1. Dell'archivio puteolano dei Sulpicii fa parte un trittico,
ritrovato a Murécine, che riporta, l'una di seguito all'altra, due
formule processuali ben note ai romanisti (TP. 34 = TPSulp. 31)(1).
Già nelle due tavolette cerate rinvenute per prime, contententi la scriptura
interior del trittico, si leggevano, secondo la connessione
individuata da Bove e da Wolf (2),
una prima formula, preceduta da una praescriptio, avente ad
oggetto il dare oportere di 6.000 sesterzi, e, a seguire, una
seconda formula, non munita di praescriptio, deducente in
giudizio il dare oportere di 18.000 sesterzi.
Di recente Camodeca ha individuato anche la terza tavoletta del
trittico, purtroppo danneggiata, su cui è tracciata, graphio, la
scriptura exterior riproducente le medesime formule (3).
Per maggior comodità del lettore, trascriviamo subito il contenuto del
trittico pompeiano, secondo l'edizione critica recentemente proposta da
Camodeca (4):
TPSulp.
31 [= TP. 34]
p.
2
1 Ea res
agetur de sponsione.
2 C(aius) Blossius Celadus iudex esto;
3 si parret C(aium) Marcium Satur[ninum]
4 C(aio) Sulpicio Cinnamo HS I)) d[are]
5 oportere, q(ua) d(e) r(e) agitur,
6 C(aius) Blossius Celadus iudex C(aium)
7 Marcium Saturninum HS I))
8 C(aio) Sulpicio Cinnamo cond[em]nato;
9 si non parret apsolvito.
10 C(aius) Blossius Celadus iudex esto;
p.
3
1 [si pa]rret C(aium) Marcium [Sat]urninum
2 [C(aio)] Sulpicio Cinnam[o] HS [((]I)) I))
3 dare oportere, q(ua) [d(e) r(e) agi]tur,
4 C(aius) Blossius Celadus iude[x] C(aium)
5 Marcium Satu[r]ninum [HS] ((I)) ((I))
6 [C(aio)] Sulpicio Cinnam[o] c[o]ndemnato;
7 si non parret apsolvito.
8 Iudicare iussit A(ulus) Cossinius Priscus (5)
IIvir.
9 [Actu]m Puteol[i]s
9a vacat
10 [F]austo Cornelio Sulla [Fel]ice
11 Q(uinto) Marcio Barea Sorano(6)
Co(n)s(ulibus)
p.
5 ------
S[aturninum C(aio) Sulpicio Cinnamo]
H[S I)) dare oportere q(ua) d(e) r(e) a(gitur) C(aius)]
[Blossius Celadus iudex C(aium) Marcium]
[Saturninum HS I)) C(aio) Sulpicio Cinnamo]
[condemnato; si non parret apsolvito. C(aius)]
[Blossius Celadu]s iud[ex es]to; si parret
C(aium) [Marcium Saturninum C(aio) Sulpicio Cinnamo]
------
Come può
notarsi, il giudice è lo stesso in entrambe le formule: Caio Blossio
Celado (7). Anche le parti sono
le stesse (8): un tale Caio
Sulpicio Cinnamo, liberto di Caio Sulpicio Fausto (9),
come attore (10), ed un tale
Caio Marcio Saturnino come convenuto (11).
Il documento si chiude con la menzione di un unico iussus iudicandi,
l'indicazione del luogo di redazione del documento (Pozzuoli), e della
data consolare, corrispondente al 52 d.C. (12).
L'assenza del giorno e del mese ha fatto pensare che le tabulae
ceratae contenessero una bozza (13).
Forse la loro indicazione andava inserita nel documento nel momento in
cui le tavolette sarebbero state impiegate, nel rigo appositamente
lasciato in bianco (p. 3, l. 9a) fra quello in cui si indica il luogo di
redazione dell'atto (p. 3, l. 9) e quello in cui è menzionata la coppia
dei consoli eponimi (p. 3, ll. 10-11) (14).
2.
È merito di Purpura quello di aver sgomberato il campo dai dubbi
sull'appartenenza delle prime due tavolette ad uno stesso documento (15),
e di aver definitivamente chiarito, dopo le incertezze iniziali, che le
somme di denaro dedotte nelle due formule ammontano, rispettivamente, a
6.000 e a 18.000 sesterzi (16).
Sulla base del rapporto numerico fra le due somme dedotte nelle due
formule come oggetto del dare oportere, che è di uno a tre,
questo Studioso ha ritenuto che i rispettivi programmi di giudizio
fossero fra loro collegati, e che in essi fosse possibile scorgere la
formula di un'actio certae creditae pecuniae preceduta da quella
nascente dalla stipulatio dei relativi interessi, convenuti nella
misura del 33,3% del capitale (17).
Santoro (18), pur giudicando
plausibile tale ipotesi, ne ha individuato, però, alcuni punti deboli (19),
ed ha proposto un'interpretazione alternativa di TP. 34, che fa sempre
leva sul rapporto di uno a tre fra le due somme giudizialmente richieste
dall'attore. Nella prima delle due formule, infatti, può ravvisarsi
quella di un'actio ex sponsione tertiae partis munita di praescriptio
con funzione cosiddetta 'determinativa' (20),
cui segue la formula di un'actio certae creditae pecuniae
(21) . Secondo
questo Autore, inoltre, poiché la formula relativa all'actio ex
sponsione tertiae partis precede quella dell'actio certae
creditae pecuniae, se ne potrebbe desumere che il giudice fosse
chiamato a decidere dapprima sulla somma dovuta in base alla sponsio
tertiae partis e dopo su quella richiesta con la condictio certae
pecuniae: ciò costituirebbe un appiglio in favore della congettura
secondo cui l'actio ex sponsione tertiae partis potesse svolgere,
originariamente, una funzione pregiudiziale (22).
