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La
provincia romana dAsia, i
publicani e lepigrafe di Efeso (Monumentum
Ephesinum) Come un sasso caduto in uno specchio dacqua produce onde che si diffondono sempre più lontano per ricorrere ad unimmagine frequentemente impiegata - così il rinvenimento di un papiro o di unepigrafe non solo può suscitare e risolvere problemi immediati, ma con il passare del tempo può investire questioni sempre più ampie, contribuendo sovente a chiarirle. E
che la lunga iscrizione ritrovata ad Efeso nel 1976 e pubblicata nel
1989 - denominata dagli editori
Monumentum Ephesenum[1],
con espressione che si riscontra nelle collezioni latine del Concilio
del 431 d.C. - rappresenti un documento straordinario, che contiene il
testo della Lex portus Asiae
predisposta, come ci informa Tacito[2],
per ordine di Nerone da tre curatori nellanno 62 d.C., lo ha
dimostrato non solo la varietà delle tematiche percepite dalla
sensibilità di Tullio Spagnuolo Vigorita[3]
- che per primo ha
richiamato lattenzione giuridica sul testo ma anche la ricchezza
di una letteratura[4]
che nel tempo, dopo uniniziale cautela, sembra essere ora avviata a
risolvere via via questioni annose e problematiche sempre più vaste. Le
155 linee dellepigrafe contengono dunque il Novmo"
tevlou" jAsiva" eijsagwgh§" kai; ejxagwgh§" katav
te gh§n kai; kata; qavlassan (l.
7), cioè
la traduzione greca della legge doganale latina sui dazi (portorium) del 2,5% (quadragesima)
da corrispondere per le
mercanzie importate ed esportate per terra e per mare dalla provincia
romana dAsia (Lex portus
Asiae); testo che è costituito sino alla l. 84 dalle disposizioni basilari
redatte dai consoli Lucio Ottavio e Caio Aurelio Cotta probabilmente nel
75 a.C., inglobando forse o rielaborando uno strato più antico
risalente al momento della costituzione della provincia, tra il 133 ed
il 123/122 a.C., e relativo, dalla l. 84 alla l. 154, ad una serie di
ulteriori clausole - probabilmente editti - di vari consoli in
successione cronologica dal 72 (o 70) a.C. sino alla sistemazione della
materia effettuata tra il 44 ed il 46 d.C. dal quaestor
aerarii Domizio Decidiano
(forse ll. 140 - 143). Nel 58 d.C., Nerone, dissuaso dal proposito di
abolire tutti i vectigalia,[5]
ordinò che le leges
di ciascuna imposta fino ad allora occultate venissero esposte in
pubblico in favore dei contribuenti.
La suddetta legge, pubblicata il 9 luglio del 62 d.C. dai tre
consolari preposti ai publica vectigalia, Lucio
Pisone, Ducenio Gemino e Pompeo Paolino, raccoglieva quindi disposizioni
tralatizie lasciandole apparentemente integre e contribuiva alla
definitiva pubblicazione e sistemazione dei dazi doganali dellAsia
nelletà imperiale. Le
disposizioni della Lex
portus Asiae, anche
se risalenti ad epoche diverse, sono
state dagli studiosi
raggruppate in tre categorie distinte[6].
La prima è relativa ai rapporti fra i debitori dimposta e i publicani,
riguarda dunque lobbligo della professio per i
viaggiatori, le modalità di calcolo del dazio sui beni in transito e le
mercanzie, i mezzi di tutela contro la frode e linadempimento. La
seconda categoria di clausole si riferisce alle immunità doganali; la
terza ai rapporti tra la società appaltatrice del dazio asiatico ed il
popolo romano. In tale ambito rientra la determinazione del termine di
scadenza del pagamento in pensiones annuali a data fissa dovuto dallappaltatore allerario[7];
lobbligo della prestazione di garanzie reali e personali e la
fissazione della relativa scadenza[8];
la possibilità della sostituzione dei garanti[9];
lobbligo di rotazione annuale del magister[10];
la determinazione della durata quinquennale dellappalto[11];
la fissazione del momento di decorrenza della vigenza del capitolato[12].
Se
il Convegno tenuto a Oxford nel 1999 e avente per oggetto lanalisi
dellepigrafe[13]
ha contribuito a mettere a fuoco alcune questioni, collegate a letture
diverse o addirittura allidentificazione - per taluno controversa -
del documento con i contenuti delleditto neroniano del 58 d.C.
riferito da Tacito[14],
alcune opere recentemente pubblicate (G.
D. Merola, Autonomia locale, governo imperiale. Fiscalità e
amministrazione nelle province asiane, Bari, 2001; L. Maganzani, Pubblicani e debitori dimposta. Ricerche sul
titolo edittale de publicanis, Torino, 2002) hanno il pregio di trarre spunti dalla nuova evidenza epigrafica per
valutarne i riflessi su questioni ben più ampie: come le vicende
organizzative della regione dellAsia, la sistemazione e le funzioni
delle sue diocesi, limposizione centrale ed i dazi corrisposti nei
municipi, la realtà ed i limiti dellautonomia cittadina, le
strutture non urbane e la dislocazione delle stazioni doganali. Così
nellopera di Giovanna Daniela Merola, che non solo contribuisce a far
luce sulla storia dellamministrazione e delle finanze della provincia
dAsia, ma può anche aiutare alla comprensione dellintera
organizzazione provinciale romana. I problemi del sistema dellappalto, della riscossione attraverso i pubblicani, sono presi in considerazione nello studio di Lauretta Maganzani, che ha lindubbio merito di tentare di colmare, anche avvalendosi del Monumentum Ephesinum, la lacuna relativa alle caratteristiche, struttura e mezzi giudiziari predisposti dallordinamento romano a tutela e nei confronti di esattori di vectigalia publica populi romani. Anche in questo caso la ricerca, nel chiarire gli aspetti processuali del rapporto pubblicano-debitore dimposta, si spinge per quanto possibile ad indagare sul contenuto del titolo edittale de publicanis. Procedendo quindi con ordine, forniremo qualche cenno sulle conclusioni alle quali perviene G. D. Merola, per sintetizzare poi le tesi sostenute da L. Maganzani e concludere infine con una breve riflessione che, non avendo alcuna pretesa di occuparsi delle specifiche questioni trattate, vuole solo sottolineare la peculiarità e la valenza, per lo studio del Diritto Romano e dei Diritti dellAntichità, dellapporto di nuovi documenti, siano essi epigrafici, papirologici o di altra natura, in un momento in cui si tende a collocare lindagine sulle fonti in un ambito sempre più ristretto e specialistico. 1.
La storia tributaria ed amministrativa della provincia
Asia inizia con il
testamento di Attalo III che, morendo nel 133 a.C., lasciò erede del
suo regno il popolo romano. Come è noto, i numerosi testamenti regi in
favore dei romani[15]
suscitano il controverso problema dellinserimento di atti di tal
genere negli schemi civilistici del diritto ereditario romano. Dibattuta
è inoltre la capacità del popolo romano di ereditare da taluni
studiosi ammessa e da altri negata[16]
- e lautenticità infine della effettiva realizzazione di tali
testamenti. G. D. Merola[17]
osserva che i suddetti problemi sono esclusivamente moderni, non
ponendosi affatto nelle fonti antiche la questione e riferisce
lopinione di chi distingue le testimonianze relative ai testamenti in
due categorie[18]:
quelle che, dalletà augustea in poi, qualificano erede il popolo
romano e le più antiche, non menzionanti alcuna istituzione derede
in favore del popolo romano, ma riguardanti genericamente solo i
testamenti regi in favore dei Romani[19].
In merito allautenticità del testamento di Attalo III lA. ritiene
che unepigrafe di Pergamo (OGIS 338)[20]
rappresenti unimportante conferma che il documento regio con la
manifestazione di ultima volontà non sia uninvenzione, almeno della
tradizione successiva alla data del testo epigrafico. Ivi si dichiara
che nel testamento di Attalo III - che necessita ancora di conferma da
parte dei Romani - la città di Pergamo è lasciata libera e con un
proprio territorio. Secondo lA. si trattava verosimilmente di una
forma dindipendenza, naturalmente sotto il controllo romano, connessa
allimmunità dalle principali imposte e, dunque, dalle imposizioni
dei publicani.
