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ROMANISTI PROFESSORI A PALERMO |
Contributo destinato alla Storia dellUniversità di Palermo, intanto pubblicato in Index, 25, 1997, pp. 587 - 616 |
1. Diritto romano e diritto civile negli anni dell'Accademia e nei primi anni dell'Università. I primi docenti di diritto romano: R. Bisso e A. Garajo. - 2. Nel 1819 è emanato il `Codice per lo Regno delle Due Sicilie' ma la prima cattedra di diritto civile sarà istituita solo nel 1841. - 3. I docenti di diritto romano dopo l'emanazione del `Codice': C. e A. Garajo, S. Malvastra, P. Sampolo, B. D'Ondes Rao. - 4. La cultura giuridica romanistica a Palermo nella prima metà dell'`800 e il sistema dei concorsi per il reclutamento dei professori universitari. - 5. Il ruolo di Luigi Sampolo. - 6. G. Gugino. - 7. A. Longo. - 8. Salvatore Riccobono e la nuova Scuola romanistica palermitana. - 9. F. G. Savagnone. - 10. S. Di Marzo. - 11. G. Baviera. - 12. Gli allievi di S. Riccobono: F. Messina Vitrano. - 13. M. Modica. - 14. A. Guarneri Citati. - 15. C. Ausiello Orlando. - 16. L. Chiazzese. - 17. I romanisti palermitani «contemporanei». 1. L'istituzione a Palermo della Regia Accademia, e poi della Regia Università degli Studi, caddero in un periodo di tempo - rispettivamente nel 1779 e nel 1805 - in cui, da un canto, il diritto pubblico romano era generalmente trascurato dagli studiosi di cose giuridiche (1), e dall'altro, il diritto romano privato, attualizzato, sistemato e reinterpretato dai giuristi medievali e moderni, costituiva il «diritto comune» di molti Paesi europei - tra cui il Regnum Siciliae - ed era pertanto in essi diritto vigente. Il diritto romano si identificava quindi col diritto civile in vigore, era il diritto civile per antonomasia; la dimensione storica del diritto romano era pressoché totalmente ignorata. Il diritto privato in vigore e il diritto romano furono quindi dapprima insegnati congiuntamente e indistintamente nel corso di «Istituzioni civili» e in quello di «Pandette e Codice Giustinianeo»: le Istituzioni civili sin dalla fondazione dell'Accademia, Pandette e Codice dal 1782 (2). Le Istituzioni civili furono affidate a Rosario Bisso, un giurista «dotto anche nelle discipline filosofiche e matematiche» (3). Fu molto stimato; talché, creata la cattedra di Pandette e Codice - verosimilmente ritenuta di maggiore prestigio -, Bisso passò al nuovo insegnamento. Tenne anche corsi liberi di diritto feudale siciliano (4). Nei suoi scritti - non molti, per vero - egli si adoperò soprattutto a sostenere la supremazia del diritto naturale (5), pure se non sembra essere stato consapevole delle grandi correnti di pensiero giusnaturalistiche del suo secolo (6). Alle Istituzioni civili lo sostituì Antonino Garajo (7). Il quale scrisse un'opera certamente apprezzabile in relazione allo stato di diritto del tempo e alla destinazione didattica, e che ebbe molta fortuna: Juris Romano-Siculi Institutiones, stampata a Palermo nel 1789 in due tomi, ed ivi ristampata nel 1792, 1797, 1805 e 1817. In essa l'a. si preoccupò di esporre il diritto privato allora in vigore, il diritto privato cioè delle fonti romane nella visione degli interpreti, con le deroghe e le integrazioni degli usi e della legislazione del Regno di Sicilia dal tempo dei Normanni. Non diverso dovette essere l'indirizzo di Salvatore Malvastra, che nel 1804 succedette a Rosario Bisso nella cattedra di Pandette e Codice. Su di lui torneremo più avanti. 2. Occorre adesso notare che una svolta nella considerazione del diritto romano avrebbe dovuto verificarsi nel 1819, quando, emanato il `Codice per lo Regno delle Due Sicilie' (in buona misura, com'è noto, traduzione italiana del Code Napoléon), la legge 21 maggio 1819 dispose che, nelle materie in esso contemplate, non avessero più «forza di legge» le «leggi romane» (8). Il diritto romano, pertanto, avrebbe dovuto assumere significato prevalentemente storico, ed essere considerato nel suo divenire. Ma questo non avvenne in molti degli altri Paesi che avevano, o avrebbero vissuto vicende analoghe, e non avvenne neanche nella nostra Università (9). Anzitutto, bisognò attendere fino al 1841 per l'istituzione di una cattedra di diritto civile (10) sì che il diritto privato vigente potesse avere una propria considerazione autonoma. Non fu peraltro un'autonomia piena: il fatto che la nuova cattedra sia stata intitolata `Codice civile col confronto delle leggi romane' sta ad indicare che si volle che il relativo insegnamento restasse agganciato al diritto romano. É significativo in proposito che nel 1843 Antonino Sciascia, aspirante alla «proprietà» (così si diceva allora) della cattedra di Codice civile - della quale era professore «interino» -, abbia potuto far valere, quale argomento fondamentale a sostegno della sua istanza, la circostanza di essere stato l'anno prima valutato a pari merito del vincitore nel concorso per la cattedra di Pandette e Codice giustinianeo (11). Quello delle «Istituzioni civili», d'altronde, rimase - come si vedrà - un insegnamento fondamentalmente di diritto romano, ricalcato sulle Institutiones giustinianee; tant'è che, quando molti anni dopo dalla tabella delle materie di Giurisprudenza scomparvero le Istituzioni civili e comparvero le Istituzioni di diritto romano, non fu avvertito in sostanza alcun cambiamento, e il passaggio di Antonino Garajo jr. dalle une alle altre fu del tutto automatico (12). A ciò fa riscontro il fatto che, anche dopo l'istituzione della cattedra di Codice civile (1841), il diritto romano continuò ad essere considerato praticamente come prima dell'emanazione del codice del 1819. Esaltato in ridondanti toni retorici, veniva infatti trattato alla stregua di un blocco pressoché unitario, statico, e studiato quindi quasi fosse ancora vigente, con metodi buoni per un sistema giuridico suscettibile di concreta applicazione; del tutto assente, di conseguenza, l'analisi critica dei testi, nessun interesse per lo sviluppo interno degli istituti, nullo o quasi l'interesse per il contesto storico relativo. Dirò di più: la legge 21 maggio 1819 aveva stabilito l'abrogazione del diritto romano «nelle materie che formano oggetto delle disposizioni contenute nel codice per lo Regno delle Due Sicilie». Ebbene, i docenti che si susseguirono nell'insegnamento di Pandette e Codice - ma nulla di diverso risulta per quelli di Istituzioni civili - furono unanimi nel sostenere un'interpretazione la più restrittiva pensabile del termine «materie» adoperato dalla legge, sì che restasse largo margine per una effettiva vigenza del diritto romano (13). Anche per ciò non può quindi stupire che l'insegnamento della materia abbia mantenuto un'impronta eminentemente pratica. 