Più di recente, Sturm, pur riconoscendo nelle nostre due formule, sulla
scia di Santoro, quelle di una condictio certae pecuniae e della
relativa actio ex sponsione tertiae partis, ha negato che la praescriptio
che precede la prima delle due formule potesse avere una "fonction
fixatrice, déterminatrice", e, richiamandosi ad una notazione
avanzata incidentalmente da Villers (23),
vi ha individuato una sorta di etichetta indicante il contenuto delle
tavolette (24).
Pur nella loro diversità, tutte le interpretazioni appena riferite
contengono certamente del vero, ed offrono spunti interessanti che
inducono a riesaminare le formule riferite in TPSulp. 31 [= TP. 34]. Si
potrà aggiungere, così, qualche nuovo elemento alla discussione che,
sin dal rinvenimento e dalla pubblicazione di queste tavolette, ha
riportato al centro del dibattito scientifico vecchi problemi, e ne ha
posto di nuovi. Ci riferiamo, in particolare, non solo alla funzione
della praescriptio pro actore, ed al connesso problema che
riguarda i rapporti esistenti fra la praescriptio e la formula
propriamente detta (25), ma
anche alla questione relativa alla originaria funzione pregiudiziale
dell'actio ex sponsione tertiae partis (26).
3.
A convincerci della maggiore verosimiglianza dell'interpretazione di
TPSulp. 31 [= TP. 34] fornita da Santoro in ordine alla identificazione
delle due formule con quelle di un'actio certae pecuniae e della
relativa actio ex sponsione tertiae partis vale la constatazione
che, quando si agiva con un'azione per chiedere in giudizio una certa
pecunia, il convenuto, nella generalità dei casi, avrebbe dovuto
promettere con sponsio di pagare a titolo di penale, 'si temere neget',
un terzo della somma richiesta con l'actio certae creditae pecuniae
(27).
Le informazioni che ci dà Gaio al riguardo sono confermate anche da
altre fonti, tutte degne di fede (28).
Ebbene, l'impiego del termine 'sponsio' proprio in diretto
riferimento alla sponsio tertiae partis va certamente considerato
tecnico, e risulta saldamente attestato, in modo sistematico ed in
diverse aree geografiche (29),
lungo un arco di tempo al centro del quale può collocarsi la redazione
delle nostre tavolette, databili, come s'è detto, al 52 d.C. (30)
A fronte di questi dati, gli indizi addotti in favore dell'ipotesi che
scorge nelle due formule di TPSulp. 31 [= TP. 34] un'actio pecuniae
traiecticiae accompagnata da quella della stipulatio usurarum
non appaiono altrettanto stringenti.
Benché, infatti, sia stato sostenuto che l'uso del termine sponsio
non possa ritenersi tassativo "in senso esclusivamente processuale
nel I sec. d.C."(31), le
fonti non sembrano deporre in questo senso.
La determinazione degli interessi in misura del 33,3% per il prestito
marittimo, inoltre, è testimoniata, in relazione al periodo cui risale
la stesura di TPSulp. 31 [= TP. 34], solamente nel mondo greco, mentre
le attestazioni per il mondo romano sono non solo più tarde, ma anche
numericamente esigue (32).
4.
Per altro verso, non è impossibile controbattere agli argomenti che
sembrerebbero opporsi alla individuazione, nella prima delle due formule
riferite nelle nostre tavolette (33),
di una praescriptio pro actore con funzione cosiddetta 'determinativa'.
In particolare, si è obiettato (34)
che tutti gli altri esempi di praescriptiones pro actore che noi
conosciamo dalla trattazione gaiana:
(1.) sono formulati al congiuntivo presente, laddove la praescriptio
attestata nelle tavolette pompeiane è formulata all'indicativo futuro (35);
(2.) svolgono una funzione cosiddetta 'limitativa', sicché la nostra praescriptio
costituirebbe un esempio unico di praescriptio con funzione 'determinativa';
(3.) riguardano formule di azioni con intentio incerta, mentre la praescriptio
di TPSulp. 31 [= TP. 34] precede una condictio certi (36).
A noi pare, infatti, che ciascuno di questi tre ostacoli non sia
insuperabile se si valuta la praescriptio che precede la prima
delle due formule delle tavolette cerate alla luce del quadro
complessivo delle informazioni desumibili dalle fonti.
5.
Prenderemo le mosse da quegli stessi passi del manuale di Gaio
solitamente richiamati dagli studiosi per sostenere che la praescriptio
pro actore riguardasse soltanto le azioni con intentio incerta
ed avesse una funzione meramente 'limitativa', per proporne una diversa
chiave di lettura.
Ebbene, al riguardo va ricordato, anzi tutto, che l'intera trattazione
dedicata da Gaio alle praescriptiones quae ab actore procifiscuntur
ruota chiaramente intorno alla loro funzione di limitare gli effetti
estintivi e preclusivi della litis contestatio (37).
In ogni caso, il problema di evitare gli effetti estintivi della litis
contestatio poteva riguardare non soltanto il contenuto della
prestazione che si faceva valere in giudizio, ma anche la sua fonte, o
entrambi questi aspetti insieme.
La lacuna di un'intera pagina che il manoscritto veronese delle
Istituzioni gaiane presenta proprio al centro del discorso che riguarda
le praescriptiones pro actore, però, proietta un cono d'ombra su
tutto il quadro della trattazione, di cui non è più possibile, quindi,
una valutazione di insieme. Proprio perché non sappiamo cosa il
giurista dicesse nella parte lacunosa del palinsesto, dunque, non è
prudente, sotto il profilo metodologico, cercare di desumere la funzione
o il regime delle praescriptiones pro actore esclusivamente sulla base
di quanto si ricava dai luoghi superstiti della trattazione,
generalizzando informazioni che, in realtà, costituiscono solamente una
porzione della materia affrontata da Gaio nel suo manualetto. Non si
dimentichi, inoltre, che il giurista non distingue tra funzione
'limitativa' e funzione 'determinativa' della praescriptio pro actore
(38).
