GIANFRANCO PURPURA

 

TABULAE POMPEIANAE 13 E 34: DUE DOCUMENTI RELATIVI AL PRESTITO MARITTIMO

 

in: Atti  della Accademia di Scienze Lettere e Arti di Palermo, ser. V, II, 1981 -82, II, pp. 449 - 474. = Atti del XVII Congresso Intern.  di Papirologia,  Napoli,  1984,  pp.  1245 - 1266.

 

Il recente e rinnovato interesse per il prestito marittimo nel diritto romano non é valso a dissipare le incertezze sulla sua origine e struttura negoziale, restando ammessa la possibilità di una pecunia traiecticia cum poena (mutuo e stipulatio penale principale), accanto ad una, più rara, pecunia traiecticia sine poena (mutuo, stipulatio per gli interessi e, talvolta, anche per il capitale).

Le esitazioni, poi, derivanti dalla scarsezza e frammentarietà delle fonti disponibili, soprattutto i tormentati testi sul prestito marittimo del Digesto e del Codice (D. 22,2 e C. 4,33), oltre ad un papiro (PVindob. Gr. 19792) del 149 d.C., si accrescono se si affronta il problema dei rapporti con le varie esperienze antiche e principalmente la greca, visto che il modello greco di prestito era ampiamente diffuso nel Mediterraneo[1].

Le prospettive ipotizzabili per questo, come per altri istituti del diritto commerciale marittimo sotto l'impero di Roma, alla luce dell'unità probabilmente conseguita sul finire dell'età classica, appaiono quelle di un influsso del diritto greco ellenistico sul diritto romano, di uno sviluppo autonomo dei due diritti, che isolatamente giungerebbero a posizioni convergenti, o di una, meno probabile, prevalenza della prassi romana sull'ellenistica.

Ma se sul piano pratico la derivazione del prestito marittimo romano dall'analogo istituto di diritto greco viene attualmente considerata « del tutto fuori discussione», non può dirsi lo stesso per l'aspetto dogmatico, visto che per questo contratto vengono sottolineate notevoli differenze tra i due diritti. Il prestito marittimo in diritto greco, ma piú precisamente in diritto attico, appare come un mutuo con la corresponsione di un elevato interesse, previe idonee garanzie ipotecarie e l'assunzione del rischio da parte del creditore. Al prestito fanno riferimento alcune orazioni pseudo‑demosteniche e, a mio avviso, anche due documenti papiracei di età ellenistica (SB III, 7169 e PCairo Zen. I, 59010), forse, non ancora a fondo utilizzati dagli studiosi. Gli interessi, che per un viaggio di andata e ritorno dovrebbero aggirarsi, in genere, intorno al 33,3%, venivano calcolati globalmente a viaggio e non a tempo ed ammontavano quindi comunemente ad un terzo del capitale.

Nel prestito marittimo romano, invece, gli interessi, previsti a parte e non strutturalmente inerenti al negozio, verrebbero computati in base al decorso del tempo e non a vicenda marittima. La clausola di garanzia ipotecaria, essenziale nel mondo greco ellenistico, sarebbe accessoria nel mondo romano ed invece la penale per ritardato pagamento costituirebbe il principale rimedio a protezione del negozio almeno per il piú diffuso tipo romano di prestito marittimo.

È evidente allora che le differenze tra i due diritti, derivanti da diverse prospettive dogmatiche, finirebbero per incidere su aspetti pratici del negozio. In particolare invita alla riflessione l'ipotizzata modalità del computo degli interessi a tempo per il prestito marittimo romano, in contrasto con un'antica e diffusa prassi del mondo greco ellenistico, nel quale risulta con evidenza che gli interessi da corrispondere a tasso elevato erano un certum preventivamente determinato a viaggio, anche se poi per limitare possibili speculazioni, ma soprattutto per circoscrivere la sopportazione del rischio da parte del creditore ad un periodo favorevole alla navigazione, finiva per essere previsto un termine massimo.

È possibile che i commercianti romani accettassero un rischio tanto elevato, quale consegue al computo degli interessi marittimi a tempo in una operazione cosí incerta, quale la navigazione commerciale antica, subordinata ad una ampia serie di fattori avversi imponderabili e che proprio questa prassi diversa e piú rischiosa sia prevalsa sotto l'impero di Roma? E da tenere in conto che solo con difficoltà il commerciante romano a conoscenza di una favorevole richiesta di mercato avrebbe potuto valutare in precedenza l'opportunità di finanziare una operazione commerciale transmarina, connessa all'implacabile fluire di un tempo non preventivamente determinato. Vero é che una eventuale durata massima prestabilita per l'operazione avrebbe potuto parzialmente placare le sue preoccupazioni, ma resta l'anomalia del computo degli interessi a tempo, suffragata all'apparenza da qualche fonte giuridica romana (Pauli, Sententiae II, 14, 3: Traiecticia pecunia propter periculum creditoris, quamdiu navigat navis, infinitas usuras recipere potest).

Arangio‑Ruiz nel 1928 concludendo il corso sui lineamenti del sistema contrattuale nel diritto dei papiri auspicava: «Se qualche fortunato ritrovamento egiziano o ‑ meglio ancora ‑ della meravigliosa zona vesuviana nella quale concludo queste osservazioni, ci darà nuovo lume sul diritto marittimo degli antichi, potremo segnare in linee piú precise e durevoli la struttura del prestito marittimo di cui il papiro alessandrino (SB III, 7169) e il passo di Scevola (D. 4, 1, 122) ci danno qualche barlume».[2]

Forse l'augurio di Arangio‑Ruiz si é avverato, poiché due nuove tavolette pompeiane, la 13 e la 34, appaiono connesse al prestito marittimo.