3. Ecco quindi che per lunghi anni furono mantenuti, nella nostra Università, gli insegnamenti di «Istituzioni civili» e di «Pandette e Codice», in buona sostanza con gli stessi contenuti di prima. Talché Corradino Garajo, che dal 1819 era succeduto al padre nella cattedra di Istituzioni civili, poté avvalersi, per il suo insegnamento, di un rifacimento delle Juris Romano-Siculi Institutiones del padre, sia pure con un nuovo titolo - Elementa juris Justinianei, cum notis ex utriusque Siciliae Regni (14) -. Si legge al riguardo nel testo della «Commessione di Pubblica Istruzione ed Educazione» premesso ad ogni edizione dell'opera, che l'autore riformò le Institutiones di Antonino Garajo «togliendovi il metodo dimostrativo e sillogistico, oggi in disuso, ed aggiungendovi invece diverse note ricavate dal Codice per lo Regno delle due Sicilie, con una precisione, e chiarezza tale, che mette la gioventù studiosa in istato di apprendere più agevolmente la nuova giurisprudenza»; talché la «Commessione» approvò l'opera autorizzando il professore Corradino Garajo a «leggerla, e spiegarla a' discenti di questa Regia Università». Un'edizione in lingua italiana notevolmente rielaborata e con ulteriori «aggiunzioni, ed annotazioni sul diritto patrio vigente» vide la luce a Palermo nel 1847, col titolo «Le Istituzioni civili di Giustiniano». Corradino Garajo morì nel 1859. Ma le sue Istituzioni civili continuarono ad essere indicate agli studenti di Giurisprudenza anche dopo che egli lasciò la cattedra. Lo mostra il fatto che ad una seconda edizione in lingua italiana, del 1857 - dove l'autore si qualificava `professore anziano della Facoltà legale nella Regia Università degli Studi di Palermo' -, fece seguito un'altra ancora, nel 1880: evidentemente a cura del figlio Antonino, che (dopo il nonno e il padre) tenne anch'egli l'insegnamento di Istituzioni civili: dal 1840 come sostituto, dal 1860 come titolare. Più tardi, almeno dal 1872, la sua cattedra assunse la denominazione di «Istituzioni di diritto romano, comparato col vigente diritto patrio»; dal 1875, quella di «Istituzioni di diritto romano» (15). Di Antonino Garajo jr. sappiamo che fu preside della Facoltà di Giurisprudenza dal 1862 al 1876; Rettore dell'Università dal 1876 al 1880. Morì nel 1892 (16). Quanto alla cattedra di Pandette e Codice, s'è già avuto modo di accennare che dal 1804 essa era stata tenuta da Salvatore Malvastra; il quale - si deve ritenere - anche dopo il 1819 non poté non considerare il diritto romano nel modo che si è detto. Egli va tuttavia segnalato per avere scritto (nel 1829) un Discorso sopra le vicende del diritto romano (17), un vivace manuale di storia esterna del diritto romano, efficace sul piano didattico e comunque apprezzabile, pure se l'autore appare poco informato delle dottrine giuridiche del suo tempo (18). Non mancavano tuttavia nel Discorso del Malvastra - caso più unico che raro tra i docenti palermitani contemporanei della materia - spunti critici e qualche osservazione interessante (19). Salvatore Malvastra morì nel 1836 (20). Dopo di lui l'insegnamento di Codice e Pandette (era invalsa ormai questa intitolazione a preferenza dell'altra «Pandette e Codice») fu coperto da Pietro Sampolo, prima come sostituto, dal 1843 come titolare. Di lui conosciamo molti scritti, ma solo pochi che hanno attinenza con la materia che insegnò (21). Quanto basta per ritenere che non si sia distaccato dai metodi tradizionali del suo tempo. Molto apprezzato fu il suo Progetto di riforma negli studi legali dell'Università di Palermo, del 1853. Morì assassinato il 17 maggio 1861 (22). Gli successe nella cattedra - divenuta «Diritto Romano» (in virtù di quale provvedimento non saprei dire) (23) - Bartolomeo D'Ondes Rao. Nato il 23 aprile 1818 da nobile famiglia palermitana, esercitò con successo l'avvocatura; ed era professionista affermato quando (nel 1863) fu chiamato ad insegnare Diritto romano (24). Scrisse la prolusione al corso di diritto romano, e due monografie: sull'accessione e sulla tradizione. A differenza degli altri professori palermitani dei quali s'è discorso sin qui il D'Ondes si cimentò quindi nella trattazione di argomenti specifici. Il suo approccio al diritto romano fu del tutto aderente al tipo di «cultura» proprio dell'ambiente giuridico in cui era vissuto (e di cui abbiamo detto più su). Bartolomeo D'Ondes Rao morì il 23 agosto 1878 (25). 4. Quanto siamo andati dicendo sull'insegnamento del diritto romano a Palermo dà l'idea del modesto livello di cultura giuridica dei docenti dei quali s'è discorso e dà conto del fatto che la loro fama non andò oltre gli angusti limiti locali (26): e nell'ambiente giuridico palermitano essi furono presto dimenticati. É pure vero, d'altronde, che anche nel resto d'Italia gli studi di diritto, e storico-giuridici in specie, non attraversavano un periodo felice (27). Non è improbabile (28) che a ciò abbia contribuito il sistema di reclutamento dei professori quale fu praticato in Sicilia sino al 1860, e ancora - si deve ritenere (29) - per qualche anno dopo. Ché da un certo momento - che non saprei precisare - il reclutamento era stato sì quello dei concorsi, ma il concorso era solo per esami: prima orali, poi anche scritti (per la prova scritta - che andava pubblicata - il candidato avrebbe dovuto trattare, entro 24 ore, l'argomento proposto; per la prova orale veniva estratta a sorte una «tesi», e il candidato avrebbe avuto qualche ora di tempo per illustrarla): non era richiesto alcun titolo scientifico (30). Si comprende così come sia potuto accadere che, a parte Rosario Bisso - il quale peraltro non dovette sostenere alcun concorso -, i docenti dei quali si è detto sin qui non avessero pubblicato, né scritto niente, prima di diventare titolari dell'insegnamento; e qualcuno di essi, anche dopo, non abbia pubblicato nulla o quasi! 