Da questo angolo visuale, allora, dovrà constatarsi che non può darsi
per presupposto che la praescriptio pro actore avesse
esclusivamente funzione cosiddetta 'limitativa', perché solo di questo
genere di praescriptio si trova traccia negli esempi addotti da
Gaio nelle sue Institutiones. Sul punto torneremo più in là (infra,
§ 7); ma rileviamo sin d'ora che, in linea generale, non può
escludersi a priori che nella parte del manuale che non è più
possibile leggere si ritrovassero anche esempi di praescriptio
con funzione cosiddetta 'determinativa' (39).
6.
Peraltro, che la praescriptio pro actore non dovesse esser
formulata necessariamente al congiuntivo presente, e che potesse avere
anche una funzione diversa da quella 'limitativa' testimoniata nella
parte superstite della trattazione gaiana dedicata al tema delle praescriptiones,
ci pare desumibile da quanto dice Cicerone in un luogo del De finibus
già segnalato all'attenzione della dottrina (40):
Cic., de
fin., 2.1.3:
Omnis autem in quaerendo quae via quadam et
ratione habetur oratio praescribere primum debet ut quibusdam in
formulis "ea res agetur", ut, inter quos disseritur, conveniat
quid sit id de quo disseratur.
In questo
passo, infatti, si istituisce un parallelo fra la praescriptio
formulare, da un lato, e la precisazione preliminare dei termini di una
controversia, dall'altro, sulla base del presupposto che scopo della praescriptio
era proprio quello di stabilire i termini della questione su cui si
discuteva. Scopo, questo, che corrisponde a quello svolto dalla praescriptio
pro actore con funzione cosiddetta 'determinativa' (41).
Si afferma, infatti, che, in alcune formule (quibusdam in formulis),
la praescriptio serviva a specificare, per ragioni di
convenienza, e di comune accordo fra le parti (42),
ciò su cui verteva la controversia (ut inter quos disseritur,
conveniat quid sit id, de quo disseratur)(43).
Come già si accennava, poi, l'attestazione ciceroniana può invocarsi
anche per superare il primo dei tre ostacoli, più su elencati, che
impedirebbero di scorgere nella praescriptio della prima formula
delle tavolette pompeiane una funzione 'determinativa'. La sua lettura,
infatti, contribuisce a far svanire ogni dubbio su quella che ad alcuni
è apparsa una 'stranezza' della formulazione della praescriptio di
TPSulp. 31 [= TP. 34]: in entrambi i casi, infatti, essa presenta una
forma verbale all'indicativo futuro (ea res agetur) anziché al
congiuntivo presente (44), come
negli esempi di praescriptiones riferiti nella parte superstite
della trattazione gaiana (45).
7.
Né, d'altra parte, può dirsi che Gaio, nel riconnettere la funzione di
questo tipo di praescriptio agli effetti consuntivi della litis
contestatio, non ne discorresse anche in relazione alle azioni con intentio
certa.
È vero che la trattazione comincia riferendo casi in cui, in ragione
della formulazione incerta della intentio, più che nelle
altre azioni doveva esser sentita l'esigenza di determinare la res de
qua agitur a mezzo di praescriptiones (pro actore). Ciò
nondimeno, nell'intera pagina del palinsesto oggi illeggibile, il
giurista potrebbe esser passato ad occuparsi delle praescriptiones
relative alle azioni con intentio certa, e potrebbe aver
riportato esempi di praescriptiones che oggi si direbbero
'determinative' (46).
Un indizio in questo senso, anzi, potrebbe esser costituito dal passo
del palinsesto veronese in cui, subito dopo la lunga lacuna di cui si è
detto, riprende il discorso dedicato alle praescriptiones pro actore.
Si legga
Gai.
4.134:
in intentione formulae de iure quaeritur, id est cui dari
oporteat. Et sane domino dari oportet quod servo stipulatur; at in
praescriptione de [pacto] <facto> (47)
quaeritur, quod secundum naturalem significationem verum esse debet.
Il brano
si riferisce senz'altro alle azioni in ius conceptae (48)
. Sono proprio queste, infatti, quelle in cui, come si legge altrove
(49), de iure quaeritur.
Gaio, riportando l'esempio dell'azione nascente da una stipulatio
compiuta da uno schiavo, contrappone la quaestio de iure,
contemplata nella intentio, alla quaestio de facto,
dedotta, invece, nella praescriptio.
Un primo dato che conviene sottolineare è che, nell'ambito di tale
contrapposizione, Gaio non distingue fra intentiones certae ed intentiones
incertae. Sicché, in base ad una prima lettura del testo
trascritto, non è dato sapere se la stipulatio compiuta dallo
schiavo avesse ad oggetto un certum o un incertum (50).
Ci pare, tuttavia, che il brano gaiano, benché mutilo nella parte
iniziale, contenga ancora un numero di tracce che possono giudicarsi
sufficienti per cercare di individuare quale azione avesse in mente il
giurista in questo punto del suo discorso. Non si può dubitare,
infatti, che si trattasse di un'azione nata da una stipulatio
(compiuta fra il convenuto ed uno schiavo dell'attore); fornita di una praescriptio
in cui de facto quaeritur; e deducente, nell'intentio (in
ius concepta), un dare oportere.
Ebbene, si sa che a tutela delle obbligazioni contratte con stipulatio
sarebbe nata una actio (incerti) ex stipulatu quando oggetto
della stipulatio fosse un incertum; sarebbe nata, invece,
la condictio certae pecuniae, quando si fosse stipulato un certum
(51) .
Entrambe queste azioni avevano intentio in ius concepta, ed
entrambe potevano esser provviste di praescriptio pro actore.
Soltanto la formula della condictio certae pecuniae, però,
contemplava nell'intentio un 'dare oportere' (52),
perché quella dell'actio incerti ex stipulatu, riferita dallo
stesso Gaio (53), deduceva,
invece, un 'dare facere oportere'.
Poiché, dunque, in Gai. 4.134 si parla di un 'dare oportere' (et
sane domino dari oportet), e non di un 'dare facere oportere',
se ne può dedurre che Gaio avesse in mente una condictio
piuttosto che un'actio incerti ex stipulatu, e che, dunque, la stipulatio
conclusa dallo schiavo nell'esempio cui si riferisce il giurista nel
passo in questione fosse una stipulatio certi (54).
