefficacia dei provvedimenti, in particolare le leggi, nei quali fosse
venuta a manifestarsi la loro sovrana autodeterminazione. Ma
una volta venuto meno lequilibrio dinamico tra codesti poteri e affermatosi
il ruolo egemone del senato, si comprende come quest'ultimo rivendicasse il
diritto di esercitare, con esclusione degli altri soggetti istituzionali, non
solo il giudizio esclusivo sulla legittimità delle leggi e degli altri
provvedimenti statualmente rilevanti, ma giungesse a manifestare la propria
sovranità sino al punto di sostituire al criterio di unobiettiva
legittimità il suo insindacabile apprezzamento. In
ogni caso è fuor di dubbio che il ius statuendi del senato, in materia
di sindacato costituzionale, costituiva una delle principali manifestazioni
del suo potere omnicomprensivo, che ben possiamo definire sovrano. Un potere
che, nella letteratura politica e nel pensiero giuspubblicistico repubblicani,
veniva concepito e rappresentato mediante il ricorso al termine auctoritas,
la cui pregnanza di significati e valori era ben nota ai Romani della
Repubblica[144]. Non a caso, infatti,
Asconio avverte, nel suo commento alla pro Cornelio, lesigenza di
precisare che le rogationes proposte dal tribuno miravano al preciso
scopo di minuere auctoritatem senatus. Il
brano di Asconio attesta, come si è veduto, lesistenza di una funzione
nomofilattica del senato che poneva codesto consesso in una posizione di
preminenza anche in ordine allesercizio del sindacato di costituzionalità. Con
ciò non intendiamo certo aderire alla tesi che rappresenta la posizione del
senato, nei confronti delle assemblee deliberanti, assimilabile a quella
tenuta - nella sfera del diritto privato - dal tutore nei confronti del
pupillo, con la conseguenza che il populus si sarebbe venuto a trovare
nella condizione di unincapacità non solamente di agire, ma sibbene anche
giuridica, sotto il profilo costituzionale[145].
E neppure alla tesi che sostiene la preminenza costituzionale del senato, nei
confronti dei magistrati e dei comizi, configurando una sorta di gerarchia tra
i tre poteri che costituiscono lordinamento repubblicano. Codeste
tesi non rispecchiano, a nostro avviso, la reale esperienza costituzionale
romana, quale è data, del resto, indurre dalla testimonianza delle fonti, sia
giuridiche che letterarie. Le fonti non prospettano lesistenza di un
rapporto gerarchico tra i tre soggetti istituzionali da cui risulta costituita
la civitas né, tanto meno, affermano la preminenza del senato sui
comizi e sui supremi magistrati[146]. Anzi, se dobbiamo
prestar fede alla testimonianza di Cicerone lunica cui, per organicità
e completezza possiamo riferirci, quanto meno per lesperienza
costituzionale tardo-repubblicana - se ne induce tutto il contrario, in questo
senso: che loptimus status civitatis non avrebbe potuto essere
costruito altrimenti che
sullequilibrio dinamico tra i tre soggetti istituzionali dellordinamento
repubblicano e sui loro rispettivi poteri. Un equilibrio che richiama alla
mente lesperienza costituzionale dellInghilterra moderna del Balance
tra i due Trusts: King and Parliament, soggetti sovrani
entrambi. Un equilibrio sottolineato, con indubbia chiarezza, da Cicerone in
un passo del De
re publ.,
2.33.57:« tenetote quod initio id enim dixi, nisi aequabilis haec in
civitate compensatio sit et iuris et officii et muneris, ut et potestatis
satis in magistratibus et auctoritatis in principum consilio et libertatis in
populo sit, non posse hunc incommutabilem rei publicae conservari statum.».[147] E'
vero che, in un altro luogo, un
brano della pro Sestio, Cicerone tributa al senato forse il più
bellelogio che la letteratura romana ci abbia tramandato[148],
ma pur nellintento apologetico che sembra ispirare il suo discorso, egli
non intende spingersi oltre la constatazione del delicatissimo ruolo
costituzionale assolto dal senato quale consilium dei magistrati. Se,
poi, codesto ruolo avesse determinato uneffettiva preminenza del supremo
consesso nella gestione della res publica, sì da farne un soggetto di
governo cui competeva la direzione dello Stato e la determinazione
dellindirizzo politico, questa situazione rientrava nella logica
dellequilibrio dinamico tra i tre poteri della civitas, e nella
conseguente prevalenza fattuale ora delluno ora dell'altro, secondo il
momento storico e le conseguenti vicende della politica. Il
fatto è che ciascuno dei tre soggetti istituzionali - magistratus, comitia,
senatus - non ripeteva, come si è pocanzi osservato, la propria
esistenza da una legge istitutiva né da una Carta costituzionale[149],
ma ciascuno di loro trovava in se stesso e nel suo porsi di fatto le ragioni
del suo fondamento costituzionale e della giustificazione del ruolo esercitato
nel quadro dellordinamento repubblicano, il cui carattere fattuale è
stato, come si è detto, bene a ragione sottolineato[150]. Inoltre,
quale che sia la posizione che si
intenda assumere sul problema
della legittimità costituzionale e del connesso sindacato, nellesperienza
giuspubblicistica repubblicana, è necessario tenere nel giusto conto il
presupposto, per così dire, pregiudiziale del ruolo assunto dalla prassi e
dalle leges publicae nella costruzione dellordinamento
costituzionale, in conseguenza - come si è avuto modo di rilevare
allinizio della nostra ricerca dellassenza di una costituzione
scritta. E devono, altresì, tenersi nella giusta considerazione il
significato e il valore del precetto decemvirale, più volte ricordato, che
sanciva lonnipotenza della sovrana determinazione dello Stato ossia del populus
quale sintesi dei tre poteri - potestas,libertas,auctoritas - e corpus
di universi cives. Certamente
questo non implica che i Romani non avvertissero lillegittimità di
determinati atti o comportamenti dei soggetti istituzionali, sia sotto il
profilo della non conformità alle leges, sia sotto il profilo della
irregolarità rituale, nel contrasto in cui, talvolta, si ponevano nei
riguardi dellusus, della vetustas, dei mores, del ius
sacrum. Ma induce a valutare con estrema cautela il problema della
costituzionalità quale
doveva essere avvertito nellesperienza romana[151]. Daltra
parte, non si deve trascurare il carattere
patrizio della lex publica ( rogata ), esattamente
sottolineato da Papiniano[152],
e, ancora prima, da Cicerone[153],
in virtù del quale, come si è detto, la legge si pone come il prodotto di
una cooperazione o, più esattamente, di una conventio tra i tre poteri
della civitas. Siffatto carattere doveva, in effetti, condizionare il
problema della costituzionalità della legge, in quanto che, concretandosi
quest'ultima in un accordo tra i tre soggetti istituzionali, ne determinava,
in certo modo, una preventiva assunzione di responsabilità circa i limiti nel
cui rispetto tali soggetti avrebbero dovuto operare. Infine,
non va trascurato il particolare sistema di consuetudini nei comportamenti e
negli atti dei tre soggetti istituzionali, e di accordi taciti o espressamente
manifestati. Un sistema reso
particolarmente complesso dalla situazione costituzionale romana, unica nel
suo genere, della coesistenza di due ordinamenti - patrizio e plebeo - fondati
su presupposti del tutto distinti, e ciascuno con una sua specifica efficacia.
Consuetudini, siffatte, di cui si sostanziava la prassi costituzionale cui
attingeva lordinamento, che bene possono configurarsi,
lo si è detto, come convenzioni costituzionali[154].
Ma non solamente atti o comportamenti consuetudinari, sibbene anche leggi - le
leges comiziali, per lappunto, - le quali rivestono, come si è
osservato, a motivo del loro carattere pattizio, la natura della convenzione
costituzionale: lo dimostra il singolare atteggiarsi della lex, durante
il corso della Repubblica, e ancora nei primi tempi del Principato, come
regola del caso concreto, come precedente
o exemplum, e non
piuttosto come disciplina generale e astratta delle molteplici fattispecie che
costituivano la sostanza dellesperienza politico-costituzionale[155]. 4.-
Il senato e lesercizio del sindacato di costituzionalità: a ) lauctoritas
patrum; b ) il senatus consultum ( decretum ). a).
A nostro modo di vedere, in ordine allesercizio del sindacato di
costituzionalità da parte del senato, è necessario distinguere tra lauctoritas
patrum e il senatus consultum o, più esattamente, il decretum senatorio.