Laccettazione
ereditaria fu espressa e dallassemblea plebea[21]
e da una successiva ratifica senatoria, il senatoconsulto Popilliano,
riferito in unepigrafe fortunatamente pervenutaci (OGIS 435)[22],
forse della fine del 133 a.C.,
nella quale si trova proprio la conferma attesa in OGIS 338. La
copia del testo dellaccettazione pressoché totale da parte dei
Romani delle disposizioni del sovrano è probabile che venisse
conservata a Pergamo, ove è stata ritrovata, proprio perché
rappresentava lattestazione locale dellautonomia concessa alla
città dal sovrano alla sua morte e riconosciuta dal popolo romano. Un
altro SC, de agro Pergameno, epigraficamente noto attraverso tre esemplari[23]
- secondo lopinione prevalente accolta dallA.[24]
- dimostra che intorno al 129 a.C. il senato diede incarico ad un
magistrato di decidere una controversia insorta tra gli abitanti di
Pergamo ed i publicani. Se si ammette tale datazione, si può sostenere che i publicani iniziarono immediatamente lo sfruttamento della provincia, addirittura
ancor prima che nel 123/2 a.C. fosse approvata dal popolo romano la lex
Sempronia Asiae. Anzi
proprio tali ritardi nellamministrazione giustificati dalla rivolta
di Aristonico, conclusasi appunto nel 129 a.C., potrebbero spiegare la
controversia: limmunità di Pergamo, prevista nel testamento regio e
subito riconosciuta dai romani, non stabiliva ancora esattamente i
limiti del territorio immune. Erano forse proprio alcuni terreni o
centri abitati aggiunti dal sovrano tramite il testamento alla città (OGIS
338 ll. 4 - 9) che determinavano la controversia con i pubblicani.
Il ritrovamento poi del testo in questione in vari centri urbani
dellAsia ed il numero elevato di componenti del consilium
del magistrato (ben
cinquantacinque) hanno indotto a supporre che il SC contenesse un
regolamento che riconosceva addirittura limmunità di tutte le città
dellAsia, almeno di quelle che si erano opposte ad Aristonico[25].
Poiché
qualche copia fu probabilmente realizzata a distanza di molto tempo dal
provvedimento, dopo la metà del I sec. a.C. riproducendo testi più
antichi, si giustifica la riproposizione locale di un antico testo per
il fatto che la concessione del 129 a.C., a Pergamo ed a poche altre
città, utilmente poteva essere invocata come un precedente in unetà
prossima a quella di Cesare. Quindi limmunità non coinvolgeva
inizialmente tutte le città dellAsia[26].
Il
SC de agro Pergameno sembra
comunque indicare che prima della lex
Sempronia de provincia Asiae o
de vectigalibus Asiae,
ormai con certezza attribuita a Gaio Gracco e disciplinante stabilmente
lappalto delle imposte in Asia, i publicani
operassero già in un territorio tanto ricco da non poter essere
trascurato dai Romani, nonostante il perdurare della rivolta di
Aristonico. Come ciò sia avvenuto è questione aperta: tramite il
console Perpenna (o Perperna), che sconfisse Aristonico, o Manio
Aquilio, che riorganizzò la provincia e restò in Asia almeno sino al
126 a.C.? Secondo alcuni studiosi, il nucleo originario del Monumentum Ephesinum
risalirebbe proprio a tale fase[27].
Certo è che la lex
Sempronia rappresentò il
punto di riferimento nello sfruttamento dellAsia sino
allabolizione dellappalto della decima da parte di Cesare,
probabilmente fissando i modi ed i tempi delle attività dappalto,
stabilendo cioè che periodicamente i censori a Roma appaltassero le
imposte provinciali, sia il tributum
che i vectigalia, organizzando
così il sistema tributario della provincia e fissando le disposizioni
generali per ogni singola imposta. Sia lAsia che la Sicilia versava
una parte della propria produzione agricola (decima)
al popolo romano, ma in Sicilia lappalto avveniva localmente, anno
per anno, a cura del governatore provinciale e vi partecipavano anche
residenti in provincia; per lAsia invece lappalto era effettuato
in blocco a Roma per opera dei censori in base alla disciplina della lex
Sempronia. Unepigrafe
di Pergamo, dincerta datazione, contiene un decreto onorario che i
Pergameni dedicarono a Diodoro Pasparo (IGRP IV, 292), poiché costui,
inviato a Roma dalla città asiatica, era riuscito ad ottenere per
Pergamo lesenzione dagli obblighi di leva e dagli acquartieramenti
militari dinverno, la riduzione poi dei tassi dinteresse e
lannullamento dei contratti stipulati sotto pressione o fittizi.
Potrebbe la vicenda essere connessa al riconoscimento dellimmunità
di Pergamo contestato dai publicani
fin dallinizio
dellorganizzazione della provincia romana dAsia. Il susseguirsi
degli eventi iniziali potrebbe essere così riscontrabile quasi momento
per momento in base alla documentazione epigrafica oggi disponibile. Ma
lepisodio di Pasparo è stato anche attribuito ad età successiva,
intorno al secondo quarto del I sec. a.C.[28],
e lA., pur
propendendo chiaramente per una datazione alta, non ritiene possibile
pronunziarsi con certezza al riguardo[29].
Svalutando la testimonianza di Appiano, Mithr. 57 e rifiutando la diversa ricostruzione di Coarelli[30],
prende invece posizione decisa per una datazione alta in merito ad un
altro SC di datazione controversa e relativo alla sistemazione iniziale
della provincia: OGIS 436[31],
che riguarda le misure da prendere in Frigia nel 116 a.C., in
seguito alla morte di Mitridate V, avvenuta nel 120/119 a.C. Sembra
infatti che la Frigia sia stata annessa immediatamente per forte
pressione dei publicani,
che volevano sfruttare anche tale territorio, e che proprio le
vessazioni dei publicani finissero per
giustificare la lotta del re del Ponto Mitridate VI Eupatore contro i
Romani ed i successivi provvedimenti sillani volti ad escludere costoro,
coinvolgendo direttamente le città. Ma il tentativo sarebbe stato vano,
poiché le città non avrebbero saputo gestire da sole la raccolta delle
imposte ed i publicani sarebbero stati, dopo una temporanea sospensione, richiamati in
provincia[32].
Anche nella terza guerra mitridatica il generale malcontento suscitato
dai publicani sarebbe stato decisivo per fomentare la rivolta, sebbene il conflitto
fosse in realtà diretta conseguenza del testamento regio di Nicomede IV,
che alla sua morte lasciò la Bitinia al popolo romano. Sembra che alla
luce del Monumentum
Ephesinum lanno
controverso della morte di Nicomede IV sia da collocare nel 74 a.C. e
linizio del conflitto nel 73 a.C.[33],
poiché nel testo base del 75 a.C. della Lex portus Asiae la Bitinia
appare ancora come regno cliente. Infondate appaiono le diverse
ricostruzioni tentate, volte ad anticipare di un anno entrambi gli
eventi [34].
Solo con Lucullo, intorno al 71/70 a.C. e con i tentativi di porre
rimedio alle spoliazioni, la provincia fu in grado pian piano di saldare
i suoi conti, ma il rancore suscitato nei
ceti finanziari attivi in Asia costrinse nel 67 a.C. il
governatore al ritiro. La lex
Manilia del 66 a.C. assegnò a
Pompeo poteri straordinari al fine di
salvaguardare precisi interessi economici minacciati da Lucullo,
o ritenuti tali. In seguito al suicidio nel 63 a.C. di Mitridate, Pompeo
creò tre nuove province (Bitinia Ponto, Siria e Cilicia) e molti
regni vassalli. La lex
Pompeia Bithyniae data era
così destinata a restare in vigore almeno sino alletà di Traiano ed
il modello di decentramento amministrativo delle nuove province venne
adottato anche nella provincia Asia, ove sembra
che i publicani
stringessero accordi con le comunità locali responsabili della
ripartizione e riscossione delle imposte. Se
Cesare nel 48/47 a.C. trasformò il sistema di riscossione
dellimposta fondiaria dellAsia escludendo i publicani,
il ricorso a costoro per le imposte indirette persistette a lungo, come
dimostra il Monumentum Ephesinum. Alle
ll. 72 - 74 vengono ancora menzionati i publicani e la decima e da ciò si è voluta ricavare la prova che la decima
non fosse stata abolita da Cesare, contrariamente alla testimonianza di
Appiano e di Cassio Dione[35].