Sulla scorta di queste considerazioni, ci pare che voler limitare la
contrapposizione 'in intentione de iure quaeritur'-'in
praescriptione de facto quaeritur' di Gai. 4.134 alle sole formule
con intentio incerta si riveli arbitrario, soprattutto se si
considera che il giurista, nel parlarne, si stesse riferendo - per le
ragioni appena illustrate - proprio ad una condictio certae pecuniae
nascente dalla stipulatio di un certum.
8.
In base alle notizie conservate nel manuale gaiano, comunque, può dirsi
sicuro che, ai fini del giudizio, la questione de iure venisse
dedotta nell'intentio (in ius concepta), e la questione de
facto, invece, nella praescriptio (55).
In casi del genere, la determinazione dell'oggetto del giudizio, in cui
potevano rilevare anche questioni di fatto, non era affidata soltanto
all'intentio. La medesima questione de iure, infatti,
poteva porsi per svariate questioni di fatto.
Tenendo presente quanto appena detto, non deve stupire che la praescriptio
di TPSulp. 31 [= TP. 34] si accompagni ad una condictio certae
pecuniae.
Tale genere di condictio, infatti, era azione astratta (56).
La sua formula tipo, cioè, pur indicando nell'intentio, accanto
alla quaestio de iure (si paret Nm Nm Ao Ao dare oportere)
l'ammontare del credito per cui si agiva, non ne menzionava
espressamente la fonte, sicché non conteneva una determinazione
completa della 'res de qua agitur'.
Si capisce, allora, perché Cicerone, nel difendere l'attore comico
Quinto Roscio, convenuto in giudizio con condictio certae pecuniae
(57) da un tal Fannio Cherea,
si preoccupasse di negare la sussistenza di ognuna delle tre possibili causae
dalle quali, a suo dire, sarebbe potuta nascere l'obbligazione di certa
pecunia azionata dall'avversario del suo cliente (58),
ossia numeratio pecuniae, expensilatio o stipulatio
(59).
Proprio perché la condictio certae pecuniae era azione astratta,
quindi, poteva ben accadere che uno stesso importo di denaro fosse
richiesto dallo stesso creditore nei confronti dello stesso debitore a
vario titolo. Ciò poteva avvenire, ad esempio, quando plurime fossero
le causae in base alle quali si sarebbe potuto agire in giudizio con una
stessa azione nei confronti del medesimo convenuto.
Una volta, però, che si fosse addivenuti ad una litis contestatio
sulla formula di una condictio certae pecuniae deducente
un'obbligazione di ius civile avente ad oggetto il dare oportere
di una data somma di denaro, il rapporto processuale si sarebbe
consumato per sempre, e per quella obbligazione cui si riferiva la
formula deducente un dare oportere l'attore non avrebbe potuto più
agire contro lo stesso convenuto.
Proprio per evitare un inconveniente di questo genere, allora, attore e
convenuto si sarebbero potuti accordare, analogamente a quel che dice
Cicerone nel passo del De finibus più su trascritto, sull'id
de quo disseratur. Un simile accordo avrebbe riguardato non tanto la
quantità di denaro richiesta in giudizio, già indicata nell'intentio
della condictio certae pecuniae, quanto, piuttosto, la fonte del
credito azionato.
Sebbene non vi fosse costretto, infatti, l'attore avrebbe potuto trovare
conveniente, per ragioni di opportunità, determinare meglio la 'res
de qua agitur', specificando nel programma di giudizio anche il
fatto costitutivo della pretesa dedotta nell'intentio, allo scopo di 'causalizzare'
la condictio certae pecuniae.
Tale funzione 'determinativa' - si sa - era quella generalmente
affidata, anche se non in modo esclusivo (60),
alla demonstratio. Era questa, infatti, la pars formulae
che, secondo quel che dice Gaio, era inserita nella formula 'ut
demonstraretur res de qua agitur' (61).
Ma la condictio certae pecuniae aveva formula astratta (oltre che
intentio certa), e, perciò, non avrebbe tollerato alcuna demonstratio
nella sua formula.
Trattandosi, tuttavia, di formula in ius concepta, la quaestio
de facto relativa alla pretesa fatta valere in giudizio poteva esser
dedotta, in conformità a quanto si legge in Gai. 4.134, in una praescriptio
(pro actore) (62).
In questo caso le parole 'qua de re agitur' contenute nell'intentio
della formula, lungi dal costituire una vuota clausola di stile (63),
avrebbero funzionalmente richiamato le parole 'ea res agetur'
contenute nella praescriptio, e, pertanto, avrebbero imposto al
giudice di tener conto anche degli elementi di fatto ivi specificati
(64).
La praescriptio 'ea res agetur de sponsione', quindi, doveva
servire a 'deducere in iudicium' (65)-
ossia ad includere espressamente nella formula (66)
che sarebbe stata oggetto della litis contestatio, e, dunque, nel
rapporto processuale - anche la fonte del credito che si faceva valere,
e non menzionata nell'intentio. Così facendo, la lite si sarebbe
consumata esclusivamente in relazione a quel credito che fosse nato
dalla causa indicata nella praescriptio.
Ebbene, se si considera in quest'ottica la formulazione 'ea res
agetur de sponsione' che si ritrova in TPSulp. 31 [= TP. 34], essa
non suonerà più come uno "strano anacoluto" (67),
bensì come un costrutto non estraneo alla lingua latina, ed attestato
in numerose testimonianze delle fonti, dove si possono leggere enunciati
di tipo paratattico e prolettico caratteristici del linguaggio giuridico
(68), specialmente legislativo (69).
9.
Nella condictio certae pecuniae, azione con intentio in ius
concepta e priva di demonstratio, dunque, soltanto grazie
alla lettura combinata di praescriptio ed intentio si
sarebbe avuta una individuazione davvero completa della 'res de qua
agitur': la questione di diritto e l'ammontare del credito sarebbero
stati indicati nell'intentio, mentre la praescriptio
avrebbe consentito di dedurre nel rapporto processuale che sarebbe stato
oggetto della litis contestatio anche il fatto generatore della
pretesa vantata in giudizio dall'attore.