Fissiamo,
per il momento, la nostra attenzione sulla patrum auctoritas. Abbiamo
già accennato al ruolo esercitato dai patres del regium consilium,
in epoca regia, mediante la funzione dellauctoritas patrum. Essa
costituiva, probabilmente, un requisito di efficacia e, nel contempo, di
validità dellatto su cui i patres fossero chiamati a intervenire,
congiuntamente e, forse, subordinatamente al rex. Il
fondamento di tale funzione è da ricercare, a nostro giudizio,
nelloriginaria posizione dei patres quali soggetti sovrani, posti a
capo degli organismi di natura essenzialmente politica le familiae
e le gentes che avevano, verosimilmente, preceduto il sorgere della
civitas. E, ancora, nel loro possesso, quali patres, degli auspicia
ossia del potere di porsi come intermediari tra la divinità e il potere
politico, nel senso di accertare la conformità delle manifestazioni di
siffatto potere alla volontà degli dei. Pprescindendo,
per ora, dal proporre una soluzione al problema della natura dellauctoritas
patrum: se essa si risolvesse, cioè, in un accertamento della legittimità
o del merito dellatto su cui intervenisse, è nostra opinione che lauctoritas
patrum costituisse non solo una condicio sine qua della conformità
dellatto agli auspicia e ai mores et instituta maiorum, ma
sibbene fosse parte integrante del procedimento di formazione dellatto
medesimo. Su questo punto le testimonianze degli antichi non lasciano adito a dubbi: lo dimostrano, rispettivamente, Cicerone de
re publ.,
2.32.56:«
populi comitia ne essent rata, nisi ea patrum adprobavisset
auctoritas;». pro
Planc.,
3.8:« Tum enim magistratum non gerebat is, qui ceperat, si patres auctores
non erant facti
» ; e
Livio 1.17.9:«
hodie quoque in legibus magistratibusque rogandis usurpatur idem ius, vi
adempta: priusquam populus suffragium ineat, in incertum comitiorum eventum
patres auctores fiunt.». Da
codeste testimonianze si rileva che lauctoritas patrum non solo
interveniva in ordine alle deliberazioni comiziali sia quelle dei comitia
centuriata, così come dei comitia tributa e, verosimilmente, anche
le deliberazioni dei concilia plebis ma anche in ordine
allassunzione della carica da parte dei magistratus.[156]
E
da supporre che la validità e lefficacia di codeste deliberazioni fosse
subordinata alladprobatio dei patres, e che questultima
rivestisse i caratteri di un intervento di estremo rigore, tanto da suggerire
a Livio limpiego del termine vis
per qualificare lintervento dei patres la cui
pregnanza di significati è fuori discussione. Per
quanto, inoltre, riguarda le species delle deliberazioni, è da
ritenere verosimile che lauctoritas patrum inerisse sia alle leges,
sia alle elezioni, mentre invece sembra ne fossero esenti le deliberazioni
comiziali in materia di iudicia criminali[157]. Ma
veniamo, ora, alla natura dellintervento senatorio. Un problema, codesto,
sulla cui soluzione non vi è accordo tra gli studiosi. In
effetti, la patrum auctoritas è stata identificata ora con un
controllo di costituzionalità delle leggi e degli atti magistratuali[158];
ora con un controllo di merito[159];
o, infine, con un controllo
politico assolutamente discrezionale [160]
che, peraltro, non avrebbe escluso un sindacato di legittimità
costituzionale. Premesso
che come è stato esattamente rilevato la distinzione tra controllo di
legittimità e controllo di merito è il prodotto di un procedimento
metodologico che risente di schematizzazioni e di concettualizzazioni che
appartengono alla moderna dogmatica costituzionalistica[161],
e, pertanto, di scarsa utilità, se non anche pericoloso ai fini della
corretta valutazione del pensiero giuspubblicistico dei Romani - nei limiti, sintende, in cui siffatto pensiero si
traduca e si manifesti nella loro terminologia codesta distinzione si
palesa inadeguata a cogliere la complessa natura dellauctoritas patrum. E,
in effetti, spesso difficile determinare il criterio che avesse ispirato una
pronuncia senatoria sulla legittimità costituzionale di un provvedimento che
investisse gli interessi della civitas. E, daltronde, è stato
esattamente rilevato che nei giudizi di legittimità costituzionale anche la
nostra Corte si è sovente pronunciata secondo criteri di opportunità,
seppure « non emergenti nel tessuto della sentenza »[162]. Tra
le inequivocabili prove a favore dellopportunità politica di talune
valutazioni che avrebbero indotto i patres a interporre la loro auctoritas
in alcuni casi in cui ove questa si fosse concretata in un mero
controllo di legittimità costituzionale avrebbero dovuto negarla, viene
addotta la testimonianza di Liv.,
7.16.7-8:« Ab altero consule nihil memorabile gestum, nisi quod legem novo
exemplo ad Sutrium in castris tributim de vicensima eorum qui manumitterentur
tulit. Patres, quia ea lege haud parvum vectigal inopi aerario additum esset,
auctores fuerunt; ceterum tribuni plebis, non tam lege quam exemplo moti, ne
quis postea populum sevocaret, capite sanxerunt: nihil enim non per milites
iuratos in consulis verba, quamvis perniciosum populo, si id liceret, ferri
posse.». Livio,
comè noto, si riferisce alla vicenda originata dallapprovazione della lex
Manlia de vicesima manumissionum, rogata dal console del 357 a.C. Cn.
Manlio Capitolino ai comizi riuniti, per la prima volta, per tribù,
nellaccampamento, a Sutrium[163]. Il
procedimento seguito e il luogo di convocazione costituivano, indubbiamente,
un novum exemplum, come, daltronde, Livio non manca di rilevare. I patres,
quindi, avrebbero dovuto negare, in linea di principio, la loro auctoritas,
trattandosi di atti che si ponevano in contrasto con la prassi costituzionale.
Eppure, essi concedono lauctoritas sulla base di considerazioni di
opportunità politica, dato che lo pone in risalto Livio limposta
introdotta dalla legge avrebbe procurato una non trascurabile entrata alle
esauste casse dello Stato. Non solo, ma linterpositio auctoritatis
dei patres conseguì leffetto di una sanatoria dei vizi da cui era
affetta la legge[164],
rendendo questultima del tutto valida ed efficace, come dimostra il
successivo intervento dei tribuni plebis motivato anchesso da
considerazioni di legittimità costituzionale volto a evitare il
ripetersi, in futuro, di exempla siffatti. E
ben vero che, nel caso in questione, lauctoritas patrum sembra
risolversi in un giudizio di merito, ma non per questo viene meno la sua
natura, nel senso sopra precisato: che, cioè, essa si ponesse,
fondamentalmente, quale manifestazione della funzione nomofilattica esercitata
dal senato. Daltronde, si è già avuto modo di rilevare che lauctoritas
potesse essere motivata da valutazioni ispirate al criterio dellopportunità
politica, senza perdere, per ciò stesso, la sua essenziale connotazione. Per
quanto, poi, attiene alla sanatoria dellatto viziato, è necessario
richiamare quel che doveva essere, verosimilmente, il carattere originario
dellauctoritas, conformemente al significato e al valore espressi
dal termine, per cui essa si poneva come
aumento , accrescimento di una situazione ritualmente o giuridicamente deficitaria[165].
Essa poteva, quindi, rendere valido ed efficace un atto viziato; sia che il
vizio si ponesse in relazione con la sfera del mos sia che concernesse
la sfera del ius. Lesercizio
della funzione nomofilattica da parte del senato non si concretava, come si è
detto, unicamente nella interpositio auctoritatis a opera dei patres.
Le
fonti attestano una specifica competenza, in materia, dellintero senato
patrizio-plebeo. Un intervento che si concretava nella forma del senatus
consultum. Peraltro,
è nostra convinzione che lesercizio del sindacato di costituzionalità si
manifestasse non attraverso il consultum, sibbene nella forma del decretum
ossia di un provvedimento senatorio che costituiva una species distinta
e autonoma allinterno del genus delle deliberazioni del senato[166]. Non
deve, al riguardo, sottovalutarsi il fatto che Asconio, nel brano di cui ci
siamo prima occupati, faccia esplicito riferimento a uno statuere, e,
quindi, implicitamente, a una potestas ( o ius ) statuendi del
senato, che si manifestava, verosimilmente, mediante decreta[167]. Quanto
sosteniamo risulta, daltronde, confermato dalla testimonianza di Cicerone
il quale, nelle Filippiche, trattando dellabrogazione, disposta dal senato,
dei provvedimenti manifestamente incostituzionali presi dal console M.Antonio,
menziona espressamente il decretum: Cic.,
Phil., 12.5.12:« Senatus consulta falsa delata ab eo iudicavimus: num
ea vera possumus iudicare? Leges statuimus per vim et contra auspicia latas
iisque nec populum nec plebem teneri: num eas restitui posse censetis?
Immunitates
ab eo, civitates, sacerdotia, regna venierunt: num figentur rursus eae tabulae
quas vos decretis vestris refixistis?». La
pronuncia nomofilattica del senato si concreta in un iudicium ossia in
un provvedimento di giurisdizione costituzionale, ma, al tempo stesso, essa
costituisce una manifestazione del ius statuendi senatorio che si
esprime e si manifesta mediante il decretum. Attraverso
i suoi decreta il senato
manifesta il proprio potere nomofilattico che è, a un tempo, giurisdizionale
e normativo, privando di efficacia vincolante, nei riguardi dei destinatari, i
provvedimenti adottati da Antonio. La dispensa dalla loro osservanza, che
investe lintero populus, è, in questo caso, la conseguenza
giuridica del iudicium mediante
il quale il senato, dichiarando il vizio formale dei provvedimenti
illegittimi, ne ha disposto la cassazione. Peraltro,
il sindacato di costituzionalità esercitato dal senato si estrinseca,
talvolta, nel sottoporre alla sanzione legislativa comportamenti giudicati
criminosi e, nel contempo, incostituzionali[168]. Le
considerazioni che precedono e le testimonianze sinora esaminate inducono,
quindi, a ribadire lesistenza di una distinzione tra due species
deliberandi del senato, e cioè, rispettivamente, il senatus
consultum e il decretum, e a ravvisare nel decretum lo
strumento mediante il quale si manifestava il potere nomofilattico del senato. Daltra
parte, le ragioni che inducono a ritenere che il decretum si ponesse
quale manifestazione della volontà normativa del senato, e si distinguesse,
pertanto, dal senatus consultum, sono state da noi fornite in altra
sede, e non sembra, quindi, opportuno né pertinente alloggetto della
presente ricerca soffermarci su di esse[169].
