IL
GIURISTA E LAVVOCATO
Nomikoi e rhetores
in CPR I, 18
in: Atti del VII Convegno Nazionale Colloqui di
Egittologia e Papirologia,
Istruzione e preparazione professionale nellEgitto
antico,
Siracusa, 29 novembre - 2 dicembre 2001
Il tredici aprile del 124
d.C. nella strategia dellArsinoite, dinnanzi al tribunale di Blesio Mariano,
militare delegato dal prefetto dEgitto Aterio Nepote a decidere una
controversia in materia ereditaria tra indigeni, un certo Marciano, difensore
del convenuto, retore romano a giudicare dal nome, incappò allapparenza in un
errore di diritto e di strategia difensiva tanto vistoso da ridurre a mal
partito le ragioni del suo cliente, che fu pertanto indotto a tentare
autonomamente unultima disperata difesa. Si tratta di una delle rare
testimonianze papiracee di scarsa preparazione professionale di un avvocato,
poiché di solito il livello distruzione legale di giudici, giuristi (nomikoi)
ed avvocati (rhetores), nei processi verbali di udienze processuali (hypomnematismói),
appare abbastanza elevato.
Il
verbale, contenuto nel CPR I, 18 [1],
è uno dei più noti atti giudiziari dellEgitto romano, ma lerrore del povero avvocato, in questa sede a
distanza di molto tempo, può essere forse ancora utilmente riesaminato per
valutare il grado distruzione e di preparazione legale nellEgitto romano di
giudici ed avvocati[2],
riscontrabile in questo ed in altri verbali dudienza.
Prendiamo in esame quanto avvenne in quella udienza
giudiziaria, tenendo presente che le sedute pubbliche dinnanzi ai giudici
davano luogo, come è noto, alla
redazione ufficiale di un processo verbale, deposto negli archivi locali ed in
un archivio centrale ad Alessandria nel quartiere di Patrika[3].
Purtroppo la quasi totalità della documentazione oggi disponibile consta di
copie. Solo un papiro di un archivio di famiglia di Tebtynis[4],
datato al medesimo anno 124 del nostro documento, contiene una copia fedele
alloriginale verbale di un processo iniziato nell89 d.C. in seguito al noto
editto di Mezzio Rufo per la scorretta manutenzione degli archivi e corredato
da ben cinquantacinque documenti. Gli antigrapha non erano esattamente
fedeli alloriginale, che a sua volta non costituiva sempre una riproduzione
stenografica della seduta verbatim, ma sovente solo una registrazione
che già inizialmente era abbreviata. Probabilmente il verbale era redatto in un secondo tempo sulla base di appunti
in stile diretto presi immediatamente dal cancelliere nel corso del processo[5].
Tuttavia i testi, che comprendono i dati essenziali per la regolarità formale
del procedimento, la data, il luogo, la denominazione delle parti, degli
avvocati, gli eventi più importanti che si erano verificati nel corso del
processo, gli allegati di parte, le prove, le orazioni, la sentenza, le
disposizioni accessorie, talvolta persino lautenticazione marginale del
verbale di pugno dello stesso giudice, sono certamente nel complesso