LA. rileva che la menzione della decima
nel 62 d.C. non sia determinante in merito alla sua sopravvivenza, perché
nel Monumentum Ephesinum
si sono conservate disposizioni anacronistiche o addirittura
contraddette da clausole successive, ma soprattutto perché nel lungo
testo epigrafico manca qualsiasi cenno ad uneventuale gestione della decima,
come invece sarebbe stato da attendersi in caso di sopravvivenza[36].
Sussistono poi diversi indizi epigrafici (come unepistola ritrovata a
Smirne[37]
ed indicata come frammento e ed un altro frammento smirneo
indicato con la lettera f) che la questione dellimmunità dalle
decime fosse attuale tra le comunità locali proprio al tempo della
presenza di Cesare in Asia e della progettata riforma[38],
che fu strutturale e duratura. Essa mirava non ad una quota (decima
parte) dei prodotti agricoli, ma ad una somma fissa indipendente dal
raccolto, ripartita tra le varie comunità a prescindere dai publicani. In
età imperiale la transizione al metodo della riscossione diretta rese
opportuno il ricorso al census
ed al catasto per valutare il carico tributario; prima sembra che ciò
avvenisse solo per le province imperiali, poi progressivamente si
pervenne ad unequiparazione dei criteri impositivi, anche se è
possibile che le comunità locali continuassero a lungo a mantenere un
certo grado di libertà nella collazione delle quote delle quali erano
responsabili. Una decima sembra essere ancora attestata in Bitinia alla fine del I, inizi del II
secolo d.C.[39],
ma il ricordo potrebbe non essere attuale[40]
o diversamente giustificabile. LA.
infine, nella ricostruzione della storia tributaria e amministrativa
della provincia Asia, si sofferma su alcuni testi epigrafici[41]
databili tra la fine del III e gli inizi del IV sec. d.C., nei quali si
trovano registrazioni censuali relative al nuovo assetto dioclezianeo,
che mutò dopo lungo tempo il sistema introdotto da Cesare. Nel valutare
le testimonianze dei registri catastali dAsia, da tempo sono state
distinte matrici di villaggio[42],
nelle quali erano contenute le dichiarazioni locali, da matrici
catastali primarie, che unificavano gli elementi imponibili dichiarati
localmente per contribuente, ed infine da matrici di città secondarie,
ove gli imponibili erano convertiti in unità fiscali, utilizzate per il
calcolo del carico tributario individuale. Diverrebbe così possibile
ricostruire, attraverso le testimonianze epigrafiche disponibili, tutte
le fasi della valutazione dellimponibile, se si accoglie per lAsia
il sistema bivalente di iuga
e capita,
presupposto da tale ipotesi[43].
La
riscossione diretta delle imposte da parte delle città in età
imperiale - ma forse ancor prima - sembra che si colleghi ad un doppio
livello di fiscalità, sia centrale che locale. Non solo cioè le città
giocavano un ruolo per le imposte che erano versate nelle casse di Roma,
ma perpetuando talvolta pratiche precedenti alla conquista avrebbero
potuto imporre e riscuotere tributi a proprio vantaggio. Il
frequente ricorso alle pactiones (accordi di carattere privato) già in età repubblicana aveva favorito
lintervento diretto delle città. Infatti il promagister delle societates
publicanorum frequentemente
concordava con singoli, poi con le autorità cittadine, quanto la
singola comunità era tenuta a versare
per una determinata imposta presa in appalto, affidando in
pratica la riscossione alla comunità. Sembra che dopo la
riorganizzazione pompeiana dellarea orientale si sia affermata la
prassi delle pactiones con
le città. Se la peculiarità dellappalto siciliano effettuato in
provincia, città per città, favoriva pactiones
con singoli contribuenti, lappalto asiatico, realizzato a Roma
assegnandolo in blocco a publicani
per lintera provincia,
avrebbe potuto indurre a stipulare accordi con le città. Accadeva
infatti che per la riscossione lesattore si accordasse con il singolo
oppure che stringesse con lintera comunità laccordo per la
corresponsione del dovuto con in più il lucrum per lesattore. Vi era infine la possibilità che lintera comunità
partecipasse direttamente allasta per laggiudicazione
dellimposta, ma anche che i magistrati locali fossero obbligati dal
governatore ad esigere quanto preteso dal pubblicano[44].
In base alle ll. 72 - 74 del Monumentum
Ephesinum si è sostenuto[45]
che limposta asiatica, pur essendo, a differenza delle decima
siciliana, versata a Roma in denaro e non in frumento, venisse dai
pubblicani riscossa in natura e convertita da costoro in denaro, ma
lA. osserva che le pactiones
cum civitatibus avrebbero
potuto operare localmente tale conversione con vantaggio reciproco per
entrambe le parti, publicani
e comunità locali,[46]
e che il sistema delle pactiones
avrebbe potuto essere
adottato non solo per limposta fondiaria ma anche per le imposte
indirette, come forse indicano le ll. 113 - 114 del Monumentum
Ephesinum, ove si conferma
ogni tipo di accordo concluso con i publicani[47].
La
dichiarazione, prevista alle ll. 40 - 42 del Monumentum
Ephesinum,
da rendere in assenza di publicani
o di procuratori nella città
più vicina, indica unattività sostitutiva dellautorità
cittadina in assenza del personale addetto alla riscossione della XXXX
portus Asiae, ma secondo
lA. denota anche lesistenza di località ove i viaggiatori
prevedevano normalmente di trovare stazioni doganali, forse ai confini
della provincia, in punti di traffico particolare. Sembra infatti che la
Lex portus Asiae indichi la
localizzazione delle stationes,
anche se poi ai publicani pare che fosse consentito di evitare di presidiarle tutte. Se il lungo
elenco dei porti previsto nelle ll. 22 - 26 del Monumentum Ephesinum indica
probabilmente alcune località costiere relative a tale individuazione
di siti ove avrebbero potuto essere ubicati uffici doganali - alcuni
ovviamente preesistenti alla dominazione romana -resta comunque aperto
il problema dellesazione e dei rapporti tra publicani
e autorità locali in caso di dichiarazione a queste ultime, prevista in
assenza di appaltatori in loco con laffidare la
ricezione della professio alla
massima carica magistratuale della città più vicina. Ciò
introduce al problema delle imposte che le città asiatiche avrebbero
potuto imporre e riscuotere, non a vantaggio dei publicani
e del popolo romano, ma a
proprio beneficio con il permesso e sotto il controllo di Roma,
servendosi del personale cittadino. Le normali rendite per le comunità
urbane derivanti dallaffitto delle terre civiche, dalle dotazioni in
denaro e dai munera dei magistrati in età imperiale, avrebbero potuto essere accresciute
con il riconoscimento di quellautonomia impositiva della quale
sovente le città godevano prima dellassoggettamento ai Romani.
Sembra che soprattutto in Oriente siano attestati casi di dazi
municipali, anche se valide ragioni politiche ed economiche inducevano a
frenare il numero di tali concessioni[48].
La lex Antonia de
Termessibus indica, ad
esempio, che la città di Termessus
Maior, in Pisidia, riottenne allincirca nel 70 a.C. privilegi aboliti
forse da Silla, tra i quali il diritto di stabilire e riscuotere dazi
nei propri confini. Il conflitto che potrebbe allora profilarsi
tra portoria locali ed imperiali riscossi in una stessa località, dovrebbe
risolversi, secondo lA., ipotizzando un esclusivo controllo da parte
di Roma delle stazioni ubicate ai confini marittimi e terrestri, visto
che tutte le località attestate nel Monumentum
Ephesinum e nelle altre
fonti per la riscossione dei portoria
romani sembrano essere
sempre collocate ai confini di una regione[49].