5. Dopo il 1860 pure nella Facoltà giuridica palermitana, come nel resto d'Italia, prese l'avvio un processo di crescita e rinnovamento culturali. Non vi fu estranea, certamente, l'opera di Luigi Sampolo, civilista ma anche ottimo conoscitore e studioso di diritto romano (31). Egli va qui ricordato non tanto come romanista quanto come fondatore del «Circolo Giuridico». Fu questa un'associazione di avvocati, magistrati, notai, professori di materie giuridiche, e comunque uomini di diritto, che Sampolo fondò nel 1867 e che qualche anno dopo, nel 1870, su iniziativa dello stesso Sampolo, espresse «Il Circolo Giuridico. Rivista di legislazione e giurisprudenza». Ebbene, è a Luigi Sampolo, al suo dinamismo, alla sua infaticabile attività di presidente del «Circolo» e direttore dell'omonima rivista «Il Circolo Giuridico», alla sua capacità di curare i rapporti con studiosi italiani e stranieri, alla sua attenzione agli avvenimenti internazionali che in qualche modo, in Italia e all'estero, interessavano il diritto (32), che si deve se l'ambiente giuridico palermitano uscì nella seconda metà dell''800 dai ristretti confini locali proiettandosi oltre lo Stretto, nel resto d'Italia e all'estero. 6. In questa clima di rinnovato fervore di studi giuridici, di attenzione per la nuova letteratura giuridica contemporanea e per i suoi nuovi interessi bene si colloca Giuseppe Gugino, che dal 1880 tenne la cattedra di Diritto Romano (33). Era nato a Vallelunga, in provincia di Caltanissetta, nel 1843. Aveva iniziato gli studi giuridici a Roma e Napoli; e si era poi recato in Germania - dove era rimasto tre anni - «mandato dal nostro regio Governo» (34) per perfezionarsi in diritto romano. Un giudizio, oggi, su Giuseppe Gugino romanista non può non tener conto del fatto che la considerazione prevalente del diritto romano era allora, almeno in Italia, una considerazione statica, non dinamica (in linea, in sostanza, con i metodi della «Scuola dell'Esegesi» (35), da tempo imperanti in Francia e che ebbero in Italia non poco seguito); tant'è che ancora nel 1885 il R. Decreto 22 ottobre n. 3444, con una norma destinata a mantenere validità formale a lungo (ma poi da molti praticamente disapplicata) stabilì che l'insegnamento delle Istituzioni di diritto romano dovesse consistere nella «esposizione elementare del diritto romano giustinianeo» (36). Valutata in questo contesto - dal quale egli pensò di poter prendere le distanze (37) - la figura di Giuseppe Gugino merita apprezzamento; ché con lui il salto di qualità rispetto a quanti prima di lui avevano insegnato (e, alcuni di essi, continuarono ad insegnare) materie romanistiche è notevole. Egli manifestò subito, nella prefazione al suo primo lavoro, il convincimento che il diritto romano dovesse ormai essere considerato in prospettiva storica, ed espresse esigenze di rinnovamento degli studi giuridici in Italia. Del tutto coerente fu la scelta del tema della prima opera: Trattato storico della procedura civile romana, pubblicata a Palermo nel 1873 ma scritta durante il soggiorno in Germania e dedicata a Karl Georg Bruns, dell'Università di Berlino (del quale l'a. si professa «discepolo ed amico»). Nello stesso anno Gugino pubblicò un primo volume di Istituzioni di diritto romano; e poi monografie in tema di pegno e di possesso (38). Non riscosse tuttavia negli ambienti accademici nazionali i riconoscimenti che si attendeva (39). É probabile che sia stato anche per ciò che, da un certo momento, la sua produzione scientifica si esaurì, ed Egli si dedicò con maggiore impegno di prima, e con notevole successo, alla professione forense (fu uno specialista in materia di usi civici). Ma il suo impegno nell'attività didattica - in cui, a tacer d'altro, seppe suscitare le vocazioni romanistiche di Salvatore Di Marzo e Salvatore Riccobono - e la sua partecipazione attiva alla vita universitaria non vennero mai meno. Fu Rettore dell'Università negli anni 1893-1895 e 1898-99, Preside di Giurisprudenza dal 1890 al 1893, e dal 1901 al giorno della morte. Morì a Canicattì (Agrigento) il 19 settembre 1917. 7. Tra la fine dell''800 e i primi anni del '900 incontriamo, nell'ambiente dei romanisti palermitani, Antonio Longo (Palermo 1862-1942). Le sue prestazioni nel campo del diritto romano ebbero, come a me sembra, livelli scientifici dignitosi. Conseguì nel 1887 la libera docenza (col titolo di «professore pareggiato») presso l'Università di Modena; l'anno dopo trasferì il titolo a Palermo e qui svolse per alcuni anni un corso libero di Storia del diritto romano (40). Abbandonò presto però gli studi romanistici e passò al Diritto amministrativo (41). Scrisse un pregevole volumetto su «La mancipatio» (Firenze 1887, pp. 173: con dedica `Al Suo Maestro ed amico Pietro Cogliolo' - dell'Università di Genova - `in argomento di affetto e di gratitudine'); in precedenza aveva pubblicato «Dell'actio rei uxoriae» (Roma-Firenze-Torino 1885, pp. 71, con dedica `Al suo amico Vittorio Emanuele Orlando'). Altri lavori di diritto romano di Antonio Longo riguardarono res mancipi e res nec mancipi, la legge Aquilia, la mora, Gaio e le XII Tavole (42). 8. Un rinnovamento radicale e decisivo della romanistica palermitana si ebbe con l'arrivo a Palermo, nel 1897, di Salvatore Riccobono (43). Era nato il 31 gennaio 1864 a San Giuseppe Jato, piccolo centro agricolo a poche decine di chilometri da Palermo. Laureatosi in Giurisprudenza nel 1889 con una tesi di diritto romano sul possesso, per suggerimento di Giuseppe Gugino - che, avendolo seguito negli studi e nell'elaborazione della tesi, ne aveva intuito le straordinarie potenziali capacità - si recò in Germania, allora punto di riferimento obbligato per lo studio scientifico del diritto. Erano gli anni in cui anche la Germania si avviava, sull'esempio degli altri Paesi di tradizioni giuridiche romanistiche, verso la codificazione del diritto privato - infine realizzata, com'è noto, nel '900, con l'entrata in vigore del BGB (Bürgerlisches Gesetzbuch) -. D'altronde, la prospettiva dell'imminente codificazione poneva la romanistica tedesca, ancor più che in precedenza, di fronte all'esigenza per vero, come già rilevato, sino allora