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“PASSAPORTI” ROMANI
Atti dell'VIII Convegno Nazionale - Colloqui di Egittologia e di Papirologia
La visione dell’altro nell’antico Egitto
11-13 aprile 2003
(in corso di stampa nella rivista Aegyptus).
(Versione del documento in "Portable Document Format")

 

1.   .

 

Alla nascita degli Stati nazionali nel medioevo ed in età moderna si ascrive comunemente l’origine del passaporto  (fig. 1) sia per l’interno, che per l’estero, sostenendo che tutti i governi hanno basato la loro forza sul potenziale di armati e sui rapporti di sudditanza dei cittadini verso i sovrani e quindi hanno tentato di impedire con ogni mezzo l’uscita dal territorio di uomini atti alle armi e sono stati d’altro canto propensi a considerare gli stranieri che varcavano i confini statali come potenziali nemici[1]. Da qui avrebbero tratto origine, sia il permesso di espatrio per il cittadino[2], che l’attestato di protezione per lo straniero, necessari anche per sorvegliare determinate categorie o classi in rapporto alla mobilità interna ed esterna allo Stato.

In realtà, la genesi del lasciapassare, sia in uscita, che in entrata - tanto per cittadini, che per stranieri – è ben più remota.  Certo, solo con la rivoluzione francese e la costituzione del 3 settembre 1791 si è affermato il pieno diritto di ogni uomo di circolare senza restrizioni di sorta alla sola condizione di non nuocere gli altri, principio riflesso dall’art. 16 della nostra Costituzione che consente ad ogni cittadino di soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, di uscire e rientrare nella Repubblica, salvo gli obblighi di legge. Al punto che l’istituto del passaporto è apparso come una grave limitazione posta dall’ordinamento statale alla libertà individuale, da disciplinare pertanto tassativamente e da concepire non come un’autorizzazione permissiva, discrezionale, ma come atto vincolato, certificativo di un accertamento, documento di identificazione e di commendazione[3]. Al principio del Novecento si auspicava addirittura la sua scomparsa, che allora si riteneva già prossima! 

L’utopia implicita in tale convinzione è purtroppo oggi drammaticamente evidente, come è altrettanto noto che in antico le mura delle città-stato, più che difendere, finivano per impedire talvolta la fuga[4] e senza l’antichissimo diritto di asilo e le - altrettanto antiche - pratiche di ospitalità, agli stranieri era in realtà concesso percorrere ben poca strada!

Risalgono certo all’antichità la pubblica autorizzazione a spostarsi liberamente nel territorio dello Stato ed il permesso al suddito di abbandonare il territorio, o allo straniero di entrarvi e soggiornarvi[5]. Già prima dell’invasione napoleonica in Italia esisteva un atto certificativo rilasciato dall’autorità, per mezzo del quale il cittadino poteva farsi riconoscere e tale documento  offriva all’estero la possibilità di ottenere protezione ed assistenza[6]. Con la dominazione francese venne definito “carta di sicurezza”, successivamente “carta di identità”[7].

Per tale ragione oggi per passaporto (licenza originariamente concessa solo a navi) si intende un documento di riconoscimento[8] rilasciato dal ministro degli esteri (o, per sua delega, dai questori), che consente ai cittadini italiani di uscire dal territorio dello Stato per recarsi all’estero[9], ma non v’è dubbio che la denominazione, di passaporto appunto, comunemente invalsa tra gli studiosi[10] per indicare alcuni rari lasciapassare egiziani su papiro di età romana[11] (fig. 2) o la pratica di documentazione dell’ alla quale si fa riferimento in alcuni articoli del Gnomon dell’idioslogos per l’uscita dall’Egitto[12] o nella tariffa di Coptos per l’utilizzazione dell’importante via di collegamento che attraversava il deserto orientale egiziano verso il Mar Rosso e l’India[13], o per l’uso tra il 156 ed il 161 d.C. della strada dell’Arsinoite[14], è imprecisa, come spesso accade quando si applicano termini moderni all’esperienza antica, ma anche ingannevole, in quanto, non solo l’ non sembra essere stato un documento di riconoscimento, come l’attuale passaporto, ma esso, piuttosto che restare nella disponibilità del viaggiatore, sembrerebbe essere ritirato dal controllore del transito, pur essendo stato rilasciato dal prefetto. 

Anche nel trasporto degli aridi per il servizio coattivo dell’annona verso Alessandria, venivano esibiti permessi, denominati appunto ajpovstoloi e rilasciati dal procurator Neaspoleos, per ottenere il carico da trasportare e l’autorizzazione alla partenza[15] e lo stesso termine veniva anche impiegato per indicare nel processo civile la littera dimissoria, il provvedimento in base al quale il giudice a quo consentiva il deferimento del processo al giudice ad quem nell’appello[16]. Come permessi di viaggio, sembrano menzionati in altri papiri ed epigrafi[17].

Il P.Oxy. X, 1271 rappresenta così un documento significativo della prassi romana del controllo della mobilità della popolazione e un esempio dell’atteggiarsi dei rapporti tra una cittadina romana, in partenza dall’Egitto nel 246 d.C., il prefetto ed il comandante del porto di Alessandria; e inoltre dell’uso disinvolto della scrittura e della subscriptio con autografia rara dello stesso prefetto Valerio Firmo (fig. 3):

 

P.Oxy. X, 1271:

 


m2. Valerius Firmus
Asclepiade salutem
dimitti iussi de P[haro]
commendo t[ibi]
vale iu[ssi]
m3. datum XVII K[al(endas)... 
Presenti A[lbino co(n)s(ulibus)]

 

"A Valerio Firmo prefetto d’Egitto
 da parte di Aurelia Meciane di Side.
Voglio,  signore,  partire attraverso Faro.
Ti chiedo di scrivere al
procurator Phari
di (lasciar)mi partire come è d’uso.
Il primo (del mese) di Pacone (26 aprile). Ti saluto.

Valerio Firmo
ad Asclepiade
(procurator Phari) salute.
Ordinai che partisse da Faro…

ti raccomando…
ti saluto…ho ordinato…
dato il XVII giorno prima delle calende…(di giugno? 15 maggio?)

Presente e Albino co(n)s(oli)"

 

Due anni prima del millennario dell’Urbe sotto il regno di Filippo l’Arabo, una matrona romana originaria di Side in Pamfilia, ma temporaneamente residente in Egitto, invia un libello contenente la richiesta motivata dalla sua origine asiatica al prefetto, che apponendo una subscriptio si rivolge al funzionario competente per la partenza, autorizzandola. Non sappiamo se il documento sia stato riconsegnato all’interessata per la successiva trasmissione a sua cura al procurator Phari al momento della partenza[18], soluzione certo più pratica, o inviato d’ufficio al comandante portuale, come comunemente sembra ammettersi e tutto, all’apparenza, lascerebbe supporre. Se si riflette che il lasso di tempo intercorso tra la richiesta, il 26 di aprile, e la data non esattamente nota della risposta (nel migliore dei casi diciannove giorni) è lungo e che solo successivamente - in data indeterminata -  l’effettiva partenza avrebbe potuto aver luogo;  e ancora se si rileva che non v’è traccia di un, pur necessario, preavviso alla viaggiatrice, che avrebbe dovuto essere informata in tempo del rilascio dell’autorizzazione, appare preferibile la prima soluzione proposta dell’informale restituzione alla diretta interessata della subscriptio, per un uso da costei ritenuto più opportuno. 

D’altro canto sappiamo che le subscriptiones rilasciate della cancelleria imperiale in forma autentica, venivano normalmente inviate al richiedente, mentre un exemplum della richiesta e della risposta veniva conservato negli archivi, talora dopo essere stato affisso per qualche tempo (propositio)[19] e solo eccezionalmente trasmesso ad un funzionario, ma soprattutto sappiamo che, in base al §. 68 del Gnomon  (fig. 4):

 

 

"Un romano, imbarcatosi senza avere al completo le scritture per la partenza per mare, fu condannato a talenti…"

 

Dunque, sia che le scritture necessarie () siano consistite nel solo - come sostenuto da alcuni[20] - o completate a secondo i casi da una serie di altri permessi e attestati  (d’imbarco, di esportazione di merci, di pagamento di dazi doganali, di utilizzo dello scalo portuale e così via)[21], come  appare probabile, non v’è dubbio che sembra gravare sui romani in partenza dall’Egitto l’obbligo di presentarsi per la partenza con i documenti al completo. Allora il funzionario competente avrebbe letto e trattenuto il testo che lo riguardava, indirizzatogli dal prefetto, lasciando invece al viaggiatore gli altri documenti; solo in tale momento questi avrebbe emesso un permesso scritto per varcare il confine (), come ipotizza Taubenschlag[22]. A differenza dei rari lasciapassare (come il P.Oxy. X,1271 o il P.Oxy. XVII, 2132 del 249-250 d.C.[23]), di testi di tal genere però non è pervenuto alcun esemplare.