Dopo il recente studio di Ankum sulla Tab. Pomp. 13 non credo, infatti, che costituisca più una sorpresa per i romanisti il fatto che essa, piuttosto che riferirsi ad un contratto di trasporto, come ipotizzato da Wolf nella cura secunda di questo documento, é, in realtà, relativa ad un vero e proprio contratto di prestito marittimo.[3] La trascrizione di Wolf appare sostanzialmente conforme all'originale che oggi si presenta, come tutti i documenti di Murecine, in pessime condizioni di conservazione. Per questo importantissimo ed assai vario complesso di documenti, ormai prosciugati, deformati e danneggiati da errati tentativi di conservazione, si lamenta l'assenza di corrispondenze tra reperti pressocché irriconoscibili, testi editi e foto, conservate, tra l'altro, presso una Sovrintendenza diversa da quella che custodisce le tavolette. E auspicabile una sollecita edizione definitiva completa, che corregga le inesattezze delle prime notizie e pubblichi tutti gli apografi e foto disponibili, che, effettuati dopo la scoperta consentono, ancora, di utilizzare questo prezioso complesso documentario. Per l'apografo di Tab. Pomp. 13 mi sono prevalentemente avvalso delle foto, essendo soprattutto la parte greca del documento quasi illeggibile (Tavv. I e II). 

 

Il chirografo in greco del debitore Menelao, figlio di Ireneo, nativo di una cittadina dell'Asia Minore, Ceramo, la cui formula ...égrapha apéchin mai… ricalca la nota espressione latina ... scripsi me eccepisse..., é rilasciato a Pozzuoli, all'approssimarsi della stagione propizia alla navigazione,[4] l'11 aprile del 38, allo schiavo del sovventore Publio Attio Severo, noto capitalista e commerciante romano, il cui nome appare su diverse anfore di provenienza spagnola della prima metà del I sec. d.C.[5] Ed in questo momento proprio Pozzuoli é il principale porto di commercio con la Spagna.[6]

Il termine naulotiké che si riscontra nel documento si applica nel diritto dei papiri secondo Meyer‑Termeer ad una gamma di contratti marittimi e non é riservato esclusivamente al contratto di trasporto. Potrebbe, secondo Ankum, essere tradotto dall'espressione latina traiecticius contractus ed in quanto nel documento il debitore non si obbliga a consegnare (paradóso), ma a restituire (apodóso), restano pochi dubbi che si tratti di un contratto di prestito marittimo.

Il chirografo attesta una numeratio pecuniae dell'ammontare di 1000 denari (dracme argentee), pari a 4000 sesterzi o a 320 gr. d'oro,[7] effettuata dopo la conclusione di una singrafe nautica (conventio pecuniae traiecticiae), che, come nel papiro di Vienna (19792) del 149 d.C., sembra preventivamente fissare le condizioni del prestito marittimo (determinazione della nave e dell'equipaggio, destinazione, natura del carico, rotta, scali intermedii, tempo massimo, sopportazione del periculum da parte del mutuante, eventuali penali e compensi speciali e cosí via). Di essa, come già rilevato da Biscardi, affiorano tracce in testi del Digesto e del Codice, come ad esempio nel famoso prestito di Callimaco.[8]

Il debitore nel documento pompeiano si impegna a restituire la somma mutuata in conformità agli accordi presi (ll. 10‑11: ... à kai apodóso akoloúthos tei naulotikei ...), alludendo, a mio avviso, soprattutto alla sopportazione del periculum da parte del mutuante, elemento questo, essenziale del negozio. Le opinioni al riguardo diverse, espresse anche di recente, traggono spunto, come vedremo, da qualche testo suscettibile solo all'apparenza di un'interpretazione contraria (D. 22, 2, 4 pr.:  traiecticia pecunia sine periculo creditoria accepta), ma in realtà sono una conseguenza della frammentarietà e quindi oscurità delle fonti disponibili e finiscono per obliterare la fondamentale differenza tra mutuo e pecunia traiecticia: la sopportazione del rischio marittimo cioè da parte del mutuante (D. 22, 2, 6: ...traiecticia pecunia ita datur, ut non alias petitio eius creditori competat, quam si salva navis inter statuta tempora pervenerit...) in deroga al principio opposto vigente per il mutuo (D. 44, 7, 1, 4: Et ille quidem qui mutuum accepit, si quolibet casu quod accepit amiserit, nihilo minus obligatus permanet…).

Il chirografo in latino di un fideiussore, Marco Barbazio Celere, che potrebbe anche essere lo stesso personaggio che appare come testimone in una delle tavolette di Giocondo,[9] completa il dittico di Murecine.

Riassumendo gli atti presupposti dalla tavoletta sono:

 

-         redazione per iscritto di una conventio nautica sulla quale furono apposti i sigilli, ma che non ci è pervenuta

-         numeratio pecuniae

-         redazione del chirografo dell'obbligazione principale e dell'obbligazione di garanzia, rappresentato appunto dal dittico.

 

Si constata, invece, la mancata menzione nel documento pompeiano degli elevati interessi del prestito marittimo ed il silenzio sulla stipulatio poenae, per Biscardi necessaria normalmente nei contratti di questo tipo.[10]

Per Ankum i 1000 denari comprenderebbero già gli interessi, essendo stata presumibilmente erogata una somma di entità minore.[11] Ma, in questo caso vi sarebbe la menzione di una datio fittizia, in disaccordo, a mio avviso, con il carattere reale dell'obligatio pecuniae traiecticiae, ribadito in diversi testi[12] e vi sarebbe inoltre la prestazione di una garanzia non per il solo capitale, come sarebbe giusto attendersi, ma anche per gli interessi.

Proprio sulla questione della via perseguita per la realizzazione degli interessi si focalizza il dibattito fondamentale sul prestito marittimo nel diritto romano e sulla sua autonomia rispetto al nautikòs tókos.

Se appare improbabile una recezione passiva da parte dei giuristi romani del corrispondente istituto greco (con l'ammettere cioè la validità di un pactum usurarum, annesso al contratto reale di mutuo),[13] occorre tentare di ricostruirne la struttura e le tesi sembrano fondamentalmente ridursi a due: quella di De Martino, che, negando ogni autonomia del negozio rispetto al mutuo, ritiene necessaria, oltre la datio, una specifica stipulatio degli interessi nautici, e quella di Biscardi che ammette la riduzione del modello greco entro lo schema specifico di una stipulatio poenae pecuniae traiecticiae.[14]

Credo che Tab. Pomp. 34 possa indicare una via per la soluzione della questione.