generalmente poco avvertita nei Paesi che avevano preceduto la Germania sulla strada della codificazione di considerare il diritto romano, anche quello privato, quale fatto storico: non più 'attualizzato' (44) in funzione di immediata pratica applicazione, non soltanto nella sua configurazione ultima quale a noi appare dalla compilazione di Giustiniano, ma nelle forme e con i contenuti che il diritto romano era andato assumendo per oltre tredici secoli, dalle origini a Giustiniano. Ebbene, in Germania Riccobono rimase ininterrottamente quattro anni, frequentò i corsi di Maestri prestigiosi (tra i maggiori, Windscheid, Dernburg, Pernice, Lenel), e in quel clima culturale particolarmente stimolante confermò la convinzione che l'indirizzo storico era, per gli studi del diritto romano, l'unico che aveva ormai significato, ne intravide le prospettive e ne assorbì i metodi, e al contempo consolidò la propria formazione giuridica; e queste doti solidissime, di giurista e di storico, Egli affinò ulteriormente, una volta tornato in patria (1894), alla Scuola romana di altro Maestro tra i più prestigiosi, certo il più grande in Italia: Vittorio Scialoja. Accadde così che i Suoi primi lavori scientifici, per maturità di pensiero e sicurezza di metodo non inferiori a quelli delle opere successive , rivelarono assai più che un giovane studioso di valore; ciò anche perché Egli indicò subito le linee fondamentali d'un metodo di ricerca (45) espressione ed ulteriore sviluppo di quelli appresi dai Suoi Maestri che avrebbe dato immediatamente risultati di estremo interesse e aperto più tardi prospettive del tutto impreviste. I riconoscimenti accademici non si fecero attendere: nel 1895 conseguì la libera docenza nell'Università di Parma; nell'anno accademico successivo tenne per incarico l'insegnamento di diritto romano nell'Università di Camerino; professore di ruolo di seguito a concorso fu chiamato nel 1897 dalla Facoltà giuridica di Sassari e poco dopo, nello stesso anno, da quella di Palermo (per le Istituzioni di Diritto Romano (46)). A Palermo Riccobono doveva tenere la cattedra per 35 anni. Fu anche Rettore dell'Università (negli anni dal 1908 al 1911) e Preside della Facoltà di Giurisprudenza (dal 1921 al 1931). Partecipò alla vita pubblica (47), ma i suoi interessi prevalenti erano e rimasero per il diritto romano. Le ricerche romanistiche erano per Lui ragione di vita; e la fede e l'entusiasmo che vi metteva Egli portava con sé anche nell'attività didattica (specie nei corsi di esegesi (48)), prolungamento e verifica dell'attività di ricerca. I lunghi anni di permanenza a Palermo furono i più fecondi per la sua produzione scientifica (49). Furono gli anni nei quali Egli si schierò contro l'indirizzo allora dominante sui fattori di formazione dell'ultimo diritto romano, riuscendo infine ad imprimere un nuovo corso agli studi romanistici. Furono gli anni nei quali la sua statura eccezionale di storico del diritto apparve, in Italia e all'estero, in tutta la sua possanza, Palermo divenne uno dei più celebri centri romanistici e a Palermo soggiornarono, per incontrare ed ascoltare Salvatore Riccobono, alcuni degli storici del diritto più eminenti, soprattutto tedeschi: Otto Lenel, Otto Gradenwitz, Paul Vinogradoff, Paul Koschaker; o che, ancora troppo giovani, come Franz Wieacker, avrebbero acquistato fama e prestigio più tardi. Furono anni in cui la dottrina e la passione che Egli riversava nell'insegnamento conquistarono giovani valorosi destinati in breve a brillanti carriere accademiche: a tacer d'altri, Biondo Biondi, Andrea Guarneri Citati, Lauro Chiazzese, Cesare Sanfilippo. Nel 1932 R. fu chiamato dalla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Roma alla cattedra di Esegesi delle Fonti del Diritto Romano (per Lui appositamente istituita) e, l'anno dopo, scomparso Pietro Bonfante, a quella di Diritto Romano. A Roma Riccobono proseguì la Sua opera, ed ebbe altri allievi; basti qui ricordare, per tutti, Riccardo Orestano. Collocato in pensione nel 1935 (è di quell'anno la legge che ridusse a 70 anni il limite di età per l'insegnamento dei professori universitari) e poco dopo nominato professore emerito nell'Università di Roma continuò ad insegnare diritto romano nel Pontificio Ateneo Lateranense sino a tarda età; né interruppe l'attività scientifica, testimoniata, del resto, sino a qualche anno prima della morte, da ulteriori pubblicazioni. Si spense a Roma, novantaquattrenne, il 5 aprile 1958. Nel 1936 la Facoltà giuridica di Palermo Gli aveva tributato solenni onoranze (50). Era stato membro di numerose accademie, italiane e straniere: accademico d'Italia nel 1932, dottore honoris causa nelle Università di Oxford (1924), Wilno (1932) e Gottinga (1937), magister ad vitam del `Riccobono Seminar of Roman Law' di Washington (da Lui stesso fondato nel 1929), segretario perpetuo dal 1934, con la morte di Vittorio Scialoja del Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano (la più antica rivista specialistica italiana di diritto romano, fondata dallo stesso Scialoja nel 1888). Ma in precedenza, a Palermo, Riccobono era stato l'ispiratore dell'istituzione del «Seminario Giuridico» e, nel 1912, aveva fondato gli «Annali del Seminario Giuridico dell'Università di Palermo». Il Seminario giuridico, inaugurato nel 1909, aveva il fine di «promuovere ricerche per parte degli studenti e laureati ... che intendessero perfezionarsi in alcuna fra le scienze professate nella Facoltà, e addestrarsi nella conoscenza dei metodi di ricerca e all'uso delle fonti» (51). In effetti però divenne poi, e per lunghi anni rimase, un istituto di diritto romano. Nel 1989 fu assorbito nel Dipartimento di Storia del Diritto. Negli «Annali» (52) si pubblicarono dapprima sia studi dello stesso Riccobono e dei suoi allievi - nel volume III-IV del 1917 vi comparve l'opera di Riccobono più famosa (53) - sia studi di autori di discipline non romanistiche: adesso, e già da molti anni, gli «Annali» ospitano contributi di diritto romano soltanto. Ne sono stati pubblicati 44 volumi (l'ultimo nel 1996). Hanno mantenuto il livello scientifico che vi impresse il fondatore e rappresentano, negli ambienti scientifici di diritto, in Europa e fuori, uno dei periodici giuridici più qualificati ed apprezzati. 