Applichiamo, adesso, questo schema di ragionamento alla condictio
certae pecuniae preceduta dalla praescriptio 'ea res agetur de
sponsione' che si legge in TPSulp. 31 [= TP. 34].
Funzione della praescriptio, anche in questo caso, sarebbe stata
quella di determinare più puntualmente la res qua de agitur.
Trattandosi di un'actio certi, infatti, il petitum
risultava già indicato nell'intentio, lì dove si legge 'HS
I)) dare oportere q(ua) d(e) r(e) agitur'.
Senza la praescriptio, tuttavia, l'indicazione della res de
qua agitur sarebbe risultata parziale, perché si sarebbe
astrattamente riferita soltanto ad un'obbligazione civile relativa ad un
credito di 6.000 sesterzi, non meglio identificato. Poiché, dunque,
varie potevano essere le causae di un credito avente ad oggetto il dare
oportere di tale somma di denaro, una individuazione completa
dell'oggetto del giudizio avrebbe postulato l'inserimento di una praescriptio
che specificasse la res de qua agitur anche con riferimento alla
sua 'causa proxima'. Altrimenti la richiesta di 6.000 sesterzi da
parte di Sulpicio Cinnamo nei confronti di Marcio Saturnino si sarebbe
potuta anche configurare, in ipotesi, come una minoris petitio
del maggior debito di 18.000 sesterzi.
Per impiegare un'espressione di Selb, allora, pure la praescriptio 'ea
res agetur de sponsione' avrebbe avuto il compito di circoscrivere
gli effetti consuntivi della litis contestatio "durch eine
genauere Individualisierung" dell'oggetto della controversia (70).
Tale compito, del resto, non stona affatto con il quadro della
trattazione gaiana delle praescriptiones pro actore. Anche la praescriptio
'ea res agetur de sponsione' di TPSulp. 31 [= TP. 34], infatti,
serve, al pari delle altre praescriptiones ricordate da Gaio, ad
identificare meglio la res de qua agitur, per limitare ad essa, e
ad essa soltanto, gli effetti consuntivi della litis contestatio,
deducendo espressamente nella formula, che altrimenti sarebbe rimasta 'astratta',
un elemento di fatto di cui il giudice, in assenza di praescriptio,
non avrebbe potuto tener conto.
10.
Secondo quanto sin qui detto, allora, la praescriptio di TPSulp. 31 [=
TP. 34] doveva mirare a richiamare nella formula della condictio
la fonte del credito azionato, e, di conseguenza, non avrebbe potuto
avere, come pure si è voluto sostenere (71),
una funzione meramente 'limitativa'.
Questa conclusione, unitamente alle informazioni desumibili dal passo
del De finibus di Cicerone più su trascritto, consente di
scalzare alla base gli ostacoli che, come si diceva, impedirebbero di
scorgere una funzione determinativa nella praescriptio di TPSulp. 31 [=
TP. 34] (72).
All'interpretazione che difendiamo, semmai, potrebbe opporsi un altro
rilievo. L'inserimento di una praescriptio nella prima delle due
formule di TPSulp. 31 [= TP. 34], infatti, potrebbe sembrare superfluo
in ragione del diverso ammontare dei due crediti in esse indicati. In
altri termini, pur essendo identiche le parti in causa, la differenza
del petitum sarebbe dovuta apparire elemento in sé sufficiente
ad individuare i due distinti rapporti rispettivamente dedotti in
giudizio. Solo in caso di identità sia delle parti, sia del petitum,
sia della causa petendi, infatti, si sarebbe posto il problema di
violare il principio del 'ne bis in idem', e di avere, dunque, un
iudicium de eadem re (73).
Ciò sembrerebbe comportare che l'attore non avrebbe dovuto avere alcuna
ragione di temere che gli effetti preclusivi della litis contestatio
del giudizio relativo all'actio (certi) ex sponsione, cui si
riferisce la prima delle due formule in questione, avrebbero potuto
pregiudicare, in qualche modo, il giudizio relativo alla seconda formula
(74).
In questo ordine di idee, la presenza di una praescriptio in testa alla
prima formula potrebbe apparire del tutto inutile, a meno che non le si
voglia riconoscere, con Sturm, il compito di indicare il contenuto delle
tavolette come una semplice "étiquette de dossier".
Se, tuttavia, facciamo nostra questa convinzione, e ne sviluppiamo le
conseguenze che in essa sono implicite, diverrano evidenti le ragioni
che, invece, dovevano consigliare all'attore di indicare in un'apposita praescriptio
la fonte del credito azionato con l'actio ex sponsione tertiae partis,
giustificandone l'inserimento prima della sua formula nell'ambito del
documento che conteneva anche il programma di giudizio della
condictio certae pecuniae.
Supponiamo, allora, che, fermi i fatti costitutivi del credito vantato
da Caio Sulpicio Cinnamo nei confronti di Caio Marcio Saturnino, né la
formula della condictio relativa a questa somma, né quella
nascente dalla sponsio tertiae partis recassero una praescriptio.
Sulpicio Cinnamo vuol agire in giudizio per ottenere dal suo debitore,
Marcio Saturnino, la somma di 18.000 sesterzi. Trattandosi di pecunia
certa, dovrà agire con condictio nei confronti di costui.
Dinanzi al duumviro di Pozzuoli, Publio Cossinio Prisco, i due prestano,
come previsto, sponsio et restipulatio per una somma pari ad un
terzo del credito, cioè per 6.000 sesterzi. Dopo l'editio delle
formule relative alle azioni che ne nascono (senza alcuna praescriptio
pro actore) e di quella della condictio certae pecuniae
(anch'essa senza praescriptio), decidono di nominare giudice Caio
Blossio Celado, e compiono la litis contestatio sulle tre
formule: quelle proposte da Cinnamo, contenute nel trittico pompeiano, e
quella proposta da Saturnino, contenuta in un altro documento.