Il dittico, ben noto ai romanisti in quanto contiene una, anzi due formulae, non é stato finora in alcun modo collegato con il prestito marittimo (Tavv. III e IV).[15]

 

TAB. POMP. 34

 

p. 2          1 Ea res agetur de sponsione

                2 C(aius) Blossius Celadus iudex esto 

                3 si parret C(aium) Marcium Satu[rninum] 

                4 Caio) Sulpicio Cinnamo HS I)) m d[are] 

                5 oportere q(ua) d(e) r(e) agitur 

                6 C(aius) Blossius Celadus iudex C(aium) 

                7 Marcium Saturninum HS I)) m 

                8 Caio) Sulpicio Cinnamo cond[em]nato 

                9 si non parret apsolvito 

              10 C(aius) Blossius Celadus iudex esto

 

p. 3           1 [si par]ret C(aium) Marcium [Satur]ninum 

                 2 [C(aio)] Sulpicio Cinnam[o] HS ((I)) I)) m m m 

                 3 [d] are oportere q(ua) [d(e) r(e) agi]tur 

                 4 C(aius) B.lossius Celadus [i] ude[x] 

                 5 [C(aium)] Marcium Satu[r]ninum [HS] ((I)) m m ((I)) 

                 6 [C(aio)] Sulpicio Cinnam[o con]demnato 

                 7 si non parret apsolvito 

                 8 iudicare iussit P(ublius) Cossinius Priscus IIvir 

                 9 [Actu]m Puteol[is] 

               9a

               10 [F]austo Cornelio Sul[la Feli]ce  

               11 Q(uinto) Marcio Barea Sorano Cos

 

Nella cura secunda di questo documento del 52 d.C. Wolf presenta un testo assai simile a quello qui proposto che ho potuto controllare per la p. 2 con l'originale, alquanto alterato, ma ancora leggibile (Pompei, n. 14387). Non sono invece riuscito a ritrovare la p. 3 e quindi anche in questo caso gli apografi sono stati da me effettuati prevalentemente sulla base delle fotografie. Le uniche differenze di lettura rispetto al testo presentato da Wolf riguardano le cifre della seconda tavoletta (non 8000, ma in entrambi i casi 18000), la i di Sulpicio e la Q di Q(uinto) alle ll. 2 e 11 della p. 3, che a me appaiono evidenti. Al contrario non riesco a scorgere la x di iudex alla l. 4 della p. 3.

L'accurato studio di Wolf, che chiarisce diversi aspetti di Tab. Pomp. 34 non spiega, tuttavia, la ragione per la quale in un unico documento furono comprese due formulae per due pretese di diverso ammontare rilasciate dallo stesso magistrato ai medesimi attore e convenuto per uno stesso iudex, incaricato di risolvere la controversia. Nonostante Wolf ritenga che la praescriptio ea res agetur de sponsione della l.1 della p. 2 valga a qualificare entrambe le pretese come derivanti da stipulazioni di due diversi mutui richiesti in uno stesso momento sembra che essa, al singolare, si riferisca soltanto alla prima formula. Siamo, quindi, in presenza di una richiesta di una determinata somma di denaro ex stipulatu e di una formula dell'actio certae creditae pecuniae, priva di praescriptio, derivante da mutuo. È possibile che già dalla legis actio per iudicis arbitrive postulationem, in caso di credito da sponsio con promessa di un certum, vi fosse menzione della causa, restando invece senza alcuna specificazione l'originario caso del credito da mutuo.[16]

Vi é ancora chi considera, invece, le due tavolette del documento pompeiano come relative ad atti diversi, una formula nella prima tavoletta (p. 2) con due nomine dello stesso giudice, senza anno, luogo ed indicazione del magistrato.[17] Ma proprio queste indicazioni sono presenti nella formula della seconda tavoletta (p. 3), mentre manca la nomina del giudice, in quanto alla l. 4 della p. 3, come alla l. 6 della p.2, sembra che si possa leggere soltanto C(aius) Blossius Celadus iude[x], inizio della condemnatio, e non C(aius) Blossius Celadus [i]udex [e]st[o], iudicis nominatio che, oltre tutto, sarebbe fuori posto. La presunta lieve differenza di formato tra le due tavolette (circa un cm. in larghezza) é parsa sufficiente per sostenere che si tratti di due diversi documenti, nonostante le considerazioni di Wolf in sostegno dell'unicità. In realtà, le misure fornite per le tavolette (p. 2: mm. 119 x 101, e non 110, evidente errore di stampa; p. 3: mm. 129 x 112) sono le dimensioni dei reperti nelle foto della Sovrintendenza e non quelle reali dei pezzi. Attualmente p. 2 misura all'incirca mm. 134 x 102. Le fibre lignee si sono contratte, infatti, maggiormente nel senso della larghezza, piuttosto che della lunghezza, rimasta pressocché inalterata. È allora assai probabile che questo del formato sia un falso problema che dipende solo da diverse dimensioni nelle fotografie di reperti di eguale misura che al momento della scoperta, non essendo attribuiti ad un unico dittico, furono fotografati separatamente a diversa distanza senza alcuna scaletta metrica, come dimostrano gli oltre 40 nn. di differenza tra i negativi (nn. 13634‑5; 13587‑8).

La struttura costante delle due formulae che menzionano gli stessi personaggi ed il fatto che la iudicis nominatio, inizio della seconda formula, é posta alla l. 10 della prima tavoletta confermano l'appartenenza delle due tavolette di abete ad un unico dittico, dai simmetrici fori per i legamenti e dalle apparentemente identiche venature lignee, che, come si vedrà, fu inoltre relativo ad un solo affare, diversamente da quanto si é finora supposto.

