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DAL DIVIETO DI AGERE ACTA ALL'AUCTORITAS REI IUDICATAE
ALLE RADICI DELLE MODERNE TEORIE SUL GIUDICATO

di Matteo Marrone


in : Nozione, formazione ed interpretazione del diritto dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al professore Filippo Gallo, 1997


1. Premesse. - 2. L'irripetibilità dell'azione. - 3.Altri passi che si esprimono in termini di irripetibilità - 4. La replicatio de re secundum actorem iudicata. - 5. Il processo formulare e l'incontrovertibilità della sentenza. - 6. Sui criteri per riferire i testi classici all'uno o all'altro tipo di processo. - 7. L'incontrovertibilità della sentenza nelle legis actiones e nelle classiche cognitiones extra ordinem: i testi in materia di querela inofficiosi testamenti. - 8. Altri testi - 9. Res inter alios iudicata aliis non praeiudicat. - 10. Sulle ragioni del ricorso a criteri diversi a secondo del tipo di processo: rinvio. - 11. Dalla caduta del processo formulare a Giustiniano. - 12. Dal diritto intermedio alle posizioni della dottrina moderna.

 

1. Mi è grata questa occasione, degli scritti in onore di Filippo Gallo - cui mi legano antichi vincoli di stima e di amicizia -, per tornare su un tema che fu oggetto tanti anni fa della mia prima ricerca di diritto romano 1. L'argomento, che era stato da tempo trascurato dalla dottrina, tornò di nuovo a suscitare l'attenzione degli studiosi 2. Vi furono naturalmente consensi e dissensi, su singoli punti e sulla tesi di fondo 3. Su alcuni punti riterrei adesso - anche in relazione ai tanti nuovi orientamenti e ai progressi della ricerca romanistica di questi ultimi decenni 4 - di ridimensionare talune delle posizioni assunte allora. La tesi di fondo, però, mi convince ancora. Penso quindi di ribadirla, anche perché essa, a mio giudizio, dà modo di vedere più chiaro nelle dispute che, a proposito del giudicato, hanno diviso molti tra i maggiori esponenti della moderna dottrina processualcivilistica.

Il titolo che ho voluto dare a questo lavoro denunzia già che esso attiene ai modi come nel diritto romano si fece fronte all'esigenza elementare di porre un limite alla ripetizione di controversie giuridiche tra privati. Ebbene, le testimonianze che in proposito ci sono pervenute possono con buona approssimazione essere distribuite in due grandi gruppi: uno in cui il problema è posto in termini di irripetibilità, l'altro in cui lo stesso problema è posto in termini di incontrovertibilità.

 

Ora, quando si trattava di irripetibilità - che era di norma irripetibilità dell'azione -, essa, nelle fonti romane, dipendeva più spesso non da una sentenza ma da altro atto giudiziario che solitamente la precedeva, un atto che, pure quando non è espressamente indicato, può essere generalmente identificato con la litis contestatio. Va da sé che in questi casi il divieto di ripetere la lite prescindeva dall'esito del precedente giudizio. Ma, a ragionare in termini di irripetibilità, dall'esito del precedente giudizio doveva potersi prescindere, in via di principio, pure se l'irripetibilità stessa fosse stata fatta dipendere da una precedente sentenza.

A proposito, in generale, del divieto di ripetere la lite è uso parlare, almeno tra i romanisti - con una espressione che ormai i processualcivilisti adoperano più spesso in accezioni diverse - di preclusione processuale, e pertanto di effetti preclusivi (ma anche di effetti esclusori). Nelle fonti più antiche, non giuridiche, l'idea è espressa facendo riferimento ad un divieto di agere acta; è pure in luoghi non giuridici che incontriamo la fortunata massima "bis de eadem re ne sit actio"; nei testi giuridici si parla talvolta di consumere (e come oggetto della consumptio è indicata generalmente l'actio, qualche volta il diritto vantato) 5. E peraltro - com'è notissimo - nell'ambito del processo formulare il principio che vietava di ripetere la lite operava ora ipso iure ora per effetto dell'exceptio rei iudicatae vel in iudicium deductae 6.

Se l'esito in un senso o nell'altro di un precedente giudizio, quando il criterio adottato era quello della irripetibilità dell'azione, non era di per sé rilevante, al contrario era questo esito che soprattutto contava quando era questione di incontrovertibilità della sentenza: occorreva cioè stabilire non solo se sulla questione considerata un primo giudice avesse già deciso ma anche “come” avesse deciso; con la conseguenza che alla sua sentenza - meglio all'accertamento contenuto nella sua sentenza - il secondo giudice avrebbe dovuto adeguarsi 7. In proposito è dato incontrare talvolta l'espressione auctoritas rei iudicatae, altre volte ci si chiede se una res inter alios iudicata sia di praeiudicium a terzi, oppure si afferma che la precedente sentenza - definitiva, naturalmente - debba valere pro veritate, o anche che con la sentenza il giudice ius facit. Io a suo tempo preferii parlare di “efficacia pregiudiziale” e di “effetti normativi”. Continuerò adesso per comodità espositiva ad usare questi termini, ma parlerò anche di auctoritas rei iudicatae, un'espressione che mi sembra particolarmente incisiva e che pertanto ho nel titolo ho preferita ad altre (pure se sono consapevole del diverso o più ampio significato che la stessa espressione assume spesso nei testi giuridici romani 8).

2. Fatte queste premesse, dico subito che la tesi che penso adesso in generale di ribadire è in estrema sintesi questa, che il criterio dell'irripetibilità trova fondamentalmente riscontro nei passi riguardanti il processo formulare, il criterio della incontrovertibilità, fondamentalmente, in quelli riguardanti le legis actiones e le classiche cognitiones extra ordinem.

Ed infatti, distribuite le fonti che interessano in due gruppi a seconda che si esprimano in termini di irripetibilità o incontrovertibilità, appare evidente che quelle circa l'irripetibilità riguardavano prevalentemente il processo formulare. Si tratta di un dato certo e in realtà non contestato. Poche ed incerte sono le testimonianze relative alle legis actiones (e in ogni caso concorrenti con altre più numerose che, rispetto alle azioni reali, si esprimono inequivocabilmente in termini di incontrovertibilità) 9; rare le testimonianze relative alle classiche cognitiones extra ordinem e quelle di età postclassica; nessuna nella legislazione giustinianea 10.

Sul criterio della irripetibilità dell'azione occorre tuttavia soffermarsi per ribadire che era ad essa, e non alla incontrovertibilità, che si riferivano comunque i luoghi del Digesto afferenti, nel contesto originario, all'agere per formulas e dove è menzione di una exceptio rei iudicatae 11.

Per la maggior parte di queste testimonianze la cosa è pacifica perché vi si parla sì di exceptio rei iudicatae ma è fuori discussione che a dare conto della decisione adottata sarebbe bastato richiamare l'effetto preclusivo della litis contestatio 12. Con riferimento ad alcuni testi, però, v'è chi ha negato che l'exceptio rei iudicatae vi assumesse funzione preclusiva (cosiddetta negativa); si è creduto piuttosto che con essa in quei testi il convenuto opponesse l'esito, sfavorevole all'attore, di un giudizio precedente, e quindi, in definitiva, l'incontrovertibilità del precedente giudicato (funzione cosiddetta positiva) 13.

Sarebbe fuori di luogo adesso riprendere analiticamente il discorso su questo punto. Può essere sufficiente fare rinvio, in generale, a quanto in contrario notai a suo tempo 14, e che non credo essere stato fondamentalmente smentito dalle considerazioni che mi sono state opposte. Mi limito solo a sottolineare quanto segue.

Nessuno dubita più che l'editto pretorio contemplasse - e i giuristi classici conoscessero - non una exceptio rei in iudicium deductae e una exceptio rei iudicatae ma una sola exceptio con due diverse clausole: l'exceptio rei iudicatae vel in iudicium deductae. Si può discutere se di volta in volta nella formula si usasse inserire le due clausole o quella sola di esse pertinente al caso concreto, ma che si trattasse di una sola exceptio - ripeto - non si dubita più 15. Ebbene la clausola indicata dopo - che è la prima dal punto di vista dell'iter processuale - faceva riferimento al fatto che la res, l'affare, il rapporto del quale era in atto questione, fosse stato già contemplato in una formula (iudicium); in una formula, naturalmente, definita con litis contestatio. Di qui il dovere del giudice di assolvere il convenuto qualora la res - la stessa res qua de agitur, l'eadem res, quindi - fosse stata effettivamente in iudicium deducta. La clausola in questione pertanto prescindeva del tutto - e non poteva essere altrimenti - dall'esito del primo giudizio. La sua funzione era solo di richiamare il fatto in sé della preesistenza di altro iudicium de eadem re.

Se così è - e nessuno potrà dubitarne - si deve necessariamente pensare che l'altra clausola, quella che faceva riferimento alla res iudicata, avesse funzione analoga, e facesse quindi obbligo al giudice di stabilire se de eadem re esistesse già una res iudicata: il giudice doveva cioè verificare se la precedente res iudicata fosse de eadem re, non accertare a quale delle parti essa fosse stata favorevole e assolvere il convenuto solo se favorevole al convenuto stesso. Credere diversamente (attribuendo in sostanza alla clausola della quale stiamo discorrendo il significato di una exceptio rei secundum se iudicatae, o contra actorem iudicatae) significherebbe credere che una stessa exceptio, l'exceptio rei iudicatae vel in iudicium deductae, assumesse, o sia stata dai giuristi piegata ad assumere, funzioni affatto eterogenee. Una conclusione, questa, della quale non riesco a persuadermi.