E
necessario, adesso, fermare la nostra attenzione sul rapporto corrente tra la patrum
auctoritas e il decretum, nel quadro dellesercizio del sindacato
di costituzionalità. E
noto che una delle leges rogate dal dittatore Q. Publilio Filone, nel
339 a.C., dispose che lauctoritas patrum venisse prestata dai patres
- la componente patrizia del senato - non più successivamente al suffragium
espresso dai comizi, sibbene preventivamente ossia al momento della
presentazione della rogatio a opera del magistrato[170]. Le
fonti, peraltro, a lato di codesta auctoritas, menzionano di frequente
un senatus consultum, richiesto dal magistrato che intendesse
presentare la sua rogatio al comizio, allo scopo di promuoverne un
esame e di ottenere il preventivo assenso da parte del senato. La
terminologia delle fonti non fa distinzione tra lauctoritas senatus e il senatus consultum
in riferimento a codesto senatoconsulto preventivo, qualificando la rogatio
preventivamente approvata, mediante le locuzioni ex auctoritate senatus- ex senatus consulto. In
effetti, è nostro convincimento che la terminologia di cui si valgono gli
antichi rifletta la loro perdurante incertezza in ordine alla distinzione tra decretum
e senatus consultum: lo dimostra lanalisi di numerose
testimonianze nelle quali le cennate locuzioni fanno seguito alla espressa
menzione del decretum senatorio[171]. Pertanto, è da
ritenere che la scarsa accuratezza terminologica degli antichi abbia sovente
confuso tra le due species deliberandi
del senato, così come ha confuso tra lauctoritas patrum e lauctoritas
senatus intesa, quest'ultima - sotto il profilo terminologico -
come sinonimo del decretum mediante il quale il senato
interveniva preventivamente, col proprio parere, nellambito del
procedimento legislativo. In realtà, come si è detto, si trattava di atti
distinti, avuto riguardo ai soggetti da cui promanavano e in relazione agli
effetti prodotti sulla rogatio magistratuale. In
ordine ai soggetti, sembra assai certo che lauctoritas patrum
venisse interposta unicamente dai patres ossia dai membri patrizi del
senato patrizio-plebeo di epoca repubblicana, laddove, invece, lauctoritas
senatus promanava dallintero consesso. In
ordine agli effetti, non sembra inverosimile che sia lauctoritas patrum
che il senatoconsulto preventivo si risolvessero in un parere giuridicamente
non vincolante il magistrato[172],
specie se si tien conto di ciò che si trattava, ormai, per quanto riguarda
lauctoritas patrum, di un atto mantenuto in vita per motivi sacrali
e di regolarità rituale del procedimento legislativo. Non esisteva, infatti,
una norma costituzionale che sancisse lobbligo del magistrato di
conformarsi al parere espresso dal senato. La
situazione era, viceversa, differente sul piano politico. In
effetti, il magistrato avrebbe potuto discrezionalmente decidere se mantenere
la sua rogatio, contro il diverso avviso del senato, ovvero
modificarla, in unapposita contio,
o, infine, ritirarla. Il
senato, daltra parte, avrebbe potuto servirsi dellintercessio tribunizia
per costringere il magistrato recalcitrante. La casistica testimoniata dalle
fonti è varia[173], e induce a pensare che,
in assenza di una norma di ius publicum, tutto si risolvesse nei
termini della dialettica politica tra i soggetti istituzionali. 5.-
Considerazioni conclusive sul sindacato di costituzionalità in epoca
repubblicana. Il
nostro discorso sul sindacato di costituzionalità si conclude con talune
considerazioni. Innanzi
tutto, lesercizio della funzione nomofilattica sia a opera delle assemblee
popolari che del senato dimostra, a nostro giudizio, che lesperienza
giuspubblicistica della Repubblica assegnava alla legge il primato sulle fonti
dellordinamento costituzionale. Non
è agevole stabilire - allo stato delle antiche testimonianze - se codesta
situazione fosse il prodotto di un'esperienza
maturata nellepoca repubblicana più antica o se, al contrario, essa
fosse dovuta a epoca meno risalente, e, segnatamente, agli ultimi tempi della
Repubblica. La
riflessione teoretica in ordine al valore della legge, e il dibattito che ne
seguì, vennero riassunti, come si è detto, nel pensiero politico ciceroniano
che possiamo, a buon diritto, considerare rappresentativo delle problematiche
e delle teorizzazioni costituzionalistiche tardo-repubblicane. Il
primato attribuito alla lex publica, che Cicerone considerava come
lelemento polarizzante le diverse istanze politico-sociali, e più
propriamente costituzionali della civitas repubblicana, induce a
pensare che nella lex publica i Romani identificassero lo strumento
fondamentale con cui provvedere non solamente alla produzione
dellordinamento costituzionale, sibbene anche alla sua revisione, ove
codesto ordinamento non fosse avvertito come rispondente alle esigenze
manifestantesi nella coscienza sociale in un dato momento storico. Peraltro,
siffatto potere di revisione era strettamente connesso al giudizio di
conformità non solo delle leges, ma anche degli atti e dei
comportamenti magistratuali, allordinamento medesimo, pur nella molteplicità
delle sue fonti. Tradotto,
in termini moderni, ciò val quanto dire che, posti di fronte
allalternativa di demandare lesercizio del sindacato di costituzionalità
a un soggetto istituzionale ad hoc o non piuttosto a un soggetto
esistente, i Romani della Repubblica optarono per questa seconda soluzione. Daltra
parte, la situazione non mutò allorché venne a concretizzarsi lesclusiva
competenza del senato nel ruolo di giudice delle leggi. Il
senato, infatti, partecipava al procedimento legislativo in virtù della sua auctoritas,
e anzi potremmo dire che esso da sempre aveva esercitato il suo ruolo di
custode delle leggi, mediante, per lappunto, lauctoritas. Peraltro,
il suo potere nomofilattico era venuto precisandosi negli ultimi tempi
repubblicani, sia mediante il potere di cassazione della legge illegittima,
sia mediante il potere di dispensa dallosservanza delle leggi[174]. Ciò
comportava una seconda opzione per i Romani: quella di scegliere tra un
sindacato costituzionale di natura giudiziaria - attribuito a un organo
giurisdizionale - ovvero di natura politica. La scelta fu, ancora una volta,
per la seconda alternativa. Non
vi è dubbio, infatti, che il senato fosse un soggetto fondamentalmente
politico e non giurisdizionale, anche se non può negarsi che,
nellesercizio del sindacato costituzionale e in taluni altri ambiti, quali,
ad es., quello criminale, esso esercitasse una sorta di giurisdizione quanto
meno sui generis. Volendo
servirci, nel discorso sin qui fatto, delle argomentazioni di Carl Schmitt,
nel dibattito che loppose al Kelsen[175],
si può affermare che limpossibilità di considerare la funzione
nomofilattica del senato quale manifestazione di unattività
giurisdizionale in senso proprio, deriva da ciò che non vi erano norme di
diritto aventi quel grado di precisione e di determinatezza alle quali il
senato potesse conformare il suo giudizio. E
qui il nostro discorso chiama in causa, ancora una volta, il carattere della
costituzione repubblicana. Quest'ultima,
come si è più volte rilevato, non soltanto non era cristallizzata in un
documento, ma soprattutto non risultava costituita unicamente da norme
legislative, bensì da un complesso eterogeneo di prescrizioni la cui
valutazione rivestiva i caratteri e il significato di unattività
eminentemente politica. Era, in altri termini, il prodotto di un compromesso
tra istanze politiche diverse, rappresentate, in un primo tempo, dai
tradizionali protagonisti della storia costituzionale romana - i patrizi e i
plebei - e, in un secondo momento, dai tre ordines emersi nella
dialettica politico-costituzionale dellultima età repubblicana[176]. Questo
fenomeno consente, quindi, di comprendere il significato e il valore delle
decisioni dei vari soggetti esercitanti il sindacato di costituzionalità -
sia in senso proprio che improprio, secondo la metodologia da noi seguita - e,
in particolare, del senato. Decisioni che appaiono assai spesso motivate da
ragioni di opportunità politica che non da obiettivi criteri di legittimità
costituzionale. |
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Note: [1] Ma non soltanto il principio della separazione dei poteri, bensì quello, di maggiore rilevanza, del governo limitato e dei suoi molteplici corollari: cfr.,al riguardo, per un primo orientamento N.Matteucci art. Costituzionalismo in N.Bobbio N.Matteucci, Dizionario di Politica, Torino 1976, pp.262 ss. [2] C. Mc Ilvain, Costituzionalismo antico e moderno, ( prima ediz. italiana, a cura di V.De Caprariis ), Venezia 1956; ripubblicato recentemente, a cura di N. Matteucci, Bologna 1990. Una critica delle conclusioni cui pervenne Mc Ilwain in M.Dogliani, Introduzione al diritto costituzionale, Bologna 1994,pp. 35 ss. [3] Cfr.A. Biscardi E.CANTARELLA, Profilo di diritto greco antico, ( s.d., ma 1974 ),pp. 82 s. [4] Sul punto cfr. P.CERAMI, Potere ed ordinamento nellesperienza costituzionale romana, 3^ ed., Torino 1996,p. 20. [5] Cfr. , al riguardo, il nostro breve saggio Forma di stato e forma di governo nellesperienza costituzionale greco romana, Catania 1995,pp. 36 ss.; non diversamente M.Dogliani, Introduzione cit.,pp. 25 s. [6] Al riguardo pone esattamente il problema del significato e del valore di concetti quali costituzione e costituzionalismo nellesperienza greca, M.Dogliani, Introduzione, cit., pp. 33 ss. [7] Cfr., in questo senso, M.Dogliani, Introduzione,cit.,pp. 73 ss., il quale, peraltro, sembra escludere che di entrambe le nozioni si possa legittimamente discorrere in relazione agli assetti costituzionali che contraddistinguono lesperienza giuspubblicistica dei Romani. [8] Rileva esattamente G.Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna 1988,p.11: « lesigenza e i tentativi di difesa della costituzione sono antichi come la riflessione sui problemi dello stato. Le garanzie della costituzione che sono state immaginate esprimono in tutti i contesti la radicata aspirazione a stabilizzare le regole della convivenza politica e a difenderle dalla minaccia del caso abnorme imprevisto. Non ritenendosi sufficiente garanzia il puro e semplice lealismo costituzionale delle forze in campo e il loro spontaneo equilibrio, si prevedono strumenti ad hoc.». [9] Una rassegna in G.Zagrebelsky, La giustizia cit., pp.11 ss. [10] Sulla problematica costituzionalistica che animò il dibattito politico negli anni delle esperienze rivoluzionarie inglesi e francesi, e sul diverso modo di rappresentarsi lesigenza di un controllo di costituzionalità, rinviamo alla perspicue analisi di L.Compagna, Gli opposti sentieri del costituzionalismo, Bologna 1998, passim , e di M.Fioravanti , Costituzione e popolo sovrano, Bologna 1998 pp. 47 ss. [11] Cfr., ad esempio, la proposta di Sieyès, in G.Zagrebelsky, La giustizia,cit.,p. 17. [12] Così G.Zagrebelsky, La giustizia,cit.,p. 24. [13] Cfr., su tutto ciò, M.Fioravanti,Costituzione,cit.,pp.100ss.;cfr.anche Pombeni, La costituente, Bologna 1995,pp. 103 ss. [14] Ci riferiamo, in particolare, ai lavori di R.Santoro, Potere ed azione nellantico diritto romano, in AUPA, 30 ( 1967 )pp.103-566, e di P. Cerami, Potere ed ordinamento nellesperienza costituzionale romana,Torino 1996,pp.57 ss. [15] Così P.Cerami, Potere ed ordinamento,cit.,pp. 105 ss. [16] Così R. Orestano, I fatti di normazione nellesperienza romana arcaica, Torino 1967,pp. 30 ss. [17] Nel senso che il re presenta la sua rogatio ai comitia curiata, i quali lapprovano: cfr. Pomponio in D. 1.2.2.2 ( Pomp. libro sing.Enchirid.). [18] Sulla nozione di potere costituente rinviamo allart. Potere e potestà II Potere costituente ( a cura di P.G.Grasso), in Enc. dir., vol. XXXIV, Varese 1985, pp.642. Sebbene codesta nozione appartenga allesperienza costituzionale moderna, essa può bene applicarsi allesperienza costituzionale romana. Per quanto riguarda il regnum gli antichi attestano che lordinamento della comunità politica scaturisce dallopera dei singoli re. E, quindi, da ritenere che esso sia stato posto in essere da specifiche manifestazioni di volontà normativa dei re, probabilmente nella forma di leges ( regiae ). Alle manifestazioni del potere costituente dei singoli re non solamente può ricondursi lorigine delle varie istituzioni, sibbene anche la modifica dellassetto costituzionale esistente. In effetti gli antichi presentano alcuni re Romolo, Numa, Tullo Ostilio, Servio Tullio come creatori delle istituzioni; altri Tarquinio Prisco e ancora Servio Tullio come riformatori dellordinamento preesistente. [19] Abbiamo intenzionalmente escluso dal novero dei soggetti esercitanti il sindacato di costituzionalità il collegio dei pontefici. La competenza loro attribuita dal re Numa concerneva, infatti i sacra, sia publica che privata, secondo quanto attesta Livio ( 1.20.6 )« Cetera quoque omnia publica privataque sacra pontificis scitis subiecit.». E, daltronde, che ai pontefici fosse devoluto il controllo della legittimità dei sacra risulta inequivocabilmente confermato da Cicerone ( ad Att., 4.2.4 ) « religionis iudices pontifices fuisse, legis esse senatum; se et collegas suos de religione statuisse, in senatu de lege statuturos cum senatu.». [20] In tema di accertamento della regolarità rituale di un atto valga per tutte la testimonianza di Cic., de re publ., 2.17.31, riguardo alle norme rituali poste da Tullo Ostilio in materia di ius fetiale: « ut omne bellum, quod denuntiatum indictumque non esset, id iniustum esse atque impium iudicaretur.». [21] Sulla portata e sui limiti della auctoritas patrum in età regia rinviamo, peraltro, al nostro saggio Il senato romano, Catania 1997,pp. 36 s. [22] Cfr., ad es., Cic., de re publ., 2.8.14; Liv., 1.17.9; 1.32. 11-13. [23] Al riguardo di massimo rilievo si rivela la testimonianza di Cic., de leg., 2.12.31: « Maximum autem et praestantissimum in re publica ius est augurum cum auctoritate coniunctum. Neque vero hoc, quia sum ipse augur, ita sentio, sed quia sic existimare nos est necesse. Quid enim maius est, si de iure quaerimus, quam posse a summis imperiis et summis potestatibus comitiatus et concilia vel instituta dimittere vel habita rescindere? quid gravius quam rem susceptam dirimi, si unus augur alio<die> dixerit? quid magnificentius quam posse decernere, ut magistratu se abdicent consules? quid religiosius quam cum populo, cum plebe agendi ius dare? quid? Leges non iure rogatas tollere, ut Titiam decreto collegii, ut Livias consilio Philippi consulis et auguris? nihil domi, nihil militiae per magistratus gestum sine eorum auctoritate posse cuiquam probari?». Non diversamente Liv., 1.36.6:«Auguriis certe sacerdotioque augurum tantus honos accessit, ut nihil belli domique postea nisi auspicato geretur, concilia populi, exercitus vocati, summa rerum, ubi aves non admisissent, dirimerentur.». [24] Cfr. Cic., Top., 5.28. che ci fornisce, forse, la prima definizione gerarchica delle fonti del diritto, e, ancora, Pomponio ( D. 1.2.2.12 ), Gaio ( inst. 1.1.2 ), Papiniano ( D. 1.1.7 pr. ). [25] E appena il caso di avvertire che con la locuzione lex publica intendiamo riferirci alla deliberazione comiziale dei comizi centuriati e dei comizi tributi che si pone, per lappunto, quale manifestazione della volontà normativa dello Stato ossia del populus Romanus, e si distingue, per ciò stesso, dalla lex privata, quale disposizione normativa mediante la quale un privato provvede alla disciplina di una propria situazione giuridica. [26] Si è veduto, infatti, come mediante le leges Romolo e i suoi successori ponessero mano al primitivo ordinamento costituzionale: cfr. ancora, al riguardo, FIRA, I, nn.1-13. [27] Intendiamo riferirci, nellordine, fondamentalmente, alle leges XII Tabularum, alle leges Valeriae-Horatiae, alle leges Liciniae-Sextiae, alle leges Publiliae Philonis, alle leges Corneliae, alle leges Iuliae. [28] Una siffatta Grundgesetz secondo linterpretazione di L.Lange, Roemische Alterthuemer,vol. I, Berlin 1876,pp. 406; 568 sarebbe attestata da Tacito, ann., 11.25.5; ma Tacito menziona una lex curiata a L.Bruto repetita, che avrebbe confermato disposizioni dei re concernenti listituzione della quaestura, e non fa parola di leggi istitutive della forma repubblicana dello Stato. Dubbi riguardo alleffettiva esistenza della lex in questione in F. De Martino, Storia della costituzione romana,vol.I, Napoli 1972, p.496. Circa il carattere fondamentale di una siffatta norma, da ultimo, P.Cerami, Potere ed ordinamento, cit., p.59, nt. 97. Si potrebbe, semmai, riconoscere il carattere di Grundgesetz alla lex Valeria del 509 a.C., che comminava la pena della sacratio capitis et bonorum nei riguardi di colui che regni occupandi consilia inisset ( Liv.2,8,2 ), ma anche in questo caso rimaniamo nellambito della legge. [29] Questa tesi, daltronde, venne già sostenuta da G. Nocera, Aspetti teorici della costituzione repubblicana romana, in RISG, 15 ( 1940 ),pp. 153 s. [30] Cfr. Cic., pro Cluent., 53.146 :« Ut corpora nostra sine mente, sic civitas sine lege suis partibus, ut nervis ac sanguine et membris, uti non potest.»; cfr. anche de re publ., 1.32.49: « cum lex sit civilis societatis vinculum ». [31] E la tesi di R.Orestano, I fatti di normazione, cit.,pp. 28 ss., condivisa, sostanzialmente, da P. Cerami, Potere ed ordinamento, cit.,pp. 10 ss. [32] Per quanto perspicue le argomentazioni di P. Cerami (Potere ed ordinamento,cit.,pp.57 ss. ), circa il carattere anormativo della constitutio repubblicana non riescono a convincerci; daltra parte, non può trarsi argomento dalla titolatura delle magistrature costituenti della fine della Repubblica leges scribere et rem publicam constituere per sostenere la tesi del significato strutturale e anormativo del termine constitutio ( così P.Cerami,Potere ed ordinamento, cit., p.60 ). La locuzione in questione, sebbene tecnica, ha il tenore di unendiadi, e, daltra parte, i decemviri, la cui istituzione comportò un mutamento della forma civitatis ( Liv., 3.33.1 ), ebbero il compito di leges scribere ( Cic., de re publ., 2.36.61 ). Daltra parte si è sostenuto che le XII Tavole abbiano tradotto in atto lidea di una costituzione scritta ( A.Momigliano, Osservazioni sulla distinzione fra patrizi e plebei, in Les origines de la république romaine, Genève 1966,p. 217 ), e che esse si configurino come una costituzione-accordo tra patrizi e plebei ( così G.Nocera, Aspetti, cit.,p. 170 ). Ma, a nostro giudizio, la tesi che le XII Tavole costituiscano soltanto un primo tentativo di una codificazione rimane la più convincente. Semmai si può riconoscere la natura di disposizioni di carattere costituzionale unicamente alle Tavole che disponevano in tema di privilegia e di provocatio ad populum. In questo senso e con questi limiti il leges scribere dei decemviri può identificarsi con unattività costituente. [33] Cfr., al riguardo, G.Crosa, Il fattore politico e le costituzioni, in Studi Ranelletti,vol.I, Padova 1931,pp.151 ss. e, in particolare,p. 162. Circa il carattere pattizio delle costituzioni un esempio risalente si ritrova, a nostro giudizio, nelle Chartae inglesi depoca medievale. [34] Cfr. E.Forcellini, Lexicon totius latinitatis, T.I,Patavii MCMXXXX, v. Constitutio, p.817 ; Thesaurus linguae latinae, Lipsiae MDCCCCVI- MDCCCCIX, v. Constitutio, cc.525-527. [35] Cfr. L.Merguet, Handlexikon zu Cicero,v. Constitutio Lexikon zu den philosophischen Schriften Ciceros, vol. 1, Hildesheim, rist. , 1961, v. Constitutio » ;p.514; cfr anche Cic., de re publ., 1.26.41; 1.45.69; 2.21.37; 2.21.53. [36] Per quanto riguarda il primo profilo constitutio si pone quale actio constituendi, e, sotto il profilo linguistico, si configura come nomen actionis, assumendo il medesimo significato di dispositio, discriptio, institutio, ordinatio, come, ad es., in de re publ., 2.21.37, ovvero si risolve nellatto del constituere, come, ad es., in de re publ., 2.1.2. Sui due significati della nozione, in un ordine di idee sostanzialmente non difforme dal nostro, cfr. G.Nocera, Aspetti, cit.,p. 144. [37] Cfr. Cic., de re publ., 1.20.33; 1.32.49; 2.1.2; 2.16.30; 2.39.65; de leg., 1.5.15; 1.6.20; 3.2.4; Liv., 3.59.5; 5.49.9; 21.62.11; 22.9.11; 23.24.2; 30.2.9; 30.27.11; 42.28.9. [38] Nel sostenere la tesi esposta teniamo presente quanto affermava B. Albanese in Iura, 5 ( 1954 ), rec. a R.Orestano,I fatti di normazione, cit.,p. 245, lessere il diritto « il modo di essere di una società umana in un determinato tempo, in ordine al fine superiore e generalissimo di conservazione della società stessa »; in senso conforme P.Cerami, Strutture costituzionali romane e irrituale assunzione di pubblici uffici, in AUPA, 31 ( 1969 ),p. 79. [39] Cfr. A.Ernout A.Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Paris 1959, v. Forma , p.247; per luso di forma come sinonimo di constitutio cfr. Cic., de re publ., 1.34.53; 2.3. 43; Liv. 3.15.3; 3.17.3; 3.33.1, in cui essa si manifesta quale forma civitatis. In effetti, dalla terminologia degli antichi appare legittimo indurre lequazione forma constitutio, equazione che consente di comprendere come il mutamento della forma di governo venga configurato come modificazione della forma civitatis. Non a caso Livio ( 3.33.1 ), qualifica, ad es., lavvento del decemvirato legislativo come mutamento della forma civitatis:« anno trecentesimo altero quam condita Roma erat iterum mutatur forma civitatis, ab consulibus ad decemviros.». Cfr.anche 3.15.3; 3.17.3. [40] Cfr. Cic., de re publ., 1.26.41:« omnis civitas, quae est constitutio populi,cet.». Peraltro, non si può del tutto escludere che in questo brano constitutio designi la dispositio del popolo e si ponga, quindi, come nomen actionis. In ogni caso non muta la sostanza delle cose; in questa prospettiva anche la lex si pone quale constitutio populi: cfr. Isid., Orig., 2.10.1:<< lex est constitutio populi >>. [41] Comè noto, la forma di Stato e la forma di governo si risolvono, nel pensiero politico classico, in un unicum; è il moderno pensiero politico che ne ha operato la distinzione: cfr., per un primo approccio al problema, L.Elia, art. Governo ( forme di ) , in Encicl. dir. Vol.XIX,Varese,1970, pp.634 ss.; F.Lanchester, art. Stato ( forme di ) , in Encicl. dir.vol.XLIII, Varese 1990, pp. 796 ss. [42] Così Gai. 1.3 : « populi appellatione universi cives significantur »; circa la costruzione della nozione di populus come ente collettivo identificantesi nella totalità dei cives rinviamo al nostro breve scritto Il concetto di costituzione nel pensiero politico greco romano, in AUPA, 39 ( 1987 ),pp. 339 ss.; cfr., da ultimo, P. Cerami, Potere ed ordinamento, cit.,pp. 142 ss. [43] Cic., de re publ., 1.26.41-42; 1.27.43. Codesti genera corrispondono alle costituzioni rette del sistema platonico aristotelico polibiano ossia monarchia, aristocrazia, democrazia: cfr. de re publ., 1.28.44:« loquor de tribus his generibus rerum publicarum non turbatis atque permixtis, sed suum statum tenentibus». [44] Cic., de re publ., 1.26.42. [45] Cic., de re publ., 1.27.43. Codesto genus rerum publicarum realizza pienamente la libertas ossia la piena autodeterminazione dei cives e la loro responsabile partecipazione alla gestione della res publica: «itaque nulla alia in civitate, nisi in qua populi potestas summa est, ullum domicilium libertas habet» ; ( de re publ., 1.31.47 ). Nella nostra prospettiva, in ordine ai due significati di libertas, possiamo consentire allaffermazione di G.Nocera, secondo cui la libertas « è.. sentita dai romani come affermazione di volontà pubblica soggettiva.», ( Aspetti, cit., 142 ). [46] Cic., de re publ., 1.32.49. Sulla costruzione della civitas quale societas ( civium ), e precisamente quale societas fondata sul consensus, riteniamo tuttora valide le argomentazioni addotte nel nostro breve scritto Sulla definizione ciceroniana dello Stato, in Sodalitas, Scritti in on. di Antonio Guarino vol. 2 , Napoli 1984,pp. 609 ss. [47] Quanto sostiene M.Dogliani ( Introduzione cit.,pp. 73 s. ), che, cioè, la res publica sarebbe stata concepita dai Romani « come il governo delle leggi e di una volontà pubblica spersonalizzata risultante dal confluire giuridicamente ordinato dellattività di organi diversi, e, contemporaneamente, come il ripudio del suo contrario, il regnum, inteso come il governo della volontà e dellarbitrio di un individuo », coglie, indubbiamente, la distinzione tra regnum e libera res publica, quale viene definita dal pensiero giuspubblicistico tardo-repubblicano si pensi, al riguardo, allantitesi rex lex di Liv., 2.3.2-4 ma non è applicabile in toto allesperienza costituzionale repubblicana, in quanto non tiene nel dovuto conto il ruolo che, in siffatta esperienza, assolvono la fattualità e la prassi. [48] De re publ., 2.1.2. La tesi ciceroniana viene ribadita in 2.21.37:«« nunc fit illud Catonis certius, nec temporis unius nec hominis esse constitutionem <nostrae> rei publicae,cet.», in cui constitutio riveste il significato e il valore di cui discorriamo nel testo. [49] Sulla nozione di consuetudine costituzionale cfr. P.Rescigno, Le convenzioni costituzionali, Padova, 1972,pp.; per quanto concerne lesperienza costituzionale romana cfr. G.Branca, Convenzioni costituzionali e antica repubblica romana, in Diritto e storia, Antologia, a cura di Corbino, Padova 1995, pp.85 ss. [50] Sullinterpretazione della costituzione cfr. P.Cerami, Potere ed ordinamento, cit.,pp. 60 ss. [51] De re publ., 5.1.2:« Quid enim manet ex antiquis moribus, quibus ille ( scil. Ennius )dixit rem stare Romanam ?». [52] Cfr., ad es., Cic., de re publ., 2.32.56; 2.38.64; pro Font., 20.46; de dom., 26.68; Phil., 13.6.14; Liv., 2.56.12; 6.41.5; 26.3.8; 27.11.10. [53] Exempla siffatti provengono da fonti diverse: dai maiores ( Cic., de leg., 2.52.62; 3.18.41; in Pis., 21.50; pro Planc., 5.12; pro Rab. perd., 5.17; pro lege Manil., 20.60; Phil., 5.9.25; 9.1.3; 11.6.13; Liv., 24.8.17; 31.20.3 ); dai reges ( Cic., de re publ., 2.17.31 ); dalla civitas ( Cic., de re publ., 2.39.66; pro rege Deiot., 12.32; Liv., 22.61.1 ); dai singoli magistrati o cittadini o si tratta di semplici precedenti ( Cic., pro Sest., 47.101; pro Rab. post., 11.31; de imp. Cn. Pomp., 9.26; Verr.,2.2.38.93; 2.3.50.118; 2.3.86.198; epist. ad fam.,4.3.1; Liv., 1.49.2; 3.35.8; 4.7.5; 4.13.1; 4.16.4; 4.29.6; 5.29.7; 6.38.10; 7.16.7;8; 8.7.22; 10.15.12; 10.37.9; 22.60.7; 25.4.7; 27.6.4;6;7; 27.8.9; 31.20.6; 31.48.3; 36.39.10; 39.5.2; 39.39.6; 45.21.4 ). [54] In ordine alla configurazione del concetto di esperienza giuridica come esperienza individuale e, insieme, collettiva della fenomenologia giuridica, e quindi come attività umana orientata verso siffatta fenomenologia, rinviamo alle suggestive pagine di R. Orestano, Introduzione allo studio storico del diritto romano, Torino, ( s.d. ma 1963 ), pp.359 ss. [55] La determinazione della natura e dei caratteri di siffatta nozione costituisce, tuttora, un problema tra i più complessi della moderna dogmatica costituzionalistica: sul tema, per un primo approccio, cfr.P.G. Grasso, art. Potere costituente, cit.,pp.642 ss. [56] E nettissima, nel pensiero politico della Repubblica, bene rappresentato da Cicerone ( de re publ., 1.25.39 ), la distinzione tra il populus come coetus quoquo modo congregatus ossia come massa accidentalmente aggregata, e il populus come insieme organizzato iuris consensu et utilitatis communione. Soltanto in questultimo caso, infatti, la moltitudine disorganizzata si trasforma in civitas, in una comunità politica la quale, in ultima analisi, non è che una iuris societas ( de re publ., 1.32.49 ). [57] E codesto, in effetti, il significato che traspare da taluni impieghi ciceroniani del termine, distinto dalla più ampia accezione di populus come universitas di cives. [58] Non si trascuri, infatti, che la lex publica è, allo stesso tempo, un patto e un atto complesso. E per questo che non possiamo condividere la tesi sostenuta, a suo tempo, da G.Nocera ( Aspetti, cit.,p. 154 ), che « i comizi sono sempre assemblee costituenti »; una tesi che non tiene conto del ruolo tenuto, nel procedimento legislativo, rispettivamente, dal magistrato e dal senato, e che, inoltre, non ci sembra suffragata dalle concezioni degli antichi. [59] La tesi sostenuta da P. Cerami, Strutture costituzionali, cit.,p. 128, configurava, rispettivamente, le magistrature, il senato e le assemblee popolari quali partes rei publicae. A noi sembra più aderente al pensiero ciceroniano qualificare codesti soggetti istituzionali quali partes dellunitario populus. Res publica esprime, a nostro giudizio, nella concezione ciceroniana, una entità distinta dal populus. [60] Sul carattere fattuale della costituzione repubblicana, da ultimo, P.Cerami, Potere ed ordinamento, cit.,pp. 165 ss. [61] Al riguardo cfr. P.Cerami, Potere ed ordinamento, cit., pp.11 ss. [62] Così C.. Mortati , art. Costituzione ( Dottrine generali ) , in Encicl. dir., vol. XI,Varese 1962,pp.191 s. p.191 s. [63] Un esempio valga per tutti: la potestas constituendi del pretore che dette origine e alimento a un nuovo sistema, non soltanto processuale ma anche sostanziale, quale, in effetti, il ius praetorium. Codesto complesso normativo non fu, peraltro, soltanto un ordinamento di natura ordinaria se così possiamo esprimerci ma assunse spesso connotazioni di natura costituzionale. [64] A nostro giudizio, il fenomeno delle rotture della costituzione si configura, in Roma, in modo non diverso dal presente, in quanto che gli exempla - come si vedrà nel testo - possono identificarsi con deroghe, alla norma o alla prassi, attuate per singole fattispecie, le quali non escludono che la norma o la prassi mantenga integra la sua efficacia vincolante per tutte le altre fattispecie. [65] Cfr., al riguardo, F. De Martino, Storia, cit.,vol. I,pp. 383 ss. [66] Cfr. F. De Martino, Storia, cit.,vol. II,pp. 485 ss. [67] Anche il moderno regime del c.d. stato d'assedio prevede la sospensione delle garanzie costituzionali; si ritiene, peraltro che siffatto regime sia illegale, qualora esista una costituzione rigida, ove non sia espressamente previsto dalla stessa costituzione o dalla legge : cfr., per un primo approccio al problema, G.Motzo, art. Assedio ( stato di ), in Encicl. dir.,vol.III ,Varese 1958, pp. 250 ss. [68] La destituzione del tribuno della plebe M.Ottavio venne, comè noto, disposta dalla lex Sempronia de magistratu M.Octavio abrogando, un plebiscito proposto dal collega Tiberio Gracco e deliberato dal concilium plebis nel 133 