È agevole ritenere che le due pretese si riferiscano l'una ad interessi l'altra ad un capitale mutuato, ma la lettura delle cifre come 6000 sesterzi nel primo caso e 8000 nel secondo rese in un primo tempo alquanto improbabile questa ipotesi. In realtà, già lo stesso Wolf in una postilla inserita nel suo articolo in seguito all'esame delle foto originali del dittico correggeva la sua precedente lettura e dava per sicure le cifre di 6000 sesterzi nel primo caso e 18000 nel secondo. In particolare la cifra 6000 alle ll. 4 e 7 della p. 2 é tracciata nella stessa maniera con molta chiarezza (5000+1000), invece 18000 a p. 3 é scritto una prima volta (l. 2) 10000+5000+1000+1000+1000 ed alla l. 5 per sottrazione [10000+(10000‑1000‑1000)] (Tav. V). Una scrostatura della cera ed una leggera abrasione impediscono la chiara lettura del primo segno numerale della l. 2, del quale tuttavia resta la metà superiore destra e l'uncino al centro. Gli altri segni numerali della stessa linea sono chiari. Alla l. 5 della p. 3 resta del primo segno numerale poco piú della metà inferiore con i due uncini interni. Gli altri tre segni della medesima linea sono piú facilmente leggibili. I primi due furono piú leggermente tracciati, il secondo é fortemente marcato.

In conclusione, un rapporto 1 : 3 intercorre tra le due somme pretese, scritte alla stessa maniera anche in altre tavolette pompeiane.[18] E’ noto, però, che in diritto romano il tasso normale degli interessi del 6% poteva elevarsi al 12% (centesima), ma giammai superare questo limite.[19] E, seppur di fatto saranno stati richiesti interessi usurai superiori, ciò non sarà stato chiesto palesemente, come nel nostro caso. L'unico rapporto normalmente consentito con un tasso di interessi superiore al 12% era il prestito marittimo, i cui interessi illimitati variavano in rapporto alle condizioni del prestito.[20] Molti indizi indicano, comunque, che il tasso comunemente praticato si aggirava proprio intorno al 33,3% a viaggio, come nella nostra tavoletta. Anche se si tratta di esempi tardi e non di stretto diritto attinenti ad un vero contratto di prestito marittimo, mi sembra che se ancora al tempo di Sinesio (Ep. 129), intorno al 400 d.C., un prestito di un amico venne munificamente rimborsato dopo un viaggio per mare, «come prescrive Esiodo», al tasso del 33,3%, ciò possa indicare che fin dall'età arcaica la remunerazione per i rischi marittimi corsi da un capitale mutuato si aggirava normalmente intorno a questo tasso. Ancora alla metà del V sec. d.C. forse senza un vero contratto di prestito marittimo, 300 solidi mutuati e divenuti 1200 dopo un fortunato viaggio per mare a Costantinopoli, stavano per essere restituiti nella misura di 400 al ritorno a Ravenna (Agnello Rav., De S. Neone 30). Lo stesso rapporto 1 : 3 intercorre nel Satyricon di Petronio tra la somma guadagnata con ostinazione da Trimalchione e quella perduta in un precedente viaggio marittimo. Semplice coincidenza o riflesso di una mentalità che vede in un terzo il guadagno derivante dal rischio marittimo?

Anche in diritto greco per un prestito amphoteróploun, cioé per il viaggio di andata e ritorno, si raggiungevano comunemente interessi epítritoi.[21] È quindi possibile che in diritto romano la stipulatio degli interessi nautici per un viaggio di andata e ritorno fosse normalmente del tipo: «Prometti che mi darai uno ogni tre di capitale prestato?».

Ma é stato sostenuto da Biscardi che la prassi, testimoniata nelle fonti greche, di calcolare gli interessi in relazione al viaggio e non secondo un tasso mensile connesso alla effettiva durata del periculum, venga disattesa nel mondo romano e che anzi proprio questo sia un ulteriore elemento che valga a differenziare il prestito marittimo romano da quello greco, il fatto, cioé, che gli interessi verrebbero computati a tempo e non a viaggio. Ne conseguirebbe l'impossibilità di determinare il tasso di interessi dell'eventuale prestito di Tab. Pomp. 34, non conoscendone l'effettiva durata.

In realtà, l'insistenza delle fonti romane a connettere il prestito marittimo alla effettiva durata della navigazione può dipendere, non dalla necessità del computo degli interessi a tempo, quanto dall'esigenza dell'esatta determinazione della durata della sopportazione del rischio da parte del creditore, elemento essenziale del negozio.[22] Questa, infatti, poteva essere la principale fonte di controversie ed in questa luce mi pare che trovino spiegazione, senza ipotizzare gravi alterazioni, diversi testi di non facile comprensione. Mi limito qui a ricordarne alcuni. «In nautica pecunia ex eo die periculum spectat creditorem, ex quo navem navigare conveniat » (D. 22, 2, 3), e si allude al periculum e non ad un eventuale computo delle usure a tempo. Ecco che allora può esistere una, per cosí dire, «traiecticia pecunia sine periculo creditoris accepta» (D. 22, 2, 4 pr.) ad esempio prima della partenza della nave o allorquando essa viene impiegata in modo diverso: «Traiecticia ea pecunia est quae transmare vehitur: ceterum si eodem loci consumatur, non erit traiecticia. Sed videndum, an merces ex ea pecunia comparatae in ea causa habentur? Et interest, utrum etiam ipsae periculo creditoris navigent: tunc enim traiecticia pecunia fit» (D. 22, 2, 1). Nel caso di insussistenza del «periculum creditoris ... maius legitima usura faenus non debebitur... » e quindi anche se il pericolo é cessato per l'arrivo della nave, ma si verifica un ritardo nel pagamento o se il viaggio ha avuto luogo ed é scaduto l'eventuale termine massimo nel corso della navigazione.[23] Se vi é stata l'apposizione di un termine massimo la sua scadenza, ovviamente, comporterà la sopportazione del rischio da parte del debitore. Così in C. IV, 33, 5 (a.294) si dichiara: «Traiecticiae quidem pecuniae, quae periculo creditoria mutuo datur casus, antequam ad destinatum locum navis perveniat, ad debitorem non pertinet, sine huiusmodi vero conventione infortunio naufragii non liberabitur», alludendo, anche in questo caso, alla eventuale previsione di un termine massimo ed al puntuale rispetto della «conventio pecuniae traiecticiae», e non al fatto che si possa convenire la sopportazione del rischio da parte del debitore entro il tempo prestabilito.

Quindi, «discusso periculo», spetta al debitore la corresponsione di interessi soltanto legittimi, questa volta a tempo, in aggiunta agli interessi marittimi concordati, ma solo in séguito al felice esito della navigazione, come precisa D. 22, 2, 4 pr. «... post diem praestitutum et condicionem impletam ... ».