Sono stati addotti in proposito alcuni passi - di Labeone, Gaio, Paolo ed Ulpiano 16 - che prospettano fattispecie nelle quali la lite è ripetuta tra le stesse parti a ruoli invertiti: l'exceptio rei iudicatae viene opposta dal convenuto che, avendo in precedenza proposto con buon esito la lite nel ruolo di attore, venga chiamato in giudizio dallo stesso avversario di prima, nella prima lite convenuto e soccombente. Si tratta di ipotesi tutte in cui la nostra exceptio non sarebbe stata opponibile per la clausola circa la res in iudicium deducta ma per l'altra circa la res iudicata - clausole che d'ora innanzi, per comodità espositiva, chiamerò rispettivamente exceptio rei in iudicium deductae ed exceptio rei iudicatae -. Paradigmatico è il caso della rei vindicatio nella quale il convenuto già soccombente, avendo restituito la cosa, rivendica la stessa contro l'attore di prima. Si dice che il nuovo convenuto, già attore, opporrà validamente l'exceptio rei iudicatae. Ebbene, è a questo e a casi analoghi che si pensa quando si dice che all'exceptio rei iudicatae i classici avrebbero assegnato anche funzione positiva; ché, nell'ipotesi considerata, con l'exceptio rei iudicatae il convenuto avrebbe opposto non tanto che il giudizio era de eadem re rispetto ad altro precedente (funzione c.d. negativa) ma che, nel precedente, la questione era stata già risolta in senso a lui favorevole (funzione c.d. positiva).

L'impostazione del problema, però, quale emerge dai passi che qui vengono in considerazione, è diversa: nel caso, ad es., della rivendica - ma il discorso può essere riproposto in maniera analoga per le altre ipotesi contemplate nei testi richiamati - nel caso della rivendica, dicevo, la res in iudicium deducta era quella rappresentata nell'intentio, ed era che la res qua de agitur appartenesse (ex iure Quiritium) ad Aulo Agerio. La pretesa che la cosa fosse di Numerio Negidio non figurava in alcun modo nella formula. Ecco perché a Numerio Negidio che avesse restituito di seguito a soccombenza nella rivendica non sarebbe stata opponibile l'exceptio rei in iudicium deductae se avesse lui riproposto la stessa azione a ruoli invertiti. Non solo, ma a Numerio Negidio fattosi attore non sarebbe stata opponibile neanche l'exceptio rei iudicatae se nella prima lite egli fosse stato assolto; ché sul suo diritto di proprietà non vi era stata res iudicata: pronunziando infatti il giudice che la cosa non era di Aulo Agerio, non per ciò egli la riconosceva appartenere a Numerio Negidio. Viceversa, riconosciuto proprietario Aulo Agerio, ecco che il giudice, per il carattere assoluto del dominio, implicitamente aveva escluso che la cosa rivendicata fosse di Numerio Negidio; sicché sul diritto di proprietà di Numerio Negidio, pure se non era stata contestata la lite, era stato tuttavia giudicato. Di qui, nel nostro caso (di ripetizione della lite a ruoli invertiti da parte del convenuto soccombente), l'opponibilità dell'exceptio rei iudicatae, opponibilità dipendente quindi dal fatto in sé dell'esistenza di una precedente res iudicata de eadem re 17. Poco importa che, per conoscere se sentenza de eadem re vi fosse stata, occorresse conoscere l'esito del giudizio precedente. Non era l'esito in quanto tale che rilevava, ma il fatto che de eadem re fosse stato giudicato 18.

Si veda, in materia di hereditatis petitio, D.44.2.15 (Gai. 30 ad ed. prov.): ....Quod si post rem iudicatam a me petere coeperis, interest utrum meam hereditatem pronuntiatum sit an contra: si meam esse, nocebit tibi rei iudicatae exceptio, quia eo ipso, quod meam esse pronuntiatum est, ex diverso pronuntiatum videtur tuam non esse: si vero meam non esse, nihil de tuo iure iudicatum intellegitur, quia potest nec mea hereditas esse nec tua;

in materia di rivendica, D.3.3.40.2 (Ulp. 9 ad ed.): ... si a me vindicaret, exceptione rei iudicatae summoveretur .... nam cum iudicatur rem meam esse, simul iudicatur illius non esse;

ancora in materia di rivendica, D.44.2.30.1 (Paul. 14 quaest.): ...si de proprietate fundi litigatur et secundum actorem pronuntiatum fuisset, diceremus petenti ei, qui in priore iudicio victus est, obstaturam rei iudicatae exceptionem, quoniam de eius quoque iure quaesitum videtur, cum actor petitionem implet. Quod si possessor absolutus amissa possessione eundem <fundum> ab eodem, qui prius non optinuit, peteret, non obesset ei exceptio: nihil enim in [suo] <superiore> iudicio de iure eius statutum videtur. Cum autem pigneraticia actione actum est adversus priorem creditorem, potest fieri, ut de iure possessoris non sit quaesitum ...;

a proposito di patria potestas, D.43.30.1.4 (Ulp. 71 ad ed.): Pari modo di iudicatum fuerit non esse eum in potestate, etsi per iniuriam iudicatum sit, agenti hoc interdicto obicienda erit exceptio rei iudicatae, ne de hoc quaeratur, an sit in potestate, sed an sit iudicatum.

Particolarmente significativi sono gli ultimi due testi, dove, in modo ancor più evidente che nelle altre fonti richiamate, è detto che, a giustificare l'opponibilità dell'exceptio rei iudicatae, è l'esistenza in sé di un precedente giudicato (de eadem re), non il suo esito. Vi si legge infatti `quoniam de eius quoque iure quaesitum videtur' (nel fr. 30.1), e `ne de hoc quaeratur, an sit in potestate, sed an sit iudicatum' (così nel fr. 1.4). Né vi sono ragioni per interpretare diversamente D.44.2.15, D.3.3.40.2 e gli altri testi più su citati (nt. 16). Anzi, che debbano essere interpretati in maniera analoga è suggerito dalle considerazioni svolte sulla assai maggiore verosimiglianza che le due clausole dell'exceptio rei iud. vel in iud. ded. abbiano avuto funzioni omogenee.

3. I passi dei quali s'è detto - di lite ripetuta a ruoli invertiti e con exceptio rei iudicatae - non sono i soli che sono stati invocati per sostenere che quella exceptio abbia assunto talvolta, nel processo formulare, funzione positiva. Ve ne sono altri: quanto meno D.44.2.8 (Iul. 51 dig.), D.44.2.11.3 (Ulp. 75 ad ed.) e D.44.2.24 (Iul. 9 dig.) 19. In proposito può essere sufficiente qui sottolineare che nel fr. 8, per l'opponibilità dell'exceptio, importa soltanto che una prima volta l'azione sia stata esercitata (parte fundi petita); allo stesso fine, nei frr. 11.3 e 24, si dà rilievo a nient'altro che al fatto in sé che una sentenza ci sia stata (quia res iudicata sit inter te et venditorem meum; quod res iudicata sit inter me et te; at si res iudicata non sit). In ogni caso si prescinde dall'esito del primo giudizio. Negli ultimi due testi esso è considerato solo nella prospettazione del caso di specie, non come elemento rilevante per la decisione. Dico di più: le fattispecie sono tali da fare ritenere che, qui come in D.44.2.8, sarebbe stato sufficiente al convenuto opporre che la res qua de agitur fosse stata già in iudicium deducta, non il fatto in sé che fosse stata decisa 20.

4. Il divieto di tornare ad agire per pretese già contestate o decise era un criterio particolarmente rigido. Per talune poche ipotesi per le quali l'applicazione avrebbe comportato conseguenze ritenute intollerabili non si mancò pertanto di proporre rimedi idonei a neutralizzarlo: in integrum restitutio per fattispecie di preclusione ipso iure, replicatio (sì da superare l'exceptio) per ipotesi di preclusione in forza di exceptio rei iudicatae vel in iudicium deductae 21.

Qui interessano i tre testi dove vengono prospettate ipotesi di replicatio rei iudicatae, alla quale si attribuisce la funzione (evidentemente positiva) di neutralizzare l'exceptio r.i.v.i.i.d indicando al giudice di tenere conto dell'esito di una lite precedente. Si tratta di D.44.2.9.1 (Ulp. 75 ad ed.), D.20.1.16.5 (Marcian. lib. sing. ad formulam hypoth.), D.40.12.9.2 (Gai. ad ed. praet. urb. tit. de lib. causa) (nel fr. 9.1, di Ulpiano, la soluzione prospettata circa la replicatio è fatta risalire a Nerazio) 22.

Sulla genuinità dei passi attribuiti ad Ulpiano e Gaio tempo fa avanzai forti dubbi 23. Voglio ammettere ora che la sostanza sia classica. Resta il fatto che non è facile ricostruire le relative fattispecie, né dire comunque le ragioni che avrebbero giustificato l'opponibilità dell'exc. r.i.v.i.i.d. 24. In ogni caso una cosa è certa, che alla sentenza richiamata con la replicatio non viene riconosciuto l'effetto per cui il secondo giudice debba automaticamente riconoscere fondata la pretesa attrice. L'effetto è più limitato. É notissimo, infatti, che la replicatio non dava fondamento all'intentio ma neutralizzava l'exceptio. Talché, nei casi che qui vengono in considerazione, il secondo giudice, una volta verificata la replicatio, avrebbe dovuto dare per superata l'eccezione di preclusione ed esaminare ex novo le ragioni dell'attore 25.