Oppure, se fosse con certezza attestata la coesistenza nella stessa città
di uffici per la riscossione di dazi municipali e statali, come
forse avviene per il caso di Smirne, integrato dagli editori nella
lacuna della l. 25 del Monumentum
Ephesinum[50],
di Alessandria in Troade o
di Cauno[51],
si potrebbe supporre una
distinzione tra la corresponsione in un ufficio in porto, allarrivo
via mare in provincia, ed il pagamento, ad esempio al passaggio di un
fiume, per lingresso nel territorio[52].
La tariffa doganale di Palmira del 137 d.C.[53]
indica probabilmente che in Siria la duplicazione tra uffici doganali
del governo centrale e di quello locale, essendo illogica ed
antieconomica, non trovava applicazione, risultando tali sedi
vantaggiosamente unificate[54].
Sembra in pratica sussistere una politica economica volta a
favorire, tramite agevolazioni previste localmente per i mercanti,
lafflusso di merci ed il ricambio costante dei prodotti offerti sui
mercati cittadini. Nelletà
tardoromana la tendenza fu quella di costringere le città a dividere le
proprie rendite con le casse imperiali, come indica CIL III, 7151 del
430 d.C. che contiene una pragmatica
sanctio di Teodosio II la
quale, confermando lautonomia doganale di Mylasa, menziona
espressamente una ripartizione dei profitti con la cassa imperiale[55].
Sembra infine che limmunità si possa accompagnare alla libertà
cittadina, ma che non necessariamente si colleghi allo status delle città e che
pochissime abbiano effettivamente goduto di unimmunità veramente
completa. Il
Monumentum Ephesinum alle
ll. 88 - 96 fornisce un nuovo elenco di dodici diocesi, in cui era
divisa la provincia dAsia nel 17 a.C., che integra il quadro di otto
o nove sedi di conventus tracciato nel 51/50 a.C. da unepistola di un proconsole, ritrovata
in duplice copia ed indirizzata alle comunità dellAsia, in cui alla
l. 39 è menzionato proprio Cicerone, governatore in Cilicia[56].
Lelenco di Plinio[57],
quasi coevo alla testimonianza del Monumentum
Ephesinum, si accompagna
nella documentazione relativa alle diocesi dAsia alliscrizione di
Didyma n. 148 del 40/41 d.C. ed allepigrafe IvEphesos
n. 13 del 70/96 d.C., che secondo lA. raggruppa in cinque conventus,
i soli superstiti nella pietra, sessantasei località nelle quali
venivano corrisposte imposte locali, dimostrando così la portata non
solo giudiziaria, ma ormai anche territoriale e doganale, delle
circoscrizioni in questione[58].
Nella fase della prima organizzazione di ogni provincia tale
articolazione derivava dalla prassi dellamministrazione della
giustizia secondo un itinerario di viaggio del governatore, presto
divenuto fisso ed invariabile, quindi collegato a distretti territoriali
ed allorganizzazione fiscale di diverse regioni. Sembra
che lantico territorio del regno attalide fosse suddiviso non solo in
città e terra regia, ma anche in ethne
e demoi.
Infatti nel Monumentum Ephesinum,
alle ll. 26 28, si fa
riferimento alle suddette quattro forme di organizzazione territoriale.
La terra regia in epoca romana divenne in Asia ager
publicus populi romani e,
probabilmente dallepoca flavia, patrimonio del principe. Gli ethne
- come Lidi, Misi, Frigi - ed i demoi
- piccole
comunità a carattere agricolo - ebbero dignità e funzioni pari alle
città. Se i Greci asiatici apparivano insediati lungo la costa
prevalentemente in centri urbani, le popolazioni indigene mantenevano
loriginaria struttura articolata in tribù e villaggi. Se Roma dunque
ebbe un rapporto privilegiato con le città, tuttavia non poteva
ignorare altre forme di occupazione del territorio come gli ethne
ed i demoi,
che in base alla
documentazione epigrafica pare abbiano avuto in Asia a lungo una
notevole importanza[59]. Il
travagliato rapporto tra autonomia locale e governo imperiale romano
sembra essere stato inizialmente caratterizzato da una relazione
conflittuale tra le popolazioni locali in Asia, che cercavano di
difendere lautonomia di cui avevano goduto, ed i publicani
romani. Apprezzabile appare però il dato acquisito dallA. in base ad
una documentazione prevalentemente epigrafica e dunque particolarmente
affidante, che cioè persistette a lungo una vita economica interna
indipendente, nonostante il governo centrale progressivamente limitasse
lautonomia, senza mai giungere ad abolirla del tutto, anzi finendo
per affidare talvolta alle comunità locali imposizione, riscossione e
per lasciar sussistere dopo listituzione della provincia dAsia
forme organizzative non urbane, come ethne,
demoi e
terra regia. 2.
Del Monumentum Ephesinum
si avvale anche L. Maganzani[60],
per indagare sui mezzi di tutela accordati ai publicani
contro i debitori di imposta inadempienti o contravventori dei
regolamenti di riscossione. Infatti nelle ll. 87 - 88, inserite nella Lex
portus Asiae nel 72 o 70 a.C., si dichiara che per mancato pagamento del dazio la
somma dovuta viene raddoppiata e, in riferimento a tale debito, il
pubblicano ha lajgogh;
e lejnecuvrou
lh`yi", cioè il
diritto di agire (actio) e di pignorare (pignoris
capio)[61].
Non
si tratta dellantica forma di pignoramento solenne (legis
actio per pignoris capionem),
come da taluno sostenuto[62],
ma, seguendo la convincente ricostruzione dellA., di una semplice pignoris
capio senza formalità, concessa ai pubblicani dalle singole leges
censoriae come comune mezzo di difesa privata; rimedio che persisteva anche
quando, con la procedura formulare, fu introdotta in loro favore lactio
ficticia menzionata da Gaio (IV, 32); azione formulare che nella condemnatio richiamava lantica legis
actio. La menzione di una fictio
da parte di Gaio deve dunque intendersi, secondo lA.[63],
nel senso di richiamo o mutuazione, come testimoniato in
Quintiliano[64]
per espressioni o situazioni tipiche di un certo contesto, impiegate in
un contesto simile ma nuovo, e non nel senso usuale nei testi
giuridici di considerare come realizzato un fatto che non si è
verificato nella realtà. Sembra inoltre che la controversia
giurisprudenziale sulla qualifica di legis
actio della pignoris capio,
ricordata da Gaio, sia divenuta attuale, non solo quando tutti i
procedimenti qualificati come legis
actiones si svolgevano ormai con lintervento del magistrato[65]
- in pratica negli ultimi due secoli della repubblica[66]
- ma soprattutto dopo labrogazione augustea delle legis actiones,
quando cioè la
sopravvivenza della pignoris
capio dei publicani determinava il diffondersi del dubbio[67]
se si trattasse di uneccezione analoga a quella costituita dalla
persistenza della legis
actio damni infecti e del iudicium centumvirale. Secondo
lA., nella lacuna di Gaio (IV, 31a) sarebbe stata negata la presunta
eccezione, poiché tale rimedio appariva ormai privo dei requisiti di
forma, che venivano dai giuristi considerati gli unici elementi
necessari per assegnare ad un mezzo giudiziario la qualifica di legis
actio[68].
Sembra
quindi che il pubblicano possa pretendere, in caso di ritardo nel
pagamento, il doppio del vectigal dovuto e cioè il debito con un supplemento di mora. Per il recupero di
tale credito era dunque predisposta sia la presa del pegno, sia
lazione conseguente allinadempimento mirante ad ottenere una
quantità di denaro che un tempo, cioè sotto il vigore delle legis
actiones, avrebbe dovuto
versare per il riscatto del pegno chi avesse subito pignoris capio da parte del
pubblicano. In
base alle ll. 53 - 56 del Monumentum Ephesinum era
anche prevista a tutela del pubblicano la pena del commissum,
come sanzione
dellomissione della dichiarazione o del compimento di altre frodi
tributarie, e non come
conseguenza di un semplice inadempimento del debito dimposta, come
avveniva nel caso precedentemente preso in esame. Il commissum
consisteva nella perdita, a favore del pubblicano, della proprietà
della cosa oggetto della violazione di una norma tributaria. Dunque ciò
poteva accadere anche per imprecisione nella dichiarazione del valore,
del peso e del numero dei beni trasportati (ll. 45 - 46), o nel caso di
sottrazione e trafugamento di merce non dichiarata (ll. 20 - 22), o di
deviazione e scarico delle mercanzie fuori dei luoghi prescritti (ll. 15
- 16; 50 - 53; 53 - 56). Avrebbe potuto esservi cumulo, nel caso di
mancata professio ed inadempimento, tanto
della sanzione del commissum, che dei rimedi previsti per il
recupero del debito dimposta comprendente lindennità di mora.