Allora la regola generale enunciata nelle Sentenze di Paolo (II, 14, 3: «Traiecticia pecunia propter periculum creditoris, quamdiu navigat navis infinitas usuras recipere potest») o in C. IV, 33, 2 (a. 286: «Traiecticiam pecuniam quae periculo creditoris datur, tamdiu liberam esse ab observatione communium usurarum, quamdiu navis ad portum appulerit, manifestum est») trova applicazione se non è stato previsto un termine massimo o se esso non è scaduto e non implica che il computo delle usure marittime venisse effettuato a tempo nel mondo romano.

Biscardi ritiene che «mentre il diritto greco non conosce alcun limite per le usurae, il diritto romano classico fissava, invece, come sappiamo, un tasso legale» (usura centesima, 12 %) «che solo nella pecunia traiecticia era lecito sorpassare, ma esclusivamente alla durata del rischio». Quindi, per evitare di eludere il divieto di oltrepassare il tasso legale per il periodo anteriore e successivo al tempo della navigazione era necessario, secondo Biscardi, «che il calcolo delle usurae si facesse al momento della prestazione da parte del debitore, per limitare alla effettiva durata del rischio (periculum creditoris) la corresponsione delle usurae infinitae, di guisa che la pecunia reddenda era sempre un incertum».[24]

In realtà, sembra possibile ammettere anche per il mondo romano in conformità alle esigenze commerciali ed ai dati testuali la preventiva determinazione di usure marittime, giustificate sí dal rischio, ma svincolate dal tempo, tanto piú che di solito era apposto un termine massimo e che al di fuori del periculum era prevista la regola della corresponsione di interessi legittimi.

Allora non v'è ostacolo alcuno a considerare i 6000 sesterzi di Tab. Pomp. 34 come gli interessi marittimi di un capitale di 18000 sesterzi, prestato per un viaggio di andata e ritorno, felicemente conclusosi.

L'elevata competenza per valore del magistrato pozzuolano nella nostra tavoletta potrebbe spiegarsi alla luce della specialità del rapporto, che doveva essere preso in considerazione dal duumviro in una città di mare dell'importanza di Pozzuoli.[25] Diversi indizi indicano che i documenti di Pozzuoli, rinvenuti a Pompei in una villa maritima ed in alcune ceste vicino ad un'ancora, avevano a che fare con il mare.[26]

Oltre a Tab. 13, Tab. 47 è una lettera relativa ad un carico navale e diverse tavolette riguardano individui dai nomi greci ed orientali e contrattazioni di merci di vario genere: stoffe greche, anfore di vino, vendite di schiavi, merci dalla Sardegna, punto intermedio di traffici con la Spagna.[27] È assai suggestivo il collegamento colto da Musti tra queste tavolette e gli affari, l'ambiente, gli anni, la città in cui opera Trimalchione, personaggio immaginario del Satyricon di Petronio, il cui amministratore è un liberto denominato Cinnamo. L'attore in Tab. 34 è Caio Sulpicio Cinnamo, liberto di C. Sulpicio Fausto ed ai Sulpici si riferiscono i nuovi documenti pompeiani, che fanno apparire questa come una delle piú importanti famiglie di Pozzuoli dedite agli affari nella prima metà del I sec. d.C. e che rendono ancor piú vivo il rimpianto per lo scavo parziale e d'urgenza di questa villa, che potrebbe ancora conservare preziosi documenti, ma è oggi ricoperta da una autostrada.

Convenuto in Tab. Pomp. 34 è Caio Marcio Saturnino, che dovrebbe essere un mercante o un capitano di nave. Su molte anfore romane della prima metà del I sec. d.C. si riscontrano lettere come le iniziali del convenuto (C M S o G M S).[28] Cosí un Saturnino (come l'omonimo testimone delle tavolette iucundianae 55 e 113) appare su di un'anfora campana del medesimo periodo.[29] Ma, a prescindere da questi labili indizi, credo che ciò che induce maggiormente a riflettere sia la coincidenza del tasso e la struttura del rapporto. È, infatti, estremamente improbabile che interessi calcolati a tempo raggiungano giusto la cifra tonda di un terzo del capitale, come nella nostra tavoletta.

In conclusione, l'actio della Tab. 34 potrebbe essere, addirittura, quella c.d. pecuniae traiecticiae, della quale si è tanto discusso in dottrina.[30] Il prestito marittimo in diritto romano avrebbe la struttura di un semplice mutuo, tutelato con due formulae, una volta ad ottenere la restituzione degli interessi ex stipulatu (la prima formula di Tab. 34), corrisposti a viaggio in séguito al felice esito dell'impresa e preventivamente fissati in un certum, ad un tasso ultra licitum, in considerazione del periculum creditoris, previsto con semplici condizioni, annesse al mutuo del capitale ed alla stipulatio degli interessi. Cosí in Tab. Pomp. 13 il debitore nel chirografo dichiara che restituirà il capitale mutuato in conformità agli accordi fissati nella conventio nautica. La seconda formula di Tab. Pomp. 34 potrebbe, infine, essere una semplice richiesta per la restituzione del capitale mutuato, né credo possa suscitare perplessità il fatto che essa è posta dopo la richiesta degli interessi, poiché ciò può ben corrispondere alla mentalità romana che vuole estinta ogni pendenza, prima dello scomputo del capitale.

In definitiva, sarebbe evidente l'adattamento, senza scosse, delle strutture romane al fondamentale contratto mediterraneo per il commercio transmarino, utilizzando, cioè, un normale mutuo ed una stipulatio per conseguire degli obiettivi negoziali ampiamente collaudati nella prassi mediterranea.

Sembra che i comuni mutui in età classica potessero essere rafforzati da una stipulatio, sia per gli interessi, che per il capitale[31] e ciò non sembra verificarsi nel caso in questione, anche se la somma é abbastanza elevata. La praescriptio in Tab. 34 si riferisce infatti solo alla prima res dedotta in giudizio.