attendibili (anche se nellinsieme di questi materiali possono infiltrarsi
appunti di discorsi di avvocati o esercizi scolastici non autentici)[6] e riportano sovente le esatte parole
pronunciate in discorso diretto, soprattutto quelle dellautorità giudicante,
come si rileva in
CPR I, 18 (a. 124 d.C.)[7]:
In margine superiori: m2: `Hr(akle
dou) m(e)r(j) stra[t]hg(
aj) 'Arsi(notou):
m1: 'Ek tÒmou [Øpo]mnhmatismîn
[B]lais
ou
Ma[r]ianoà m2: p£rcou m1: spe
rhj
prè[t]hj Flaou
aj Kil
kwn []ppikÁj x ¢napompÁj `Ater
ou
[Npw]toj toà krat
sto[u ¹g]e[m]Ònoj touj [Ñ]gdÒou AÙtokr£toroj
[Ka
saro]j Traianoà `Adria[no]à Sebastoà Farmoàqi Ñktwkaidek£tV:
5
P[ar]Ò[n]toj Klaud
ou 'Ar[tem]idèrou nomikoà 'Afrode
sioj 'Apollw-
n[
o]u prÕj 'Ammènion 'A[p]
wnoj toà 'A[f]rodeis
ou di¦ Swthr
-
cou ·»toroj epÒntoj [s]unelqÒnta autÕn ¢gr£fwj Sarapoàt
ti[n]i schknai x a[Ùt]Áj
`Wrignhn Öj teleÚthsen ka
¥llouj· toà nÒmou
kal[o]àntoj toÝj patraj p[] t¦[j] klhronom
aj
10
tîn x ¢gr£fwn[8]
pa
dwn tÕn ¢nt
dikon qlein kat¦ dia-
q»[k]hn klhronÒmon klhronomein e[]nai toà
`Wrignouj, oÙk
contoj ke
-
nou ¢pÕ tîn nÒmwn xous
an periÒntoj patrÕj ej ¥llon tin¦
gr£fein [dia]q»khn, parax
ou[9]
[pa]r[a] nÒmo[u] oÜshj [t]Áj ej tÕn ¢nt
-
dikon di[a]q»khj ¢ntipoiesq[a]i tîn ØpÕ toà uoà kataleifqn-
15 [twn· k]a toà
'Ammwn
[ou di¦] Markianoà ·»toroj ¢pokrinam-
[n]ou [t]Õ[n] tîn Agupt
[w]n nÒmon didÒnai xous
an p©si toj diati-
qemnoij katale
pein [o]j boÚlo[nt]ai t¦ dia, autÕn mntoi ¢ne-
yiÕn Ônta toà tetel[eu]thkÒt[o]j katal[e]lefqai sÝn trJ
uù toà ¢ntid
kou kl[hr]onÒmon [k]a t¾n di[a]q»khn pl»rh cein
20 tÕn tîn mar[tÚ]rwn ¢ri[qmÒ]n· Bla
sioj MarianÒj· ¢nagnwsq»-
tw ¹ toà `W[rig]nouj d[iaq]»kh· 'Anagnwsqe
shj p toà ÑgdÒ-
ou touj `A[dria]noà [t]oà k[u]r
ou Coi¦k triak£doj: Bla
sioj MarianÕj
parcoj spe
[rhj p]rèthj Fla[u]
a[j Ki]l
kwn ppikÁj sunlal»saj
'Arte[mi]d[èrJ t]ù nom[i]kù [p]e[r to]à pr£gmatoj Ø[ph]gÒreusen ¢pÒ-
25 [f]a[sin ¿ ka ¢n]egnèsqh kat¦ lx[in o]Ûtwj· Ð teleut»saj `Wri-
[gnhj Ð x ¢gr£]f[w]n [g£mwn] k[at¦] nÒm[w]n [gr£yai] fa[
net]a[i]
[klhronÒmon] diaq»kh[j][10], xous
a[n] m¾ sc[h]këj t[oà] patr[Õj aÙt]oà
[z]în[t]oj· [ka] t[oà] mn 'Ammwn
[o]u epÒntoj x n[g]r£fwn g£-
mwn gego[n]nai tÕn `W[ri]gnhn, toà d 'Afrodeis
ou diabebaiw-
30 samnou x [¢]gr£fwn aÙtÕn g£mwn gegennÁsqai: vac. Bla
sioj
MarianÕj []pa[rco]j spe
rhj prè[thj] Flau
aj Kil
kwn ppikÁj·
aÙt[Õ] toà[to Ð 'A]frode
sioj ¢pode
xei n ¹mrai[j] x»konta:
[T]oà 'Afrodeis[
o]u ¢xièsantoj [n] to[so]ÚtJ p' ¢n[a]gr[a]fÁj gensq[a]i
t¦ Øp' toÚt[o]u[11] aÙtoà ¢poleif[q]nta: vac. Bla
sioj MarianÕj: n-
35
teila[12] 'I[si]dèrJ
¹gemonikù Øphr[t]V poi[»]sasqai aÙt¾n
t¾n ¢na[gr]af[¾]n ka ¢nadoàn[ai] ¢nt
grafa toj mfero-
mnoij tÁj kleidÕj tÁj ok
aj menoÚshj par¦ tù 'Ammwn
J
[nes]frag[i]smnhj· ka met' Ñl
gon toà 'Isidèrou ¢pagge
lan-
[toj ge]gonnai [t]Õ keleusqn Bla
s[i]oj MarianÕj kleu-
40 [sen t»nde t]¾n pro[f]or¦n ØpomnhmatisqÁnai·
vac. m2: KlaÚdioj
[.4]n
bibliofÚlax Øp£rcei· touj
ÑgdÒou
[AÙtokr£]toroj Ka
saroj Traianoà `Adrianoà
[Sebasto]à, 'Epef mi´ ka ek£di.