Leventuale scelta poi tra lazione e la pignoris
capio avrebbe potuto, secondo lA., essere condizionata da circostanze di
fatto: dallesistenza cioè di beni di adeguato valore sui quali
esercitare il pignoramento più rapido e nellimmediato più efficace
o dalla volontà di sfuggire ad eventuali opposizioni che vantassero
lilliceità del pignoramento o labuso nellesercizio delle
funzioni del pubblicano[69]. Le
ll. 114 - 115 del Monumentum
Ephesinum,
inserite nel 2 a.C.,
sembrano risolvere i dubbi sollevati in dottrina sulla sorte del pegno
non riscattato, prescrivendo che se esso non è recuperato entro trenta
giorni diviene proprietà del pubblicano, trasformandosi così il
pignoramento in commissum. Sembra che i beni confiscati, sia quelli divenuti immediatamente
proprietà del pubblicano in seguito ad omessa dichiarazione o frode,
sia quelli pignorati per inadempimento e trattenuti per trenta giorni in
dogana, avrebbero potuto essere venduti, forse anche allo stesso
contravventore[70],
deducendo dal corrispettivo della vendita, entro due giorni,
lammontare del dazio dovuto, ma secondo lA. in tal caso
lacquirente sarebbe stato obbligato al pagamento del solo vectigal
calcolato sul valore della
merce, il contravventore o il debitore inadempiente invece sarebbe stato
tenuto alla corresponsione del doppio del dazio originario[71].
Il
rinvenimento della Lex
portus Asiae ha contribuito a riaprire il problema del fondamento dei poteri di
tutela dei pubblicani. Infatti, osserva lA., la legge doganale
dellAsia non contemplava lobbligo di unautorizzazione
legislativa o senatoria per ogni singolo appalto, come si è voluto
intravedere nelle ll. 8 11 del Monumentum
Ephesinum[72]
che
menzionano senatoconsulto,
legge o plebiscito che permette e concede di locare la dogana,
ma allo stesso modo che nelle ll. 88 96 le leggi, i plebisciti, i
senatoconsulti e le costituzioni imperiali erano nel testo epigrafico
ricordate per concessioni di immunità doganali o in generale per quanto
fuoriusciva dalla competenza magistratuale e non per la stipula di
determinati appalti[73].
Come già indicava il SC de
Amphiarai Oropii agris[74],
limmunità tributaria accordata ad un santuario della Beozia nel 73
a.C. veniva sì riferita nella lex
censoria, ma era stata anche precedentemente accordata dal senato[75].
La lex agraria del
111 a.C. (l. 36 ss.)[76]
dimostra che i magistrati pubblicanti le leggi censorie si sottoponevano
talvolta a prescrizioni previste da unautorità superiore, nonostante
recentemente sia stato sostenuto il contrario[77].
Ciò indica che, se nella redazione del capitolato dappalto il
magistrato era tenuto al rispetto di prescrizioni sovraordinate, è pur
vero che la determinazione, modifica e pubblicazione delle leggi
censorie non richiedeva sempre una preventiva autorizzazione legislativa
o senatoria. Dunque
il dibattito sulla natura edittale o contrattuale della lex
censoria e sul fondamento
dei poteri di tutela dei pubblicani, per alcuni risalente alla potestà
magistratuale, per altri ad un atto ad essa sovraordinato, può forse
comporsi osservando che, se il fondamento dei poteri di tutela dei publicani
riposava certamente sulle leggi censorie, tale protezione esulava dalle
peculiarità dei singoli capitolati dappalto e costituiva secondo
lA. un nucleo riscontrabile nelle diverse leges
censoriae che regolavano
lappalto dei vari vectigalia,
finendo così per trovare la fonte nel diritto obiettivo. Un indizio in
tal senso sarebbe appunto costituito dallequiparazione gaiana[78]
della lex censoria
alla lex in generale, che
chiarirebbe la reale portata della lex
censoria tra le fonti del
diritto[79].
La
ragione poi profonda ed antica di tale identificazione, che lA.
ritiene di non poter approfondire ulteriormente, è stata invece, a mio
avviso, colta da Santoro che ha indagato sul concetto arcaico di lex
e di actio e basandosi sulla
ritualità dellagere e
delle leges dictae, tra le quali
le censoriae,
ha così colto
linesistenza alle origini di una linea di demarcazione tra la sfera
del pubblico e quella del privato[80].
Ciò forse potrebbe aiutare a comprendere la testimonianza della Lex
agraria del 111 a.C. che alle ll. 37 ss. sembra indicare che i romani non
avevano in questepoca remore a descrivere in termini di obbligo
civilistico tutelato da azione civile il debito di imposta dei
contribuenti verso i pubblicani e che, dunque, non vi è ragione per
escludere la possibilità di unactio
civile a tutela dei diritti di credito degli esattori dimposta[81].
Così lipotesi prevalente, volta a considerare la fictio di pignoris
capio in Gaio (IV, 32) come
un espediente tecnico-formulare necessario per consentire al pubblicano
di agire in giudizio per il pagamento del vectigal,
nonostante la mancanza di un rapporto obbligatorio del debitore
dimposta - di un mezzo necessario cioè ad un mero esecutore delle
pretese pubblicistiche del popolo romano si scontra con la
testimonianza della legge doganale asiatica che, come si è visto,
indica la titolarietà, non in capo al popolo romano, ma al pubblicano
stesso dei dazi percepiti, delle mercanzie o beni sequestrati e dei
pegni non riscattati. Dietro
il pagamento allo Stato di una somma prefissata lappaltatore
incamerava, infatti, gli introiti della riscossione in base ad un
capitolato dappalto fondato sulla lex censoria. Sembra che la pignoris capio, utile solo quando vi fossero beni suscettibili di essere pignorati, dalla fine della repubblica divenisse rischiosa per il pubblicano a causa delleventualità di unazione penale in duplum da parte di chi si ritenesse vittima di un illegittimo pignoramento. Il titolo edittale De publicanis è probabile che contenesse da tale momento una parte dedicata allactio in factum per il vi adimere dei pubblicani e delle loro familiae, oltre alla disciplina relativa allactio con fictio di pignoris capio, che richiedeva la prova del diritto al vectigal e dellinadempimento, ma presentava anche il vantaggio di poter ottenere una condanna collegata alla disciplina diversa del riscatto del pegno prevista nella lex censoria di riferimento. Nonostante lunicità del mezzo processuale, la fictio, secondo la convincente ipotesi dellA., avrebbe così consentito di rispettare le caratteristiche dei singoli regolamenti desazione, anche assai diversi fra loro per oggetto e metodi di computo del debito tributario; lo schema formulare contemplato nelleditto, prescindendo poi dalla specificazione del tipo di tributo esatto e dalla determinazione dei confini territoriali dellappalto, avrebbe dedotto una pretesa di carattere incerto. In
riferimento al portorium sussistono infatti attestazioni di tariffe doganali fisse differenziate
in rapporto alla natura delle mercanzie (Palmira[82],
Coptos[83],
Zarai[84],
Lambesis[85],
Cauno[86]),
ma anche di computo effettuato in percentuale, in seguito a regolare
dichiarazione (professio)
al doganiere della stazione di transito e ad aestimatio
del valore dei beni dichiarati, come avviene nella Lex
portus Asiae (ll. 8 - 11;
26 - 28; 45 - 46). Se per i minerali alle ll. 78 - 81 del Monumentum
Ephesinum veniva impiegato
un criterio semplificato basato sul peso, per la stima degli altri beni
e mercanzie pare che si ricorresse ad un calcolo ad valorem ed a tabelle con
stime di riferimento dei diversi prodotti[87].