9. Dicevo più in alto degli allievi di Riccobono. Molti di essi insegnarono a Palermo. Ne parlerò più avanti. Preme adesso dire di altri tre romanisti palermitani, già iniziati agli studi di diritto romano negli anni in cui Riccobono cominciava il suo magistero a Palermo: Francesco Guglielmo Savagnone, Salvatore Di Marzo, Giovanni Baviera. Francesco Guglielmo Savagnone (1867-1956), pur avendo al suo attivo una vasta produzione scientifica (54), non raggiunse mai l'ambito traguardo accademico. I suoi interessi spaziarono dal diritto romano al diritto ecclesiastico: ponte di passaggio il diritto romano ecclesiastico e la storia del diritto ecclesiastico nell'età intermedia. Savagnone conseguì la libera docenza di Storia del diritto romano nel 1901 (55), quella di Diritto ecclesiastico nel 1906. Presso la Facoltà giuridica di Palermo tenne per trent'anni (dal 1906 al 1936), per incarico, l'insegnamento di diritto ecclesiastico, e dal 1943 al 1946, quello di Papirologia giuridica. Nell'anno accademico 1930-31 aveva insegnato Storia del diritto romano a Messina. 10. Folgorante fu invece la carriera accademica di Salvatore Di Marzo (56). Nato a Palermo il 25 febbraio 1875, nel 1898 conseguì la libera docenza in Istituzioni di diritto romano, nel 1900 vinse il concorso per la cattedra di Diritto Romano nell'Università di Camerino; l'anno dopo passò a Cagliari (per le Istituzioni), e nel 1903 a Messina (nuovamente per il Diritto romano). In questa città - dove fu Rettore dell'Università (57) negli ultimi due anni di permanenza - rimase sino al 1909; da qui fu chiamato a Pisa (per la Storia del diritto romano); e da Pisa, dopo un triennio, a Palermo. A Palermo, Di Marzo tenne l'insegnamento di Storia del diritto romano sino al 1917, e di Diritto romano sino al 1934; e fu due volte Rettore dell'Ateneo: negli anni 1923-24 e 1933-34. Durante il tempo di insegnamento a Palermo Di Marzo si dedicò intensamente anche alla vita pubblica: tra i fondatori della «Unione liberale» (Palermo, 1919), fu tra i sostenitori di Vittorio Emanuele Orlando, ma si andò poi convertendo verso la destra estrema, divenuta partito di governo: eletto deputato nelle elezioni del 1924 e del 1929, fu sottosegretario di Stato all'Educazione Nazionale (1929-32). In precedenza, dal 1925 al 1929, era stato prosindaco e quindi podestà di Palermo; ma anche presidente di prestigiose istituzioni culturali (Accademia di Scienze Lettere ed Arti di Palermo, Società Siciliana per la Storia Patria) e presidente del Banco di Sicilia. Nel 1934 Di Marzo fu chiamato dall'Università di Roma alla cattedra di Istituzioni di diritto romano. Nello stesso anno fu nominato senatore del Regno. Nell'agosto del 1944, di seguito alle note vicende belliche e al conseguente caqovolgimento politico, perdette il seggio al Senato e, sottoposto a procedimento di epurazione, fu sospeso dall'insegnamento e dallo stipendio. Attraversò quindi un oon breve periodo di risurettezze economiche, che affrontò con grande dignità. Fu poi pienamente reintegrato nel ruolo (un voto in tal senso era stato espresso dalla Facoltà giuridica romana il 4 maggio 1948) ma ormai era maturato il tempo del collocamento a riposo per limiti di età. Si spense a Roma il 16 maggio 1954. Questi rapidi cenni biografici danno conto dei ritmi discontinui che è dato notare nella produzione scientifica di Di Marzo. Ad un primo periodo di attività intensa - sino al 1906 - seguirono anni di silenzio (58); tuttavia interrotti, nel periodo palermitano, dalla pubblicazione, rispettivamente nel 1919 e nel 1922, di due corsi universitari (sul matrimonio e sulle cose). Col trasferimento a Roma, nel 1934, Di Marzo tornò a scrivere opere di diritto romano: tra esse, le Istituzioni di diritto romano (del 1936), giustamente ritenute esemplari per limpidità di pensiero, dottrina e metodo didattico, e che si posero con piena dignità accanto alle Istituzioni di Bonfante e Arangio-Ruiz (ne furono pubblicate cinque edizioni, sino al 1946: l'ultima, appunto del 1946, è dedicata a Salvatore Riccobono, `con affetto pari all'ammirazione'). Negli ultimi anni, vissuti a Roma in solitudine, Di Marzo pubblicò ancora nuove opere: la più nota, del 1950, rimasta unica nel suo genere (e assai diversa dalle precedenti per destinazione ed intenti): Le basi romanistiche del Codice civile (59). Di Marzo non ebbe allievi veri e propri (nel senso che si suole dare comunemente a questa espressione) e, pure se riconobbe come suoi Maestri Vittorio Emanuele Orlando (relatore della tesi di laurea) e Giuseppe Gugino (che insegnava allora Diritto romano) (60), in effetti maturò in solitaria riflessione, e senza allontanarsi dalla sua città, la formazione scientifica romanistica. Spirito libero e aristocratico, dal tratto affabile, distaccato, garbatamente ironico, si tenne sempre fuori dalle polemiche, spesso aspre, che agitarono la romanistica dei primi decenni di questo secolo: i suoi lavori - che non ebbero tutti la notorietà e la fama che avrebbero meritato (anche perché egli non si curava della diffusione, affidandoli spesso a tipografie locali) - i suoi lavori, dicevo, a parte la finezza di pensiero, il senso critico, etc., sono caratterizzati da equilibrio ed insieme sensibilità per le problematiche correnti. Ma è notevole come egli, ancora molto giovane (61), abbia saputo precorrere i tempi prevedendo, con lungimiranza, che l'indirizzo allora prevalente degli studi romanistici, accentuatamente critico, interpolazionistico in specie, «non poteva restare fine a se stesso: esso costituiva una fase necessaria, cui altre e nuove sintesi sarebbero seguite» (62). 