Distretto di Eracleide,
strategia dellArsinoite.
Dal volume dei verbali dudienza
di Blesio Mariano, prefetto
della prima coorte a
cavallo Flavia dei Cilici. In base a delega di Aterio
Nepote, egregio
prefetto. 13 aprile 124.
Alla presenza del
giurista Claudio Artemidoro. Afrodisio (figlio) di Apollonio
contro Ammonio (figlio)
di Apione. Afrodisio attraverso lavvocato
Soterico dice di aver contratto matrimonio
non scritto (agraphos)
con una tal
Sarapute e di aver avuto
da costei Origene defunto ed
altri (figli). Poiché la legge chiama i padri
alleredità
dei figli (dei matrimoni)
non scritti e la controparte pretende
di essere erede in base a
testamento di Origene,
non avendo costui secondo le leggi la facoltà di
scrivere un testamento
in favore di alcuno, vivendo il padre,
ed essendo pertanto il
testamento scritto in favore della
controparte inofficioso e contro la legge,
chiede
di essere immesso nel
possesso dei beni lasciati dal figlio.
Ed Ammonio attraverso
lavvocato Marciano risponde che
la legge degli Egizii concede a tutti di far
testamento e di
lasciare a chi si voglia
i propri beni; così distituire
erede il cugino del de cuius, insieme ad un altro
figlio della
controparte; e che il testamento
reca il numero completo dei testimoni (necessarii). Blesio Mariano (disse):
si legga il testamento di
Origene. (Aperto e) letto
il 27 dicembre del 123.
Blesio Mariano,
prefetto della prima coorte a cavallo Flavia
dei Cilici essendosi
consultato sulla
questione con il giurista Artemidoro emise
il parere che fu enunciato in questi termini:
il defunto Origene,
nato da nozze senza
scrittura, sembra aver istituito contro le leggi
un erede, non avendo
capacità testamentaria durante la vita
di suo padre. E poiché Ammonio diceva che
Origene era nato da
nozze secondo le
scritture (engraphos)
e dal canto di Afrodisio
si confermava che quello era nato da matrimonio senza
scritture (agraphos)
Blesio Mariano, prefetto
della prima coorte a cavallo Flavia dei Cilici (disse):
Afrodisio lo dimostri
nel termine di sessanta giorni.
Stando così le cose,
Afrodisio richiede che venga redatto un inventario
delleredità qui
lasciata dal de cuius. Blesio Mariano
(disse):
ho ordinato che il funzionario della
prefettura Isidoro stenda
linventario e ne
consegni copia ad entrambe le parti, lasciando
la chiave della casa sigillata
ad Ammonio. E poco dopo avendo Isidoro
annunciato che lordine
era stato eseguito, Blesio Mariano
dispose che questa
pronuncia venisse registrata apud
acta. Claudio
archivista registra il 15 luglio del 124.
Alla
pretesa, vantata dallavvocato indigeno Soterico, per conto di un padre di
succedere in base alla legge al figlio premorto (l. 9) e di considerare nullo il testamento di
costui in base alle leggi (l. 12) che escluderebbero la legittimazione attiva a
testare ad un figlio nato da un agraphos gamos durante la vita del
padre, lavvocato del convenuto, Marciano, non oppose linsussistenza del punto
di fatto, che cioè il matrimonio fosse engraphos, ma si spinse a
contestare il punto di diritto, commettendo apparentemente un errore di
strategia processuale e di diritto, sostenendo che la legge degli Egizi invece
concede a tutti di far testamento e di lasciare a chi si voglia i propri
beni. Dunque il testamento redatto dal de cuius in favore di un
cugino e di un fratello appariva, secondo il difensore del convenuto in unottica tipicamente romana, formalmente
inattaccabile per la sussistenza del prescritto numero di testimoni per la sua
validità.