Secondo Uxkull von Gyllenband[24], uno dei più acuti commentatori del Gnomon,  le scritture menzionate nel §. 68 () non comprenderebbero l’ perchè vi sarebbe stato altrimenti un contrasto con il §. 64 che assegna alla competenza del prefetto, e non dell’idiologo a suo dire, i processi nei confronti di coloro che si imbarcavano senza (fig.5):

 

 

"I processi contro coloro che si imbarcano senza lasciapassare sono ora sottoposti alla giurisdizione del prefetto."

 

 Invece il §. 68, compreso tra i §§. 65-69, che riguardano l’esportazione  di schiavi controllata dall’idiologo, dovrebbe secondo Uxkull von Gyllenband riferirsi anch’esso alla competenza dell’idiologo, al commercio transmarino degli schiavi e le scritture non al completo (), alle quali si allude genericamente, dovrebbero essere solo quelle relative alle esportazioni servili, delle quali, in verità, non vè alcun accenno nel testo.[25]  

Inoltre è dimostrato dai rari lasciapassare pervenuti[26], che i romani, indipendentemente da permessi per i servi, non avevano la facoltà di lasciare l’Egitto senza autorizzazione del prefetto, come fin dall’età augustea era impedito l’accesso all’Egitto persino a senatori e cavalieri illustri senza permesso imperiale o prefettizio, ma su tale questione avremo modo di ritornare.

Non può che suscitare perplessità l’assenza di “passaporti” () e lasciapassare, se rilasciati secondo la prassi ipotizzata da Taubenschlag. In un articolo sull’ “enigma costituzionale dell’antica Alessandria”[27], per giustificare la scarsezza di papiri alessandrini determinata dall’umidità del clima, Arangio Ruiz ripeteva scherzosamente l’interrogazione retorica: “Qu’est-ce qu’una femme auprès d’un papyrus alexandrin

Ulteriore e recente prova della necessità di un lasciapassare è offerta (fig. 6) dal

 P.Oxy. XLIII, 3118 del III sec. d.C.


 

 

con il quale si impartisce al procurator Phari l’ordine di non lasciar partire questa volta un determinato individuo, evidentemente trasmettendo d’ufficio il mandato epistolare. Qualche (fig. 7) contenente un permesso denominato con  l’autorizzazione a partire entro un certo termine ci è pervenuto, ma esso sembra assumere più la forma del biglietto di transito, che del salvacondotto:

O. Florida 1:

 

In definitiva, la situazione in base ai §§. 64-69 del Gnomon sembra essere la seguente: un antico divieto di età tolemaica, del quale ci informa Strabone (fig. 8) dichiarando che:

 

 

“…ma non è lecito partire da Alessandria senza disposizione regia (próstagma)”,

 

alludeva ad uno specifico e formale provvedimento regio indirizzato al comandante del porto, da emettere di volta in volta, per ogni singola partenza. Dunque con la conquista romana sembra che la prassi giuridica sia rimasta simile a quella del passato[28], ma la competenza relativa, all’inizio probabilmente del prefetto ed in seguito dell’idiologo, pare che in base al §. 64 del Gnomon (fig. 8) sia stata ripresa, dalla seconda metà del II sec. d.C., sotto il controllo dell’organo al vertice dell’amministrazione romana. Probabilmente in molte altre occasioni determinate da turbamenti - locali e del centro dell’impero – si rese necessario per il prefetto riprendere il controllo del transito in Alessandria, che era la principale “porta della provincia”, ma anche in tutti gli altri accessi all’Egitto, certamente vigilati, come avveniva a Pelusio (§. 69) (fig. 9).  

 

 

“Una egizia che inviò schiavi attraverso il Pelusio con figli… fu condannata ad un talento e tremila dracme.”

 

Da Ulpiano apprendiamo che un luogo in particolare era designato per gli sbarchi imperiali e di ufficiali, per celebrare la cerimonia pubblica dell’adventus[29], e tale località in particolare per l’Egitto era Alessandria[30]. La “porta della provincia” veniva dai greci designata come o [31]. Ivi erano sottoposti a controllo, tanto in entrata che in uscita, romani e stranieri, greci ed indigeni, non solo per motivi doganali - la corresponsione cioè del portorium, tanto di esportazione che di importazione di merci nel paese - ma soprattutto per ragioni di ordine pubblico e di controllo della popolazione e dei flussi migratorii[32].

Particolarmente assoggettati a controllo erano i movimenti degli schiavi, che se si tentava di esportare senza che vi fosse stato dolo del dominus - che evidentemente aveva in buona fede ignorato le disposizioni legali - venivano venduti all’asta a beneficio del fisco (§. 65), ma in caso di un  tentativo fraudolento di esportazione senza permesso () si giungeva alla confisca dell’intero patrimonio del padrone.

Ad alcuni, in base al §. 66 del Gnomon (fig. 10)[33], non era assolutamente consentito lasciare il paese, altri invece avrebbero potuto farlo con la necessaria autorizzazione[34]. Costoro, se privi del lasciapassare, sarebbero stati assoggettati alla pesante multa  della confisca di un terzo del loro patrimonio, ma se si fosse trattato di romani la sanzione, pur restando non lieve, sarebbe stata determinata in una entità fissa corrispondente al pagamento di una ammenda di qualche talento soltanto (§. 68) (fig. 11).

"Un romano, imbarcatosi senza avere al completo le scritture per la partenza per mare, fu condannato a talenti…"

 

 

Si è sostenuto che soprattutto agli egizi fosse impedito lasciare il proprio paese, ma anche se ciò è assai probabile, non è raro riscontrare la presenza  di egiziani al di fuori dell’Egitto, non solo per l’adempimento del trasporto coattivo dell’annona [celebre è la lettera (fig. 12) del II/III sec. d.C. in BGU I, 27 (= Mitteis, Chrest. n. 445) di un marinaio della flotta alessandrina, che, giunto a Roma dopo aver scaricato il grano ad Ostia, in attesa della dimissoria  o , scrive al fratello in Egitto[35]], ma anche dei più vari servizi, come nel caso del iatralipta, il medico massaggiatore di Plinio il giovane, al quale con procedura eccezionale venne concessa in quanto liberto di una egiziana defunta (Termuti di Teone) la cittadinanza romana[36].

Era dunque possibile anche per gli egizi riuscire ad ottenere, seppur in rari casi, un lasciapassare.

I luoghi nei quali veniva effettuato il controllo dei lasciapassare è probabile che coincidessero con le stazioni doganali per il controllo del portorium. E’ anzi possibile che in tale occasione non solo venissero assoggettate al pesante dazio di esportazione del quarto del valore - ed al più lieve dazio d’importazione - le merci dei viaggiatori in transito (noto è l’aneddoto riferito da Filostrato[37] (fig. 13) della risposta al doganiere del filosofo Apollonio che viaggiava con Fortuna, Saggezza, Giustizia, Virtù, Valore, Disciplina, etc., correndo il rischio di pagare il dazio per tutte queste presunte schiave. Se la cavò dicendo che non erano sue schiave, ma padrone!), ma che, al contempo, al controllo dei documenti venisse anche corrisposta una somma della quale v’è traccia in qualche testo[38], non solo per l’uso di una strada particolare, ma anche per l’effettuazione della verifica in sè. Nel caso di passaporti moderni impropriamente la tassa per il rilascio è stata definita dalla legge come “tassa sulle concessioni governative”, ma è stato giustamente osservato[39] che “non si tratta evidentemente di concessione, prima della quale nessun diritto del singolo esiste, nessuna facoltà gli spetta e nessuna attività egli può svolgere; nel caso concreto il diritto di libertà del cittadino già esiste”, ma l’esercizio del suo diritto di espatrio è subordinato all’emissione dell’atto certificativo dell’accertamento di esso da parte della pubblica amministrazione. Radicalmente diversa era la situazione nel mondo antico, ove ovviamente il permesso in questione poteva ben configurarsi come una concessione.  