a.C. La motivazione della rogatio, addotta da Tiberio, incideva sul profilo costituzionale del vincolo di mandato tra il tribuno e lassemblea che lo aveva eletto. Per altri esempi di destituzione in danno dei tribuni plebis cfr. T.Mommsen, Droit public romain,vol. II, Paris 1892,p. 304 nt.2. [69] Sull abrogatio imperii cfr. T.Mommsen, Droit public,cit.,pp. 301 ss.; Il fatto che labrogatio imperii fosse una diretta conseguenza della prorogatio imperii non esclude lillegittimità costituzionale del provvedimento: cfr., al riguardo, G.Nicosia, Lineamenti di storia della costituzione e del diritto di Roma, vol.I, Catania 1989,p. 164. [70] Cfr. Cic., pro Balb., 14.33; Liv., 7.17.12; 9.33.9; 9.34.6. [71] In senso contrario alla nostra tesi G. Nocera, Aspetti, cit.,p. 154 ss., il quale sosteneva che lassenza di limiti al potere del populus era condizionata dal principio politico obiettivato in talune norme strutturali dellordinamento repubblicano. Pertanto, lonnipotenza della sovrana autodeterminazione del populus mai avrebbe potuto spingersi sino al mutamento della forma civitatis repubblicana, in quanto che ciò avrebbe determinato la scomparsa del populus quale soggetto costituzionale sovrano. Ma è, per lappunto, quel che avvenne con linstaurazione del Principato e del susseguente Dominato, come avremo modo di dimostrare nel seguito della nostra ricerca. C.Esposito, La validità delle leggi, Padova 1934, pp.68 ss. citava il principio decemvirale a proposito dei rapporti tra una legge anteriore e una posteriore in ordine al problema della sua validità ed efficacia, e come prova di ciò che, tra due atti legislativi forniti di uguale forza, il susseguente prevalga sul precedente. La prevalenza della legge successiva avviene non già perché essa manifesti una più intensa vis della volontà statuale, sibbene «perché ogni singola legge contiene implicito un termine o forse una condizione risolutiva con effetto ex nunc della sua efficacia e validità.» ( p.76 ). [72] Cfr., al riguardo, le nostre Riflessioni di uno storico del diritto sul problema delle riforme istituzionali, in Panorami,vol. 4 ( 1992 ),pp. 75 ss. Esemplari, al riguardo, le due massime formulate da G.D. Romagnosi: « Niuna generazione può assoggettare alle sue leggi le generazioni future » e « Un popolo ha sempre il diritto di rivedere, di riformare e di cangiare la sua costituzione », citate dallon. Paolo Rossi nella relazione, sulla revisione della nostra Costituzione ( v. Riflessioni,cit., nt. 8 ). [73] Su queste clausole cfr. il nostro Forma di stato, cit., pp.67 ss. [74] Così Cicerone in un brano di una lettera allamico Tito Pomponio Attico: ad Att., 3.23.2. Esattamente rilevava G.Nocera, Aspetti, cit.,p. 145, che « La perpetuità delle leggi scritte romane deve porsi in relazione con la massima, anche essa fondamentale, delle dodici tavole che il popolo non è vincolato dalle sue leggi anteriori.». [75] Sul tema v. le perspicue argomentazioni di P.Cerami, Potere ed ordinamento, cit.,pp. 111 ss., sebbene non sempre coincidenti col nostro ordine di idee. [76] Cfr. Cic., Top., 5.28. [77] La definizione è riferita, con rilievi critici, da Gellio, N.A.., 10.20.2. [78] « Se la legge doveva essere espressione della volontà generale, cioè sovrana, una discriminazione gerarchica fra norme giuridiche ( costituzionali e ordinarie ) non sarebbe stata meno illegittima né meno irragionevole di una discriminazione gerarchica fra tipi inammissibilmente diversi di volontà generale:< car la volonté générale> parole di Carré de Malberg <est toujours égale à elle même, cest à - dire toujours souveraine, quel que soit lobjet auquel elle sapplique »; così L.Compagna, Gli opposti sentieri, cit.,p. 70. [79] Per un primo approccio alla problematica sul costituzionalismo cfr. P.Biscaretti di Ruffia, art. Costituzionalismo, in Encicl. dir.vol. XI,Varese 1962, pp.130 ss.; N.Matteucci, art. Costituzionalismo , in Dizionario ,cit., pp. 262 ss. [80] Secondo la concezione garantista, propria dello Stato liberale, lorganizzazione del potere statale risponde, in effetti, allesigenza di assicurare al singolo la libertà dallo Stato ossia una condizione di non interferenza dellorganismo statale nella sfera individuale del cittadino: cfr., al riguardo, L.Zampetti, Dallo stato liberale allo stato dei partiti, Milano 1973,pp. 19 ss. [81] Cfr., al riguardo, C.Mc Ilwain,Costituzionalismo, cit.,pp. 32 ss., cui va indubbiamente riconosciuto il merito di avere posto e risolto il problema in modo metodologicamente corretto. [82] La distinzione di cui discorriamo è nettamente presente al pensiero politico greco: cfr.Arist., Polit., 4.1.1289 a. [83] Per la traduzione del brano seguiamo ledizione delle opere politiche di Aristotele curata da C.A. Viano, Aristotele, Politica e Costituzione di Atene, Torino, rist., 1966,pp. 174 s. Il testo originale è il seguente: polite a mn g£r sti t£xij taj pÒlesin ¹ per t¦j ¢rc£j, t na trÒpon nenmhntai, ka t tÕ kÚrion tÁj polite aj ka t tÕ tloj k£sthj tÁj koinwn aj st n: nÒmoi d kecwrismnoi tîn dhloÚnton t¾n polite an, kaq'oÞj de toÝj ¥rcontaj ¥rcein ka ful¦ttein toÝj paraxa nontaj aÙtoÚj. [84] La servitus, lasservimento di tutti al potere del re è, in effetti, nella speculazione politica di Cicerone il dato che contraddistingue la forma civitatis monarchica. Si può discutere sul carattere rituale o meno di siffatta condizione, distinguendo una servitus iusta tipica del regnum da una servitus iniusta tipica della tirannide ma la sostanza del problema non muta: cfr., sul tema, Cic., de re publ., 1.31.47; Coli, Regnum, in SDHI 17 ( 1951 ),pp. 39 ss. [85] Liv., 2.8.2. [86] Liv., 3.55.4. [87] Liv., 3.9.5. [88] Platone, Leggi.,3. 698 b; c; discuteva, infatti, di una doule an toj nÒmoij. [89] Così U.Coli, Regnum, cit., pp.15 ss;pp. 22 ss. [90] Liv., 4.4.3. [91] D.1.2.2.4. [92] Osservava esattamente G. Nocera, Le garanzie costituzionali durante la Repubblica, in Annali Univ.Camerino, XII, 2,( 1938 ), p. 40:« Sovrana è, in sostanza, la legge del popolo, la lex populi. Costituzionale è tutto quel che è conforme ad essa, incostituzionale tutto quel che ne è difforme. La lex publica è una norma- limite così per la condotta dei cittadini, come per lattività dei magistrati ». [93] Riguardo alleditto dei censori, in cui venne formulato il loro giudizio, la cui datazione viene posta intorno al 90 a.C., cfr. Gellio, N.A., 15.11.2; il testo è anche in FIRA, I, n.52. [94] Così G.Nocera, Il potere dei comizi e i suoi limiti, Milano 1940,p. 28. [95] A differenti conclusioni giunge A.Manfredini, Leditto de coercendis rhetoribus latinis del 92 a.C., in SDHI 42 ( 1976 ), pp.99 ss. [96] Così G.Nocera, Il potere, cit., il quale considera la lex publica come « prodotto di una cooperazione paritetica tra gli organi della costituzione » ( p.25 ). [97] Unattenta ed esauriente disamina dei limiti e dei vizi degli atti comiziali è, ancora oggi, quella a suo tempo compiuta dal G.Nocera, Il potere, cit.,pp. 35 ss.;pp. 191 ss. [98] Non sembra legittimo, sotto il profilo metodologico, includere, tra i soggetti menzionati, il populus, inteso quale insieme delle assemblee deliberanti, per due ordini di considerazioni: in primo luogo perché il populus esercita, talvolta, in cooperazione col senato, un sindacato di costituzionalità in senso proprio; in secondo luogo perché, ammessa pure lesistenza di un potere di cassazione spettante ai comizi in genere, sotto il profilo dellincostituzionalità, ma da questi non esercitato ( cfr., al riguardo, G.Nocera, Il potere, cit., p.50 ), la deliberazione comiziale rimane pur sempre, come si è detto, un atto complesso e non esclusivo del populus. [99] Cfr., per tutti, G.Nicosia, Lineamenti, cit.,vol. I,pp. 162 ss. [100] Cfr., al riguardo, G.Nocera, Il potere, cit.,pp. 51 ss. A prescindere dalla abrogatio magistratus disposta dalla lex Sempronia de magistratu M.Octavio abrogando verosimilmente un plebiscito proposto da Tiberio Gracco lunico caso di destituzione di un console in carica, attestato dalle fonti, concerne la lex ( o plebiscitum ? ) Octavia de consulatu Cinnae abrogando, dell87 a.C. Cinna considerò, peraltro, nulla labrogazione, per mancata convocazione dellassemblea popolare ( cfr. G.Rotondi, Leges publicae populi Romani, Milano 1912,p. 347; G.Nocera, Il potere, cit.,p. 52, nt. 2 ).In merito a una rogatio Gabinia de consulatu Calpurnio Pisoni abrogando, del 67 a.C., il procedimento si interruppe nel suo iter e si fermò allo stadio di semplice rogatio ( cfr. G.Rotondi, Leges, cit.,p. 372 ). [101] Sulla fides, come principio strutturale del diritto romano, riteniamo tuttora valide le conclusioni cui pervenne F.Schulz, I principii del diritto romano, trad. it., Firenze 1946,pp. 193 ss. [102] Cfr., al riguardo, T.Mommsen, Droit public, cit.,vol. II,pp. 381 ss.; G.Nicosia, Lineamenti, cit.,vol. I,pp. 164 ss. [103] T. Mommsen, Droit public, cit.,pp. 291 ss. [104] Cfr., al riguardo, il nostro Studi sul decretum, cit.,pp. 92 s. Peraltro, il potere di sottoporre a processo i magistrati anche durante la carica sembra essere attestato dalle fonti: cfr. F.Fabbrini, art. Tribuni plebis , in NNDI ,vol. XIX, Torino 1957 ,pp. 802 ss.;pp. 809 s. [105] Cic., de leg., 3.4.11. [106] Esattamente osserva F.Fabbrini, Encicl.Dir.,cit., p. 790: « spesso la sua azione ( cioè del tribuno ), poteva andare anche contro le leggi e contro il mos maiorum, perché il suo intento era appunto di riformare, non già di mantenersi nei limiti di una legalità restrittivamente intesa ». [107] In questo senso T.Mommsen, Droit public, cit.,vol. I,pp. 304 ss. ; cfr. anche G.Lobrano, Il potere dei tribuni della plebe, Milano 1982,pp. 66 ss., i cui rilievi sembrano mossi dalle stesse nostre perplessità. [108] Fr. Anche Macrob., Saturn., 3.3.1. [109] E opportuno rilevare, al riguardo, che la nozione della conformità allordinamento di un atto o comportamento statualmente rilevante era bene espressa dal termine iustus che come è stato esattamente rilevato ne esprimeva la regolarità rituale: cfr. M.Humbert, Droit et religion dans la Rome antique, in Mélanges F.Wubbe, Fribourg 1993, pp.97 s.; P.Cerami, Potere ed ordinamento, cit.,p. 107 e R.Orestano, I fatti di normazione , cit.,pp. 102 ss. [110] Sullefficacia costitutiva del decretum augurale cfr. anche la testimonianza di Liv., 4.7.3; 8.15.6; cfr., inoltre, il nostro Studi sul decretum, cit., pp.84 s. [111] Cfr., ad es., Cic., pro Mur., 3.5; Brut., 62.222; de re publ., 2.37.63; Liv., 3.20.6; 3.32.7; 4.35.11; 31.50.8; Flor., epit., 3.17.8; Val.Max., 2.9.5. [112] Per unesauriente disamina dei limiti formali e sostanziali al potere legislativo delle assemblee popolari rinviamo allancor oggi fondamentale studio di G.Nocera, Il potere, cit.,pp. 34 ss.; cfr. anche F.Serrao, Cicerone e la' lex publica', in Legge e società nella repubblica romana,vol. I, Napoli 1981, p.422. [113] Potevano, ovviamente, darsi altri casi di mancata osservanza della regolarità del procedimento di formazione del provvedimento: così, ad es., linosservanza del divieto di rogare per saturam, disposto dalla lex Caecilia Didia del 98 a.C. ( cfr. G.Rotondi, Leges, cit.,p. 335 ). [114] Entrambi i casi deliberazione contra auspicia o per vim ricorrono di frequente nelle fonti: cfr., ad es., Cic., in Pis., 13.30; in Vatin., 15.37; de dom., 15.40;41;42; de har.resp., 23.48; Phil., 5.3.8; 5.3.10; 6.2.3; 12.5.12. [115] Cfr., al riguardo, G.Rotondi, Leges, cit.,pp. 395 s.; il limite in questione derivava, comè noto, dalla tab. IX delle leges XII Tab. ( cfr. Cic., de leg., 3.4.11 ), ma il divieto di privilegia rogare non impedì che, nel corso della Repubblica, venissero proposte o approvate dalle assemblee popolari rogationes le quali riguardassero il privus ossia il singolo cittadino: sul punto cfr., per tutti, G.Nocera, Il potere, cit.,pp. 217 ss. [116] Lassenza del carattere della generalità aveva, in effetti, determinato i rilievi critici mossi da Gellio alla definizione di Ateio Capitone: Gell., N.A., 10.20.3;4. [117] Cfr. G.Rotondi, Leges,cit.,p.99; G.NOCERA,Il potere, cit., 89. La clausola relativa era stata inserita, ad es., anche nella sancito della rogatio VIII tribunorum de reditu Ciceronis, del 58 a.C.: cfr., G.Rotondi, Leges,cit., p.401. [118] G.NOCERA, Il potere, cit., pp.88ss. [119] G.NOCERA, Il potere, cit., pp.94 s. [120] Su codesti limiti, oggetto di appositi capita disposti nella sanctio della legge, G. Nocera,Il potere, cit.,pp.85ss. cfr. anche il nostro saggio Forma di Stato, cit., pp.67 ss. [121] V. supra, nt.115. [122] G. NOCERA,Il potere,cit., p.89. [123] Su codesto caput Cfr. F. SERRAO, La legge, in Classi,partiti e legge nella repubblica romana, Pisa 1974,p.84 s. Sul problema della fraus legi, nelle varie epoche della storia costituzionale romana, cfr., inoltre, lesauriente studio di L.FASCIONE, Fraus legi, Milano,1983, [124] Cfr. Cic., ad Att., 3.23.2. [125] Sulla fondatezza del giudizio ciceroniano, G. Nocera, Il potere, cit.,pp. 88 ss., le cui argomentazioni, sebbene assai acute, non riescono a convincerci; cfr. pure S.Borsacchi, Sanctio e attività collegiale tribunizia in Cic., Att. 3,23,4,in Legge e società nella repubblica romana, ( a cura di F.Serrao ), Napoli 1981,pp. 439-483. La relatività del disposto legislativo appare una costante del pensiero giuspubblicistico della tarda Repubblica: esemplare, al riguardo, la valutazione espressa da Cicerone in ordine alla lex Valeria de Sulla dictatore creando, dell82 a.C., in de lege agr., 3.2.5: «Omnium legum iniquissimam dissimillimamque legis esse arbitror eam, quam L. Flaccus interrex de Sulla tulit, ut omnia quaecumque ille fecisset, essent rata. Nam cum ceteris in civitatibus tyrannis institutis leges omnes exstinguantur atque tollantur, hic rei publicae tyrannum lege constituit. Est invidiosa lex, sicuti dixi, verum tamen habet excusationem; non enim videtur hominis lex esse, sed temporis.». [126] Significativo appare, al riguardo, linterrogativo postosi da Cicerone sul valore della clausola che disponeva il divieto di deliberare in materia di ius civile, presente nella sanctio della lex Cornelia de civitate Volaterranis adimenda, dell81 a.C. «Quid est quod ius non sit, quod populus iubere aut vetare non possit ? » ( pro Caec., 33.95 ) sebbene la risposta che egli si dà sia nel senso di riconoscere lesistenza di materie sulle quali non era concesso al populus di deliberare. Ma quanto avrà inciso su questa risposta leconomia della causa che egli stava discutendo? [127] V. supra, nt.124. In particolare, per quanto concerne il divieto di deliberare in tema di ius civile, Cicerone sostenne, nellorazione pro Caecina ( 33.95 ), lincostituzionalità della lex Cornelia de civitate Volaterranis adimenda, rogata da Cornelio Silla nell81 a.C. Silla, daltra parte, aveva inteso manifestare il suo ossequio formale nei riguardi della prassi costituzionale inserendo la clausola in questione nella sanctio della legge. Ma, a parte la considerazione che la posizione costituzionale rivestita da Silla, quale dictator rei publicae constituendae et legibus scribendis, lo poneva nella condizione di riformare anche i divieti di cui discorriamo, rimane il fatto che la decisione dei decemviri dinanzi ai quali venne discussa la pro Caecina pur dando causa vinta a Cicerone, sul punto specifico dellincostituzionalità della perdita dello status civitatis disposta da Silla, appare ispirata a motivi di opportunità politica più che a ragioni di stretto diritto. Daltronde, anche se gli esempi di perdita dello status civitatis sono assai rari e non del tutto pertinenti ( cfr., al riguardo, G.Rotondi, Eius hac lege nihilum rogatum , Problemi di diritto pubblico romano, I, in Scritti giuridici,vol. I, Pavia 1922,pp. 382 ss. ), frequenti furono i casi in cui venne concessa la cittadinanza direttamente per legge o, mediante delega del populus, a opera di singoli magistrati ( cfr. G.Rotondi, Eius hac lege, cit.,p. 385, nt.4 ). Quindi, sempre disponendo su una materia sottratta alla potestas statuendi del populus. [128] Cfr. M.T.Cicerone, Frammenti delle orazioni perdute ( a cura di G. Puccioni ), Firenze 1971,pp.59 ss. Sul testo v. le differenti lezioni e le correzioni proposte dagli studiosi, in alternativa alla lezione tradizionale, in F.Reduzzi Merola, Studi sui rapporti tra senato e legge in età repubblicana, I, Camerino 1996,pp. 10 ss. , ora ripubblicato in Iudicium de iure legum, Napoli 2001,pp. 1 ss. [129] Cfr. F.Serrao, Cicerone, cit.,p. 423 e ntt. 56 ,57, la cui interpretazione del brano non sembra ne abbia colto lesatto tenore. [130] Cfr.M.T.Cicerone, Frammenti, cit.,p. 59, nn.24;26. [131] Cfr. Tit. Ulp. 1,3:« Lex aut rogatur, id est fertur, aut abrogatur, id est prior lex tollitur, aut derogatur, id est pars primae legis tollitur, aut subrogatur, id est adicitur aliquid primae legi, aut obrogatur, id est mutatur aliquid ex prima lege »; D.50.16.102 ( Modest., 7 reg. ): Derogatur, legi aut abrogatur. derogatur legi, cum pars detrahitur: abrogatur legi, cum prorsus tollitur. Il brano ulpianeo menziona un quinto caso, la subrogatio ossia lincremento del testo legislativo, omesso da Cicerone; concorda con Ulpiano Modestino, la cui testimonianza ricalca limitatamente alla derogatio quella di Fest.,de verb sign. s.v. Derogare, ( Lindsay 60 ): « Derogare proprie est, cum quid ex lege vetere, quo minus fiat, sancitur lege nova. Derogare ergo detrahere est.». Confonde tra abrogatio e obrogatio Fest., de verb.sign. s.v. Obrogare , ( Lindsay 203 ): « Obrogare est legis prioris infirmandae causa legem aliam ferre,». [132] Così, ancora, sia pure per ragioni di opportunità politica, in de re publ., 2.37.63 ( abrogazione della tabula iniqua decemvirale che vietava il connubium, a opera del plebiscitum Canuleium, ( Rotondi, Leges, cit.,pp. 207 s. ), o in Brut., 62.222 ( abrogazione, per i medesimi motivi, della lex Sempronia frumentaria, a opera di M.Ottavio, populi frequentis suffragiis ). [133] Così, ad es., de dom., 15.40; Phil., 1.9.23; 1.10.24-26; 5.3.10; 5.6.16. [134] Non oppone difficoltà a quanto sosteniamo la circostanza che, nel frammento della pro Cornelio, Cicerone adduca il mos maiorum quale ratio dellesclusivo sindacato senatorio in tema di invalidazione delle leggi. Potrebbe, in effetti, trattarsi di un artificio retorico suggerito dalleconomia della causa e dallesigenza di fare apparire suffragata da una risalente vetustas la competenza senatoria. [135] Ascon., in Cornel., 56 ss. ( Stangl 47 ss. ). [136] Cfr. G.Rotondi, Leges, cit.,p. 365. [137] Quanto asserito rende, quindi, ragione del ruolo assunto dai tribuni plebis nellambito del sindacato di costituzionalità, specie durante gli ultimi due secoli della Repubblica: sul punto C.Nicolet,Le sénat et les amendements aux lois à la fin de la république, in R.H.D. 36 (1958),pp. 262 ss. [138] Cfr. Cic., pro Balb., 14.33; Liv., 7.17.12; 9.34.7; 9.39.9. [139] Sulla tesi del carattere sovrano dei singoli soggetti istituzionali repubblicani rinviamo al nostro Forma di stato, cit., pp.57 ss. [140] Che si tratti di una giurisdizione costituzionale è, per noi, fuori dubbio; non possiamo, quindi, aderire alla tesi del F. Serrao, Cicerone, cit.,p. 423 s., che il potere nomofilattico del senato fosse di natura politica. [141] Cfr. anche Phil., 13.3.5:« Acta M.Antoni rescidistis, leges refixistis; per vim et contra auspicia lata decrevistis, cet.», che bene rappresenta liter attraverso cui si manifestava lintervento del senato: pronuncia dichiarativa dei vizi di incostituzionalità ( decretum ), rescissione, ordine di refigere tabulas. [142] Si trattava, nella fattispecie, di autorizzare i soldati delle legioni di M. Antonio a disertare, allo scopo di passare nelle legioni dei consoli del 43 a.C., A., Irzio e C. Pansa, in vista delle operazioni militari da intraprendere contro Antonio per la difesa della Repubblica. [143] Vera la nostra ipotesi, ne deriverebbe che la lex publica, in particolare, non rivestirebbe la natura e i caratteri di una semplice regola di condotta valida ed efficace unicamente per la fattispecie e nella situazione contingente che ne avesse determinato lemanazione, e quindi priva di forza cogente per lavvenire (n così P.Cerami, Potere ed ordinamento, cit.,pp. 125 ss. ) ma si porrebbe, viceversa, come disposizione vincolante di per sé, a prescindere dai vizi che ne avessero potuto causare lillegittimità di forma o