Non
sembra possibile, innanzitutto, ammettere uninterpretazione benignior
in favore dellavvocato; sostenere cioè che lerrore sul punto di diritto fosse
intenzionale per tentare unultima disperata difesa dinnanzi ad un iudex
pedaneus, un militare certamente inesperto in diritto ereditario degli
indigeni o dei greci residenti in Egitto[13].
Non tanto per ragioni di etica professionale, sovente trascurata al punto da
indurre ad allegare prove false[14]
o a citare disposizioni dei prefetti in maniera inesatta[15],
ma perchè lassistenza del giurista presente, il nomikos Claudio
Artemidoro, immediatamente consultato sulla questione dal giudice, avrebbe
dovuto scoraggiare in partenza un tentativo doloso di tal genere[16].
Se dunque in seguito alla consulenza il processo venne deciso in favore
dellattore ed il convenuto finalmente insorse, intervenendo di persona, per
negare la sussistenza di un agraphos gamos, scavalcando cioè lavvocato
con una diretta partecipazione, non rara nella disinvolta prassi procedurale
attestata dai papiri, ciò dimostra non solo che la legge degli Egizi realmente
non consentiva la testamenti factio activa ad un figlio nato da un agraphos gamos durante la vita del
padre[17],
ma soprattutto che lavvocato del convenuto si era realmente ingannato sulla
corretta disposizione vigente in proposito in Egitto ed applicabile al caso
specifico.
A
questo punto, però, si prospetta il problema di determinare quale tradizione
giuridica prevedeva una disposizione di tal genere: legiziana o la greca? Come
è noto lespressione legge degli Egizi si collega ad un dibattito ancora
aperto: si trattava di diritto egiziano antico, equivalente agli ellenistici nomoi
tes choras, o di diritto greco che ormai nellottica romana si
applicava indifferentemente ad indigeni e greci residenti in Egitto ?
Secondo
Modrzejewski[18] le pratiche
indigene furono equiparate come semplici consuetudini locali agli occhi dei
Romani in assenza di un riferimento civico istituzionale, legittimante un
autonomo ius civile, determinando lanomalia di leggi greche da
applicare indifferentemente agli Egizi come legge degli Egizi. Secondo altri
studiosi[19], tenendo
conto delle recenti scoperte[20]
che indicano che in età romana si
perpetuavano raccolte di leggi indigene nettamente distinte da quelle greche, appare
difficile giustificare lapprossimativa assimilazione sotto ununica
parificatrice espressione di legge degli Egizi, che denoterebbe una notevole ignoranza della realtà etnica e
culturale del paese, della evidente differenza tra le due culture. E dunque
nel verbale del 124 per legge degli Egizi dovrebbe invece
intendersi lantico diritto egiziano, applicabile agli indigeni.
Nel caso particolare del
CPR I, 18 si è ritenuto[21]
che nella sostanza, trattandosi di diathéke saremmo in presenza di una tradizione
greca, che addirittura risalirebbe alla celebre legge di Solone fondante la successione testamentaria e che
culminerebbe nella pratica ellenistica riconosciuta nellalto impero di non
imporre alcun limite alla libertà del testatore[22].
Il diritto egiziano antico sarebbe stato contrario a tale tendenza e, pur
riconoscendo certo degli atti dispositivi a finalità successoria, ne avrebbe
sottoposto limpiego a regole di devoluzione limitanti. E dunque alla pratica
greca e non alla tradizione indigena si riferirebbero i nomikoi consultati
dai giudici romani.
Non bisogna credere che si sia operata una scelta tra la
tradizione greca e la tradizione egiziana, a profitto di questultima[23].