Giova a questo punto osservare che, se la dottrina della quale s'è detto fosse classica - e non è escluso che lo sia -, potrebbe per la sostanza essere classico pure il testo di Giuliano in D.44.2.16 (Iul. 51 dig.), nella misura in cui esso può essere inteso come espressione della stessa dottrina: Evidenter enim iniquissimum est proficere rei iudicatae exceptionem ei, contra quem iudicatum est 26. Il passo non dice che, per ragioni di equità, alla parte che ha già vinto la prima lite l'exceptio r.i.v.i.i.d. non è di per sé opponibile; né che essa può essere opposta esclusivamente da parte del convenuto già assolto; dice solo che è oltremodo iniquo che l'exceptio giovi al convenuto già soccombente. Quindi l'exceptio è di per sé opponibile; ed è per questo - possiamo aggiungere noi in base al confronto con gli altri passi più in alto richiamati - che si dà all'attore la replicatio 27.

5. Il criterio della irripetibilità per cui era fatto divieto di agire una seconda volta de eadem re comportava che il giudice della seconda lite dovesse rigettare la pretesa attrice già contestata o decisa. Potevano però darsi situazioni nelle quali il giudice fosse chiamato a decidere su questioni dibattute e decise in precedenti giudizi, questioni però che non erano de eadem re rispetto alla pretesa avanzata nel giudizio in corso.

Ebbene, in proposito l'orientamento di massima per quanto riguarda il processo formulare fu nel senso di evitare di riconoscere l'incontrovertibilità in sé del precedente giudicato 28. Fin quando possibile, si estese la portata del divieto di bis de eadem re agere: così in casi in cui al giudizio precedente avesse partecipato il dante causa a titolo particolare (auctor) di una delle parti in lite 29.

Ma per situazioni diverse il ricorso alla preclusione processuale sarebbe stato impossibile. Certamente impossibile, ad es., nel caso dell'azione proposta dai legatari, tali in forza di un testamento sulla cui validità avesse già deciso un giudice precedente nella lite ereditaria (hereditatis petitio) tra un preteso erede ab intestato e un preteso erede legittimo. Ebbene, mai la res in iudicium deducta e iudicata in sede di petizione di eredità avrebbe potuto dirsi la stessa rispetto a quella fatta valere dai legatari: comune ai due giudizi era la questione della validità del testamento, ma si trattava di una questione solo pregiudiziale rispetto alla pretesa in ciascuno di essi fatta direttamente valere; e quindi diversa rispetto alla questione in ciascuno di essi oggetto diretto della pronunzia del giudice. E peraltro sarebbe stato assurdo precludere comunque ai legatari l'azione loro spettante in quanto tali solo perché in precedenza sull'appartenenza dell'eredità avevano litigato (preteso) erede testamentario e (preteso) erede legittimo!

Impensabile quindi il ricorso al principio di preclusione. D'altronde, il criterio della incontrovertibilità era tutt'altro che ignorato dal diritto romano fuori del processo formulare. Non deve quindi fare meraviglia che, in ordine ai casi del tipo di quelli ai quali si è fatto riferimento, sia stata posta la domanda se all'una o all'altra delle parti giovasse o nuocesse l'esito di un precedente giudizio. Ed è possibile che, dandosi per scontato che il primo giudice avesse deciso nel modo giusto, la risposta sia stata talvolta positiva 30. Ma una volta posto il problema con riguardo ad una sentenza ingiusta, o iniuria iudicis (era così che era detta appunto la sentenza ingiusta 31), ecco che i classici negarono che essa facesse stato in altro giudizio 32. D'altronde, che cosa vuol dire negare l'incontrovertibilità della sentenza ingiusta, e quindi ammettere che il secondo giudice possa dissociarsi da essa, se non negare, in buona misura, l'efficacia pregiudiziale, o normativa, del giudicato 33? Possiamo pertanto tenere fermo il risultato per cui il criterio della incontrovertibilità del giudicato rimase fondamentalmente assente nell'àmbito del processo formulare. Al più è possibile pensare, nella prassi, ad una sorta di presunzione iuris tantum: in questo senso, che, nei fatti, doveva gravare sulla parte che vi avesse interesse provare l'erroneità del giudicato precedente.

6. Le cose stavano diversamente nelle legis actiones e nelle classiche cognitiones extra ordinem 34.

In proposito, occorre preliminarmente puntualizzare quanto segue. Non ho avvertito sin qui la necessità di giustificare specificamente il fatto di avere riferito al processo formulare i passi che sono andato richiamando. La ragione è che ritengo si possa ragionevolmente presumere che, salvo prove o anche solo indizi contrari, al processo formulare facessero più spesso riferimento i testi dei giuristi che vissero ed operarono durante il principato 35: ciò per l'elementare considerazione che quello formulare fu il processo ordinario dell'età classica (la cautela con cui mi sono espresso mostra che penso a nient'altro che ad un criterio orientativo di massima). E peraltro, la maggior parte dei passi che vengono in considerazione a proposito dell'irripetibilità dell'azione furono escerpiti da opere ad edictum o da opere che comunque ricalcavano l'ordine edittale; e in tanti di essi il riferimento al processo formulare emerge già di per sé, perché vi compaiono atti e strumenti tipicamente formulari.

Viceversa, il riferimento dei testi classici alle legis actiones e alle cognitiones extra ordinem richiede ogni volta una giustificazione. All'onere relativo non mi sottrassi tanti anni fa quando affrontai per la prima volta il tema su cui adesso ritorno, e non mi sottraggo ora; ché procedetti allora in linea di massima, e procederò ora in ogni caso, sulla base di dati certi, raramente di indizi gravi. Come dubitare ad es. - dico questo in relazione alle perplessità sollevate da qualche autore 36 - come dubitare, dicevo, che riguardassero le legis actiones, più specificamente la legis actio sacramenti in rem o il lege agere in rem per sponsionem, quei pochi testi del Digesto dove è stata conservata la menzione dei centumviri? E che riguardassero una cognitio extra ordinem quei luoghi classici dove compare l'appello come rimedio ordinario; o che furono escerpiti da opere de appellationibus; o in cui quale organo giudicante è indicato il praeses provinciae o altra pubblica autorità? E non è forse indizio grave per il riferimento ad una cognitio extra ordinem la menzione di una praescriptio quale mezzo di difesa in testi del II secolo e oltre 37? Ebbene, le fonti che a suo tempo invocai per sostenere la tesi che adesso mi adopero a ribadire sono tali per cui il riferimento alle legis actiones o alla cognitio extra ordinem appare sicuro, o quasi, sulla base di dati del tipo di quelli indicati.

Ancora: molti dei luoghi che vengono in considerazione per il nostro argomento riguardano la querela inofficiosi testamenti. Che per essa si agisse fuori del processo formulare a me sembrò certo 38 (oltre tutto, non è dato riscontrare traccia dell'impiego di formulae). Ad essere più cauti si può ammettere che per la querela di inofficiosità si procedesse per formulas per eredità di modesto valore 39. Resta fermo ad ogni modo - secondo quanto del resto emerge spesso indiscutibilmente dai testi - che il rito più comunemente adottato fu o quello di una legis actio (sacramenti in rem o in rem per sponsionem, in ogni caso con decisione affidata ai centumviri) oppure una cognitio extra ordinem. Non deve quindi apparire arbitrario riferire in linea di massima appunto alle legis actiones o alla cognitio extra ordinem i testi classici in materia di querela inofficiosi testamenti.

7. Ebbene, nei testi giurisprudenziali e nelle costituzioni imperiali classiche che conservano tracce dell'originario riferimento ad una legis actio o ad una cognitio extra ordinem, o comunque riguardanti la querela inofficiosi testamenti, compare ripetutamente, e in ogni caso assai più spesso e con assai maggiore evidenza che nei testi riguardanti il processo formulare, il ricorso al criterio dell'incontrovertibilità del giudicato; ché all'accertamento contenuto nella sentenza (definitiva) sono attribuiti effetti c.d. pregiudiziali, o normativi; mentre, al contrario, sembra pressoché assente il ricorso alla preclusione processuale; né si fa questione di sentenza iniuria iudicis.

Tra i testi più significativi, riguardavano certamente le legis actiones:

D.5.2.17 pr.-1 (Paul. 2 quaest.) e D.5.2.13 (Scaev. 3 resp.), in materia di querela inofficiosi testamenti (con giudizio espressamente devoluto ai Centumviri: ... quasi centumviri hunc solum filium ...; si soror centumvirali iudicio optinuerit...). Nel fr. 17 pr. si dice che il querelante, che ha agito e vinto per l'intero contro estranei, potrà avvalersi dell'auctoritas rei iudicatae pure contro il fratello che non ha partecipato al giudizio e che tuttavia avrebbe diritto alla metà; dal § 1 dello stesso fr. 17 emerge che, di solito, la sentenza di inofficiosità ius facit, e quindi solitamente essa fa stato nei confronti di legatari e manomessi; va oltre Paolo nel fr. 13: annotando il passo di Scevola egli afferma che la sentenza di inofficiosità, poiché presuppone l'insania di mente del testatore, si oppone anche ai terzi onorati di fedecommesso ab intestato 40.