Anche Biscardi ammette l'eventualità di una stipulatio traiecticiae pecuniae che conglobava capitale ed interessi, desumendola dall'impiego dell'espressione universa pecunia nel famoso prestito di Callimaco.[32]  Non è, però, questo il caso delle nostre tavolette, ma esse non escludono che commercianti diffidenti abbiano potuto, tuttavia, escogitare , altri modi per cautelarsi.

In Tab. Pomp. 13, infine, a mio avviso, si fa menzione soltanto del capitale mutuato e non degli interessi, che dovrebbero essere stati previsti a parte con apposita stipulatio, redatta su altre tavolette non pervenute.

Degno di nota mi sembra il fatto che la fideiussio, diversamente da ciò che ipotizza Ankum,[33] garantiva in questo caso, come in altre tavolette pompeiane, solo la restituzione del capitale e non degli interessi.[34] Ciò, oltre ad essere conforme alla pratica degli affari, veniva incontro alla necessità di facilitare il commercio. Forse è questa la ragione per la quale nel famoso ed assai lacunoso documento relativo ad un prestito marittimo per un viaggio al paese degli aromi in età ellenistica (SB III, 7169 = PBerol. 5883 + 5853), essendo previsti garanti per il capitale mutuato, non v'è menzione alcuna di interessi, almeno nei frammenti a noi giunti,[35] nonostante che in questo caso avrebbero potuto essere previsti nel medesimo documento.



[1] Sul prestito marittimo nel mondo greco ed ellenistico, oltre al fondamentale studio di PAOLI, Il prestito marittimo nel diritto attico, in Studi di diritto attico Firenze, 1930, rist. Modena, 1974), p. 7 ss., Cf. PRINGSHEIM, Der Kauf mit fremdem Geld, Leipzig, 1916), p. 4 SS.; CALHOUN, Risk in sea loans in ancient Athens, «Journ. Econom. Business Hist.» XXX 2 (1929), p. 561 ss.; ScHWAHN, Nautikos tokos, RE XVI (1935), 2034‑48, BOGAERT, Banquiers, courtiers et préts maritimes à Athénes et à Alexandrie, a «Chron. Eg.», XL (1965), p. 140 ss.; RougÉ, Recherches sur l’órgan. du commerce maritime en Méditerranée (Paris, 1966), p. 345 ss.; PAOLI‑BISCARDI, in Novissimo Digesto Italiano, XIII (1966), p. 749 ss., s.v. prestito a cambio marittimo (dir. greco); G.E.M. DE STE. Cxoix, Ancient Greek and Roman Maritime Loans, in Essays in honour of W. T. Baxter, Credit , Finance and Profits (London, 1974), p. 41 ss.; DAUVILLIER, Recherches sur un contrat caravanier babylonien et sur les origines du prét à la grosse aventure dans l’àntiquité greque, in Mél. Marty (Toulouse, 1978), p. 336 ss.; VÉLISSAROPOULOS, Les naucléres grecs (Genéve‑Paris, 1980), p. 301 ss. e la bibliografia citata in questi lavori. Sul lacunoso SB III, 7169 (=PBerol. 5883+5853) che, nonostante la contraria opinione di BISCARDI (Pecunia traiecticia e stipulatio poenae, «Labeo» XXIV, 1978, p. 282 n. 33) riguarda un prestito marittimo contratto nel II sec. a.C. per finanziare un viaggio da Alessandria al paese degli aromi (infra, nt. 35) e, quindi rappresenta un importante documento ellenistico Cf. WILCKEN, Punt‑Fahrten in der Ptomäerzeit, « Zeitschr. Ag. Spr.» LX (1925), p. 86 ss.; ZIEBARTH, Beiträge zur Geschichte des Seeraubs u. Seehandels im alten Griechenland (Hamburg, 1926), p. 54 s., 126 s.; MEYER, «Zeitschr. Savigny Stift.» XLVI (1926), p. 330; ARANGIO‑RUIZ, Lineamenti del sistema contrattuale nel dir. dei papiri (Milano, 1928), p. 82 s.; HEICHELHEIM, Zu Pap. Berol. 5883+5853, «Aegyptus» XIII (1933), p. 187 ss.; TAUBENSCHLAG, in Atti IV Congr. Papirol. (Milano, 1936), p. 277; WILHELM, «Journ. Rom. Stud.» XXVII (1937), p. 148 ss. Un conto relativo ad un prestito marittimo di età ellenistica in PCairo Zen. 159010 (259 a.C.). Per il diritto romano, oltre ai lavori di DE MARTINO e Biscardi, DE MARTINO, Sul foenus nauticum, «Riv. Dir. Navig.» I (1935), p. 217 ss.; IDEM, Ancora sul foenus nauticum, Ibid., II (1936), p. 433 ss.; BIsCARDI, La  struttura classica del fenus nauticum, in Studi Albertoni (Padova, 1936), p. 345 ss.; IDEM, Actio pecuniae traiecticiae (Siena, 1947); DE MARTINO, Sull'actio pecuniae traiecticiae, «Riv. Dir. Navig.» XV, 1943‑49, p. 3 ss.; IDEM, in Novissimo Digesto Italiano, VII (1961), p. 421 ss., v. foenus nauticum; PAOLI, BISCARDI, in Novissimo Digesto Italiano, XIII (1966), p. 749 ss., s.v. prestito a cambio marittimo (diritto greco) nei quali vengono esposte le due principali teorie sulla struttura negoziate [mutuo e stipulatio per gli interessi ed il capitale (De Martino); mutuo e stipulatio penale principale (Biscardi) limitandosi alla letteratura piú recente. Cf. BISCARDI, (Torino, 19742); VISKY, Das Seedarlehn u. die damit verbundene Konventionalstrafe im röm. Recht, «Rev. Int. Droits Ant.» XVI (1969), p. 389 ss.; VOCI, La responsabilità del debitore da stipulatio poenae, in Studi Volterra, III (Milano, 1971), p. 319 ss.; KUPISZEWsKY, Sul prestito marittimo nel diritto romano classico: profili sostanziali e processuali, «Index» III (1972) p. 368 ss.; LITEWSKI, Röm. Seedarlehen, «Iura» XXIV (1973), pubbl. 1976, pp. 112‑183; VON LUBTOW, Catos Seedarlehen, in Festschr. Seidl (Köln, 1975, p. 103 ss.; IDEM, Das Seedarlehen des Callimachus, in Festschr. Kaser (München, 1976 , p. 329 ss.; LITEWSKI, «Zeitschr. Savigny Stift.» XCIII (1976), p. 418 ss.; BISCARDI, Pecunia, cit., p. 276 ss.; ROUGÉ, Prét et societé maritimes dans le monde romain, in Roman Seaborne Commerce, «Mem. Am. Acad. Rome» XXXVI (1980), p. 291 ss.; CASTRESANA HERRERO, El prestamo maritimo griego y la pecunia traiecticia romana (Salamanca, 1982). Sul PVindob. Gr. 19792, che finora é stato l'unico documento papiraceo relativo al prestito marittimo nel mondo romano, cf. CASSON, New light on maritime loans, in Symbolae Taubenschlag, II = «Eos» XLVIII 2 (1956), p. 89 ss.; RouGÉ, Recherches, cit., p. 348 s.; ROUGÉ, CHARLES‑PICARD, Textes et documents relatifs à la vie économ. et soc. dans l’émp. rom. (Paris, 1969), p. 167 s.; BISCARDI, Actio, cit., p. 202 ss.; ROUGÉ, Prét, cit., p. 298. Dopo la comunicazione al Congresso é apparso l'articolo di LITEWSKI, Bemerkungen zum römischen Seedarlehen, in Studi Sanfilippo IV (Milano, 1983), p. 381 ss., in replica a BISCARDI, Pecunia, cit.