E’ noto che, a differenza del resto dell’impero, in Egitto, Siria e Giudea, il sistema della riscossione indiretta - dell’appalto cioè - continuò a sussistere fino alla fine dell’alto impero, quando ormai ovunque si era imposta la percezione diretta da parte dei funzionari imperiali[40]. E’ possibile che, pur restando responsabile del transito il funzionario localmente preposto (ad es.: il procurator Phari  per Alessandria) finissero i publicani ad essere effettivamente incaricati del controllo e coadiuvati dai militari, percepissero in tal modo un moderato compenso.  

Un cordone doganale era posto tutto intorno all’Egitto e controllava il commercio con l’esterno: oltre ad Alessandria e Pelusio, posti di dogana erano ubicati in tutte le bocche del Nilo, nei porti del Mar Rosso ed alla frontiera nubiana[41], ma anche all’interno, ai confini dei nomi, sulle piste del deserto, nei porti fluviali e sul Nilo, a Menfi, tra Menfi ed Alessandria, a Schedia[42], nel Fayoum e così via.

Nella c.d. Tariffa di Coptos (fig. 14), che non è una tariffa doganale, ma “…un prontuario dei diritti che il pubblicano deve percepire per i lasciapassare (apostoloi), secondo il gnomon sotto la giurisdizione dell’Arabarca…”, il 10 maggio del 90 d.C. fù previsto un esborso specifico per l’apposizione del visto sul singolo permesso mercantile[43] per l’uso dell’importante via di comunicazione con l’India attraverso il deserto orientale e come concorso alle ingenti spese governative per la costruzione ed il mantenimento di cisterne e pozzi (), l’esercizio di una sorveglianza e corpi di guardia, in modo proporzionale, non al valore delle merci in transito (fig. 15), ma al reddito dei viaggiatori ed ai mezzi di trasporto impiegati, al punto da costringere una cortigiana a pagare oltre venti volte in più di un semplice marinaio.

Uxkull von Gyllenband[44] ha correttamente per primo collegato l’apostolion (diritto sul rilascio dell’)[45] del proemio della c.d. Tariffa di Coptos all’ menzionato nel §. 64 del Gnomon, ma si è obiettato che nella Tariffa il termine sembra applicarsi tanto a persone, che a merci[46]. L’obiezione sembra essere basata su di un fraintendimento del testo[47]: infatti il πιττάκιον (ad esempio, ) menzionato alle ll. 21 ss. della Tariffa sembra essere diverso  dall’, presupposto nel proemio[48]; il primo un biglietto di transito di merci che poteva essere sigillato dietro compenso, il secondo il lasciapassare nel suo complesso o salvacondotto. Con il significato di lista, registro, tabella, il termine

 πιττάκιον ricorre frequentemente in molti papiri ed epigrafi[49] ed evidentemente, pur potendo consistere in un permesso per il transito di specifiche merci o di una nave[50] era diverso dal generale salvacondotto, o  .

 

 

2.   Il divieto di accesso dei senatori in Egitto.

 

Dopo aver tentato di individuare i luoghi, le modalità del controllo ed i soggetti che cercavano di partire dall’Egitto romano, è opportuno prendere in considerazione anche i soggetti in entrata in una provincia che Tacito (fig. 16) dichiarava essere:

 

Tac., Hist. I, 11:

 

“…aditu difficilem, annonae fecundam, superstitione ac lascivia discordem et mobilem, insciam legum, ignaram magistratuum…”

  

 Tale questione si collega al dibattito sul divieto di accesso dei senatori in Egitto ed all’originario assetto dato alla provincia da Augusto, con l’affidarla ai cavalieri (fig. 17).

 

Tac., Ann. II, 59:

 

“Tiberius…acerrime increpuit, quod contra instituta Augusti non sponte principis Alexandriam introisset. Nam Augustus, inter alia dominationis arcana, vetitis nisi permissu ingredi senatoribus aut equitibus Romanis inlustribus, seposuit Aegyptum ne fame urgeret Italiam quisquis eam provinciam claustraque terrae ac maris quamvis levi praesidio adversum ingentis exercitus insedisset.”

 

“Tiberio…si scagliò violentemente (contro Germanico), perché, trasgredendo le disposizioni di Augusto, era entrato in Alessandria senza l’autorizzazione del principe. Infatti Augusto, fra le altre segrete norme dell’assolutismo, aveva a sè serbato l’Egitto, vietando ai senatori e ai cavalieri romani illustri di entrarvi senza permesso, perché chiunque tenesse nelle sue mani quella provincia e gli stretti passi della terra e del mare, anche con un piccolo presidio contro grandi eserciti, non potesse affamare l’Italia”.

 

Le due interdizioni per gli esponenti dell’ordine senatorio – dal governo supremo dall’Egitto e dall’accesso nel territorio – sono state considerate collegate o addirittura confuse in dottrina, ed è merito, a mio avviso, di Manfredini[51] aver tentato di distinguerle, anche se le conclusioni alle quali sembra essere pervenuto sulle circostanze contingenti delle scelte augustee, condizionate da un oracolo che avrebbe impedito la penetrazione dei fasces in Alessandria, non sembrano essere del tutto condivisibili. Pare che sussistesse una prescrizione religiosa romana (fig. 18) in base alla quale i fasci non potevano entrare in Alessandria e tale divieto veniva ribadito anche in una colonna aurea a Menfi ed esteso alla toga pretesta e all’intero Egitto [52]. La questione non sembra direttamente connessa all’accesso dei senatori ed un episodio (fig. 19) riferito da Manfredini e relativo allo sbarco ad Alessandria, nel 48 a.C., di Cesare, con fasces, che provocò l’indignazione e la rivolta dei Gabiniani milites ormai integrati con i locali, non si collega ad un oracolo ma all’ostentazione dell’imperium in un territorio ancora retto da un legittimo sovrano[53].

Fino a quando Geraci[54] non ha utilmente proposto il superamento delle consolidate opinioni sullo statuto dell’Egitto romano[55] - né monarchia, né possesso personale, ma conferimento di un imperium proconsulare ad Ottaviano con possibilità di delegarlo ad un praefectus, pur a mio avviso da accogliere nel rispetto della deliberata ambiguità augustea tra continuità e rottura, di matrice stoica[56] - non era facile separare l’interdizione per i senatori dal governo, dal divieto di accesso nel territorio, poiché si finiva per ammettere che la peculiarità del rapporto tra il principe e l’Egitto, che determinava l’esclusione dal governo, si riverberava anche in maniera assoluta sul divieto di mettere piede in tale territorio senza autorizzazione del principe.  

Ma, non solo ad una lettura esclusivamente senatocentrica del testo di Tacito - che pur è stata autorevolmente sostenuta[57] - si oppone il riferimento testuale anche “ai cavalieri romani illustri”, ma anche il clima di distensione tra principe e senato dopo la conquista dell’Egitto è apparso nettamente in contrasto con il divieto, che - se riservato ai soli senatori - non poteva che finire per apparire intollerabile[58].

Vero è che sembra che Ottaviano ancora nel 29 a.C. diffidasse dei senatori, al punto da temerne una rivolta, tanto da far divulgare la falsa notizia della distruzione di tutti gli atti di Antonio e che al momento della lectio senatus del 29-28 a.C., sembra che si aggirasse armato e disponesse la perquisizione dei senatori apparsi al suo conspetto[59], ma è pure vero che la singolarità del divieto per i soli senatori ha spinto gli studiosi reiteratamente a ricercarne i motivi[60], poichè la presunta   foga antisenatoria di Augusto resta non facilmente spiegabile in un momento di generale pacificazione[61], né giustificata dal “terrore dell’Egitto”, il tema propagandistico augusteo nella lotta contro Antonio, che avrebbe determinato la riserva del governo.

Sembra da scartare la giustificazione di Levi[62], basata sulla salvaguardia di esigenze di protocollo, sulla necessità, cioè,  di preservare l’autorità del prefetto, che in quanto cavaliere avrebbe dovuto rendere omaggio agli eventuali senatori giunti in Egitto, poiché il divieto augusteo non era tassativo e più di un senatore è epigraficamente attestato in Egitto[63]. Dunque le eccezioni avrebbero determinato gli inconvenienti che per Levi sarebbero stati causa della restrizione[64] ed inoltre è incontestabile che nel testo di Tacito il divieto si riferiva non solo a senatori, ma anche a cavalieri illustri e non è affatto certo che questi ultimi fossero solo i figli di senatori, per nascita e temporaneamente di rango equestre. 