Erano pure pertinenti alla querela inofficiosi testamenti, e riguardavano pertanto o legis actiones o cognitio extra ordinem, i seguenti testi:

D.5.2.6.1 (Ulp. 14 ad ed.): prevalso nella lite di inofficiosità un non legittimato, non ei prosit victoria, sed et his qui habent ad intestato successionem: nam intestatum patremfamilias facit.

D.5.2.8.16 (Ulp. 14 ad ed.): Si ... iudex ... pronuntiaverit contra testamentum nec fuerit provocatum, ipso iure rescissum est; et suus heres erit secundum quem iudicatum est et bonorum possessor, si hoc se contendit; et libertates ipso iure non valent: nec legata debentur... 41.

D.5.2.15.2 (Papin. 14 quaest.): il figlio impugna per inofficiosità il testamento paterno; agisce in separati giudizi contro due diversi eredi testamentari; nei confronti di uno vince, nei confronti dell'altro, perde. Ecco che allora debitores convenire et ipse a creditoribus conveniri pro parte potest et corpora vindicare et hereditatem dividere: verum enim est familiae erciscundae iudicium competere, quia credimus eum legitimum heredem pro parte esse factum...

D.5.2.21.2 (Paul. 3 resp): una volta che il querelante prevalga contro l'erede istituito, perinde omnia observari oportere, ac si hereditas adita non fuisset...

D.5.2.28 (Paul. 5 lib.sing. de septemviralibus iudicis): ... Hic illud adnonatum quod de libertatibus et de legatis adicitur: nam cum inofficiosum testamentum arguitur, nihil ex eo testamento valet 42.

D.49.1.14.1 (Ulp.14 ad ed.): il giurista cita una epistula dei divi fratres, secondo cui la sentenza di inofficiosità emessa in assenza dell'erede testamentario non habet rei iudicatae auctoritatem se non nei confronti dell'assente; talché non è opponibile a legatari, manomessi e fedecommissari. Facile ricavarne che la sentenza di inofficiosità pronunziata in presenza dell'una e dell'altra parte acquista autorità di giudicato, ed è quindi opponibile ai destinatari delle disposizioni particolari del testamento.

CI.3.28.13 (Gord., a. 239): il querelante vince contro uno degli eredi isituiti perde contro l'altro: anche qui, come in D.5.2.15.2, pro ea parte, qua resolutum est testamentum, ... nec legata nec fideicommissa debentur...

8. Ampia e diffusa era la competenza dei giudici extra ordinem in materia di stato 43. Ad un valore generale della sentenza di ingenuità - che molti elementi ci dicono avesse luogo extra ordinem, non anche nel processo ordinario 44 - ci fa pensare già il fatto che, per intervento imperiale, si consentì ai terzi di denunziare, sì da determinare la sostanziale revoca della sentenza, la collusione processuale tra patrono e liberto per effetto della quale il liberto fosse stato pronunziato ingenuo 45. Notissimo, nello stesso ordine di idee, è D.1.5.25 (Ulp. 1 ad legem Iuliam et Papiam), dove l'affermazione per cui va considerato ingenuo pure il liberto che una sentenza abbia dichiarato ingenuo è motivata con le parole quia res iudicata pro veritate accipitur 46. L'occasione era stata data ad Ulpiano dal divieto di matrimonio tra liberti e persone di rango senatorio. Pure se la portata originaria del passo era quindi più limitata di quanto non appaia oggi nel Digesto, il suo significato è tuttavia notevole. E peraltro i compilatori isolarono dal contesto le parole res iudicata pro veritate accipitur e, collocandole in D.50.17.207, le elevarono al rango di regula iuris.

Altro testo che, se fosse genuino, non sarebbe privo di significato è D.40.12.27.1 (Ulp. 2 de officio consulis), nel punto in cui nega che la sentenza contumaciale ingenuum facit eum qui non fuit, presupponendo quindi che, in condizioni diverse, la sentenza può ingenuum facere eum qui non fuit 47. Giova notare che, tra i testi citati in questo e nel § precedente, per dire dell'efficacia pregiudiziale si parla, in D.5.2.17 pr. e D.49.1.14.1, di auctoritas rei iudicatae; in altri, per indicare praticamente lo stesso effetto, si dice che il giudice ius facit, o sono comunque usate espressioni che rendono il concetto per cui il giudicato è costitutivo della posizione giuridica sostanziale soggettiva affermata nella sentenza 48.

9. Largamente enunciato ed applicato è, in testi originariamente relativi a classiche cognitiones extra ordinem 49, il principio per cui res iudicata inter alios aliis non praeiudicat: la cosa giudicata non pregiudica i terzi ma le parti soltanto. Si tratta di un principio che esprime nient'altro che un orientamento di massima 50, un principio comunque che di per sé avrebbe potuto riguardare la preclusione processuale; ché tra gli elementi da prendere in considerazione per stabilire se la seconda lite fosse de eadem re rispetto alla precedente, e come tale irripetibile, i classici inclusero, anche se in concreto spesso ignorarono, il requisito delle eaedem personae 51; pure in ordine alla preclusione processuale avrebbe potuto pertanto bene essere affermato che, in linea di principio, la res iudicata tra le parti non pregiudica i terzi. Sta di fatto però che nei luoghi delle fonti dove questo principio viene più o meno esplicitamente in considerazione si ragiona non in termini di irripetibilità ma in termini di incontrovertibilità; non di preclusione quindi, ma di effetti normativi.

Esso trova riscontro - ripeto - in testi attinenti alle classiche cognitiones extra ordinem 52. É applicato, ad es., in D.44.2.29 pr. (Papin. 11 resp.); è espresso, oltre che applicato, in D.44.1.10 (Modest. 12 resp.); in D.20.4.16 (Paul. 3 quest.); in CI.5.56.2 (Gord., a. 239) 53; e soprattutto in D.42.1.63 (Macer 2 de appellationibus). Questo testo, che più elementi ci dicono avere riguardato la cognitio extra ordinem 54, è assai indicativo del valore che assunse la massima della quale andiamo discorrendo: ché essa è posta a base di un'ampia dissertazione sistematica - non frequente presso i classici - volta ad indicarne all'interprete la portata, con la posizione di adeguati criteri di orientamento (notevole è che il giurista dica espressamente che si tratta di un principio che aveva fondamento nelle costituzioni dei prìncipi: saepe constitutum est; idque itaque rescriptum est; et haec ita ex multis constitutionibus intellegenda sunt).

10. Non posso qui tornare sulle ragioni per le quali nelle legis actiones e nelle cognitiones extra ordinem dell'età classica sia stato tenuto fondamentalmente presente il criterio della incontrovertibilità del giudicato e nel processo formulare quello dell'irripetibilità della lite già contestata o decisa 55. Ai fini che qui mi propongo non occorre 56.

11. Le costituzioni del tempo di Diocleziano, le fonti postclassiche e le costituzioni giustinianee non ci pongono, in materia, dinanzi a novità o comunque a dati particolarmente interessanti 57.

I compilatori di Giustiniano, dal canto loro, non poterono non accogliere nel Digesto, e in minor misura nel Codex, testi di giuristi e costituzioni imperiali riguardanti i diversi tipi classici di processo. Si adoperarono, naturalmente, a ridurre ad unità le problematiche e i caratteri propri di ciascuno; soppressero pertanto, in linea di massima, gli specifici riferimenti tecnici a questo o quel tipo; per quanto qui interessa, soppressero generalmente ogni diretto ed esplicito riferimento agli effetti preclusivi della litis contestatio, e gli stessi effetti collegarono alla sentenza talché, oltre tutto, nei testi del Corpus iuris, la classica exceptio rei iudicatae vel in iudicium deductae divenne in ogni caso una exceptio rei iudicatae.

I compilatori si preoccuparono poco però di armonizzare i diversi criteri - irripetibilità e incontrovertibilità - che abbiamo visto essere stati adottati dai classici in relazione ai diversi tipi di processo. Certo, tra i passi utilizzati, quelli sugli effetti preclusivi sono in numero decisamente preponderante rispetto agli altri che discorrono in termini di incontrovertibilità. La ragione la conosciamo: i giuristi avevano scritto le loro opere prevalentemente in vista del processo formulare. Appare tuttavia, nell'opera di Giustiniano, un tendenziale maggiore interesse per gli effetti normativi, dettato certamente da ragioni analoghe a quelle per le quali, in vista delle cognitiones extra ordinem, il criterio della incontrovertibilità del giudicato, già noto alle legis actiones, era sembrato a prìncipi e giuristi il più naturale: si dovette cioè considerare la stessa incontrovertibilità come espansione dell'autorità dell'imperatore; ché era dall'imperatore che ogni giudice veniva più o meno direttamente investito della sua funzione 58.

Il maggiore interesse dei compilatori per la incontrovertibilità del giudicato anziché per gli effetti preclusivi della sentenza è denunziato quanto meno da ciò, che essi collocarono al primo posto del titolo D.44.2 de exceptione rei iudicatae - verosimilmente interpolandovi al'inizio le parole `cum res inter alios iudicatae nullum aliis praeiudicium faciunt' 59 - un passo di Ulpiano (D.44.2.1 Ulp. 2 ad ed.), dove è proposta una questione che investe problemi di incontrovertibilità della sentenza. I compilatori avviarono così un tentativo di fusione dei due criteri, privilegiando quello della incontrovertibilità; ché, ponendo il testo ulpianeo in testa a D.44.2, essi assegnarono in sostanza all'exceptio rei iudicatae anche la funzione di indicare al giudice di conformarsi al giudicato precedente (funzione c.d. positiva), perché implicitamente considerarono l'exceptio - come, talvolta, nelle classiche cognitiones extra ordinem 60 - uno strumento utile per riconoscere alla sentenza effetti normativi. E al contempo il principio res inter alios etc., tramite il collegamento con l'exceptio rei iudicatae 61 - che nella maggior parte delle applicazioni conservava funzione negativa - venne implicitamente riferito anche alla teoria dell'eadem res propria della preclusione processuale, che indicava le eaedem personae tra i requisiti per la non ripetibilità della lite 62.