Possiamo innanzitutto
osservare che in realtà la sentenza interlocutoria nega proprio quella libertà
di testare che si ritiene di ascrivere alla tradizione greca e che le indagini
sul controverso problema dellesistenza o meno del testamento nellEgitto
faraonico sembrano invece far propendere in senso affermativo, poiché
esistevano delle disposizioni con valore testamentario in base alle quali la
volontà revocabile di un soggetto era certamente in grado di derogare
unilateralmente alla trasmissione legale di un patrimonio, di assicurare cioè mortis
causa la delazione dei propri beni a chi si voglia. In un testo
del IX sec. a.C. si ricorda ad esempio testualmente che il Faraone ha detto
che ciascuno faccia ciò che vuole dei suoi beni e la disposizione, sovente
ripetuta, è chiaramente riferita a questioni mortis causa. [24]
Lintreccio nel verbale
tra diritti delle diverse etnie, strategie legali, valutazioni degli avvocati e
del giudice, parere del consigliere sembra poi essere sottile e richiedere
maggiore attenzione.
La scelta dellavvocato
indigeno dellattore di far fulcro:
1.
sul diritto del padre a
succedere in base alla legge al figlio premorto,
2.
di considerare nullo in base
alle leggi il testamento vantato dal convenuto,
era, non solo naturale e basata sul diritto indigeno, ma
soprattutto confortata dalla perfetta
sintonia con il diritto romano, già rilevata da Arangio Ruiz[25],
che il giudice certo conosceva ed istintivamente sarebbe stato indotto ad
applicare nel caso specifico sottoposto alla sua valutazione. Infatti il figlio
non può fare testamento in diritto romano vivente il padre e, anche se
certamente non può dirsi che il padre succeda al figlio, poiché la devoluzione
delleventuale peculio al padre non è eredità, il risultato finale nel caso
specifico sarebbe stato lo stesso e in tale affinità confidava forse lavvocato
per una soluzione del caso a lui favorevole. Arangio Ruiz[26]
rileva con la finezza che lo caratterizzava che lespressione scorretta
dellavvocato (l. 9: la legge chiama i padri
alleredità dei figli (dei matrimoni) non scritti) non
avrebbe potuto essere pronunciata da un giurista romano, né, aggiungo io,
essere riferita nel verbale di seconda mano in una oratio obliqua ma
che limprecisione avrebbe potuto essere giustificata dalla maggiore
accentuazione dellelemento materiale del sortem (o partem)
capere che è nella voce klēronomia in contrapposto alla latina hereditas[27].
Lavvocato della parte avversa parla semplicemente di kataleípein ta ídia
e nella sentenza interlocutoria la frase diathékes exousían mè
eschēkós, grecamente scorretta, per Arangio Ruiz, è molto
probabilmente unimprovvisata traduzione del latino cum testamenti factionem
non habuerit[28].
E possibile dunque che lavvocato Soterico giochi sullequivoco tra la
necessità di applicare agli indigeni il proprio diritto personale e la
suggestione esercitata dallimplicito richiamo al diritto romano. Si è infatti
osservato che nel caso del primo punto su cui fa fulcro parla genericamente
della legge, nel secondo di leggi che potrebbero equivocamente intendersi anche
come leggi romane.
Come è noto in età romana,
le due forme del matrimonio egiziano, che costituivano il residuo di un regime
originario dellEgitto faraonico, in cui persisteva una rigorosa delimitazione
delle caste sociali che si era lentamente attenuata[29],
finirono per essere accomunate in un agraphos gamos, un matrimonio
originariamente indigeno al quale ora si contrapponeva un eggraphos gamos,
un matrimonio originariamente greco, che non richiedeva più leggue, né
la stesura della suggraphè sunoikesíou in un tempo determinato[30].