Anche la notizia fornita in proposito da Cassio Dione (fig. 20) è apparsa alquanto ambigua:

 

Cassio Dione 51, 17, 1:

 

 

"Dopo questi fatti impose un tributo all’Egitto e ne affidò il governo a Cornelio Gallo. Poiché era un paese molto popoloso, sia nelle città che nelle campagne, abitato da gente volubile e frivola, capace di fornire grano e altre ricchezze, non volle affidarne il governo ad un senatore, anzi vietò di dimorare colà, eccettuato a colui al quale egli avesse dato uno speciale permesso. Non volle neppure che a Roma ci fossero senatori egiziani."

 

Dopo aver indicato i motivi per i quali Ottaviano non avrebbe osato affidare il governo dell’Egitto ai senatori, si dichiara che egli non diede la possibilità ad alcuno di dimorare colà, se non l’avesse permesso nominativamente. Si è osservato che: “tini; potrebbe sottintendere ed in tal caso il divieto risulterebbe circoscritto ai soli senatori. Ma potrebbe anche non sottintendere niente e in questo caso prenderebbe corpo l’idea di un provvedimento ben diverso, il quale disponeva in generale che nessuno poteva recarsi in Egitto se non con un permesso nominativo: formalmente, non solo i senatori o i cavalieri, ma  anche i proletari”[65].

Sembra che al ritorno dall’Egitto a Roma Ottaviano abbia proibito a tutti i membri del senato di uscire dall’Italia senza permesso[66], se non per andare in Sicilia[67] e, da Claudio in poi, nella Gallia Narbonense, non per politica antisenatoria, ma per ribadire l’antico obbligo per i senatori di risiedere nella capitale e limitare l’assenteismo nel senato. Infatti i senatori per uscire dall’Italia già in età repubblicana ottenevano, sotto forma di libera legatio, un permesso dal senato e Cesare aveva esteso ai figli dei senatori il divieto in questione. Sembra che l’imperatore Claudio abbia espressamente sollecitato l’emanazione di un SC che attribuisse la facolta della concessione dei permessi di espatrio per i senatori riservandoli alla competenza esclusiva imperiale, autorizzazione fino ad allora condivisa col senato[68]. Agli inizi del III sec. d.C. i senatori che ottenevano il libero commeatus, mantenevano tuttavia il domicilio nella città di Roma[69] e nel tardo impero incombeva l’obbligo della residenza urbana sui votanti in senato, tanto di Roma che di Costantinopoli[70].

Non è dunque affatto da escludere che Ottaviano, nel quadro del ripristino della funzionalità del senato che si delineava con l’imminente lectio, abbia impedito ai senatori di uscire dall’Italia. Nello stesso tempo è probabile che abbia mantenuto la disposizione tolemaica sul controllo generalizzato del transito in Egitto, non solo in uscita, ma anche in entrata, imponendo a tutti visti di ingresso che Strabone dichiara di aver di persona sperimentato nel lungo soggiorno alessandrino, anche se rispetto alla rigidezza tolemaica, sotto i romani il controllo del transito sembrava ormai a lui divenuto meno severo. Per Manfredini dunque vi sarebbe stato uno specifico divieto per i senatori di uscire dall’Italia senza permesso, un generale divieto di entrare senza autorizzazione in Egitto o di uscirne ed una esclusione  dei senatori dal governo di tale importante territorio, quest’ultima  determinata, come generalmente si ammette, da motivi politici.

Il testo di Tacito (II, 59) (fig. 21) con l’esplicita, ma unica, dichiarazione della necessità di un permesso per senatori e cavalieri illustri è, come è noto, collegato all’incidente del viaggio egiziano di Germanico senatore[71] e potrebbe il suo tenore essere stato determinato proprio da tale evento: in quanto lo storico si riferiva a Germanico senatore che era entrato in Egitto senza permesso, il divieto generale egiziano nella sua applicazione a Germanico, finiva con l’apparire un provvedimento espressamente emanato per i senatori ed i potenti in genere[72] e diverso dal divieto generale per tutti di entrare in Egitto. Ma Cassio Dione[73] testualmente indicava la necessità di un generale permesso di soggiorno in Egitto e Svetonio[74] nel riferire la lamentela di Tiberio nei confronti di Germanico, non accennava ad alcun divieto per i senatori soltanto, ma all’ingresso non autorizzato in Alessandria per una grave ed improvvisa carestia.

Geraci[75] giudica l’interpretazione fornita da Manfredini[76] del testo di Dione Cassio (LI, 17, 1) assolutamente inammissibile, rilevando giustamente la sostanziale diversità tra la norma che interdiceva ai senatori di lasciare l’Italia senza permesso e la disposizione che vietava a chiunque di entrare in Egitto. “A parte la sostanziale diversità delle due disposizioni, che regolavano rispettivamente il diritto di uscita da una regione e quello di entrata in un’altra, si dovrà obiettare che tale differenza è riscontrabile anche in Tacito, Ann. II, 59, in cui Germanico contravviene alla proibizione di introdursi in Egitto senza preventiva autorizzazione, pur avendo evidentemente ottenuto il consenso di abbandonare l’Italia”.

Ma sostenere l’esistenza di uno specifico divieto per i senatori di entrare in Egitto solo sulla base del testo di Tacito, dichiarando inammissibile la pur possibile interpretazione del passo di Dione, è cosa diversa. D’altro canto la conoscenza e l’utilizzazione di Tacito da parte di Cassio Dione è nota[77] ed avvertibile la concordanza tra i due autori nella descrizione delle caratteristiche dell’Egitto[78].

La questione del governo dell’Egitto, che utilmente Geraci ha sollevato, lo poneva a mio avviso in condizione di poter distinguere il divieto di governo per i senatori, dal divieto d’ingresso per tutti[79]. E’ possibile in conclusione che ai senatori fosse stato vietato di lasciare l’Italia, a tutti di entrare ed uscire dall’Egitto, riservando ai cavalieri il governo di tale territorio, senza necessità di postulare un divieto specifico d’accesso in Egitto soltanto per i membri del senato.

Pur disponendo di una documentazione straordinaria[80], numerosi e assai dibattuti sono i punti oscuri della vicenda di Germanico in Egitto. Non mi sembra tuttavia che alcuno si sia soffermato particolarmente su di un aspetto che finirebbe per attribuire all’episodio un significato preciso: la sorprendente latitanza del prefetto d’Egitto. Solo pochi studiosi dichiarano che la sua posizione nell’intera faccenda non si lascia affatto decifrare[81] e Balconi, occupandosi della prefettura di C. Galerio, nota che il prefetto non compare mai nel corso della visita, ma prudentemente sottolinea la delicatezza della situazione e ne giustifica l’atteggiamento riservato, che avrebbe finito per determinare la permanenza in carica[82].

Non solo in rapporto alla vicenda di Germanico il prefetto non viene mai menzionato, ma l’identificazione con C. Galerio, generalmente accolta, riposa su basi non solide. Torna alla mente il P. Col. 123, ove il richiamo non nominativo del governatore è stato ritenuto indizio di vacanza nella carica in seguito a cattiva amministrazione, che avrebbe addirittura indotto l’imperatore a visitare l’Egitto tra il 199 ed il 200 d.C.[83]

Come poteva Germanico, nello straordinario discorso a lui attribuito nel P.Oxy. XXV, 2435 (fig. 22), non rivolgere neppure un cenno al prefetto, se presente?  Ed emanare editti per l’Egitto con un governatore in carica, mai ricordato?  Come poteva Tacito dichiarare che Germanico pretendeva la cura della provincia[84], nonostante essa spettasse al legittimo prefetto e giustificare poi l’apertura dei granai, di qualsiasi tipo essi siano stati e relativi a qualsivoglia raccolto, senza una partecipazione del governo provinciale, che non viene mai esplicitata?