12. Non si pervenne tuttavia - ripeto - ad una compiuta armonizzazione di effetti preclusivi e normativi (o se si preferisce negativi e positivi). Il risultato fu di fare gravare sugli interpreti del tempo di Giustiniano, e sugli altri per cui il Corpus iuris avrebbe rappresentato comunque una fonte di diritto da applicare, l'onere di interpretare con lo stesso metro i testi dei quali si tratta sì da intenderli in relazione all'unico tipo di processo ormai in vigore.

Non sembra che gli interpreti del diritto intermedio si siano assunti quest'onere: essi si preoccuparono più che altro dell'affermazione di Ulpiano (D.1.5.25) - che i compilatori avevano accolto tra le regulae iuris (D.50.17.207) -, per cui res iudicata pro veritate accipitur, e dell'altra, che più spesso ricorre nelle fonti, per cui la sentenza (in molti testi, l'organo giudicante) ius facit; si soffermarono particolarmente sul significato e la portata di ciascuna di esse e sul loro rapporto 63.

Furono gli esponenti della Pandettistica tedesca che, avendo ripreso sistematicamente sin dagli inizi del secolo scorso l'esame diretto delle fonti romane e dovendole utilizzare in sede di applicazione pratica del diritto, avvertirono la difficoltà rappresentata dal fatto che dal giudicato sembrava derivassero effetti diversi e non sempre tra loro conciliabili. L'autore che pose le basi delle moderne teorie sul giudicato fu il Keller, il quale credette di potere ricavare dalle fonti romane l'idea per cui all'exceptio rei iudicatae si dovessero attribuire due funzioni diverse: una negativa, per cui si fa divieto al secondo giudice di giudicare su una questione già definitivamente giudicata, ed una positiva, per cui si fa obbligo al secondo giudice di conoscere l'esito della precedente sentenza sì da non pronunziarsi in maniera difforme 64. Ebbene, da questa tesi, a mio giudizio storicamente falsa per i motivi che sono andato dicendo, discendono in definitiva le tante altre che i giuristi positivi hanno via via proposto 65, dando luogo a dispute oggi non ancora sopite. V'è stato infatti chi ha preteso di attribuire al giudicato solo effetti negativi, chi solo effetti positivi, e pertanto all'eccezione di cosa giudicata ora soltanto l'una ora soltanto l'altra funzione. Gli stessi effetti positivi e negativi sono stati intesi in maniera diversa: taluno ha parlato di effetti negativi per significare che al secondo giudice si farebbe divieto di giudicare su una questione già decisa con sentenza (definitiva) prescindendo dall'esito, ma molti, specialmente in tempi più recenti, hanno inteso l'effetto negativo come divieto fatto al secondo giudice di giudicare in maniera difforme; divieto, questo, che altri ha invece continuato a pensare come espressione di un effetto positivo. Questo, a sua volta, è stato inteso da molti come obbligo fatto al secondo giudice di conformarsi al giudicato precedente.

Per tutti questi autori ai quali ho fatto qui sommario riferimento, la cosa giudicata opererebbe quindi all'interno del processo. Ma dall'idea per cui, per effetto della cosa giudicata, il secondo giudice dovrebbe conformarsi al giudicato precedente, o comunque dalle dottrine che attribuiscono alla res iudicata funzione positiva, si sono sviluppate le teorie di quegli autori per i quali la cosa giudicata reagirebbe sulla situazione sostanziale dedotta in giudizio, eventualmente modificandola; secondo altri, imprimendole comunque il modo di essere conforme al giudicato, essendo vano, oltre che praticamente spesso impossibile, distinguere tra sentenza giusta e sentenza ingiusta. S'è parlato pertanto di teorie sostanziali del giudicato; le altre, secondo cui la cosa giudicata rileverebbe solo all'interno d'un processo, sono state classificate come teorie processualistiche, o formalistiche.

Oggi si tende per vero a superare questi antichi dualismi (tra effetti negativi e positivi, processuali e sostanziali) 66. Ai fini del mio discorso posso prescindere dalle diverse più recenti posizioni della dottrina. Quel che mi preme mettere in luce credo sia ormai chiaro a tutti. La spiegazione delle dispute che hanno a lungo diviso i processualcivilisti ha la sua lontana radice nello stato delle fonti accolte nel Corpus iuris, lì dove i compilatori di Giustiniano, come si disse, accolsero e al contempo appiattirono, ponendoli sullo stesso piano, testi giurisprudenziali che avevano riguardato sistemi processuali diversi: più che altro processo formulare e cognitio extra ordinem; e pertanto criteri diversi: la preclusione processuale con valenza che possiamo dire grosso modo negativa, e auctoritas rei iudicatae con valenza che possiamo qualificare grosso modo positiva. Due sistemi che, pure ad ammettere che l'uno possa avere in qualche misura reagito sull'altro, ebbero certamente radici differenti e appaiono spesso ancora a noi, nelle concrete applicazioni, non facilmente conciliabili.

© Matteo Marrone
Dipartimento di Storia del Diritto
Università di Palermo


Note:

1 MARRONE, L'efficacia pregiudiziale della sentenza nel processo civile romano, in Annali Sem. Giur. Univ. Palermo, 24, 1955. Cfr., di qualche anno dopo, con taluni mutamenti di sostanza (che non toccavano i risultati di fondo), il “corso” su L'effetto normativo della sentenza: la seconda edizione, pubblicata a Palermo come la precedente (litogr., del 1960), è del 1965.

2 Tra i più autorevoli, Giovanni PUGLIESE: v., di questo a., Cosa giudicata e sentenza ingiusta nel diritto romano, in Conferenze romanistiche, Milano 1960, 225ss.; Note sull'ingiustizia della sentenza nel diritto romano, in Studi Betti, III, Milano 1962, 727ss.; La “cognitio” e la formazione di principi teorici sull'efficacia del giudicato, in Studi Biondi, II, Milano 1963, 143ss.; Due testi in materia di “res iudicata”, in Studi Zanobini, V, Milano 1965, 491ss.; voce Giudicato civile (Storia), in Encicl. del Diritto, 18, 1969, 722ss.; “Res iudicata pro veritate accipitur”, in Studi Volterra, V, Milano 1971, 783ss.; v. pure Sentenza di rivendicazione e acquisto della proprietà in diritto romano, in RIDA, 6, 1959, 347ss., tutti nuovamente pubblicati in PUGLIESE, Scritti giuridici scelti, II, Napoli 1985, 3ss., 353ss.

3 V., in vario senso, oltre PUGLIESE, ll.cc.: BROGGINI, rec. a MARRONE, L'efficacia pregiudiziale..., in ZSS, 74, 1957, 451ss. [=Coniectanea. Studi di diritto romano, Milano 1966, 567ss.]; KASER, Das römische Zivilprozessrecht, München 1966, 93, 292ss., 396s.; 503ss.; LIEBS, Die Klagenkonkurrenz im römischen Recht, Göttingen 1972, 218 nt. 126, 219s., e ivi nt. 134, 220s.; WIELING, Subiektive Reichweite der materiellen Rechtskraft im römischen Recht, in ZSS, 102, 1985, 291ss.; ANKUM, Pap. D.20.1.3: “res iudicata” and Full and Bonitary Ownership, in Estudios Iglesias, Madrid 1988, 1121ss.; PAPA, “Replicatio” e giudicato, in Labeo, 1995, 1ss. (estr.).

4 Penso più che altro all'atteggiamento `conservatore' prevalso nella critica testuale e al rilievo che si dà al metodo casistico della giurisprudenza classica.

5 Al un divieto di agere acta, fanno riferimento Plauto Pseudolus 261, Cistell. 701; Terenzio Heauton. 564, Phormio 419; Cic. ad Att. 9.18.3, Laelius sive de amicitia 22.85. Su questi testi, dal punto di vista qui considerato, v. la mia relazione su “Agere lege”, “formulae” e preclusione processuale, in Praesidia libertatis. Garantismo e sistemi processuali nell'esperienza di Roma repubblicana. Atti del conv. inter. di dir. romano. Copanello 7-10 giugno 1992, Napoli 1994, 29 nt. 25-26, 30 nt. 29 [=Annali Sem. Giurid. Palermo, 42, 1992, 222 nt. 25-26, 223s. nt. 29]. - La massima “bis de eadem re ne sit actio” è in Quint. Inst. orat. 7.6.4; altri testi presso MARRONE, “Agere lege”, “formulae” cit., 17 nt. 2 [=Annali Palermo, 42 cit., 210 nt. 2]. - Per l'uso di consumere (riferito ora all'actio ora al diritto soggettivo), v. per tutti LEVY, Die Konkurrenz der Personen und Aktionen im klassischen römischen Recht, 1, Berlin 1918, passim.

6 Mette appena conto citare, in proposito, Gai 3.181 e 4.106-107.

7 La dottrina moderna, in proposito, ha prospettato punti di vista diversi e più articolati: v. più avanti, § 12, e già in L'effetto normativo cit., 9s. nt.4. Ai nostri fini non occorre per ora specificare.