Passati, dunque, alla seconda fase del giudizio, Blossio Celado,
nominato giudice, dovrà decidere sulle formule che gli si presentano.
Nel primo programma di giudizio gli si ordina di accertare se sussista
un'obbligazione civile in forza della quale Marcio Saturnino sia tenuto
a dare a Sulpicio Cinnamo la somma di 6.000 sesterzi. Ma questa stessa
formula, giusta l'ipotesi da cui siamo partiti, è priva della praescriptio
de sponsione, e, quindi, non fornisce al giudice alcun elemento di
fatto che lo indirizzi nella sua decisione: non gli dice che la somma di
6.000 sesterzi è dovuta all'attore in base ad una sponsio, e non
gli dice neppure che con tale sponsio il convenuto si è
obbligato a pagare la somma di 6.000 sesterzi solamente a condizione che
siano dovuti i 18.000 sesterzi ai quali si riferisce la seconda formula.
La prima formula, concepita con semplice intentio iuris, dunque,
non impone a Blossio Celado di accertare a quale titolo ed a quali
condizioni la somma di 6.000 sesterzi sia dovuta dal convenuto
all'attore, perché tale questione non è stata 'in iudicium deducta'.
Secondo quanto si dice nell'intentio, il giudice dovrà risolvere la quaestio
de iure: dovrà accertare, cioè, se il convenuto sia obbligato a
dare all'attore la somma di 6.000 sesterzi. Ma non dovrà indagare sulla
quaestio de facto, ossia sul fatto costitutivo di tale debito.
Il tenore della formula, quindi, non impone a Blossio Celado di
considerare dovuti i 6.000 sesterzi in virtù della sponsio tertiae
partis. Dell'esistenza e del contenuto di questa sponsio,
secondo il programma di giudizio, egli non è tenuto a saper nulla, e,
se vuole, è perfettamente libero di considerare i 6.000 sesterzi come
una parte (come una minoris petitio) dei 18.000. Stando alla
formula, dunque, egli potrà condannare il convenuto al pagamento di
questa minor somma.
Blossio Celado, però, deve giudicare anche sull'altra condictio
certae pecuniae. I termini del secondo programma di giudizio gli
impongono semplicemente di accertare se Saturnino debba o non debba dare
a Cinnamo la somma di 18.000 sesterzi. Ma, una volta avvenuta la litis
contestatio sulla prima formula, il rapporto processuale si è già
consumato, fra i due, in relazione ai 6.000 sesterzi, senza specificare,
tuttavia, che tale somma era dovuta per una causa diversa rispetto a
quella per cui agisce ora Cinnamo.
Quanto appena detto dovrebbe esser sufficiente, se non ci inganniamo,
per mostrare come l'attore avesse un interesse concreto ed effettivo a
far inserire nella formula una praescriptio in proprio favore,
per limitare gli effetti consuntivi della litis contestatio
compiuti sulla prima delle due condictiones.
L'aver fornito di una praescriptio pro actore soltanto la prima
formula, peraltro, doveva bastare ad evitare gli inconvenienti di cui si
è detto, senza richiedere una praescriptio anche in relazione
alla seconda formula.
D'altra parte, già su un piano strettamente logico, la circostanza che
ad esser provvista di praescriptio pro actore fosse soltanto una
delle due formule, non implica, di per sé, che fosse necessario munire
di un'analoga praescriptio anche l'altra.
Il ricorso ad una praescriptio pro actore, infatti, non era
necessario, ma poteva esser dettato da ragioni di convenienza, che
l'attore avrebbe dovuto di volta in volta valutare. Ciò risulta sia dal
modo in cui si esprime Cicerone nel passo del De finibus più su
trascritto (supra, § 6), sia dalla trattazione gaiana, dove il
ricorso alle praescriptiones pro actore, come si è già
ricordato, è connesso agli effetti consuntivi della litis
contestatio (75).
Per tornare al nostro esempio, giudicata la sussistenza del credito di
6.000 sesterzi in dipendenza della causa sponsionis dedotta in
giudizio a mezzo della praescriptio pro actore, infatti, ogni
conseguente valutazione relativa ad altri crediti sussistenti fra le
stesse parti, anche se di diverso ammontare, sarebbe rimasta del tutto
impregiudicata. L'aver premesso una praescriptio pro actore alla
formula dell'actio ex sponsione tertiae partis, in altre parole,
doveva esser sufficiente, agli occhi dell'attore, per evitare gli
inconvenienti dipendenti dalla consumazione dell'azione dovuta alla litis
contestatio, senza che vi fosse necessità di munire di un'analoga praescriptio
anche la condictio certae pecuniae.
Alla luce di quanto fin qui osservato, allora, bisogna concludere che la
praescriptio che precede la prima delle due formule conservate in
TPSulp. 31 [= TP. 34] aveva una funzione 'determinativa', ed aveva lo
scopo di individuare l'oggetto del giudizio della formula di una condictio
nascente da una sponsio tertiae partis, cui seguiva
immediatamente, nello stesso documento, la formula della condictio
certae pecuniae in funzione della quale la sponsio tertiae partis
era stata prestata.
11.
Proprio sulla base dell'ordine in cui queste due formule si susseguono,
come si accennava, si è autorevolmente sostenuto (76),
riprendendo un'idea enunciata in tempi ormai lontani
(77), che l'actio ex sponsione tertiae partis,
almeno in origine, avesse una funzione pregiudiziale, e non solo penale;
in questa prospettiva, le tavolette pompeiane potrebbero considerarsi
come un residuo lasciato nella prassi documentale di questa più antica
funzione della sponsio tertiae partis, poi perdutasi nel tempo.
Tuttavia, la circostanza che la formula dell'azione nascente dalla sponsio
tertiae partis preceda, anziché seguire, quella della condictio
certae pecuniae può spiegarsi anche senza far ricorso all'ipotesi
della funzione originariamente pregiudiziale di tale sponsio.