L’identificazione del prefetto con C. Galerio è ipotesi  di Cantarelli che in base ad un passo di Seneca[85] (fig. 23) - che ricorda lo zio che per sedecim annos…Aegyptum…optinuit - ritiene che l’unico ad aver potuto occupare la prefettura per un tempo tanto lungo – per lui da Emilio Retto a Vitrasio Pollione, dal 16 al 31 d.C. (?) - sia appunto Galerio,  menzionato però con certezza in realtà solo in due documenti, dal 2 marzo al 27 agosto dell’anno 23 d.C.[86]

Non solo è l’unico tra tutti i prefetti che si ipotizza abbia occupato la carica così a lungo, rispetto ad una durata media da uno a quattro anni[87], ma v’è anche chi ha proposto identificazioni diverse  dello zio del filosofo (Emilio Retto, Vitrasio Pollione, uno dei prefetti degli ultimi anni di Augusto)[88], morto in mare nella nave disalberata durante una tempesta al ritorno dall’Egitto[89] o chi legittimamente ha supposto che i sedici anni possano anche non essere stati continui[90], come affermato da Cantarelli, o essere riducibili a tredici in seguito ad un errore degli amanuensi o addirittura non tutti trascorsi proprio al vertice dell’Egitto: Seneca infatti voleva consolare la madre per l’esilio in Corsica, non informare con precisione burocratica in merito al governo supremo del territorio egiziano.

Chiunque sia stato in realtà lo zio di Seneca - vi sono troppe incognite che restano aperte a soluzioni diverse - non v’è dubbio che il periodo dagli inizi del regno di Tiberio fino al 32 d.C.[91] presenta due sole date certe per la prefettura d’Egitto, quelle indicate per Galerio e l’anno 23[92]. Tale clima d’incertezza ha  ora indotto a confermare in base a nuovi dati Magio Massimo tra il 14 ed il 15 ed a radicalmente espungere ben tre prefetti[93] [Seio Strabone, Emilio Retto del 15 (?) e Vitrasio Pollione del 32], per lasciare a Galerio intatta la sua lunga prefettura. Ma la notizia di  Cassio Dione[94] (fig. 24) riferita all’allontanamento dall’Egitto di Emilio Retto[95] da parte di Tiberio con la dichiarazione sarcastica che si collegava all’antica metafora del sovrano “pastore del suo popolo” (“Voglio che le mie greggi vengano tosate, non scorticate”) potrebbe essere stata connessa alla vicenda di Germanico ed alla notizia della fame in Egitto: basterebbe collocare l’episodio, non datato con certezza ma certo attribuibile ad un prefetto[96], ad un momento prossimo al viaggio di Germanico in Egitto.

Si è notato infatti che la presunta carestia della quale parla Svetonio[97] (fig.25) per giustificare l’intervento di Germanico in Egitto non sembra trovare riscontro nella documentazione del livello dell’inondazione, in un evento naturale cioè di cui non sembra esservi traccia[98], ma se si ammette un errore burocratico nella determinazione dell’ammontare delle imposte connesso all’inondazione, non solo la frase di Tiberio e la conseguente rimozione del prefetto appaiono giustificate, ma anche plausibile la sollecitudine di Germanico ad intervenire, vantando l’incarico affidatogli  e la cura della provincia[99] (fig. 26). A questo punto è chiaro che né lui, né altri del suo consilium, avrebbero potuto prevedere la piega che avrebbe preso la vicenda. Si è infatti sollevata la questione della inconsapevolezza della colpa di Germanico[100] (fig. 27). Se si fosse trattato di un divieto generale d’ingresso in Egitto, valido per tutti e superabile normalmente con l’avallo del prefetto o dell’imperatore, il viaggio in un momento di crisi della prefettura avrebbe potuto apparire legittimo, anzi auspicabile, per un personaggio come Germanico, ma intollerabile agli occhi di Tiberio, se associato agli onori che gli furono tributati all’arrivo. Senza un prefetto in carica, sbandierare nei vessilli il cartiglio faraonico con il nome di Germanico e della sua augusta consorte[101] sarebbe stata scorrettezza ben più percepibile dell’ingresso senza lasciapassare, soprattutto dopo il precedente di Cornelio Gallo[102]. Ed infatti le acclamazioni locali, se associate alla concezione egiziana di un re come “incrementatore, accrescitore”[103] - augusto appunto - preoccuparono immediatamente Germanico, che reagì con uno dei due editti riferiti in SB 3924 (fig.  28). In tale situazione l’unico pretesto che Tiberio poteva lamentare era soltanto la banale violazione della prescrizione augustea sull’ingresso[104] (fig. 29), soprattutto se rafforzata per Germanico dal “terrore dell’Egitto” il motivo propagandistico che aveva determinato l’esclusione dal governo dei senatori ed in genere di personaggi potenti ed inaffidabili. Occorreva immediatamente coprire il vuoto di potere determinatosi ed infatti Plinio (fig. 30) narra che C. Galerio fu uno dei più celeri prefetti che in soli sette giorni partendo dalla Sicilia riuscì ad insediarsi ad Alessandria[105]. Tanta urgenza si giustifica pienamente alla luce della necessità per Tiberio di riprendere immediatamente il controllo di un territorio, “loquax et in contumelias praefectorum ingeniosa prouincia, in qua”, come dice Seneca[106] “etiam qui vitaverunt culpam, non effugerunt infamiam” (fig. 31).

A differenza del prefetto Emilio Retto, Cornelio Gallo e Germanico erano senza colpa, ma non riuscirono a sfuggire all’infamia!

Gianfranco Purpura

Dipartimento di Storia del Diritto

Università di Palermo

 

 

Note:

[1] Sabatini, v. “Passaporto”, NNDI, XII, 1965, pp. 548-550. 
[2] Mazziotti, v. “Espatrio (libertà di) ”, Encicl. del Diritto, Milano, XV, 1966, pp. 728 ss.

[3] Stipo, v. “Passaporto”, Encicl. del Diritto, Milano, XXXII, 1982, p. 173: “…l’autorizzazione è atto essenzialmente discrezionale, per cui parlare di autorizzazione vincolata costituisce una contradictio in adiecto”.

[4] Mumford, La città nella storia, I, Milano, 19906, p. 94.
[5] Stipo, op. cit., p. 165.

[6] Bognetti, Note per la storia del passaporto e del salvacondotto, Studi per le scienze giuridiche e sociali dell’Università di Pavia, 1931-1933.

[7] Sabatini, op. cit., p. 548.

[8] Sabatini, op. cit., p. 549: “…indubbiamente, anche per espressa dizione legislativa, il passaporto è atto certificativo dell’identità della persona, alla stessa guisa della carta d’identità.”

[9] Voce “Passaporto”, Encicl. Garzanti del Diritto, Milano 1993, p. 870 e s.

[10] Reinach, Un code fiscal de l’Égypte romaine: le Gnomon de l’Idioslogue, RHDEF, 44, 1920, p. 119; Meyer, Juristische Papyri. Erklärung der  Urkunden  zur  Einführung  in die juristische Papyruskunde, Berlino, 1920, p. 334;Uxkull von Gyllenband, Der Gnomon des Idios Logos, Berlin, 1934, pp. 63 – 69; Reinmuth, The prefect of Egypt from Augustus to Diocletian, Klio, 21 (rist. ed. 1935), Aalen, 1963, p. 32 e s.; De Laet, Portorium, Brugge, 1949, p. 329; S. Riccobono jr., Il Gnomon dell’Idioslogos, Palermo, 1950, p. 203 ; Taubenschlag,  The law of the graeco-roman Egypt in the light of the papyri. 332 B.C. – 640 A. D., Warszawa, 1955, p. 642 e s.

[11] P.Oxy. X, 1271 del 246 d.C.; P. Oxy. XVII, 2132 del         .
[12] §§ 64-69.

[13] Dittenberger, OGIS I-II, 674, l. 4 (A.Bernand, Les Portes du désert. Recueil des inscriptions grecques d'Antinooupolis, Tentyris, Koptos, Apollonopolis Parva et Apollonopolis Magna, Paris, 1984,  67, l.4). del 10 maggio 90 d.C.

[14] P. Theon. 7, l. 3.