11. Giovanni Baviera nacque a Modica (Ragusa) il 19 luglio 1875 (63). Perfezionò gli studi romanistici alla scuola di Alfred Pernice a Berlino, e di Filippo Serafini a Pisa; e conobbe e frequentò altri tra i maggiori storici e romanisti del tempo (tra i quali, Teodoro Mommsen, Vittorio Scialoja, Contardo Ferrini). Conseguì la libera docenza in Storia del diritto romano nel 1900, e di Istituzioni di diritto romano nel 1902. Per l'anno accademico 1902-1903 la Facoltà giuridica palermitana gli conferì l'incarico di Storia del diritto romano; insegnamento, questo, che mantenne come titolare a partire dall'anno successivo (64). Nel 1912 Baviera lasciò Palermo, chiamato dalla Facoltà giuridica di Pisa prima, e da quella di Napoli poi. Tornò a Palermo, per il Diritto pubblico romano, nel 1926. Nel 1932 passò all'insegnamento - lasciato libero da Riccobono (che si era trasferito a Roma) - di Istituzioni di diritto romano. Temperamento generoso e leale, e al contempo passionale, battagliero, polemico (da questo punto di vista, quindi, agli antipodi di Di Marzo) - famose furono, ad esempio, le tante accese battaglie che sostenne in seno alle Commissioni di concorso a cattedra cui partecipò -, Baviera prese parte attiva alla vita politica. Dell'entourage e amico personale di Benedetto Croce, nel 1919 e nel 1923 fu eletto deputato al Parlamento nel collegio di Benevento-Avellino-Campobasso; assunse subito, e mantenne sempre, ferme posizioni liberali e antifasciste; fu testimone di gravi soprusi e violenze (cui tentò invano di reagire) (65); e subì persecuzioni politiche che lo indussero a lasciare l'Università di Napoli. Tornato a Palermo, anche qui non ebbe vita facile. Oltre tutto, dal 1936 la Facoltà gli negò incarichi di insegnamento di discipline diverse da quella di cui era titolare (66) (che un professore di ruolo avesse almeno un incarico, rappresentava allora una regola pressoché assoluta). In precedenza, era stato tuttavia nominato componente della Commissione Reale per la riforma dei codici, costituita nel 1924, e aveva partecipato ai lavori della prima sottocommissione per la riforma del primo libro del codice civile (67). Negli anni del secondo conflitto mondiale Baviera svolse clandestinamente attività politica antifascista e, nel 1943, caduto il Fascismo e praticamente cessato lo stato di guerra in Sicilia, fu nominato Rettore dell'Università di Palermo. Subito confermato, e poi riconfermato all'unanimità dai colleghi, tenne la carica con sapienza autorità e prestigio sin quando, nel 1950, lasciò l'insegnamento per limiti di età. Morì a Palermo il 28 luglio 1963. La sua produzione scientifica non fu copiosissima, ma efficace (68). Scrisse lavori critici sulle fonti, sulla giurisprudenza romana, sulla compilazione giustinianea, si adoperò nella ricostruzione di singoli istituti privatistici o di aspetti particolari di essi (separatio bonorum, actio aquae pluviae arcendae, enfiteusi, res mancipi e nec mancipi), trattò temi generali e di metodologia; e scrisse anche di diritto pubblico (69). Devono qui essere ricordati ancora due corsi di Lezioni di storia del diritto romano, che sono tra le sue opere più apprezzate (70); né si può tacere dell'ottima edizione, che egli curò, del secondo volume di Fontes juris Romani antejustiniani, dedicato agli scritti della dottrina (auctores), un'opera divenuta rapidamente la più diffusa - in Italia praticamente l'unica - raccolta completa di fonti giurisprudenziali pregiustinianee, indispensabile strumento di lavoro di ogni studioso di diritto romano (71). Tutto questo sino al 1916. Dopo quell'anno una lunga pausa; interrotta nel 1925 da un nuovo corso di lezioni di storia del diritto romano (72), e poi ancora nel 1933 - in occasione della celebrazione del XIV centenario della compilazione giustinianea (73) - e nel 1936 - in occasione delle onoranze a Salvatore Riccobono (74). 12. Si diceva più su degli allievi di Salvatore Riccobono: di essi, Biondo Biondi insegnò a Catania e all'Università Cattolica del S. Cuore di Milano; Riccardo Orestano a Genova e Roma; Cesare Sanfilippo a Catania; Guglielmo Nocera a Perugia e Roma. Altri svolsero attività didattica a Palermo. Il primo, in ordine di anzianità: Filippo Messina Vitrano (n. Palermo 22 marzo 1879; m. ivi 16 luglio 1951) (75). Libero docente di Istituzioni di diritto romano nel 1908, di Storia del diritto romano nel 1910, fu incaricato di materie romanistiche a Messina (dal 1909) e Perugia (dal 1915). Costretto a sospendere insegnamento e ricerca con lo scoppio della prima guerra mondiale - che lo vide combattente in prima linea (rimase al fronte per diciotto mesi, meritando anche una decorazione) -, vinse il concorso a cattedra nel 1919: restò a Perugia, passò a Messina nel 1921, e a Palermo nel 1925. Qui Filippo Messina Vitrano tenne l'insegnamento di Storia del diritto romano. Dal temperamento mite, egli era, pure in relazione ai tempi in cui visse, un signore «all'antica», dall'eloquio elegante e forbito, talvolta solenne ed arcaicizzante: ciò soprattutto durante le lezioni, quando si entusiasmava nell'esaltazione del «giure romano» (non è senza significato, a questo riguardo, che Messina Vitrano abbia imposto ai figli i nomi di due giuristi romani: Giulio Paolo e Salvio Giuliano). I suoi scritti - nella successione cronologica dei quali è dato notare la pausa della guerra cui prese parte - condotti col metodo critico allora imperante, della ricerca delle interpolazioni, riguardarono quasi tutti il diritto privato; nel cui àmbito egli predilesse legati e fedecommessi. La sua produzione scientifica - una «produzione dignitosa, maturata, vissuta», «frutto di paziente e scrupolosa indagine scientifica, di coscienziosa meditazione, di raffinata elaborazione formale» (76) - non andò oltre il 1936 (77), anche perché negli ultimi dieci anni e più della sua vita Messina Vitrano fu afflitto da una male che materialmente gli impedì di dedicarsi ancora a quegli studi che aveva tanto amato ed in cui profondamente aveva creduto. 