Sembra infatti che lestrazione mineraria e lesportazione a Roma
dallAsia fosse favorita e fossero accordate unactio in duplum al
trasportatore e la pignoris
capio ai soci della società
mineraria per ritardi dolosi provocati dagli esattori. La professio riguardava tutti i beni trasportati, anche quelli immuni, poiché spettava al pubblicano la valutazione dellimponibilità o dellimmunità e, nel caso di omissione colposa di dichiarazione, sembra, secondo lA., che almeno per intervento dei Divi Fratres[88] bastasse corrispondere la sola sanzione del raddoppiamento del vectigal, senza laggravio della confisca del bene, che invece pare esplicasse in pieno i suoi effetti nel caso di dolo, anche in seguito al tardivo pagamento del vectigal con un supplemento di mora. Il pubblicano inoltre - sostiene lA. che interpreta le ll. 56 - 58 del Monumentum Ephesinum in maniera diversa dalla tradizionale[89] - pare che godesse anche di una azione e dello strumento del pignoramento nei confronti di chi avesse illegittimamente esercitato poteri di esazione in sua vece o fuori della stazione doganale prestabilita. Le controversie sul contenuto e sullapplicazione della legge doganale, forse sorte per linterpretazione della stessa legge del portorium asiatico fra Stato e pubblicani, erano attribuite alla competenza del praetor peregrinus, in base ad una disposizione del Monumentum Ephesinum (ll. 115 117) del 5 d.C. non riguardante le controversie tra pubblicani e debitori dimposta, devolute al pretore urbano ed al governatore provinciale in base a clausole edittali dei titoli de publicanis dei relativi editti, che avrebbero dato luogo a procedure formulari. Esse sarebbero state affiancate per una migliore tutela giudiziaria dei debitori dimposta alla possibilità di utilizzare, a partire dalla riforma tributaria neroniana del 58 d.C., la più efficace cognitio extra ordinem[90]. Affinchè
i viaggiatori fossero in grado di verificare la presenza dei
responsabili dellarea doganale e di effettuare solo a costoro la
dichiarazione, era prevista la pubblica affissione dei nomi dei preposti
sul muro della stazione (ll. 117 120 del Monumentum
Ephesinum). Soltanto in
assenza di costoro, la professio
avrebbe potuto essere
presentata ai magistrati maggiori della città più vicina[91].
Sembra
che si possa distinguere tra il pubblicano contraente con lo Stato ed il
pubblicano incaricato della singola stazione doganale, non ovviamente
nel senso che vi fossero tanti appalti, quante erano le stazioni[92],
ma che le funzioni operative e la responsabilità delle singole stationes, come proposto dallA., competessero ai membri della societas
publicanorum, nonostante
lappalto per lAsia fosse stipulato da uno solo. Ai pubblicani, in
sede di assemblea sociale, poteva forse essere espressamente attribuito
tale incarico, anche per più stazioni contemporaneamente. Si è notato,
infatti, che accanto a stazioni marittime molto frequentate e presidiate
da pubblicani e loro procuratori, potevano sussistere allinterno,
lungo le frontiere terrestri, piccole stationes
con carenze di personale tali da determinare, in assenza di
responsabili, il ricorso ai magistrati delle città più vicine. Il pubblicano responsabile della statio sembra essere stato dunque lunico investito dei compiti relativi a controversie con i debitori dimposta, come nel caso dellapplicazione del commissum, della scelta tra pignoramento ed esercizio dellazione giudiziaria o vendita del pegno non riscattato. Costui affidava invece ai suoi procuratori funzioni esecutive meno rilevanti, come quelle relative al ricevimento delle dichiarazioni, alla stima delle mercanzie o dei beni in transito ed alla registrazione degli importi dovuti[93]. LA. infine ha il merito non solo di aver frequentemente proposto interpretazioni innovative che appaiono, come si è visto, ragionevoli ed equilibrate, ma soprattutto di aver sfruttato lo straordinario rinvenimento epigrafico della Lex portus Asiae per ricostruire un quadro organico e meglio definito dei rapporti tra publicani e debitori dimposta, utilizzando con competenza e sagacia le preziose, ma talvolta sfocate, informazioni delle fonti giuridiche e letterarie. In conclusione, le due opere prese in considerazione in questa rapida rassegna, appaiono in alcun modo complementari luna allaltra, essendo laccurata ricostruzione storico amministrativa offerta da G. D. Merola utilmente integrabile - come mi auguro si evidenzi nella sintesi che precede - con il convincente quadro tecnico giuridico proposto da L. Maganzani. Ancora
una volta il rinvenimento ed il progredire dellinterpretazione del
Monumentum Ephesinum evidenzia
che la base documentaria offerta dalle epigrafi e da altre testimonianze
dirette costituisce in fondo per noi la migliore garanzia che la
comprensione del mondo antico non è destinata ad essere statica[94],
ma può così risultare suscettibile di un arricchimento più rapido e
di una costante trasformazione. Gianfranco Purpura Dipartimento di Storia del Diritto Università di Palermo
[1]
Ephesinum o Ephesenum.
Editio princeps di H. Engelmann, D. Knibbe, Das
Zollgesetz der Provinz Asia, Epigraphica Anatolica (EA), 14,
1989; notizia preliminare: H. Engelmann, D. Knibbe, Das Monumentum
Ephesenum. Ein Vorbericht, EA, 8, 1986, pp. 19 ss.; successive
edizioni: C. Nicolet, Ann. Épigr. (AE), 1989, n. 681, pp. 214-222; H. Pleket- R. S. Stroud, SEG, 39, 1989,
n. 1180, pp. 367-387. Il testo è consultabile anche nel database
del PHI # 7 (Greek Documentary Text) in Ionia [Suppl. to
Ephesos (Hamburg) n. 45]. Cfr.
anche SEG, 43, 1993 (pubbl. 1996), n. 752 e SEG, 44, 1994 (pubbl.
1997), n. 928. [2] Tacito, Ann. 15, 18, 3. Nerone nel 58 d.C., indotto a rinunciare ad abolire tutti i vectigalia, aveva ordinato con editto che le leggi di ciascuna imposta, fino ad allora occultate, venissero esposte in pubblico (Tacito, Ann. 13, 51, 1). [3] T. Spagnuolo Vigorita, Lex portus Asiae. Un nuovo documento sullappalto delle imposte, Convegno I rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione nellesperienza storico-giuridica, Torino, 17-19 ottobre 1994, Napoli, Jovene, 1996, pp. 3-74 (estratto). [4] D. Knibbe, Legum dicendarum in locandis vectigalibus omnis potestas, ÖJH, 58, 1988, pp. 129-134; C. Nicolet, À propos du règlement douanier dAsie: demosiônia et les prétendus quinque publica Asiae, CRAI, 1990, 3, pp. 675-698 ; R. Merkelbach, Hat der Bithynische Erbfolgekrieg im Jahr 74 oder 73 begonnen?, ZPE, 81, 1990, pp. 97-100; W. Eck, Cn. Calpurnius Piso, cos. ord. 7 v. Chr. Und die lex portorii provinciae Asiae, EA, 15, 1990, pp. 139-145; J. Nollé, Pamphylische Studien 11 und 12, Chiron, 21, 1991, pp334 ss.; H. Wankel, Zum Zollgesetz der Provinz Asia § 1, ZPE, 85, 1991, p. 40; C. Schäfer, Zur Sfragiv" von Sklaven in der lex portorii provinciae Asiae, ZPE, 86, 1991, pp. 193-198; H. Solin, Zum Zollgesetz der Provinz Asia, ZPE, 86, 1991, p. 183; O. Salomies, Zu einigen Stellen im Zollgesetz der Provinz Asia, ZPE, 86, 1991, pp. 184-186; M. Heil, Einige Bemerkungen zum Zollgesetz aus Ephesos, EA, 17, 1991, pp. 9-18; C. Nicolet, Le Monumentum Ephesenum et les dîmes dAsie, BCH, 115, 1991, pp. 465-480; Id., Le Monumentum Ephesenum et la délimitation du portorium dAsie, MEFRA, 105, 1993, pp. 929-959; Bérenger, La commission financière extraordinaire de 62 ap. J.