Occorre partire, al riguardo, dalla testimonianza epigrafica contenuta
nella Lex de Gallia Cisalpina (78),
grazie alla quale sappiamo che la mancata prestazione della sponsio da
parte di chi fosse stato convenuto con actio certae creditae pecuniae
sarebbe stata valutata dal magistrato giusdicente come indefensio (79).
Ciò induce a ritenere che la sponsio tertiae partis doveva esser
prestata in iure dal convenuto prima ancora di compiere la litis
contestatio sulla formula della condictio certae pecuniae (80).
Inoltre, le espressioni 'sponsione iudicioque se defendere' e 'neque
de ea re sponsionem faciet neque iudicio utei oportebit se defendit'
che si leggono nella Lex de Gallia Cisalpina possono essere
interpretate nel senso che la defensio fosse assunta dal
convenuto non solo obbligandosi in iure con la sponsio tertiae
partis, ma anche partecipando alla litis contestatio dapprima
sulla formula (iudicio) (81)
dell'azione nascente da tale sponsio e, subito dopo, su quella
dell'actio certae creditae pecuniae.
A sostegno di questa interpretazione può richiamarsi quel che si legge
a proposito dei 'cetera ex interdicto' in
Gai.
4.170: Sed quia nonnulli interdicto reddito cetera ex interdicto
facere nolebant, atque ob id non poterat res expediri, praetor in eam
rem prospexit et conparavit interdicta quae secundaria appellamus, quod
secundo loco redduntur. Quorum vis et potestas haec est, ut qui cetera
ex interdicto non faciat, veluti qui vim non faciat aut fructus non
liceatur aut qui fructus licitationis satis non det aut si sponsiones
non faciat sponsionumve iudicia non accipiat rell.
Dal passo
appena riferito, infatti, si ricava che, per dar corso all'agere ex
interdicto cum periculo, le parti non solo si sarebbero dovute
scambiare reciprocamente innanzi al pretore sponsio e restipulatio,
ma avrebbero dovuto anche compiere, subito dopo, la litis contestatio
sulle formule delle azioni nate dalle due sponsiones (82).
In caso contrario, infatti, il magistrato avrebbe emanato un cosiddetto 'interdictum
secundarium'.
Alla luce di questa informazione, non ci pare azzardato supporre che
anche nel procedimento dell'actio certae creditae pecuniae cum
periculo (83) convenuto ed
attore, dopo aver rispettivamente prestato in iure la sponsio
e la restipulatio tertiae partis, procedessero immediatamente
all'editio delle due azioni che ne erano nate (84),
e compissero su di esse la litis contestatio. Solamente dopo aver
assolto tali incombenze, le parti avrebbero potuto contestare la lite
relativa alla formula dell'actio certae creditae pecuniae.
Perché se il convenuto, pur avendo prestato in iure la sponsio
tertiae partis, si fosse poi rifiutato di accipere il testo della
formula dell'azione che da tale sponsio era nata, si sarebbe
configurata indefensio a suo carico.
Ebbene, se si ricostruisce in questo modo, come a noi pare verosimile,
il procedimento cum periculo dell'actio certae creditae pecuniae,
e si tien conto delle sue caratteristiche, diverrà agevole spiegare
come mai, in TPSulp. 31 [= TP. 34], la formula relativa all'actio ex
sponsione tertiae partis preceda, anziché seguire, quella della condictio
certae pecuniae. L'ordine in cui le due formule si succedono nelle
tavolette cerate, infatti, rispecchia quello con il quale le parti
devono aver compiuto le relative litis contestationes.
Una volta che le parti avessero prestato in iure la sponsio
e la restipulatio tertiae partis, infatti, il convenuto, per non
andare incontro alle sanzioni che gli sarebbero state comminate in caso
di indefensio, avrebbe dovuto anche accipere il iudicium ex sponsione
tertiae partis (mentre l'attore, da parte sua, avrebbe dovuto
accipere il iudicium ex restipulatione). Solo dopo aver compiuto,
così, la litis contestatio sulla formula dell'actio ex
sponsione tertiae partis e su quella dell'actio ex restipulatione,
si sarebbe potuti passare alla litis contestatio sulla formula
della condictio certae pecuniae.
12.
L'ordine in cui si presentano le due formule in TPSulp. 31 [= TP. 34],
dunque, non può giudicarsi argomento in sé decisivo a sostegno della
tesi secondo cui la sponsio tertiae partis avrebbe avuto
originariamente una funzione al tempo stesso penale e pregiudiziale,
analoga a quella delle sponsiones prestate dalle parti in sede di
agere ex interdicto cum periculo (85).
Anzi, vi sono alcune ragioni di dubbio che, se condivise, rendono non
del tutto convincenti anche gli altri argomenti che sembrerebbero
militare in favore di questa ipotesi.
Fra tali argomenti è senz'altro seducente quello che fa leva sul
rapporto in cui dovevano trovarsi le formulae delle sponsiones
e quello del cosiddetto 'iudicium secutorium' secondo quanto
si trova descritto in
Gai.
4.165: Itaque si arbitrum non petierit, sed tacitus de iure exierit,
cum periculo res ad exitum perducitur. Nam actor provocat adversarium
sponsione, <quod> contra edictum praetoris non exhibuerit aut non
restituerit; ille autem adversus sponsionem adversarii restipulatur.
Deinde actor quidem sponsionis formulam edit adversario, ille huic
invicem restipulationis. Sed actor sponsionis formulae subicit et aliud
iudicium de re restituenda vel exhibenda, ut si sponsione vicerit, nisi
ei res exhibeatur aut restituatur
(86)
In
effetti, il parallelo fra il procedimento tipico della condictio
certae pecuniae (e connesse actiones ex sponsione et ex
restipulatione tertiae partis) da un lato, e quello cui si dava
corso in caso d'inosservanza degli interdicta simplicia
dall'altro, sembra giustificato dalla circostanza che anche lì, come
nel caso della condictio certae pecuniae, le parti si sarebbero
scambiate in iure una sola sponsio ed una sola restipulatio (87).