13. Diversi furono il tipo di interessi e la carriera di Marco Modica. Nato a Palermo il 4 giugno 1888, per suggerimento del Maestro si dedicò ad un settore di discipline storico-giuridiche - quello della papirologia giuridica - che, dopo il noto saggio di Ludwig Mitteis del 1891 sui rapporti tra diritto romano e diritti ellenistici, appariva assai promettente per ricchezza di prospettive e di risultati, in relazione peraltro anche alle battaglie scientifiche che Riccobono andava sostenendo contro l'opinione allora dominante sui fattori di evoluzione del diritto romano durante il Basso Impero. Si recò pertanto a Monaco di Baviera, e per due anni, presso quel Seminar für Papyrusforschung, studiò sotto la guida di Leopold Wenger. Esordì quindi brillantemente come studioso serio e impegnato della storia del diritto antico nel 1911, con un lavoro su Il mutuo nei papiri greco-egizi dell'epoca tolemaica (Palermo 1911), e nel 1914 pubblicò un'opera di assai più ampio respiro Introduzione allo studio della papirologia giuridica (Milano 1914), dedicata a L. Wenger `con animo grato e memore' - per lunghi anni rimasta unica nel suo genere e punto di riferimento sicuro per orientarsi in quel difficile campo specialistico (78). Nello stesso anno conseguì la libera docenza di Papirologia giuridica. In seguito, però, i suoi interessi si concentrarono su aspetti non propriamente giuridici della disciplina (79); talché insegnò Paleografia e Diplomatica, ma anche Storia antica nelle Facoltà di Lettere di Palermo e Catania; e fu Sovrintendente e Direttore degli Archivi di Stato di Milano e Mantova (80). In Giurisprudenza, a Palermo, insegnò per incarico Papirologia giuridica dal 1924 al 1926; e Diritto romano nell'anno accademico 1935-36; a Messina, Istituzioni e storia del diritto romano dal 1926 al 1928. Morì a Palermo il 2 ottobre 1948. 14. Pure Andrea Guarneri Citati fu allievo di Salvatore Riccobono. Nato a Palermo il 21 aprile 1894, conseguì nel 1921 la libera docenza in Istituzioni di diritto romano. A Palermo insegnò dapprima per incarico (dal 1923) (81). Presto vincitore di concorso, dal 1925 ebbe la cattedra di Diritto romano a Messina. L'Università di Palermo lo chiamò nel 1928, ma a Palermo Guarneri Citati, certo per ragioni legate alla distribuzione degli insegnamenti tra i romanisti palermitani (tali per nascita o per adozione), tenne la cattedra di Procedura civile e ordinamento giudiziario, e dal 1935 quella di Istituzioni di diritto privato. Negli stessi anni insegnò per incarico pure discipline di diritto romano (o comunque storico-giuridiche) (82). Divenne preside di Giurisprudenza nel 1937 e mantenne la carica sino al giorno della morte che, improvvisa e prematura, lo colse il 18 otttobre 1944 (83). Era stato uno studioso di prestigio. I suoi studi, condotti con metodo rigorosamente critico, riguardarono tutti il diritto privato (84): tra i più significativi i lavori in materia di mora del creditore, obbligazioni indivisibili, accessione ed evizione. Essi ebbero ampia positiva risonanza nel campo romanistico (85), anche per ragioni di stile, limpido e chiaro, e per la forza serrata dell'argomentare, e molti di essi, nonostante i diversi orientamenti che si sono poi affermati in merito alla critica delle fonti, sono ancor oggi rappresentativi della communis opinio. E peraltro, come è stato acutamente osservato (86), al mutamento di indirizzi maturato in questi ultimi decenni dovette contribuire in qualche modo anche il suo Indice delle parole frasi e costrutti ritenuti indizio di interpolazione nei testi giuridici romani (87), frutto di un lavoro paziente e scrupoloso, rivelatore oltre tutto di una padronanza piena della letteratura romanistica del tempo; ché l'opera mise in luce nel modo più evidente gli eccessi - contro cui continuava a tuonare Riccobono - cui si era spinta la critica interpolazionistica. 15. Camillo Ausiello Orlando - nato a Palermo il 12 dicembre 1897 - fu anche lui avviato alla carriera romanistica da Salvatore Riccobono. Autore di pregevoli studi sulla lex Poetelia e sull'obligatio nel ius civile e nel ius honorarium (88), per l'anno accademico 1926-27 ebbe l'incarico dell'insegnamento di diritto romano a Camerino. Ma, per il suo dichiarato antifascismo - sin da giovanissimo aveva partecipato attivamente al dibattito politico come pubblicista -, non poté partecipare all'esame di concorso per la libera docenza; e l'Università di Camerino gli negò il rinnovo dell'incarico. Si dedicò quindi all'attività professionale (89). Una volta cessate le operazioni belliche in Sicilia (1943), tornò attivamente alla vita politica e divenne presto una figura di primo piano nel panorama politico siciliano degli anni del dopoguerra, e oltre (90). Presso l'Università di Palermo tenne, nell'anno accademico 1943-44, l'incarico di Diritto privato comparato (91), e nell'anno accademico 1946-47 quello di Diritto pubblico romano; autore di pregevoli studi di diritto pubblico (92), fu anche direttore della Scuola di diritto regionale presso la Facoltà di Giurisprudenza. Morì a Palermo l'11 settembre 1970. 16. Lauro Chiazzese (93), per segni evidenti e per unanime riconoscimento, fu l'allievo prediletto di Salvatore Riccobono. Era nato il 6 agosto 1903 a Mazzarino (Caltanissetta), dove il padre, palermitano e ancora ai primi anni della carriera, era pretore. Poi la famiglia ritornò a Palermo, e qui Chiazzese compì gli studi secondari e superiori. Percorse poi rapidamente, forte anche di una solida cultura umanistica e letteraria, i gradi della carriera accademica: incaricato di storia del diritto romano a Genova nel 1930, libero docente nel 1931; vincitore di concorso e professore straordinario a Messina nel 1933, nel 1936 la Facoltà giuridica palermitana lo chiamò alla cattedra di Diritto Romano. Per la sua formazione scientifica era stato determinante l'incontro con Salvatore Riccobono. Il giovane allievo ne fu subito conquistato, ne seguì attivamente l'insegnamento, ne assimilò le dottrine, le fece criticamente proprie. Avvertì al contempo l'opportunità di inquadrarle nelle correnti culturali storico-giuridiche del tempo, di dare ad esse una più solida ed unitaria base dimostrativa, di proiettarle nel contesto storico al quale quelle dottrine si riferivano. Ed ecco, dopo anni di meditazione e di studi, apparire a breve distanza l'una dall'altra tre opere che gli meritarono l'ammirazione della romanistica internazionale: i Nuovi Orientamenti nella storia del diritto romano, i Confronti testuali, l'Introduzione allo studio del diritto romano (94). Di particolare rilievo l'Introduzione e i Confronti. L'Introduzione è una sintesi felicissima, efficace e suggestiva, dello sviluppo del diritto privato in relazione alle strutture pubblicistiche, alle situazioni sociali e alle concezioni spirituali che è dato riscontrare via via nel mondo romano dalle origini a Giustiniano: le dottrine riccoboniane vi appaiono perfettamente incastonate e coerenti, e il discorso - caratterizzato da uno stile assai elevato e limpido - è condotto, quando occorre, in polemica con i diversi punti di vista allora ancora