 

[2] ARANGIO‑RUIZ, op. cit., p. 85.

 

[3] WOLF, Aus dem neuen pompejanischen Urkundenfund: Der Seefrachtvertrag des Menelaos, «Freiburger Universitätblätter» LXV (1979), p. 23 ss.; ANKUM, Tabula pompeiana 13: ein Seefrachtvertrag oder ein Seedarlehn?, «Iura» XXIX (1978) pubbl. 1981, p. 156 ss. La prima lettura di SBORDONE, GIORDANO, Dittico greco‑latino dell'agro Murecine, «Rend. Accad. Arch. Napoli» XLV (1970), p. 231 appare, invece, notevolmente diversa e superata dalla cura secunda alla quale é stata sottoposta. Sulle naulotikaì syngraphaí, i contratti di trasporto ed i prestiti marittimi cf. ANKUM, op. cit., p. 164 e 168 s.; BRECHT, Zur Haftung des Schiffer im antiken Recht, « München. Beitr. Papyrusforsch. Rechtsgesch. » XLV (1962), p. 6 SS.; MEYER‑TERMEER, Die Haftung der Schiffer im griech. u. im röm. Recht, Proefschrift Amsterdam (Zutphen, 1978), p. 4 s.; IDEM, «Tijdschr. v. Rechtsgesch.» L (1982), p. 215. Le attuali dimensioni di Tab. Pomp. 13 p. 2 (Pompei, n. 14354) sono mm. 134 x 91 circa; p. 3 (Pompei, n. 14355) misura circa mm. 135 x 92.

 

[4] Vegezio (Ep. rei milit. IV,  39) distingue la secura navigatio dal 27 maggio al 14 settembre, dal periodo compreso tra l'11 novembre ed il 10 marzo, in cui maria clauduntur. Dal 10 marzo al 15 maggio periculose maria temptantur e dal 14 settembre all'11 novembre si attraversa il periodo della incerta navigatio.

[5] CIL XI, 3642; 3644; 3645; 4748; 4749. Secondo RODRIGUEZ‑ALMEYDA (I mercatores dell'olio della Betica, «Mél. École Franc. Rome», 1979, p. 883) l'attività mercantile di P. Attio Severo si svolse intorno alla metà del I sec. d.C.

 

[6] ROUGÉ, Recherches cit., p. 138; D'ARMS, Puteoli in the second century of the roman empire: a social and economic study, «Journ. Rom. Stud.» LXIV (1974), p. 104 ss.

 

[7] Il valore espresso insolitamente in Tab. 13 in denari, piuttosto che in sesterzi, pare che «deutet oft und so wohl auch hier auf Rechnung in Drachmen». WOLF, op. cit., p. 34 n. 17.

 

[8] D. 45, 1, 122, 1 e C. 4, 33, 5.

 

[9] Tab. Iucund. 32.

 

[10] BISCARDI (Actio2 cit., p. 70 ss.; 107 ss.; 173 s.; 177 s.; IDEM, Pecunia cit., p. 285) distingue un normale contratto di prestito marittimo concluso mediante una stipulatio poenae pecuniae traiecticiae, che rappresenterebbe l'unico mezzo per la persecuzione del capitale, interessi ed eventuale pena per ritardato pagamento, da un semplice e poco frequente prestito effettuato senza la stipulazione della pena e dal quale come mutuo, scaturirebbe solo l'obbligo di restituire il capitale e non di pagare gli elevati interessi nautici.

 

[11] ANKUM, op. cit., p. 173.

 

[12] D. 22, 2, 5 pr.; 6; 7; 13, 4, 2, 8; C. 4, 33, 2; 3; 4; 5.

 

[13] Cf. LITEWSKI, op. cit., p. 112 ss. ed i rilievi di BISCARDI, Pecunia cit., p. 276 ss. Una rassegna e confutazione delle piú disparate ipotesi in BISCARDI, Actio2, p. 4 ss.

 

[14] DE MARTINO, l.c. e BISCARDI, l.c.

 

[15] Prima edizione in GIORDANO, Nuove tavolette cerate pompeiane, «Rend. Accad. Arch. Napoli» XLVI (1971), p. 187 e s. Presa in considerazione da BOVE, Documenti processuali dalle Tabulae Pompeianae di Murecine (Napoli, 1979), p. 95 ss., la Tab. Pomp. 34 è stata infine oggetto di una attenta cura secunda di WOLF, Aus dem neuen pompejanischen Urkundenfund: die Kondictionen des C. Sulpicius Cinnamus, «Stud. Doc. Hist. Iur.» XLV (1979), p. 141 ss., le cui convincente conclusioni non vengono, tuttavia, ancora accolte da VILLIERS, Le procedure formulaire à la lumière des recentes découvertes, in Studi Biscardi, I (Milano, 1982), p. 211 ss.