[15] Un viene menzionato in numerose naulwtikai; suggrafai;: ad es. in P.Lond. II, 256 r l. 10 del 15 d.C. (Wilcken, Chrest. 443); P. Strasb. IV, 205, ll. 4-5 (c.a. 135 d.C.);  P. Strasb. IV, 202, l. 6 del 139 d.C.; P.Princ. II, 26, l. 14 del 154 d.C.; POxy. X, 1259, l. 10 del 211/2 d.C. Meyer-Termeer, Die Haftung der Sciffer im griechischen und römischen Recht, Zutphen, 1978, p. 6 e nt. 53. Ancora il termine si rintraccia in alcuni papiri di varia età connessi con il trasporto del grano: nel P. Amherst 138, l. 10; C.P.Herm. 6, l. 13; P.Tebt. II, 486; P.Tebt. III, 703; P.Oxy. III, 522, ll. 1; 13; 31; IX, 1197 = SB 18, 13333, l. 13; BGU VIII, 1741 l. 1; CPR VII, 26, l. 6; 18;24;32; P. Bad. II, 29 l.6; P.Erasm. II, 25, l.6; P.Erasm. II, 28, l.6; P.Fay. 118, l. 13; P.Gur. 13, l. 28; P. Hamb. II, 191, l. 8; P.Iand. Inv. 653, 2, ll. 2 e 17; PIFAO II, 29, l.6; P. Laur.III, 67, l. 13; P.Mil.(Congr. XIV) 31, l.16; P.Par. 70 (p. 411, l.5) = UPZ II, 159; PSI XII, 1229, l.13; PSI XV, 1569, l.2; P. Strasb. IV, 206, l.4; P. Strasb. IV, 295, l.11; SB V, 8754, l.8; SB VI, 9088, l.8; SB VI, 9144, l. 4; SB VI, 9597, ll.7 e 13; SB X, 10456, l. 13; Stud.Pal. V, 6, l.12. 

[16] D. 49, 6, 1 (Marciano, libro secundo de appellationibus): Post appellationem interpositam litterae dandae sunt ab eo, a quo appellatum est, ad eum, qui de appellatione cogniturus est, siue principem siue quem alium, quas litteras dimissorias siue appellant. Cfr. P.Münch. III, 3, 1, 78,  l. 14.

[17] IC III, 4 (Itanos), 9, l. 99; SEG I, 19, 41(Cipro), 18, 579, 4; P.Cairo Zen. III, 59299, ll. 2 e 8; P.Lond. 1343, ll. 10; 17; 40; P.Lond. 1348, l. 47;  P.Lond. 1351, l.3;  P.Lond. 1353, l.14;  P.Lond. 1354, l.15; P.Lond. 1394, l.14;    P.Lond. 1399,  l.12; P.Lond. 1940, l. 3; P.Lond. 1963, l.18;  P.Lond. 2141, 1, l. 3;  P.Oxy. IV, 736, l.2; P.Oxy. IX, 1190,  l.12; P.Panop. 29, l.15;  P.Ross.Georg.  IV, 1, ll. 7; 21; 31; P.Ross.Georg.  IV, 5, l.28; P.Ross.Georg.  IV, 11, l.3; P. Ryl. II, 224, l.11; PSI V, 502, l.24;  P. Tebt. I, 112; P. Tebt. I, 208;  P.Wash.Univ. I, 41, l.7.   

[18] Taubenschlag,  The law of the graeco-roman Egypt, cit., p. 643.

[19] Palazzolo, Le modalità di trasmissione dei provvedimenti imperiali nelle province (II –III sec. d. C.), IURA, 28, 1977, pp. 40 ss.; Id., Processo civile e politica giudiziaria nel Principato, Torino, 1991, pp. 112 ss.; Williams, The  publication of imperial subscripts, ZPE, 40, 1980, pp. 283 ss.

[20] Schubart W., Der Gnomon des Idioslogos, Amtliche Berichte, XLI, 1919 – 1920, p. 28;  S. Riccobono jr., Il Gnomon dell’Idioslogos, cit., p. 208; Taubenschlag,  The law of the graeco-roman Egypt, cit., p. 643 nt. 123.

[21] Schwahn, Schiffspapiere, Rhein. Museum, 81, pp. 39 ss.
[22] Taubenschlag,  The law of the graeco-roman Egypt, cit., p. 643.

[23] Indirizzato al prefetto d’Egitto Aurelio Appio Sabino dal cittadino Aurelio Didimo, il documento, alquanto lacunoso, è ritenuto da Taubenschlag un altro lasciapassare. Taubenschlag, The law of the graeco-roman Egypt, cit.,  p. 643 nt. 123: “The idea that the Romans could leave the country without the prefects permission and that the mentioned in Gnomon §. 68 are not identical with the (so Uxkull von Gyllenband, l.c.) is, as Oxy. 2132 shows, wrong.”; S. Riccobono jr., Il Gnomon dell’Idioslogos, cit., p. 209.

[24] Uxkull von Gyllenband, Der Gnomon, cit., p. 69.
[25] Così già Riccobono, op. cit., p. 209.

[26] Indirizzato al prefetto d’Egitto Aurelio Appio Sabino dal cittadino Aurelio Didimo, il documento, alquanto lacunoso, è ritenuto da Taubenschlag un altro lasciapassare. Taubenschlag, The law of the graeco-roman Egypt, cit.,  p. 643 nt. 123: “The idea that the Romans could leave the country without the prefects permission and that the t¦ prÕj œkploun gr£mmata mentioned in Gnomon §. 68 are not identical with the ¢pÒstoloj (so Uxkull von Gyllenband, l.c.) is, as Oxy. 2132 shows, wrong.”; S. Riccobono jr., Il Gnomon dell’Idioslogos, cit., p. 209.

[27] Arangio Ruiz, L’enigma costituzionale dell’antica Alessandria, Nuova Antologia, 82, 1947, p. 59 (= Labeo, 5, 1959, p. 79 = Studi Arangio Ruiz, IV, 1977, p. 119). 

[28] Uxkull von Gyllenband, l.c.
[29] S. G. MacCormack, Arte e cerimoniale nell’Antichità, Torino, 1995, pp. 25 ss.

[30] D. 1, 17, 1: Ulpianus,  libro quinto decimo ad edictum. Praefectus Aegypti non prius deponit praefecturam et imperium, quod ad similitudinem proconsulis lege sub Augusto ei datum est, quam Alexandriam ingressus sit successor eius, licet in prouinciam uenerit: et ita mandatis eius continetur.

[31] Ulpianus libro primo de officio proconsulis. Ingressum etiam hoc eum (il governatore) obseruare oportet, ut per eam partem prouinciam ingrediatur, per quam ingredi moris est, et quas Graeci ἐπιδημίας appellant siue κατάπλουν obseruare, in quam primum ciuitatem ueniat uel applicet: magni enim facient prouinciales seruari sibi consuetudinem istam et huiusmodi praerogatiuas. quaedam prouinciae etiam hoc habent, ut per mare in eam prouinciam proconsul ueniat…

[32] Per l’età repubblicana cfr. Mancuso, Brevissime note in tema di acquisto illegale della cittadinanza e di immigrazione clandestina a Roma durante la repubblica, Iuris Vincula, St. Talamanca, V, Roma, 2002, pp. 121-127.

[33] Gnomon §. 66:  
.

[34] Uxkull von Gyllenband, Der Gnomon des Idios Logos, Berlin, 1934, p. 66, dichiara: „Die Ausreise aus Ägypten, vor allem zur See, war  den staatsrechtlich bevorzugten Klassen grundsätzlich erlaubt, also Römern, Alexandrinern und sicherlich auch den ajstoiv.

[35] Charles-Picard, Rougè, Textes et doc. relatifs à la vie économ. et soc. Dans l’Empire romain, Paris, 1969, p. 121 e s.

[36] Impallomeni, Plin. Epist. 10, 5; 6; 7b; 10 e la concessione dello “ius quiritium” a liberte latine e della cittadinanza romana a liberto egizio, Scritti Impallomeni, Padova, 1996, pp. 661-666.

[37] Filostrato, Vita di Apollonio I, 20.
[38] P. Oxy. XIV, 1650; 1651 (III sec. d.C.)
[39] Sabatini, v. “Passaporto”, NNDI, cit.,  p. 550.
[40] De Laet, Portorium, cit., pp. 297 ss.
[41] De Laet, Portorium, cit., p. 300 e s.

[42] Montevecchi, L’amministrazione dell’Egitto sotto i Giulio Claudii, ANRW, II, 10, 1, Berlin – New York, 1988, p. 464.

[43] Dittenberger, OGIS I-II, 674, l. 22 (A.Bernand, Les Portes du désert., cit,  67, l. 22): …σφραγισμοῦ πιττακίου ὀβολοὺς δύο. Johnson, Roman Egypt, in Tenney Frank, An economic survey of anc. Rome, New-York, 1975, n. 345, p. 593 e s.