Infatti con la progressiva assimilazione delle due popolazioni in una, il
matrimonio egiziano accompagnato dalla suggraphé trophítis, il
c.d. scritto di alimentazione che registrava la somma che sovente
fittiziamente il coniuge stesso accreditava alla donna per il mantenimento e la
prima fase del matrimonio greco, in attesa della redazione della suggraphè
sunoikesíou, registrante la costituzione della dote ad sustinenda onera
matrimonii, avrebbero potuto essere facilmente accomunati in un matrimonio agraphos,
suscettibile di convertirsi in eggraphos in qualsiasi momento con la
semplice stesura della suggraphè sunoikesíou. Ma, nel primo caso, come
nel matrimonio romano sine manu, il marito non diveniva kyrios della moglie e i figli non potevano
far testamento vivendo il padre, poiché sembra che nellantica organizzazione
della famiglia egiziana basata sulla suggraphé trophítis i figli
avessero una sorta di diritto di peculio, persistendo la proprietà del padre;
nel secondo caso invece, come nel diritto greco, ai figli sarebbe stata
riconosciuta autonomia.
Proprio questultima
circostanza che i figli avrebbero potuto far testamento vivendo il padre, in
contrasto con il diritto romano, potrebbe spiegare la curiosa strategia
dellavvocato romano del convenuto, Marciano, che invece di contestare il punto
di fatto relativo al tipo di matrimonio, colpito forse dalla peculiarità locale
o forse consapevole della difficoltà di esibire uno scritto realmente fondante
un matrimonio eggraphos (non era tale infatti la suggraphé trophítis),
rivendicò direttamente la personalità della legge
degli Egizii che concedeva a tutti di far testamento e di lasciare a chi si
voglia i propri beni, omettendo di provare in primo luogo la natura engrafica
del matrimonio. E in effetti nel diritto degli Egizii ricorreva sovente, come
si è visto[31], il
principio della libertà di disporre dei propri beni: ad esempio nel P. Tor.
2021 dellXI sec. a.C., un verbale di autenticazione di disposizioni
testamentarie, ripetutamente si proclama
tale principio ascrivibile ad un detto faraonico[32]
e la medesima origine è dichiarata in altri casi, che avrebbero potuto essere
tramandati sino alletà romana in traduzioni greche di disposizioni indigene, come
nel caso dei due frammenti del P. Oxy. XLVI, 3285, posteriore al 150 d.C.[33]
In un altro papiro di
Ossirinco[34] il prefetto
T. Giulio Lupo, consultando il nomikos Areios decide nel 72/3 d.C. in
base ai nómoi che un padre può
redigere un testamento diseredando i figli senza condizioni di forma, termini o
limiti alla sua libertà. E merito di Modrzejewski aver dimostrato che
si tratta non di diritto romano e di testamentum militis ma di diritto
peregrino, che però egli ritiene ellenistico nella convinzione che il diritto
egiziano non conoscesse il testamento[35],
ed ancora in P.Oxy. XLII, 3015,
dellinizio del II sec. d.C., riferendosi a leggi degli Egizi espressamente
si dichiara che un Egizio ha la capacità di far testamento come vuole.
Sono a noi pervenute in
frammenti raccolte giuridiche egiziane[36]
di epoche assai diverse ma sostanzialmente stabili che rivelano che dagli inizi
dellepoca tolemaica, se non già persiana, circolavano fino in età romana
compilazioni indigene per un uso pratico, quello dindicare la prassi corrente
e la migliore soluzione da adottare in un caso concreto in conformità alle
consuetudini locali. Avvocati, giudici e giuristi avrebbero potuto utilizzarle
per conoscere le disposizioni egiziane di remota antichità.[37]
Indubbiamente le raccolte
di disposizioni locali di origine sacra, favorite dalla risalente familiarità
degli egiziani con la scrittura e dallantico ricorso ai sacerdoti ed alla
giustizia templare, sembra che abbiano avuto leffetto di preservare il
patrimonio nazionale del passato faraonico[38]
e che esse possano addirittura essere collegate ad antiche testimonianze del
XII sec. a.C. di ambiente tebano[39].
La soluzione proposta ad esempio nel c.d. Codice dErmopoli (VI, 10 ss.) per
il caso della costruzione su terreno altrui, volta ad affermare allapparenza
un principio opposto a quello accolto nella legislazione romana decemvirale del
tignum iunctum (Tab. VI, 8) e mantenuto ancora in età romana nel P.Oxy.