-C., MEFRA, 105, 1993, pp. 75 ss.; C. Domergue, Production et commerce des métaux dans le monde romain: lexemple des métaux hispaniques daprès lépigraphie des lingots, Epigrafia della produzione e della distribuzione, Roma, 1994, pp. 80 ss.; T. Spagnuolo Vigorita, Lex portus Asiae, cit., pp. 3-74 (estratto); N. Lewis, Three textual notes on the new Monumentum Ephesenum, ZPE, 107, 1995, p. 248; B. C. McGing, The ephesian custom law and the third mithridatic war, ZPE, 109, 1995, pp. 283-288; G. D. Merola, Il Monumentum Ephesenum e lorganizzazione territoriale delle regioni asiane, MEFRA, 108, 1996, pp. 263-296; N. Lewis, On roman imperial promulgations in greek, Scripta Classica Israelitica, XV, 1996 pp. 208-211; M. Dreher, Die Lex portorii Asiae und der Zollbezirk Asia, EA, 26, 1996, pp. 111-128; Id., Das Monumentum Ephesenum und das römische Zollwesen, XI Congresso Internazionale di Epigrafia Greca e Latina, Roma, 18-24 settembre 1997 (riproposto con alcune aggiunte in MBAH, 16, 2, 1997, pp. 79-96); S. Carrelli, Alcune osservazioni sul portorium Asiae, Studi ellenistici, VIII, Pisa-Roma, 1996, pp. 175-189; Id., Dogane, merci e prezzi nella nuova iscrizione di Efeso, Rivista Italiana di Numismatica, 98, 1997; C. Nicolet, Le Monumentum Ephesenum, la loi Terentia Cassia et les dîmes dAsie, MEFRA, 111, 1, 1999, pp. 191-215 ; T. Spagnuolo Vigorita, Il Monumentum Ephesenum e lappalto del dazio asiatico. Con qualche osservazione sulle città privilegiate, in Ciudades privilegiadas en el occidente romano, Siviglia, 1999, pp. 187 ss.; D. Knibbe, ÖJH, 60, 2000, pp. 147 ss.; L. Maganzani, I poteri di autotutela dei publicani nella Lex portus Asiae MEP, III, 2000, pp. 129 135; Id., La pignoris capio dei publicani dopo il declino delle legis actiones, Cunabula Iuris. Studi Broggini, Milano, 2002, pp. 175 - 227; G. D. Merola, Autonomia locale, governo imperiale. Fiscalità e amministrazione nelle province asiane, Bari, 2001; L. Maganzani, Pubblicani e debitori dimposta. Ricerche sul titolo edittale de publicanis, Torino, 2002, pp. 14 e 45 ss. [5] Spagnuolo Vigorita, Il Monumentum Ephesenum, cit., p. 9 segnala che in Tac. Ann. 13, 50, 1-2 vectigalia e portoria risultano essere sinonimi. [6] L. Maganzani, Pubblicani e debitori dimposta, cit., p. 231. [7] ll. 99 101 (§ 42) riferibili al 17 a.C. [8] ll. 101 103 (§ 43) inserite nel 17 a.C.; ll. 110 112 (§ 47) ascrivibili al 57 d.C; ll. 124 - 126 (§ 55) del 5 d.C.; ll. 144 - 147 (§ 62) del 62 d.C. [9] ll. 105 109 (§ 45) del 12 a.C.; ll. 133 135 (§ 58) del 19 d.C.; ll. 140 143 (§ 61) forse del 44/46 d.C. [10] l. 123 (§ 54) del 5 d.C.; l. 109 (§ 46) del 57 d.C. [11] ll. 127 128 (§ 56) dell8 o del 12 d.C.; ll. 133 135 (§ 58) del 19 d.C.; ll. 140 143 (§ 61) forse del 44/46 d.C. [12] ll. 135 137 (§ 59) del 37 d.C. [13] Colloquium on the Monumentum Ephesinum (Oxford, 1-2 ottobre 1999), organizzato dal Centre for the study of ancient documents dellUniversità di Oxford. [14]
Cfr. supra nt. 2. G.
D. Rowe, The elaboration and diffusion of the Monumentum
Ephesinum, Colloquium on the Monumentum Ephesinum,
Oxford, 1-2 ottobre 1999 (in corso di stampa). [15] G. I. Luzzatto, Appunti di Papirologia giuridica, Bologna, s.d., pp. 102 ss.; Id., Epigrafia Giuridica greca e romana, Milano, 1942, pp. 111- 221. [16]
Pernice, Ferrini, Mommsen, Volterra, Schulz, Kaser lammettono.
Invece Scialoja, Bonfante, Biondi, Voci, Guizzi la negano. Cfr. G.
D. Merola, op. cit., p. 15 e Th. Liebmann-Frankfort,
Valeur juridique et signification politique des testaments faits par
les rois hellénistiques en faveur des Romains, RIDA, 13, 1966, p.
81 con le relative indicazioni di letteratura. [17] G. D. Merola, op. cit., p. 15. [18] Th. Liebmann-Frankfort, Valeur juridique et signification politique des testaments, cit., pp. 73-94. [19] E evidente che listituzione derede di uno o più peregrini (quindi anche dellintero popolo romano) in un testamento ellenistico avrebbe potuto esplicare validamente i suoi effetti. Il problema era piuttosto politico ed economico per entrambe le comunità. [20]
M. Fränkel, Die Inschriften von Pergamon, Berlin, 1890, VIII, I, n.
249 (= OGIS 338; con varianti testuali in IGRP IV, 289), l. 7: de d
pikurwqÁnai t¾n diaq»k[h]n ØpÕ `Rwma
wn
[21] Plutarco, Vita di Tiberio Gracco 14, 1. [22] SC noto anche come de Pergamenis (= IGRP IV, 301). [23] F. F. Abbott, A. C. Johnson, Municipal administration in the roman empire, Princeton 1926, n. 12 (= IGRP IV, 262) per la copia di Adramitto; A. Passerini, Le iscrizioni dellAgorà di Smirne concernenti la lite tra i pubblicani e i Pergameni, Athenaeum, 15, 1937, pp. 252-283 per la copia di Smirne; G. Petzl, Reste eines ephesischen Exemplars des Senatusconsultum de Agro Pergameno, EA, 6, 1985, pp. 70 e s. Letteratura in G. D. Merola, op. cit., p. 27 nt. 59. [24]
G. D. Merola, op. cit., pp.
28 ss. (praecipue, p. 33).
[25] De Martino, Il SC de agro Pergameno, PP 210, 1983, pp. 161 190. [26] G. D. Merola, op. cit., p. 34 nt. 89 ricorda alcune contese tra comunità asiatiche e publicani in relazione a terre sacre che riguardarono i diritti di pesca della dea Artemide ad Efeso (Strabone 14, 1, 26), lo sfruttamento di terre e saline di Atena Polias a Priene, la terra sacra di Atena Iliade (OGIS 440), ma non può in tale elenco essere incluso il ben noto SC de Amphiarai Oropiis agris (FIRA I, n. 36), che riguarda, non lAsia, ma la Beozia. [27]
Nicolet, Le Monumentum Ephesenum et la délimitation du portorium
dAsie, cit., pp. 957 e s. [28]
C. P. Jones, Diodoros
Pasparos and the Nikephoria of Pergamon, Chiron, 4, 1974, pp.
183 205; [29] Cfr. G. D. Merola, op. cit., pp. 43 e s. [30] F. Coarelli, Su alcuni proconsoli dAsia tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C. e sulla politica di Mario in Oriente, Epigrafia ed ordine senatorio, I, Roma, 1982, pp. 435 451. [31]
IGPR IV, 752 = R. K. Sherk, Roman Documents from the Greek East, [32] G. D. Merola, op. cit., pp. 54 e 56. [33]
B. C. McGing, The ephesian custom law and the third mithridatic war,
cit., pp. 283-288. [34]
R. Merkelbach, Hat der Bithynische Erbfolgekrieg im Jahr 74 oder 73
begonnen?, cit., pp. 97- 100; M. Heil, Einige Bemerkungen zum
Zollgesetz aus Ephesos, cit., pp. 9-18; C. Nicolet, Le Monumentum
Ephesenum et la délimitation du portorium dAsie, cit.,
pp. 957 e s.; Cfr. G. D.