dominanti. L'a. vi aggiunse più tardi un ampio capitolo dedicato alle Vicende e interpretazione delle fonti romane in Occidente, dalle legislazioni barbariche ai Commentatori (95). Nei Confronti testuali l'a. dà conto ampiamente dei risultati ottenuti attraverso l'analisi di oltre un migliaio di testi. Le dottrine di Riccobono sulla natura prevalentemente formale delle interpolazioni subite dai testi classici accolti nella compilazione di Giustiniano e, conseguentemente, sui fattori di evoluzione del diritto romano nell'età postclassica ne risultano rigorosamente verificate attraverso l'unico metodo che in questa materia possa dare affidamento: quello del confronto dei testi c.d. geminati (pervenuti cioè sia attraverso la compilazione giustinianea sia al di fuori di essa, o anche in punti diversi della stessa compilazione). Ma Chiazzese affrontò con grande perizia anche problemi tecnico-giuridici specifici. Nel suo studio sul ius iurandum in litem - purtroppo rimasto incompleto (96) e tuttavia ancor oggi fondamentale in questa complessa ed intricata materia - l'a., attraverso una esegesi magistrale dei testi dei giuristi classici che ci sono pervenuti al riguardo, ricostruisce il sistema classico del giuramento estimatorio nel processo formulare, dimostrando la stretta connessione, in questo tipo di processo, tra giuramento estimatorio, clausola restitutoria (o arbitraria) e contumacia. La produzione scientifica di Lauro Chiazzese si arrestò praticamente qui (agli scritti richiamati, bisogna aggiungerne pochi altri di minore ampiezza (97)). Sopravvenne il secondo conflitto mondiale, e furono tempi intuitivamente poco idonei all'impegno scientifico, specie in materie storico-giuridiche; seguirono il dopoguerra e i connessi problemi della ricostruzione e del ritorno al libero dibattito politico. Chiazzese non si sottrasse ai nuovi compiti (98). Anzitutto, nell'ambito universitario: fu componente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, nel 1948 venne eletto Preside della Facoltà di Giurisprudenza e nel 1950 Rettore dell'Università. Rieletto nel 1953 e nel 1956, resse (sino alla morte) il Rettorato con non comuni prestigio, autorità ed efficienza; e fu insignito della Medaglia d'oro per i benemeriti della Pubblica Istruzione. Negli stessi anni mostrò capacità e competenza e rare doti di amministratore dinamico ed efficiente pure quale Presidente della Cassa di Risparmio V. E. per le Provincie Siciliane; e non meno negli altri organismi dove rivestì ruoli direttivi (tra l'altro, fu vice presidente della STES, Società Termoelettrica Siciliana). Né mancò di interessarsi, al contempo e attivamente, alla vita politica; e anche in politica fu consigliere preveggente, ascoltato e stimato. I tanti impegni e i nuovi interessi non gli impedirono di continuare a seguire attentamente e criticamente gli sviluppi della scienza romanistica. E fu Maestro nel senso più alto (tra i suoi allievi, il maggiore, Bernardo Albanese; anch'io - lo ricordo con commozione - posso vantarmi di averlo avuto come primo Maestro). Ché con i Suoi allievi Egli ebbe sempre modo di discorrere di diritto romano, di nuove dottrine, dei loro problemi, sì da indirizzarli, seguirli, incoraggiarli. Morì improvvisamente, all'età di 54 anni, il 14 dicembre 1957. L'immensa folla che silenziosa e sgomenta seguì il suo funerale era un segno del rimpianto e dell'impronta profonda che l'Uomo lasciava di sé. 17. Chiudo praticamente qui questa breve storia dell'insegnamento del diritto romano nell'Università di Palermo. Il resto è storia «contemporanea». Per essa, basti in questa sede sottolineare che la romanistica palermitana ha sempre mantenuto, e mantiene, una posizione di grande prestigio nel panorama scientifico internazionale delle discipline storico-giuridiche. Dei docenti «contemporanei» di materie romanistiche del nostro Ateneo mi limito in questa sede a richiamare in nota pochi dati essenziali (99). Mi sia consentito fare eccezione per Bernardo Albanese; ché ritengo di dovere quanto meno riprodurre la motivazione che si legge nella delibera adottata il 25 ottobre 1996 dal Consiglio della Facoltà giuridica di Palermo quando ne ha proposto la nomina a professore emerito: «Il prof. Bernardo Albanese è nato a Palermo il 19 maggio 1921. Vincitore di concorso non ancora trentenne, ha insegnato in questa Facoltà giuridica Storia del diritto romano (dal 1951) e Istituzioni di diritto romano (dal 1954 al collocamento fuori ruolo). É stato prorettore della nostra Università; e Gli è stata conferita la medaglia d'oro del Ministero della P.I. destinata ai benemeriti della Scuola, della Cultura, dell'Arte. Allievo prediletto di Lauro Chiazzese, Egli vanta al suo attivo una produzione scientifica particolarmente ampia, e di tal valore, acume e dottrina che Gli è valsa stima e prestigio incondizionati negli ambienti culturali - non soltanto giuridici - italiani e stranieri. Anche se i suoi scritti riguardano in maggior misura il diritto romano, i suoi interessi scientifici si estendono alla teoria generale del diritto e alla storia antica. Agli studi monografici - sull'antica hereditas, sul creditum, sui delitti di danno, furto, dolo, servus corruptus - unanimemente riconosciuti fondamentali dall'odierna romanistica, ha fatto seguito, dal 1978, una imponente produzione di tipo trattatistico, nata nella Scuola e divenuta punto di riferimento obbligato per ogni ricerca romanistica di diritto privato. Né vanno taciuti i lavori, minori per ampiezza, raccolti nel 1991, a cura dei Suoi allievi, in due grossi volumi (ALBANESE, Scritti giuridici, Palermo, pag. 1998), molti dei quali hanno riscosso e continuano a riscuotere ampia eco tra gli studiosi di cose giuridiche. E peraltro, dal 1991 B. A. va conducendo e pubblicando studi finissimi e preziosi di diritto romano arcaico. Dai meriti scientifici di B.A. non vanno disgiunti un non comune impegno didattico e, soprattutto, una eccezionale, mai ostentata e unanimemente riconosciuta dirittura morale, per cui Egli ha costituito e continua a costituire per studenti ed allievi - molti dei quali hanno raggiunto l'ambito traguardo accademico - un Maestro ineguagliabile di dottrina e di vita». |
© Matteo Marrone |
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