XLVI, 3285, fr. 1, ll.1-21, sembra essere riflessa in due decisioni giudiziarie
addirittura del XII sec. a.C. che provengono da Tebe e dichiarano soccombente
il costruttore[40],
consentendo comunque il recupero dei materiali di costruzione senza distinguere
il caso della buona fede, dalla cattiva[41].
Se in un processo del 121/122 d.C., dinnanzi allautorità romana, il
costruttore invece se la cavò[42]
non fu per un mutamento giurisprudenziale implicante labbandono dellantico
principio egiziano e lapplicazione del diverso orientamento romano. Il
proprietario infatti aveva atteso oltre tre anni prima di lamentarsi ed, anche
se il rigetto dellistanza è conforme alla regola romana dellesperibilità
nellanno dellinterdetto quod vi
aut clam[43], nulla
indica un contrasto col diritto locale.
Se
pur disposizioni locali contrastanti con il diritto romano avrebbero potuto essere
benevolmente applicate agli indigeni, come nel caso del riconoscimento di
capacità testamentaria ai figli nati da matrimoni engrafici o nel 115 d.C. in
una controversia relativa a diritti di patronato[44],
al nomikos Claudio Artemidoro nel processo del 124 d.C. dinnanzi a
Blesio Mariano non sfuggiva lerrore dellavvocato del convenuto e proclamava
che, essendo allo stato degli atti il matrimonio agrafico, sussisteva la
regola indigena favorevole allattore ed in sintonia ai principi romani,
determinando una pronuncia conseguente.
A
questo punto risalta con evidenza che la copia della quale si dispone è ben
lungi dallessere una riproduzione stenografica della seduta verbatim,
poiché la reazione del soccombente, le repliche del vincente e quelle inevitabili
degli avvocati sono asciuttamente sintetizzate, offrendo, con molta benevolenza
per la nostra ottica moderna, unultima possibilità al certamente indignato
erede testamentario: quella di sperare nella mancata prova della natura
agrafica del matrimonio nel termine previsto.
La faccenda giudiziaria,
infine, e la ricostruzione proposta dellistituto matrimoniale e della capacità
di far testamento, con gli influssi reciproci delle due tradizioni egiziana ed
ellenistica in contatto con la romana, appaiono significative per indicare il
tipo di diritto che si applicava in alcuni casi agli inizi del II sec. d.C.
agli abitanti dellEgitto, ai provinciali, ai quali lautorità romana appariva
propensa a riconoscere ladozione anche di pratiche estranee, ascrivibili
prevalentemente ad un diritto dei Greci che lentamente tendeva a proporsi come
diritto degli Egizi. Se poi tali
pratiche finivano talvolta per coincidere con le romane, certo non era da
biasimare.
Gianfranco Purpura
Dipartimento di Storia
del Diritto
Università di
Palermo
[1] Edito da Mommsen, Aegyptischer Erbschaftsprozess aus dem J. 124 n. Chr., ZSS, XII, 1892, pp. 284 - 296; Mitteis, Grundzüge u. Chrest. der Papyruskunde, II, Leipzig, 1912, n. 84; Arangio Ruiz, La successione testamentaria, cit., pp. 46 56; Bruns, Fontes Iuris Romani Antiqui 7, 1909, n. 189; Meyer, Juristische Papyri, Berlin, 1920 (rist. Chicago, 1976) , n. 89; cfr. Modica, Introduzione allo studio della Papirologia Giuridica, Milano, 1914, p. 292; Arangio Ruiz, Persone e famiglia nel diritto dei papiri, Milano, 1930, pp. 76 ss. e 80; Wolff, Written and unwritten marriages in hellenistic and postclassical roman law, Haverford, 1939, pp. 60 ss.; Seidl, Rechtsgeschichte Ägyptens als römischer Provinz (Die Behaptung des ägyptischen Rechts neben dem römischen), Sankt Augustin, 1973, pp. 48; 101 e s.; 226; Id., Nachgiebiges oder zwingendes Erbrecht in Ägypten ?, SDHI, 40, 1974, pp. 99 110; Modrzejewski, La loi des Égyptiens: le droit grec dans lÉgypt romaine, Proocedings XVIII Intern. Congr. Pap., Athens, 25 31 maggio 1986, II, Athens, 1988, (= Droit impérial et traditions locales dans l Égypte romaine, 1990, pp. 383 399); Crook, Legal advocacy in the roman world, London, 1995, pp. 74 e s.