8 In essi, infatti, quando si parla di “autorità” del giudicato - ma anche quando si dice che la sentenza è costitutiva di posizioni giuridiche soggettive (ius facit) - si intende tante volte fare riferimento indistintamente a tutti i possibili effetti della sentenza; o comunque anche ad effetti diversi da quello che qui interessa (che è l'effetto c.d. pregiudiziale, o normativo): v. le fonti citate in L'efficacia pregiudiziale cit., 186ss., 406ss., 485, 499; e presso PUGLIESE, La “cognitio” e la formazione cit., 156s. [=Scritti cit., II, 100s.]. E peraltro, su “autorità del giudicato” (e della sentenza) nella dottrina di oggi, v. presso lo stesso PUGLIESE, voce Giudicato civile (diritto vigente) cit., 810ss. [= Scritti cit., V, 30ss.]. - Si è detto di tanti possibili effetti della sentenza: ed infatti, dagli effetti c.d. pregiudiziali, o normativi, bisogna distinguere anzittutto l'effetto c.d. esecutivo (per cui la sentenza di condanna dà luogo ad obligatio, e conseguentemente ad actio iudicati, o comunque rappresenta il presupposto di una procedura esecutiva: cfr. L'effetto normativo cit., 14s.). Ma la sentenza di condanna, per il fatto di dare luogo all'actio iudicati, è anche costitutiva. Costitutiva è pure l'adiudicatio delle azioni divisorie (e dell'actio finium regundorum). Tante volte la sentenza dà luogo ad effetti riflessi (così a proposito della responsabilità per evizione; o della responsabilità del mandante nei confronti del procurator ad litem): ebbene, gli effetti riflessi finiscono talora per essere accomunati a quelli c.d. pregiudiziali; concettualmente, però, sono del tutto diversi: cfr. L'efficacia pregiudiziale cit., 173ss.

9 V. MARRONE, “Agere lege”, “formulae” cit., 30ss. [=Annali Palermo, 42 cit., 223ss.]. Diversamente in L'efficacia pregiudiziale cit., 44ss.; L'effetto normativo cit., 59ss. (negai allora che la preclusione processuale avesse avuto riscontro nelle legis actiones).

10 Sul punto KASER, Das röm. Zivilprozessrecht cit., 388, 396, 503; per l'età postclassica, v. già MARRONE, L'efficacia pregiudiziale cit., 494ss.; per la compilazione giustinianea, v. più avanti, § 11.

11 La menzione dell'exceptio, o praescriptio, rei iudicatae ricorre pure in pochi testi classici riguardanti cognitiones extra ordinem, e talvolta in funzione c.d. positiva (per fare valere cioè l'incontrovertibilità): cfr. infra, nt. 60.

12 Di qui la convinzione diffusa che al posto dell'exceptio rei iudicatae stesse o una exceptio rei in iudicium deductae, o una exceptio rei iudicatae vel in iudicium deductae. Cfr. infra, § 11. V. tuttavia LIEBS, Die Klagekonsumption des römischen Recht, in ZSS, 86, 1969, 184 e nt. 57.

13 Cfr. PUGLIESE, Due testi in materia di “res iudicata” cit., 506ss. [=Scritti cit., II, 130ss.]; voce “Giudicato” cit., 735ss. [= Scritti cit., II, 147ss.]; ARICO' ANSELMO, Studi sulla divisione giudiziale, I.“Divisio” e “vindicatio”, in Annali Semin. Giurid. Univ. Palermo, 42, 1992, 404ss.; v. pure PAPA, “Replicatio” e giudicato, in Labeo, 1995, 1ss. (estr.). La teoria delle due funzioni - positiva e negativa - dell'exceptio rei iudicatae fa capo al KELLER, Über Litis Contestation und Urtheil nach classischem römischen Recht, Zürich 1827, 206ss.; cfr. infra, § 12, e ivi nt. 64.

14 Cfr. L'efficacia pregiudiziale cit., 194ss., 209, 211 , etc.; L'effetto normativo cit., 164s., 167, etc.

15 Cfr. KASER, Das röm. Zivilprozessrecht cit., 230s.; PUGLIESE, voce “Giudicato” cit., 734 [=Scritti cit., II, 146]; e soprattutto ANKUM, Deux problèmes relatifs à l'exceptio rei iudicatae vel in iudicium deductae dans la procédure formulaire du droit romain classique, in “MNHMH” G. A. Petropoulos, I, Athènes 1984, 173ss.; v. tuttavia SACCONI, L'“exceptio rei in iudicium deductae”, in Sodalitas. Scritti Guarino, Napoli 1984, 1909ss., che prende in considerazione anche l'età preclassica; cui ho dedicato un cenno in “Agere lege”, formulae” cit., 42 nt. 58 [=Annali Palermo, 42 cit., 236 nt. 58].

16 D.40.12.42 (Labeo 4 poster.); D.44.2.15 (Gai. 30 ad ed. prov.), D.44.2.30.1 (Paul. 14 quaest.), D.3.3.40.2 (Ulp. 9 ad ed.), D.3.5.7.2 (Ulp. 10 ad ed), D.16.2.7.1 (Ulp. 28 ad ed.), D.27.4.1.4 (Ulp. 36 ad ed.), D.43.30.1.4 (Ulp. 71 ad ed.); v. anche D.44.2.9.2 (Ulp. 75 ad ed.); cfr. MARRONE, L'efficacia pregiudiziale cit., 199ss.; 245ss.; 327s.; L'effetto normativo cit., 169ss.

17 Altra possibile applicazione dell'exceptio rei iudicatae in funzione preclusiva su questione decisa e non contestata, è quella proposta in “Agere lege”, “formulae” cit., 42 nt. 58 [=Annali Palermo, 42 cit., 236 nt. 58] (ripetizione della lite per il debito residuo contro il convenuto già assolto).

18 Il PUGLIESE, voce Giudicato cit., 736 nt. 36 (=Scritti cit, II, 148 nt. 36), giudica eccessivamente sottile questo ragionamento (che Egli tuttavia non esclude possa trovare riscontro in D.44.2.30.1).

19 Su D.44.2.8 e 11.3: ARICO' ANSELMO, Studi sulla divisione giudiziale 405 e segg.; su D.44.2.24: PUGLIESE, Due testi in materia di “res iudicata” cit., 506ss. [Scritti cit., 130ss.); PAPA, “Replicatio” e giudicato cit., 8ss. (estr.). Il PUGLIESE, voce Giudicato cit., 737 [=Scritti cit., II, 149] invoca pure D.7.1.33.1 (Papin. 17 quaest.). Da notare che in D.44.2.24 non si tratta di exceptio ma di replicatio rei iudicatae, una replicatio però a mio giudizio in funzione preclusiva (v. nt. 20) e quindi con una funzione diversa da quella che assume la replicatio rei iudicatae nei passi richiamati più avanti, § 4.

20 In merito a D.44.2.8 e D.44.2.11.3, rilevo che, secondo la stessa Aricò Anselmo, il contitolare, o preteso tale, una volta esercitata la vindicatio parziaria, non avrebbe potuto poi, contro lo stesso convenuto, agire con l'azione divisoria, sia che nella prima lite egli fosse rimasto soccombente, sia che avesse vinto (in quest'ultimo caso, sia che avesse percepito la litis aestimatio, sia che avesse ottenuto la restitutio; ché con essa si sarebbe realizzata in sostanza la divisione). Non v'è quindi alcun motivo per intendere D.44.2.8 diversamente da quel che appare dal suo tenore letterale e negare l'eadem res tra rivendica parziaria e azioni divisorie, col risultato di dovere attribuire all'exceptio rei iudicatae dei frr. 8 e 11.3 una assai discutibile funzione positiva (peraltro - ripeto - non giustificata dal tenore letterale dei testi). - Quanto a D.44.2.24, ribadisco che la replicatio rei iudicatae vi assume funzione preclusiva dell'exceptio iusti dominii (ché il dominium era stato già dedotto in giudizio dal convenuto quando costui aveva promosso la rivendica col ruolo di attore); una funzione uguale, quindi, a quella dell'exc. r.i.v.i.i.d. a fronte di una rivendica ripetuta. Alle obiezioni di Pugliese ho avuto modo di rispondere in L'effetto normativo cit., 169 nt. 139 (ma quella mia replica è stata del tutto ignorata). - Su D.7.1.33.1 basti qui rilevare che l'opponibilità dell'exc. rei iud. all'attore che ha già esercitato senza successo la rivendica e che, verificato l'accrescimento, esercita di nuovo l'azione per la parte che gli si è accresciuta, viene motivata rilevando che l'accrescimento opera in relazione alla cosa e non alla persona (portio portioni adcrescit): questo vuol dire che nel pensiero del giurista l'attore, riproponendo la rivendica, tornava ad agire de eadem re; onde l'exc. rei iud. (vel in iud. ded.). Non mi pare che su ciò sia possibile nutrire dubbi. Cfr., del resto, D.44.2.26.1 (Afr., 9 quaest.: riguarda un caso di incremento fluviale, in D.7.1.33.1 accostato all'accrescimento). Non varrebbe quindi obiettare che con un tal modo di ragionare la stessa exc. sarebbe stata paradossalmente opponibile pure al proprietario che, avendo la prima volta agito con successo, ripetesse la rivendica per esigere il possesso della parte accresciuta. L'ipotesi non è nelle fonti, ma non sarebbe difficile avanzare congetture sulle soluzioni possibili (al limite, si potrebbe pensare che l'exc.r.i.v.i.i.d. si superasse con una replicatio). Sull'argomento, ad ogni modo, mi propongo di tornare in altra sede.