Merola, op. cit., p. 56 nt. 201. [35] Appiano, Bellum civile 2, 92, 385; Cassio Dione 42, 6, 3. [36] G. D. Merola, op. cit., p. 80. [37]
R. K. Sherk, RDGE n. 54. [38] Cfr. supra, p. 5. [39] Dione Crisostomo, Or. 38, 26. [40] Su questa ed altre opinioni cfr. G. D. Merola, op. cit., p. 88. [41] IvEphesos VII, 2 nn. 3804-6 (Hypaipa); IvMylasa I, nn. 271-281; II, n. 282 (Mylasa); IG XII, 2, 76-80 =IGRP IV, 109-113 (Mitilene); IG XII, 3, 343-9; CIG 8656 (Thera); IGRP IV, 1083 (Cos); Déléage, La capitation du Bas-Empire, Macon, 1945, pp. 182-6 (Chio); IvTralleis u. Nysa n. 250 (Tralles); IG XII, 3, 180-2 = CIG IV, 8657 = IGPR IV, 1039-1041 (Astypalaea); O. Kern, Die Inschriften von Magnesia am Meander, Berlin, 1900, n. 122 (Magnesia sul Menandro). [42]
Déléage, La capitation, cit. [43] Cfr. sul punto G. D. Merola, op. cit., pp. 89 ss. [44] G. D. Merola, op. cit., p. 105. [45]
Nicolet, Dîmes de Sicilie, dAsie et dailleurs, Le
ravitaillement en blé de Rome et des centres urbains des débuts de
la République jusqau Haut Empire, Actes du Colloque Intern. de
Naples, 1991, Napoli-Roma, 1994, pp. 215-229. [46] G. D. Merola, op. cit., p. 105. [47]
H. Engelmann, D. Knibbe, Das Zollgesetz der Provinz Asia, cit., pp.
118 e s.; G. D. Merola, op.
cit., p. 107. [48] De Laet, Portorium, Brugge, 1949, p. 89; G. D. Merola, op. cit., p. 117. [49] Il problema potrebbe essere connesso al controllo dellingresso in una regione anche per motivi di ordine pubblico. Cfr. Purpura, Passaporti romani, Atti dell'VIII Convegno Nazionale di Egittologia e Papirologia, Torino, 12 aprile 2003 (in corso di pubblicazione sulla rivista Aegyptus). [50]
H. Engelmann, D. Knibbe, Das Zollgesetz der Provinz Asia, cit., Das
Zollgesetze, cit., pp. 138 e s. [51] SEG XIV, 639; cfr. Purpura, Il regolamento doganale di Cauno e la lex Rhodia in D. 14, 2, 9, AUPA, XXXVIII, 1985, pp. 273-331, ove si ipotizza che il dhmosiwniko;" novmo", ripetutamente menzionato nelliscrizione del I sec. d.C. proveniente dallantica peraiva rodia, possa essere proprio la famosa lex Rhodia. Lejllimevnion della l. C 4 non può essere una tassa portuale, diversa dal dazio dimportazione, come sostenuto da Pleket (H. W. Pleket, Note on a Customs-law from Caunus, Mnemosyne, 11, 1958, pp. 128-135) e ripetuto dallA., poiché il presunto contrasto tra le ll. B 9-10 e le ll. C 2-7 dellepigrafe sembra trovare agevole spiegazione. Cfr. Purpura, Il regolamento doganale di Cauno, cit., pp. 292-296. [52] G. D. Merola, op. cit., p. 126. [53]
CIS II, 3913 = OGIS 629 = IGRP III, 1056. [54] G. D. Merola, op. cit., p. 134. [55] G. D. Merola, Autonomia doganale nella tarda antichità. Intorno a CIL III, 7151-7152, Atti dellAccademia Romanistica Costantiniana, XIII Convegno Intern. In memoria di A. Chastagnol, Napoli, 2001, pp. 276-292; Id., op. cit., pp. 135 ss. [56] R. K. Sherk, RDGE n. 52; G. D. Merola, op. cit., pp. 145 ss. [57]
Plinio, Nat. Hist. §§ 95-126. [58] G. D. Merola, op. cit., pp. 152-159. [59] G. D. Merola, op. cit., pp. 183-193. [60] L. Maganzani, Pubblicani e debitori dimposta, cit. [61] L. Maganzani, Pubblicani, cit., pp. 14 ss.; 34; 41; 45 ss. [62] T. Spagnuolo Vigorita, Lex portus Asiae, cit., p. 65 (estratto); E. Bianchi, Fictio iuris. Ricerche sulla finzione in diritto romano dal periodo arcaico allepoca augustea, Padova, 1997, pp. 221 ss. [63] L. Maganzani, Pubblicani, cit., pp. 24 ss. [64] Quintiliano, Inst. VI, 3, 61. [65] G. Nicosia, Il processo privato, I, Torino, 1986, p. 96 e s. [66] B. Albanese, Il processo privato romano delle legis actiones2, Palermo, 1993, p. 56. [67] C. A. Cannata, Introduzione ad una rilettura di Gai 4. 30-33, Sodalitas, Scritti Guarino, IV, Napoli, 1984, pp. 1873 e s. [68] L. Maganzani, Pubblicani, cit., pp. 44 e s. [69] L. Maganzani, Pubblicani, cit., pp. 50 e s.; 161 ss. [70] D. 39, 4, 11, 4 (Paolo 5 sent.). [71] L. Maganzani, Pubblicani, cit., p. 55. [72] T. Spagnuolo Vigorita, Lex portus Asiae, cit., p. 26 (estratto); Id., Il Monumentum Ephesenum, p. 191. [73] L. Maganzani, Pubblicani, cit., pp. 58 ss. [74] FIRA I, 36. [75] L. Maganzani, Pubblicani, cit., p. 61. [76] FIRA I, 8; cfr. ora M. H. Crawford, Roman Statutes, I, London, 1996, pp. 42 ss. [77] A. Trisciuoglio, Sarta tecta, ultro tributa, opus publicum faciendum locare. Sugli appalti relativi alle opere pubbliche nelletà repubblicana e augustea, Napoli, 1998, pp. 173 ss. [78] Gai. IV, 28. [79] L. Maganzani, Pubblicani, cit., p. 65. [80] R. Santoro, Potere ed azione nellantico diritto romano, AUPA, 30, 1967, pp. 103 ss.; Id., Rec. a A.. Magdelain, La loi à Rome, Iura, 29, 1978 (pubbl. 1981), p. 290; Id., Actio in diritto antico, Poteri, Negotia Actiones nellesperienza romana arcaica, Atti I Convegno di diritto romano, Copanello 12 15 maggio 1982, pp. 201 ss.; Id., Il tempo ed il luogo dellactio prima della sua riduzione a strumento processuale, AUPA, 41, 1991, pp. 4 ss. (estratto). [81] L. Maganzani, Pubblicani, cit., p. 115. [82] CIS II, 3913 = OGIS 629 = IGRP III, 1056. [83] OGIS II, 674. [84] CIL VIII, 4508. [85] AE 1941, n. 23. [86] SEG XIV, 639. [87] L. Maganzani, Pubblicani, cit., pp. 127 e s. [88] D. 39, 4, 16, 10; L. Maganzani, Pubblicani, cit., pp. 130 e s. [89] Lopinione prevalente ha finora considerato la tutela offerta nelle ll. 57-58 in favore del contribuente avverso al pubblicano o al suo procuratore. Cfr. L. Maganzani, Pubblicani, cit., p. 197. [90] T. Spagnuolo Vigorita, Lex portus Asiae, cit., p. 9 (estratto); L. Maganzani, Pubblicani, cit., pp. 212 e s. [91] L. Maganzani, Pubblicani, cit., p. 233. [92] Obiezione sollevata da T. Spagnuolo Vigorita, Lex portus Asiae, cit., p. 172 nt. 177 alla proposta in tal senso di H. Engelmann, D. Knibbe, Das Zollgesetz der Provinz Asia, cit., p. 85. Cfr. L. Maganzani, Pubblicani, cit., p. 234. [93] L. Maganzani, Pubblicani, cit., p. 236. [94]
Millar, Epigrafia, Le basi documentarie della storia antica, Bologna, 1984,
p. 137; G. Purpura, Diritto, papiri e scrittura, Torino, 1999, pp. 9
e s.
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