 

[16] Gaio IV, 17 a.

 

[17] VILLIERS, op. cit., p. 211 ss.

 

[18] Ad es., Tab. Iucund. 9 e Tab. Pomp. 52.

 

[19] BILLETER, Gesch. des Zinsfusses im griech. rom. Altertum bis auf Justinian (Leipzig, 1898), p. 115 e s.; BAUDRY, in Daremberg Saglio, II, 2, p. 1223 ss., s.v. foenus (Roma); CERVENCA, Contributo allo studio delle usurae cd. legali nel dir. rom. (Milano, 1969), p. 224; IDEM, Sul divieto delle cd. usurae supra duplum, «Index» II (1971), p. 291 ss.; SOLIDORO, Ultra sortis summam usurae non exiguntur, «Labeo» XXVIII (1982), p. 169.

 

[20] Pauli Sententiae II, 14, 3: traiecticia pecunia ... infinitas usuras recipere potest.

 

[21] L'interesse del 33,3% per un prestito marittimo di andata e ritorno nel mondo greco è tanto diffuso che si è, addirittura, discusso se l'espressione tókoi epítritoi sia in ogni caso sinonimo di interessi marittimi (BILLETER, op. cit., p. 38 ss.; PAOLi, op. cit., p. 67 s.; BOECKH, Staatshaushaltung der Athener (Berlin, 1886), p. 166 ss.; CAILLEMER, in DAREMBERG SAGLio, II 2, 1214 ss., s. v. foenus). Oltre ALBERTARIO, Istituti commerciali del dir. rom. «Atti Inst. Naz. Ass.» VI (1934) = Studi Albertario, VI (Milano, 1953), p. 257 ss., anche CRAcco RUGGINI (Economia e società nell'Italia annonaria, Milano, 1961, p. 463 n. 642) prende in considerazione per il mondo romano il tasso del 33,3% anche sulla base di Agnello Ravennate, Lib. Pont. Eccl. Rav. 18, De San. Neone 30 (=Monumenta Germ. Hist., Res Lang. et Ital., saec. VI‑IX, pp. 293‑295), passo relativo alla metà del V sec. d.C. ROUGÉ, Prét, cit., p. 295.

 

[22] Sul periculum creditoris, come elemento essenziale del negozio, cf. BISCARDI, Actio, cit., p. 119 ss. Non può, esistere una pecunia traiecticia sine periculo creditoris (D. 22, 2, 4 pr.), nonostante il diverso avviso di KUPISZEWSKI, op. cit., p. 370.

 

[23] D. 22, 2, 4 pr.: Nihil interest, traiecticia pecunia sine periculo creditoris accepta sit an post diem praestitutum et condicionem impletam periculum esse creditoris desierit. Utrubique igitur maius legitima usura faenus non debebitur, sed in priore quidem specie semper, in altera vero discusso periculo. È probabile che nel primo caso si alluda ad un mancato viaggio, nel secondo ad un ritardo nel pagamento dopo il felice esito della navigazione. E, a mio avviso, proprio in rapporto a quest'ultima eventualità si affermava: Traiecticia pecunia propter periculum creditoria, quamdiu navigat navis infinitas usuras recipere potest  (Pauli Sententiae II, 14, 3); o si sottolineava che: Traiecticiam pecuniam, quae periculo creditoris datur, tamdiu liberam esse ab observatione communium usurarum, quamdiu navis ad portum appulerit manifestum est (C. IV, 33, 2 a. 286) e non si può desumere da queste testimonianze che gli interessi marittimi venissero calcolati a tempo e non a viaggio.

 

[24] BISCARDI, Actio, cit., p. 10 ss.

 

[25] Sui limiti della competenza per valore dei magistrati municipali cf. TORRENT, La iurisdiction de los magistratos municipales (Salamanca, 1970), p. 159 ss. L'importanza di Tab. Pomp. 34 per la determinazione dei limiti della competenza per valore dei magistrati municipali è sottolineata da WOLF (op. cit., p. 177). Sull'esistenza nelle principali città di mare di tribunali per le questioni marittime si veda PAOLI, op. cit., p. 111 ss.; RouGÉ, Recherches, cit., p. 356; COHEN, Ancient Athenian Maritime Courts (Princeton, 1973), p. 135 e 184 ss.

 

[26] ELIA, Il portico dei triclini del pagus maritimus di Pompei, «Boll. Arte» XLVI (1961), p. 200 ss.

 

[27] Tab. 43; 73; 111; 121; etc. Le connessioni con il mondo mercantile ed orientale delle tavolette di Murecine sono rilevate da MUSTI, Modi di produzione e reperimento di manodopera servile: sui rapporti tra l'Oriente ellenistico e la Campania, in Società romana e produzione schiavistica, I (Bari, 1981), p. 25 ss. Cf. anche LANDI, Ricerche sull'onomastica delle tabelle dell'agro Murecine, «Atti Accad. Pont.» XXIX (1980), p. 175 ss.

 

[28] CALLENDER, Roman Amphoras (Oxford, 1965), n. 396 ss.

 

[29] CIL VI, 2 n. 5892.

 

[30] Cf. supra n. 1.

 

[31] KASER, Mutuum und Stipulatio, in Eranion Maridakis, I (Athen, 1963), p. 155 s.

 

[32] D. 45, 1, 122, 1. BISCARDI, Actio, cit., p. 79; BISCARDI, PAOLI, in Novissimo Digesto It., cit., p. 753.

 

[33] ANKUM, op. cit., p. 173.

 

[34] MACQUERON, La fidéjussion dans les tablettes de Pompéi, in Mél. Dauvillier ( Toulouse, 1979), p. 479 ss.

 

[35] Su SB III, 7169 (=PBerol. 5883+5853) cf. supra n. 1. Lo stato assai lacunoso del documento non consente in ogni caso di escludere che ivi fosse prevista la corresponsione dei normali interessi nautici, come sostiene WILCKEN, op. cit., p. 93.