[44] Uxkull von Gyllenband, Der Gnomon des Idios Logos, cit., p. 64.
[45] Montevecchi, L’amministrazione dell’Egitto sotto i Giulio Claudii, ANRW, II, 10, 1, Berlin – New York, 1988, p. 464.

[46] Reinmuth, CPh., 31, 1936, p. 152 nt. 9.

[47] Così Raschke, New studies in roman commerce with the East, ANRW, II, 9, 2, Berlin-New-York, 1978, p. 900 nt. 990.

[48] Raschke, l.c. con lett. e testi ivi cit. Cfr. anche Montevecchi, L’amministrazione dell’Egitto sotto i Giulio Claudii, cit., p. 464.

[49] Ad es.: TAM v, 1-2 (Lydia) 251, l. 6; BGU III, 809, l. 5; IV, 1155, l. 15; IV, 1167, ll. 4; 9; 14; IV, 1208, l. 5; 22; VI, 1303, ll. 18; 25; VIII, 1873, ll. 17; 21; XIII, 2353, l. 13; CIRB 836, l. 4; Caria, Aphrodisias 138, ll. 21; 25; CPR VII, 23, 1, ll. 1; 3; 5; 7; VII, 23, 3, l. 37; X, 7, l. 11; Moretti, IGUR 246, l. 10; IG 830, l. 38; P.Oxy. 48, 3429, l.8; 9; 10; 12; 13; P.Oxy. 55, 3804, l. 10; P.Oxy. 56, 3860, l. 26; P.Oxy. 56, 3868, l. 8; P. RainCent. 154, ll. 3; 4; 5; 6; P.Str. V, 325, l. 2; V, 400, l. 11; PSI III, 238, l. 9; P.Ryl. II, 122, l. 17; P.Ryl. IV, 593, l. 7; P.Sakaon 5, 2, l. 18; SB V, 8247, l. 1;

[50] P.Oxy. XIV, 1650, 1, l. 16; 2, l.. 33; P.Oxy. XIV, 1650 A, l. 7; P.Oxy. XIV, 1651, l. 17; su tali documenti v. De Laet, Portorium, cit., p. 317 ss.

[51] Manfredini, Ottaviano, l’Egitto, i senatori e l’oracolo, Labeo, 38, 1986, pp. 7- 26.

[52] Scriptores Historia Augusta 22, 9-14: Tacendum esse non credo, quod, cum de Aegypto loquor, vetus suggessit historia, simul etiam Gallieni factum. qui cum Theodoto vellet imperium proconsulare decernere, a sacerdotibus est prohibitus, qui dixerunt fasces consulares ingredi Alexandriam non licere; cuius rei etiam Ciceronem, cum contra Gabinium loquitur, meminisse satis novimus. Denique nunc extat memoria rei frequentatae. quare scire oportet Herennium Celsum, vestrum parentem, consulatum cupit, hoc quod desiderat non licere. Fertur enim apud Memfim in aurea columna Aegyptiis esse litteris scriptum tunc demum Aegyptum liberam fore, cum in eam venissent Romani fasces et praetexta Romanorum. quod apud Proculum grammaticum, doctissimum sui temporis virum, cum de peregrinis regionibus loquitur, invenitur.

[53] Cesare, Bellum civile III, 106, 4: Alexandriae de Pompei morte cognoscit atque ibi primum e navi egrediens clamorem militum audit, quos rex in oppido praesidii causa reliquerat, et concursum ad se fieri videt, quod fasces anteferrentur. In hoc omnis multitudo maiestatem regiam minui praedicabat. Hoc sedato tumultu crebrae continuis diebus ex concursu multitudinis concitationes fiebant conpluresque milites in viis urbis omnibus partibus interficiebantur. 

[54] Geraci, Genesi della provincia romana d’Egitto, Bologna, 1983.

[55] Una valutazione in Amelotti, L’Egitto augusteo tra novità e continuità: una lettura della più recente bibliografia, Egitto e Storia antica. Dall’ellenismo all’età araba, Atti del Colloquio Internazionale, Bologna, 1987, pp. 243-9.

[56] Lo stoico Atenodoro fu il maestro di Ottaviano ed, a prescindere dai frequenti riferimenti a temi stoici (ad es. le api e l’alveare. Pugliese Carratelli, Il regno delle api e la ‘domus Augusta’, La Parola del passato, 212, 1983, pp. 327 ss.), significativo è l’episodio della morte narrato da Svetonio (Aug. 99). Grimal, Auguste et Athénodore, in Grimal, Rome. La littérature et l’histoire, II, pp. 1147 ss.

[57] Dessau, Geschichte der römischen Kaiserzeit, Berlin, 1924, pp. 137 ss.; Draeger, Heraeus, Die Annalen des Tacitus, I, 1, Leipzig – Berlin, 1917, p. 130 nt.10 (“cavalieri che potevano essere senatori”); van Groningen, L’Égypte et l’empire. Étude de droit public romain, Aegyptus, 7, 1926, pp. 197 ss.; Levi, L’esclusione dei senatori romani dall’Egitto augusteo, Aegyptus, V, 1924, pp. 231 ss. (“cavalieri di rango senatorio”); Id., Cleopatra e l’aspide, La parola del passato, 9, 1954, pp. 295 ss. (“senatori”); Mommsen, Storia di Roma antica, 3, Firenze, 19652, p. 693 (“persone dell’ordine senatorio e senatori”); Borneque, cit in  Nicolet, L’orde équestre à l’époque républicaine, I, Paris, 1966, p. 228 nt. 3 (“cavalieri di stirpe senatoria”); Koestermann, Tacitus, I, Heidelberg, 1963, p. 366 e Wuilleumier, Tacite, Annales, I-III, Paris, 1978, p. 120 nt. 7 (“cavalieri di censo senatorio”). Cfr. Manfredini, op. cit., pp. 10 nt. 22 e p. 12 nt. 29.

[58] Manfredini, op. cit., p. 10.

[59] Geraci,   jEparciva de nu§n ejsti;. La concezione augustea del governo d’Egitto, ANRW, II, 10, 1, Berlin – New York, 1088, p. 406.

[60] Così Levi, l.c. e  De Martino, Storia della costituzione romana, IV, 2, Napoli, 1975, p. 857.
[61] Così  Manfredini, l.c.

[62] Levi, L’esclusione, cit., p. 231; cfr. anche Huzar, Augustus, heir of the Ptolemies, ANRW,  II, 10, 1, Berlin – New York, 1988, p. 353 nt. 36; contra De Martino, op. cit., pp. 857 ss.; Manfredini, op. cit., p. 11. 

[63] CIL III, 74 = ILS 8738 = Inscr. Philae II, 143 (C. Numosius Vala, il legato di Varo. Cfr. Hohlwein, CE, 15, 1940, p. 263 e Raschke, op. cit., p. 901 nt. 991); CIL III, 52 = Bernard, Inscr. du Colosse de Memnon 6 (M. Herennius Faustus); almeno un altro caso in Raschke, op. cit., p. 901 nt. 991. Cfr. anche Walton, Oriental senators in the service of Roma: a study of imperial policy down to the death of Marcus Aurelius, JRS, 19, 1929, pp. 38 ss.; Reynolds, Senators originating in the provinces of Egypt and of Crete and Cyrene, Epigrafia ed ordine senatorio, II, Roma, 1982, pp. 672 ss.

[64] Geraci, op. cit., p. 139.
[65] Manfredini, op. cit., p. 14 e s. 
[66] Cassio Dione 52, 42, 6-7.

[67] L’esenzione siciliana sarebbe stata prevista, secondo Manfredini (op. cit., p. 17 nt. 44), o da Ottaviano o da Caligola (Svet., Calig. 29, che indica la persistenza dell’obbligo per la Grecia).

[68] Tac.,  Ann. 12, 23; Svet, Claud. 23; Cassio Dione 60, 25, 6-7; Suidas, sv. Claudios.

[69] D. 50, 1, 22, 6 (Paolo): Senatores, qui liberum commeatum, id est ubi uelint morandi arbitrium impetrauerunt, domicilium in urbe retinent.

[70] C.Th. VI,2, 4, 11; C. XII, 1, 15; XII, 1, 18.

[71] Hohl, Ein röm. Priz in Aegypten Preuss. Jbb., 182, 1920, pp. 350 ss. ; De Visscher, Un incident de secour de Germanique en Egypte, Museon, 59, 1946, pp. 261 ss.;  van Ooteghem, Germanicus en Egypte, Et. Class., 27, 1959, pp. 246 ss. (non vidi).