21 Cfr. MARRONE, “Agere lege”, “formulae” cit., 40s. nt. 55 [=Annali Palermo, 42 cit., 233s. nt. 55].

22 Non viene qui in considerazione la replicatio rei iudicatae <vel in iudicium deductae> di D.44.2.24 (Iul. 9 dig.), che era in funzione preclusiva: cfr. supra, nt. 20.

23 Cfr. L'efficacia pregiudiziale cit., 165ss.; 321ss.; L'effetto normativo cit., 115ss.; 108 nt. 48. Contro, PUGLIESE, Due testi in materia di “res iudicata” cit., 494ss. [=Scritti cit., II, 118ss.]; PAPA, “Replicatio” e giudicato cit., 2ss., 10ss. (estr.); v. pure KASER, Nochmals über Besitz und Verschulden bei den `actiones in rem', in ZSS, 98, 1981, 138s. e nt. 236. D'accordo, invece, per la non classicità della replicatio di D.40.12.9.2: SANTALUCIA, L'opera di Gaio “ad edictum praetoris urbani”, Milano 1975, 167ss.

24 V. infatti MARRONE, PUGLIESE e PAPA, citati nt. precedente.

25 Cfr. PUGLIESE, Due testi in materia di “res iudicata” cit., 506 [=Scritti cit., II, 130].

26 Cfr. PUGLIESE, voce Giudicato cit., 737 [=Scritti cit., II, 149].

27 Nel Digesto il concetto espresso nel fr. 16 è invece riferito (mediante enim) al precedente fr. 15 di Gaio (che riguarda l'ipotesi della ripetizione della petizione di eredità a ruoli invertiti). Questo collegamento ha poco senso; tant'è che Mommsen proponeva di spostare il fr. 16 dopo il fr. 17.

28 Forse si fece eccezione per talune sentenze in materia di stato: v., ammesso che sia genuino e che riguardi il processo formulare, D.25.3.1.16 e 3 pr. (Ulp. 34 ad ed.). Per il carattere spurio v. L'efficacia pregiudiziale cit., 381ss.; L'effetto normativo cit., 154ss.; contro HACKL, Praeiudicium im klassischen römischen Recht, Salzburg-München 1976, 239 nt. 14, 306s. - Da notare pure che il pretore, nell'adottare provvedimenti suoi propri, si adeguava spesso a precedenti giudicati (ho parlato a suo tempo, in proposito, di effetti normativi di diritto pretorio): così, soprattutto, per quanto riguarda le decisioni adottate in sede di praeiudicia: MARRONE, Sulla funzione delle formulae praeiudiciales, in Scritti Salemi, Milano 1961, 119ss. [=Jus, 11, 1960, 246ss.]; L'effetto normativo cit., 144ss. - Di effetti indiretti del giudicato (ma in effetti dipendenti dal divieto di agere acta) si trattava in D.8.5.4.3 (Ulp. 17 ad ed.), ed era ad essi che, come sembra, si riferivano le parole et victoria et aliis proderit (analogamente, per quanto riguarda le parole sententia praedio datur in D.3.5.30.7 Papin. 2 resp.): cfr. L'efficacia pregiudiziale cit., 235ss.; L'effetto normativo cit., 181. L'assunto presuppone che non sia classico il riferimento alla aestimatio pro parte (per la classicità: MEFFERT, Die Streigenossenschaft im klassischen römischen Reecht, Berlin 1974, 34ss.; TAFARO, La interpretatio ai verba `quanti ea res est' nella giurisprudenza romana. L'analisi di Ulpiano, Napoli 1980, 63ss.). Per il carattere spurio, invece, delle parole victoria et aliis proderit: PUGLIESE, voce Giudicato cit., 756 [=Scritti, cit., II, 168]. Sul punto, conto di tornare in altra sede.

29 Che la preclusione giovasse o nuocesse al successore universale era fuori discussione. Per l'estensione ad altri soggetti, v. D.44.2.4 (Ulp. 72 ad ed.), D.44.2.11.7 (Ulp. 75 ad ed.). Quanto al c.d. successore particolare, v. D.44.2.28 (Papin. 27 quaest.), D.44.2.9.2 (Ulp. 75 ad ed.), D.44.2.10 (Iul. 51 dig.), D.44.2.11.3 e 9-10 (Ulp. 75 ad ed.), D.46.8.16.1 (Pomp. 3 ex Plautio), D.20.1.3.1 (Papin. 20 quaest.); MARRONE, L'efficacia pregiudiziale cit., 245ss:, L'effetto normativo cit., 184ss.; DE MARINI, I limiti alla disponibilità della “res litigiosa” nel diritto romano, 282ss., 288ss.; ANKUM, Pap. D.20.1.3 cit., , 1141ss.; ARICO' ANSELMO, l.c. supra, nt. 19. A me preme qui ribadire che, nei testi citati, l'exceptio rei iudicatae è opponibile a prescindere dall'esito in sé del primo giudizio. Altra questione: l'exc. r.i.v.i.i.d. che viene in considerazione negli stessi testi era l'exceptio corrispondente al modello edittale? Fanno pensare di no D.44.2.9.2, D.44.2.11.3 e 11.10, che sembrano suggerire che, nei casi di specie, il modello edittale andasse integrato con la precisazione che la prima lite si era svolta nei confronti del dante causa. Ecco perché nei luoghi richiamati in questa nota avevo parlato di exceptio utilis. D'accordo: DE MARINI, op. cit., 2289; KASER, Das röm. Zivilprozessrecht. cit., 232 nt. 23, 292 nt.31; contro ANKUM, op. cit., 1146.

30 Ad ammettere che sia genuino (per la natura spuria mi ero pronunziato in L'efficacia pregiudiziale cit., 131ss.; L'effetto normativo cit., 90ss.; contro ANKUM, Pap. D.20.1.3 pr. cit., 1136ss.), potrebbe qui venire in considerazione il tratto atquin - dicta est di D.20.1.3 pr. (Papin. 20 quaest.). V pure D.8.5.4.3: supra, nt. 28.

31 Cfr. MANFREDINI, Contributo allo studio dell'“iniuria” in età repubblicana, Milano 1977, 132ss., e lett. cit. ivi nt.43.

32 Cfr. D.40.7.29.1 (Pomp. 18 ad Q. Mucium.): Labeo hoc, quod Quintus Mucius scribit, ita putat verum esse, si re vera lege ab intestato heres fuit is qui vicit; nam si iniuria iudicis victus esset scriptus verus heres ex testamento, nihilo minus eum paruisse condicioni ei dando et liberum fore; D.30.50.1 (Ulp. 24 ad Sab.): Si hereditatis iudex contra heredem pronuntiaverit ... iniuria ei facta non nocebit legatariis (è verosimilmente interpolato il tratto che segue dello stesso testo - dove è detto, tra l'altro, cum ius facit haec pronuntiatio; e sono certamente insiticie, nella parte che viene prima, le parole non tamen provocavit: cfr. L'efficacia pregiudiziale cit., 135ss.; 139ss.; L'effetto normativo cit., 86ss.; PUGLIESE, Note sull'ingiustizia della sentenza cit., 732 nt. 5; voce Giudicato cit., 743 e nt. 65, 748 [=Scritti cit., 34 nt. 5; 155 e nt. 65, 160]). - Giova ricordare che questioni circa la sentenza ingiusta furono poste dai classici anche riguardo ad effetti della sentenza formulare diversi da quelli cd. pregiudiziali, e furono variamente risolte a seconda del contesto: v. PUGLIESE, Note sull'ingiustizia della sentenza cit., 727ss. [=Scritti cit., II, 29ss.]. É notevole, ad ogni modo, che alla sentenza formulare ingiusta siano stati pure negati effetti riflessi: v. L'efficacia pregiudiziale cit., 173ss.

33 Dico "in buona misura" perché “stabilire se e come l'ingiustizia della sentenza fosse rilevante non significava decidere intorno all'efficacia e ai limiti soggettivi della cosa giudicata”: PUGLIESE, Note sull'ingiustizia della sentenza cit., 727s. [=Scritti cit., II, 29s.]. E peraltro, come già notato (v. nt. precedente), i problemi che i classici si posero in merito alla sentenza (formulare) ingiusta andavano oltre quelli sull'efficacia cd. pregiudiziale della sentenza.

34 Per l'importanza della cognitio nella espressione di principî nuovi e nuove teorie in tema di res iudicata v. pure PUGLIESE, La “cognitio” e l'efficacia cit., 143ss.; voce Giudicato cit., 745ss. [= Scritti cit., II, 87ss., 157ss.].

35 La stessa presunzione non sembra potere valere, invece, per le costituzioni imperiali classiche.

36 Mi riferisco soprattutto a LIEBS, Die Konkurrenz cit. (nt. 3), 219 nt. 134, e WIELING, Subjektive Reichweite der materiellen Rechtskraft cit. (nt. 3), 302 nt. 50. Quest'ultimo autore, in particolare, a proposito di D.5.2.17 pr. scrive: “Dass die querela im Legisaktionenprozess durchgeführt wurde - wie Marrone behauptet -, ist nicht nachwieisbar”. Il dubbio è a dir poco sorprendente, perché il fr. 17 pr. - che il W. cita per esteso - fa riferimento espresso ai centumviri (... quasi centumviri hunc solum filium...)!