[2]
Sui giudici cfr. Daris, Limmagine del giudice nei papiri dEgitto,
Ponzio Pilato o del giusto giudice, a cura di Bonvecchio e Coccopalmerio, 1998,
pp. 99 113; sugli avvocati Crook, op. cit.
[3] Anagnostou Canas, La documentation
judiciaire pénale dans lÉgypte romaine, MEFRA, 112, 2000, 2, pp. 764 ss. e
la lett. ivi cit.
[4] Il P. Fam. Tebt. 24 è edito da Groningen, A family archive from Tebtynis, P. Lugd. Batav. VI, Leyde, 1950.
[5] Coles, Shorthand and use of the oratio
recta in reports of proceedings in the papyri, Atti dellXI Congr. Intern.
Di Papirologia, Milano, 1966, pp. 118 125; Id., Reports of Proceedings in
Papyri, Papyrologica Bruxellensia, 4, 1966.
[6] La valutazione scettica di Coles, Reports of Proceedings, cit., p. 21 nt. 2 è giustamente ritenuta ipercritica da Crook, Legal advocacy, cit., pp. 60 ss. che esamina attentamente la questione.
[7] Seguendo prevalentemente Bruns, Fontes
Iuris Romani Antiqui 7, 1909, n. 189.
[8] Bruns, op. cit., p. 408: om. g£mwn.
[9] Bruns, op. cit., p. 408 nt. 7: par¡ 'ac
an.
[10] Così in Arangio Ruiz, La successione testamentaria nel diritto dei papiri greco egizii, Napoli, 1906, p. 48.
[11] Così in Hunt, Göttinger Gelehrte
Anzeigen, 1897, p. 461.
[12] Così in
Bruns, op. cit., pp. 409 e s.
[13] Ipotesi proposta e scartata da Crook, op. cit., p. 75.
[14] E ovviamente difficile dimostrare scorrettezze di tal genere, ma sembra che Cicerone si sia vantato di aver ottenebrato la giuria nella Pro Cluentio (Quint., Inst. II, 17, 21). Sul punto cfr. Crook, op. cit., pp. 139 ss.
[15] La citazione di consolidate disposizioni prefettizie da parte dellavvocato Diadelfo in BGU I, 15 del 194 d.C. era inesatta nella parte conclusiva che interessava il suo cliente. Crook, op. cit., pp. 89 e s.
[16] Così in Crook, op. cit., p. 75.
[17] Sullagraphos gamos cfr.
H.J. Wolff, Written und Unwritten Marriages in Hellenistic and Postclassical
Roman Law, Am. Phil. Ass., Philological Monographs, IX, Haverford, 1939,
pp. 60 e s.; 64.
[18] Modrzejewski, La loi des Égyptiens,
cit., pp. 396 ss.
[19] Taubenschlag, The law of greco-roman
Egypt in the light of the papyri (332 B.C.-640 A.D.) 2,
1955, Warszawa, pp. 20 nt. 55 e p. 116; Seidl, Rechtsgeschichte
Ägyptens, cit., pp. 48; 101 e s.; 226 ; Arangio Ruiz, Persone e
famiglia, cit., pp. 76 ss. ed altri.
[20] P. Caire dém. 89127-89130; 89137-89143;
Mattha, Hughes, The Demotic Legal Code of
Hermopolis, Le Caire, 1975 (IFAO, 45); P.Oxy. XLVI, 3285; Pestman, Le manuel de droit égyptien dHermoupolis.
Les passages transmis en démotique et en grec, Textes et études de papyrologie
grecque, démotique et copte, Leyde, 1985, (P.Lugd.Bat. 23), pp. 116 143;
Bresciani, Frammenti da un prontuario legale demotico da
Tebtuni nellIstituto Papirologico G.
Vitelli di Firenze, Egitto e Vicino Oriente, 4, 1981, pp. 201 215.
[21] Modrzejewski, l.c.