di sostanza: La lex publica avrebbe, quindi, goduto di una validità ed efficacia del tutto indifferenti alla pronuncia di illegittimità e alla conseguente cassazione. A diverse conclusioni, in ordine alla solutio legibus, pervenne G. Nocera, Il potere, cit.,pp. 290 ss., le cui considerazioni, legate al problema della natura del senatoconsulto successivo alla deliberazione comiziale, non ci appaiono condivisibili. [144] Sullauctoritas senatus, come potere sovrano, rinviamo al nostro breve saggio Senatus auctoritas, in Labeo 27 ( 1981 ), pp.23 ss.; cfr. anche il nostro Il senato romano, cit.,pp. 123 ss. [145] Una tesi, codesta, sostenuta da certa dottrina del secolo scorso ( cfr., al riguardo, G.Nocera, Il potere, cit., p.243 e nt.1 ), e ripresa, sia pure con le opportune riserve, da taluni studiosi moderni: cfr., ad es., F.De Martino, Storia, cit.,vol. I,pp. 270 s.; contra G. Nocera, Il potere, cit.,pp. 243 ss. [146] Concordiamo, al riguardo, con le opinioni espresse, a suo tempo, in talune sue perspicue pagine, da G. Nocera, Il potere, cit.,pp. 243 ss., le cui argomentazioni si rivelano in genere, tuttora valide e in buona parte condivisibili. [147] E, a nostro giudizio, evidente che la menzione, da parte di Cicerone, della potestas, dellauctoritas e della libertas, implica un riferimento al potere dei magistrati, genericamente identificato nella potestas; del senato, individuato nella auctoritas senatus, e alla consapevole e responsabile partecipazione degli universi cives alla gestione della res publica, che costituisce il significato specifico, sotto il profilo costituzionale, della locuzione libertas populi. Una locuzione, codesta, il cui significato e valore non si differenziano dalle omologhe locuzioni potestas populi maiestas populi : sul punto cfr., peraltro, il nostro Senatus auctoritas, cit.,pp. 19 ss. e anche Il concetto di costituzione, cit.,pp. 348 ss. [148] Cic., pro Sest., 65.137:« Senatum rei publicae custodem, praesidem, propugnatorem conlocaverunt; huius ordinis auctoritate uti magistratus et quasi ministros gravissimi consili esse voluerunt, cet.». [149] A meno che non si debbano considerare una charta costituzionale i misteriosi commentari di Servio Tullio cui accenna Livio ( 1.60.4 ), allorché narra della creazione dei due primi consoli della Repubblica. [150] Intendiamo riferirci allacuta indagine di P.Cerami, Potere ed ordinamento, cit.,pp. 138 ss., condotta su di una rivisitazione delle testimonianze delle fonti sinora, forse, non del tutto attentamente valutate in dottrina. [151] Non riteniamo che la tesi da noi sostenuta possa incorrere nel giudizio, formulato, a suo tempo, da G.Nocera ( Il potere, cit.,p. 247 ), sullassolutismo di talune posizioni della dottrina. Intendiamo soltanto richiamare lattenzione degli studiosi sulla necessità di tener conto del pragmatismo romano,e sulla conseguente concezione della relatività e della storicità dellordinamento costituzionale, icasticamente affermata da Catone il censore in Cic., de re publ., 2.1.2. [152] D.1.3.1. [153] Ci riferiamo alla definitio ciceroniana della legge come vinculum civilis societatis ( de re publ. ,1.32.49 ), e, quindi, in altri termini, come obligatio societatis. Su entrambe le definizioni, la ciceroniana e la papinianea, cfr., peraltro, quanto abbiamo sostenuto nella nostra breve nota A proposito della definizione di obligatio ( I. 3,13pr. ), in Panorami 2 ( 1990 ),pp. 165 ss. [154] V. supra, p.17. [155] Sul punto P.Cerami, Potere ed ordinamento, cit.,pp. 109 ss. [156] I)n merito alla necessità che, anche riguardo alle deliberazioni del concilium plebis i plebiscita fosse necessaria lauctoritas patrum perché tali deliberazioni potessero vincolare lintero populus, basti citare le testimonianze di Sallustio, hist.fragm .,48.3, e di Gai. 1.3. Le fonti attestano, del pari, che anche le rogationes proposte dai tribuni della plebe al concilio furono sottoposte al senatoconsulto preventivo ossia allauctoritas senatus. [157] In senso conforme Willems, Le sénat de la république romaine, vol.II, Louvain 1883, p.63; inconsistente appare largomentazione di T. Mommsen, Droit public, cit.,vol. VIII,p. 239, nt.3; in senso recisamente favorevole F.De Martino, Storia, cit., vol.I,p. 271 s. , che fa leva sulla tesi di T. Mommsen e su quella di G.Nocera, Il potere, cit.,p. 261, sebbene questultimo appaia incerto al riguardo; perplessità anche in A.Biscardi, « Auctoritas patrum »- Problemi di storia del diritto pubblico romano, Napoli 1987,p. 36, nt.79, il quale, nel suo saggio originario ( Auctoritas patrum, in BIDR 48 ( 1941 ),p. 430, nt.79 ) affermava essere il problema non risolvibile, dato il silenzio delle fonti, sebbene « il silenzio dei testi possa aver pure la sua giustificazione nella precoce scomparsa di quella forma di procedura, -( il iudicium populi, n.d.r. ) in seguito al sopravvenire delle quaestiones » ( ivi ). Recentemente S. Borsacchi, La vicenda dellagro Coriolano, in Legge e società nella repubblica romana,vol. I, Napoli 1981,pp. 219 ss., ha citato la testimonianza di Liv., 4.7.5« Ab senatu responsum est iudicium populi rescindi ab senatu non posse, praeterquam quod nullo nec exemplo nec iure fieret, concordiae etiam ordinum causa», per escludere che il potere di cassazione del senato, quanto meno in ordine alla sentenza arbitrale emessa dal comizio tributo sulla controversia tra Ardeatini e Rutuli circa lappartenenza dellagro di Corioli. A dire dellA. la motivazione con cui il senato avrebbe escluso il suo potere di cassazione nella fattispecie sarebbe stata sia giuridica si sarebbe trattato, in effetti, di un novum exemplum sia politica: si sarebbe turbata la concordia ordinum e, probabilmente, si sarebbe contravvenuto al principio quodcumque postremum populus iussisset, cet. Le argomentazioni del Borsacchi ci sembrano condivisibili, anche se non ci sembra pertinente il richiamo al suddetto principio, così come, forse, neppure quello alle leggi Valerio Orazie. Il iudicium in questione non rivestiva, infatti, la natura e i caratteri di una sentenza criminale, bensì si trattava di un iudicium sui generis. Non si può escludere che, daltra parte, allepoca dellepisodio ( 446 a.C. ), non si fosse ancora configurato un potere di cassazione del senato, almeno nei termini lumeggiati nel commento di Asconio. [158] In questo senso T.Mommsen, Droit public, cit.,vol. VII,pp. 240 ss.; G.Nocera, Il potere, cit.,pp. 249 ss.; pp.259 ss. [159] Così A.Biscardi, « Auctoritas, cit.,pp. 21 ss., il quale non esclude, peraltro, che in taluni casi lauctoritas patrum si concretasse in un controllo di natura nomofilattica (v. anche Appendice,p. 231 ). [160] In questo senso V.Mannino, Lauctoritas patrum, Milano, 1979,p. 120. [161] Così V.Mannino, Lauctoritas, cit.,p. 109; cfr. anche pp. 115 s. [162] Così G.Branca, Caratteristiche e funzione dei giudizi incidentali di legittimità costituzionale, in Atti del Colloquio sul tema: Il controllo delle leggi e degli atti amministrativi in Italia e in Polonia, in Accademia Naz. dei Lincei, 370 ( 1973 ), Quaderno n.185, pp.34 ss. ( dell'estratto ). Non riteniamo di potere condividere la tesi sostenuta da F. Serrao, Cicerone e la lex, cit., p.424, che esclude un potere di cassazione del senato, inteso, quanto meno, quale sua competenza specifica, dovendosi - a suo dire - identificarsi in codesto potere un'attribuzione nettamente politica. Che il sindacato di costituzionalità abbia risvolti di ordine politico è un fatto incontestabile, ma ciò non esclude il carattere giuridico della funzione. [163] Cfr. G.Rotondi, Leges, cit., pp. 221 s. [164] Così A.Biscardi, « Auctoritas,cit., pp.29s.;pp.231s.; a differenti conclusioni perviene, viceversa, A.Di Porto, Il colpo di mano di Sutri e il ' plebiscitum de populo non sevocando. A proposito della' lex Manlia de vicensima manumissionum , in Legge e società, cit.,pp. 331 ss. [165] Sul carattere risalente della patrum auctoritas e sulla sua natura sacrale A.Biscardi, «Auctoritas, cit., pp. 221 ss. ; cfr. quanto sostenemmo nel nostro studio Alle radici della storia del senatus, in AUPA, 33 ( 1972 ) , pp.298 ss. [166] Cfr., al riguardo, quanto sostenuto nel già citato Studi sul decretum,pp. 123 ss. [167] Cfr., Studi sul decretum,cit., pp.161 ss. [168] Cfr., ad es., Cic., de har.resp.,8.15. [169] Rinviamo, al riguardo, al nostro Studi sul decretum, cit.,pp. 117 ss. [170] E codesto, infatti, il dato che emerge sicuramente dalla testimonianza degli antichi: cfr., in senso conforme, A.Biscardi, «Auctoritas, cit., pp. 41 ss. [171] Cfr., al riguardo, il nostro Studi sul decretum, cit.,pp. 139 ss. Lidentificazione terminologica tra SC. e decretum è, ad es., pressocché costante in Ascon., in Pis., 6 ( Stangl 14 ); in Cornel., 57 ( Stangl 47 ); 69 ( Stangl 55 ). [172] Cfr., in senso conforme, A.Biscardi, «Auctoritas, cit., p.43. La circostanza che il magistrato potesse, in contrasto col senato, presentare ugualmente la sua rogatio, non oppone difficoltà alla nostra tesi, se si consideri che non esisteva un vincolo di dipendenza gerarchica del magistrato rispetto al senato, trattandosi di due soggetti istituzionali sovrani. E, daltra parte, i casi in cui la circostanza ebbe a manifestarsi furono assai circoscritti: cfr. A.Biscardi, « Auctoritas, cit., pp. 54 ss.; infine, il fatto che i patres potessero pronunciarsi in modo diverso dall'intero senatus, in tema di auctoritas preventiva, non è «manifestamente assurdo» - così A.Biscardi, « Auctoritas, cit., p. 54 - se si tenga conto che si trattava di soggetti istituzionali diversi. [173] Significativi, al riguardo, gli esempi addotti da C.Nicolet, Le Sénat., cit.,pp. 262 ss. [174] cfr., al riguardo, laccurata disamina delle fonti in F.Reduzzi Merola, Studi, cit.,pp. 117 ss. ,e le «considerazioni conclusive» ( pp.137 ss. ); cfr. anche Iudicium, cit.,pp. 97 ss.;pp. 141 ss. [175] Dibattito riassunto, con grande chiarezza, dallo G. Zagrebelsky, La giustizia,.cit.,pp. 28 ss. [176] Si potrebbe considerarla come compromesso di classe , mutuando questa locuzione, nel suo pregnante significato, da G.Zagrebelsky, La giustizia, cit.,pp. 23 ss. |
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