[72] Così si esprime Manfredini, op. cit., p. 16 nel riferirsi però al generale divieto per i senatori di uscire dall’Italia.  Indubbiamente Germanico era stato però autorizzato ad uscire dall’Italia.

[73] Cassio Dione 51, 17, 1.

[74] Svet. Tib. 52: Quod vero Alexandream propter immensam et repentinam famem inconsulto se adisset, questus est in senatu.

[75] geraci,   cit., p.407 nt. 110.
[76] Manfredini, op. cit., pp. 13-14.

[77] Norcio, Introduzione a Cassio Dione, Storia romana, Milano, 2000, p. 35 e s.

[78] Tac., Hist. I, 11 e Cassio Dione LI, 17, 1.

[79] Si attiene invece all’opinione tradizionale in La provincia romana d’Egitto, cit., p. 195, che mantiene, anche dopo la pubblicazione del lavoro di Manfredini, radicalmente rifiutandolo in La concezione augustea, cit. pp. 404 ss.

[80] Wilcken, Chrest. 413 = P.Lond. III, 1159 contiene un testo relativo alle requisizioni di grano per il viaggio di Germanico in Egitto; SB 3924 del 19 d.C. riferisce due editti di Germanico per proibire arbitrarie requisizioni e rifiutare onori divini durante la sua visita; P.Oxy. XXV, 2435 riporta il resoconto delle accoglienze; CIL III, 12047 = XII, 406 = ILS I, 175, add. III, p. CLXX è un’iscrizione conservata ad Avignone, ma proveniente probabilmente dall’Egitto e contenente una dedica a Germanico di tre magistri Larum Augusti. Cfr. Wilcken, Zur Germanicus Papyrus, Hermes, 63, 1927; Id., APF, VI, 1920, pp. 286 ss.; Lehmann-Haupt, Germanicus Getreideverteilung in Aegypten, Klio, 23, 1930, pp. 140 ss.; Wilamowitz-Moellendorff, Zucker, Zwei Edikte des Germanicus auf einem Papyrus des Berliner Museums, Sitzungber. der Preuss. Akad. der Wiss., 1911, pp. 818 ss.

[81] Koestermann, Die Mission des Germanicus im Orient, Historia, 7, 1958, p. 350 nt. 46; Henning, Zur Ägyptenreise des Germanicus, Chiron, II, 1972, p. 362.

[82] Balconi, La prefettura d’Egitto di C. Galerius, Atti del XVII Congr. Intern. di Papirologia, III, Napoli, 1984, p. 1102 e s.

[83] Westermann, Schiller,  Apokrimata. Decisions of Septimius Severus on legal matters, New York, 1954, pp. 13 e 82 ss.

[84] Tacito, Ann. II, 59.

[85] Seneca, Dialog. XII, 19 (Ad Helviam matrem de consolatione), 6: Post hoc nemo miretur quod per sedecim annos quibus Aegyptum maritus eius optinuit numquam in publico conspecta est, neminem prouincialem domum suam admisit, nihil a uiro petit, nihil a se peti passa est. Itaque loquax et in contumelias praefectorum ingeniosa prouincia, in qua etiam qui uitauerunt culpam non effugerunt infamiam, uelut unicum sanctitatis exemplum suspexit et, quod illi difficillimum est cui etiam periculosi sales placent, omnem uerborum licentiam continuit et hodie similem illi, quamuis numquam speret, semper optat. Multum erat, si per sedecim annos illam prouincia probasset: plus est quod ignorauit. Haec non ideo refero ut laudes eius exequar, quas circumscribere est tam parce transcurrere, sed ut intellegas magni animi esse feminam quam non ambitio, non auaritia, comites omnis potentiae et pestes, uicerunt, non metus mortis iam exarmata naue naufragium suum spectantem deterruit quominus exanimi uiro haerens non quaereret quemadmodum inde exiret sed quemadmodum efferret. Huic parem uirtutem exhibeas oportet et animum a luctu recipias et id agas ne quis te putet partus tui paenitere. 

[86] IGR I, 1150, 2 = SB 8317; SB 7256, 3; Bastianini, Liste dei prefetti d’Egitto dal 30 al 299, ZPE, 17, 1975, p. 270.

[87] A. Stein, Die Prefekten von Ägypten in der römischen Kaiserzeit, Berna, 1950, p. 25 e p. 186 e s.; Montevecchi, L’amministrazione dell’Egitto, cit., p. 431.

[88] Borghesi con Emilio Retto; Lipsius e Letronne con Vitrasio Pollione; Lesquier con uno dei prefetti degli ultimi anni di Augusto. Cfr. Cantarelli, Per l’amministrazione e la storia dell’Egitto romano. II. Il  viaggio di Seneca in Egitto, Aegyptus, 8, 1927, p. 91 nt. 5 e Id., La serie dei prefetti d’Egitto, cit., pp. 18 e 20.

[89] Cantarelli, Per l’amministrazione e la storia dell’Egitto romano. II. Il  viaggio di Seneca in Egitto, cit., pp. 89-96. Su Seneca ed i suoi possedimenti in Egitto Stein, Untersuchungen zur Geschichte und Verwaltung Aegyptens unter röm. Herrschaft, Stuttgart, 1915, p. 110 nt. 1 e 2; p. 113; Faider, Sénèque en Egypte, BIFAO, 30, 1931, pp. 83-87; Parassoglou, Imperial Estates in Röm. Egypt, Amsterdam, 1978, pp.17 ss.; Martin, P.Yale inv. 443. Une pièce du dossier de L. Annaeus Seneca, grand propriétaire terrier d’Egypte, Chr. d’Ég., 55, 1980, pp. 271-283.

[90] Come finisce per ammettere Stein, Die Prefekten, cit., p. 196 nt. 33, sostenendo però che la circostanza sarebbe comunque ininfluente. Ma le lacune nella nostra documentazione sono tali da poter considerare alquanto incauta tale affermazione.

[91] Rogers, The prefects of Egypt under Tiberius, TAPhA, 73, 1941, pp. 368 ss.

[92] Balconi, La prefettura d’Egitto di C. Galerius, cit., pp. 1099-1105.

[93] Schwartz, Préfets d’Egypte sous Tibère et Caligula, ZPE, 48, 1982, 189-192 ; Bureth, Le préfet d’Egypte (30 av. J.C. – 297 ap. J.C .), ANRW,  II, 10, 1, Berlin – New York, 1988, p. 498; Bastianini, Il prefetto d’Egitto (30 a.C. – 297 d.C.), pp. 504 e 516. 

[94]   “Per esempio, quando Emilio Retto, il quale aveva mandato dall’Egitto (la regione in cui costui era prefetto) una somma superiore a quella stabilita. (Tiberio) di ritorno gli inviò questo messaggio: “Voglio che le mie greggi vengano tosate, non scorticate”].

[95] Da non confondere con il prefetto del tempo di Claudio.

[96] Svet. Tib. 32, 2: ...praesidibus onerandas tributo prouincias suadentibus rescripsit boni pastoris esse tondere pecus, non deglubere; Oros. VII, 4; Joann. Antioch. fr.  79,2; Suida v. Tiberios 552, 5.

[97] Svet. Tib. 52.
[98] Henning, op. cit., pp. 360 ss. e la lett. ivi cit.

[99] Si è a lungo discusso se l’Oriente comprenda o meno l’Egitto. Henning, op. cit., pp. 354 ss. e la lett. ivi cit.

[100] Tacito, Annali II, 60: ...sed Germanicus, nondum comperto profectionem eam incusari Nilo subvehebatur...

[101] Questa, Il viaggio di Germanico in Oriente e Tacito, Maia, IX, 1957, p. 328.

[102] Costabile, Le Res Gestae di C. Cornelius Gallus nella trilingue di Philae. Nuove letture ed interpretazioni, MEP, IV, 2001, 6, pp. 297-330.

[103] Donadoni, Il re d’Egitto, La Parola del Passato, IV, 1949, pp. 46 ss.

[104] Tacito, Annali II, 59: Tiberius...acerrime increpuit quod contra instituta Augusti non sponte principis Alexandriam introisset.

[105] Plinio, Nat. Hist. XIX, 3: ...ut Galerius a freto Siciliae Alexandriam septimo die pervenerit...

[106] Seneca, Dialog. XII, 19 (Ad Helviam matrem de consolatione), 6.