37 Cfr. L'efficacia pregiudiziale cit., 424ss.; v. pure KOLITSCH, Praescriptio und exceptio ausserhalb des Formularverfahrens, in ZSS, 76, 1959, 277 nt. 62; AMELOTTI, La prescrizione delle azioni in diritto romano, Milano 1958, 13ss.; KASER, Das röm. Zivilprozessrecht cit., 385.

38 MARRONE, Sulla natura della `querela inofficiosi testamenti' in SDHI, 21, 1955, 75s.; Querela inofficiosi testamenti (Lezioni di diritto romano), Palermo 1962, 65ss. Cfr. SANTALUCIA, I “libri opinionum” di Ulpiano, I, Milano 1971, 52 nt. 92; v. pure VOCI, Diritto ereditario romano², II, Parte speciale, Milano 1963, 708ss.

39 Così KASER, Das röm. Zivilprozessrecht cit., 39 e ivi nt. 26; Das römische Privatrecht², I, München 1971, 711 e ivi nt. 10. Arg. ex Paul. Sent. 5.9.1.

40 Cfr. D.32.36 (Apud Scevolam libro XVIII digestorum Claudius notat): il caso `annotato' da Claudio era lo stesso analizzato da Scevola nei suoi responsa e a noi noto da D.5.2.13 cit.: cfr. L'efficacia pregiudiziale cit., 52s.; VOCI, Diritto ereditario cit., II, 685s.

41 Più probabile che il testo riguardasse la cognitio extra ordinem: arg. ex nec fuerit provocatum.

42 L'inscriptio del testo rivela l'originario riferimento alla cognitio extra ordinem (i septemviri furono giudici extra ordinem): non è sostenibile che l'inscriptio sia stata corretta dai compilatori e che quella autentica fosse de centumviralibus iudiciis: cfr. MARRONE, voce Septemviri, in Nov. Dig., 17, 1960, 42; cfr., per tutti, SANTALUCIA, I “libri opinionum” di Ulpiano cit., I, 56 nt. 99.

43 Cfr. KASER, Das röm. Zivilprozessrecht cit., 359; HACKL, Praeiudicium cit., 228, 235ss.

44 Cfr. H. KRÜGER, Der Ingenuitäts-und Libertinitäsprozess, in Studi Riccobono, II, Palermo 1936, 230ss.; MARRONE, L'efficacia pregiudiziale cit., 375ss. Ritiene che in questa materia si agisse anche per formulas, tra gli altri, HACKL, Praeiudicium cit., 228ss.; ivi altra letter.

45 V. soprattutto D.40.16.2 pr. e 2.4 (Ulp. 2 de off. consulis). Cfr. MARRONE, L'efficacia pregiudiziale cit., 415s.; LITEWSKI, La `retractatio' de la sentence établissant l'`ingenuitas', in RIDA, 23, 1976, 153ss.

46 D'accordo, nel senso che D.1.5.25 riguardasse la cognitio extra ordinem: PUGLIESE, La “cognitio” e l'efficacia cit., 151s.; voce Giudicato cit., 749 [= Scritti cit., II, 95s., 161).

47 Il testo è certamente guasto e largamente rielaborato; in particolare, lascia perplessi il tratto dove solo riportate le parole che qui interessano (oltre tutto, si parla di ingenuità, come a volere fare riferimento alla fattispecie discussa subito prima, che tratta invece di libertà): cfr. MARRONE, L'efficacia pregiudiziale cit., 447ss.; FRANCIOSI, Il processo di libertà in diritto romano, Napoli 1961, 287ss.

48 Cfr., sul punto, PUGLIESE, La “cognitio” e l'efficacia cit., 150s.; voce Giudicato cit., 748 [= Scritti cit., 94s., 160]. Da notare, ad ogni modo, che le espressioni auctoritas rei iudicatae e l'affermazione che iudex (o sententia) ius facit si incontrano anche con riferimento ad effetti diversi da quello dell'effetto normativo: cfr. supra, nt. 8.

49 Cfr., fondamentalmente, PUGLIESE, La cognitio” e l'efficacia cit., 158ss.; voce Giudicato cit., 750s. [= Scritti cit., II, 102ss., 162s.]. Contro LIEBS, Die Klagenkonkurrenz cit. (nt. 3), 219 nt. 134.

50 Cfr. il solet di D.20.4.16 (Paul. 3 quaest.) e il solent di CI.7.56.2 (Gord., a. 239).

51 Cfr. D.44.2.27 (Nerat. 7 membr.). Di eadem condicio personarum anziché di eaedem personae parlava Paolo in D.44.2.12 e 14 pr. (Paul. 70 ad ed.).

52 Fa eccezione, verosimilmente, D.44.2.1 (Ulp. 2 ad ed.), ma è qui sospetto il brano iniziale cum res - praeiudicium faciant: v. infra, § 11, e ivi nt. 59. - Il principio di cui si tratta (res inter alios iudicata etc.) trovò applicazione in materia criminale: v. D.3.2.21 (Paul. 2 resp.), D.48.2.7.2 (Ulp. 7 de officio procons.).

53 D.44.2.29 pr. è in materia di fedecommessi; per il riferimento alla cognitio extra ordinem è pure indicativo l'uso di praescriptio come difesa del convenuto. - In D.20.4.16 è presupposto l'appello come rimedio ordinario. - In D.44.1.10. alla cognitio extra ordinem rimanda l'uso di praescribere: cfr. supra, § 6, e ivi nt. 37. - CI.7.56.2 è di età tardo-classica (a. 239), e vi è presupposta la facoltà dei terzi interessati, riconosciuta extra ordinem e non nel processo formulare, di intervenire in giudizio: v. L'efficacia pregiudiziale cit., 412. - Il principio del quale discorriamo trova pure sostanziale riscontro, quanto meno, in D.40.14.1 e D.40.14.5 citati.

54 É tratto da un'opera de appellationibus; si parla di praescriptio (cfr. supra, § 6, e ivi nt. 37); ; vi è presupposta la possibilità di intervento da parte di terzi (v. nt. precedente). Sul passo, oltre MARRONE, L'efficacia pregiudiziale cit., 432ss.; L'effetto normativo cit., 195ss.; v. PUGLIESE, La “cognitio” e l'efficacia cit., 158ss.; voce Giudicato cit., 751 [=Scritti cit, II, 163, 102ss.].

55 Cfr. MARRONE, L'efficacia pregiudiziale cit., 517ss.; L'effetto normativo cit., 77s., 191, 193.

56 In merito alla cognitio extra ordinem, v. tuttavia un cenno più avanti, § 11, e ivi nt. 58.

57 V. tuttavia CI.7.52.5 (Diocl. et Maxim., a. 294), che, a motivazione del divieto di ripetere la lite, invoca l'auctoritas rei iudicatae. Sugli effetti del giudicato una volta venuto meno il processo formulare, v. MARRONE, L'efficacia pregiudiziale cit., 484SS.; PUGLIESE, La “cognitio” e l'efficacia cit., 161ss. [Scritti cit., II, 105ss.]; KASER, Das röm. Zivilprozessrecht cit., 502ss.

58 Ne è sintomo il fatto che di auctoritas dell'organo giudicante si parla più spesso in testi attinenti alla cognitio extra ordinem o al processo postclassico: v. la mia Efficacia pregiudiziale cit., 405s., 484s.

59 Così MARRONE, L'efficacia pregiudiziale cit., 271s., 511; per la genuinità: KASER, Das röm. Zivilprozessrecht cit., 293 nt. 34, il quale riconosce tuttavia che il periodo iniziale del passo doveva riguardare la cognitio extra ordinem.

60 Così certamente in D.20.4.16 (Paul. 3 quaest.) e in D.42.1.63 (Macer 2 de appell.); verosimilmente pure in D.44.2.29 pr. (Papin. 11 resp.); forse anche in D.44.1.10 (Modest. 12 resp.). Il riferimento di questi testi alla cognitio extra ordinem deve ritenersi certo: v. più in alto.

61 Il collegamento fu realizzato, giova ripeterlo, con la collocazione, in testa al titolo D.44.2, dell'attuale fr. 1.

62 Cfr. supra, nt. 51.

63 Su ciò, ampiamente, PUGLIESE, voce Giudicato cit. (nt. 2), 762ss. [= Scritti cit., II,174ss.]; dello stesso A. v. pure “Res iudicata pro veritate accipitur” cit. (nt. 2), 783ss.; L'heritage romain dans les règles et les notions modernes concernant la chose jugés, in Le droit romain et sa reception en Europe, Varsavia 1978, 161ss. [=Scritti cit., I, 201ss, 251ss.]. É interessante notare come dalla prima proposizione (res iudicata pro veritate etc.) abbia preso le mosse l'antica dottrina che qualificava la res iudicata come presunzione (donde la classificazione del giudicato tra i mezzi di prova).

64 KELLER, Über Litis Contestation und Urtheil nach classischem römischem Recht, Zürich 1827, 221ss.

65 Su di esse v. l'ampia e magistrale “voce” di PUGLIESE, Giudicato civile (diritto vigente), in Enciclopedia del Diritto, 18, 1969, 785ss. [=Scritti cit., V, 5ss.].

66 Cfr. PUGLIESE, voce Giudicato civile (diritto vigente) cit., 827ss. [=Scriti cit., V, 47ss.].


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