Non altrettanto giustificata, però, ci pare l'estensione del
riconoscimento della funzione 'penale-pregiudiziale' (88)
che indubbiamente hanno la sponsio e la restipulatio della
procedura ex interdicto, anche alla sponsio ed alla restipulatio
relative alla condictio certae pecuniae.
Secondo alcuni autori, peraltro, questa stessa funzione per così dire
'mista' sarebbe stata comune, almeno in un primo momento, anche alla sponsio
praeiudicialis dell'agere (in rem) per sponsionem (89).
Non è certo questa la sede, però, per affrontare una questione così
complessa come quella dell'originaria funzione di questa sponsio
praeiudicialis, la cui risoluzione, peraltro, ci imporrebbe il
compito, che non possiamo svolgere nell'economia del presente
contributo, di inquadrare tale problema nel più ampio orizzonte di
ricerca della storia della rivendica e della nascita del processo
formulare (90). Per quanto qui
interessa direttamente, ci limiteremo ad osservare che, dal modo in cui
si esprime Gaio quando si occupa dell'agere in rem per sponsionem
(91), il carattere meramente
pregiudiziale della sponsio di cui il giurista discorre è
chiaramente riconnesso non tanto al fatto che la summa sponsionis
non veniva poi effettivamente riscossa nel caso in cui risultassero
provate le ragioni dell'attore, quanto alla circostanza (unde etiam)
(92) di non esser seguìta da restipulatio
(93).
Al riguardo, peraltro, non sarà inopportuno rilevare che, così come la
sponsio praeiudicialis dell'agere in rem per sponsionem,
anche la sponsio sulla qualifica di 'vir bonus' cui si fa
cenno in un discorso di Catone riferito da Gellio (94)
non è accompagnata da restipulatio, e sembra avere carattere
meramente strumentale (95).
A noi pare, del resto, che una certa somiglianza fra queste due sponsiones
- quella praeiudicialis e quella sulla qualifica 'ni vir
melior esset' - possa ravvisarsi non solo in base alla circostanza
che nessuna delle due promesse fosse seguita da una restipulatio,
ma anche nella preferenza che il giudice, secondo un'antica regola
formulata dai maiores, avrebbe dovuto accordare al 'convenuto'
nel caso di mancanza di prove (illi, unde petitur, ei potius
credendum esse; potius oportet credi, unde petitur)
(96) . Tale regola, infatti, trova riscontro
nell'addossamento dell'onere della prova esclusivamente in capo
all'attore nell'ambito dell'agere in rem per sponsionem, con
conseguente assoluzione del convenuto nel caso in cui l'attore non fosse
riuscito a provare l'appartenenza a sé della res oggetto del
giudizio (97).
Per converso, la sponsio tertiae partis di cui si parla in Gai.
4.171 con riferimento all'actio certae creditae pecuniae - questa
sì accompagnata da una sponsio e da relativa restipulatio
- ha certamente carattere penale. In relazione ad essa, infatti, Gaio
discorre di 'actio periculosa' e di 'periclitari'(98).
Dalla trattazione gaiana, anzi, emerge che, mentre nell'ambito dell'agere
in rem per sponsionem la sponsio praeiudicialis è
concepita come strumento attraverso il quale poter agire in rem,
e, dunque, come mero espediente processuale (99),
funzione della sponsio tertiae partis e della relativa restipulatio
che si accompagnano alla condictio certae pecuniae è quella di
scoraggiare controversie temerarie.
Questa stessa funzione si può individuare anche nel caso dell'agere
ex interdicto cum periculo, dove la sponsio è sempre seguìta
dalla restipulatio dell'avversario (100),
così come pure nelle sponsiones poenales ricordate dalle fonti
che riguardano questioni di mero fatto, e che sono sempre accompagnate
da simmetriche restipulationes (101)
.
Se, dunque, non può negarsi che vi siano alcuni tratti in comune fra la
procedura dell'agere ex interdicto cum periculo e quella
che doveva aver luogo quando alla condictio certae pecuniae si
accompagnassero le due azioni nascenti dalla sponsio e dalla restipulatio
tertiae partis, occorre anche evidenziare quella che appare come la
differenza fondamentale fra queste due procedure, e che non è una
differenza di carattere meramente formale.
Nel caso dell'agere ex interdicto, infatti, il giudice è
chiamato a decidere contestualmente sulla sponsio e sulla
connessa restipulatio ex interdicto dopo aver verificato fatti
che sono antecedenti alla prestazione delle due promesse, perché dovrà
constatare, ai fini della condanna, l'eventuale sussistenza di un
comportamento contrario all'ordine interdittale (102).
La decisione sul cosiddetto 'iudicium secutorium' (103),
invece, dipenderà dalla valutazione di un comportamente successivo
rispetto allo scambio di sponsio e restipulatio, ossia
dalla 'restitutio' nella situazione possessoria - per dir così -
in favore di colui che sarà risultato vincitore nell'actio ex
sponsione ex interdicto.
In questo senso, dunque, può dirsi che il iudicium Cascellianum
è un 'iudicium secutorium', perché, al pari del iudicium
fructuarium, 'sequitur sponsionis victoriam' (104).
Nel iudicium secutorium, tuttavia, la condanna è in ogni caso
eventuale, perché dipende dalla mancata 'restitutio possessionis'
da parte di colui che sia già stato condannato dal giudice a pagare la summa
ex sponsione (105).
Non così, invece, nella procedura cui si dà luogo in caso di condictio
certae pecuniae, alla quale si connettono le due azioni nascenti
dalle contrapposte sponsiones tertiae partis. Qui, infatti, il
giudice è chiamato a decidere su pretese fra loro diverse solo nel quantum,
ma dovrà condannare o assolvere sulla base di un medesimo evento, che
riguarda comunque il passato.
Se, infatti, si accerterà che sussiste l'obbligazione avente ad oggetto
il dare oportere della somma richiesta con la condictio certae
pecuniae, egli dovrà condannare il convenuto al pagamento sia della
summa sponsionis sia della somma richiesta con la condictio.
Poiché, infatti, la condictio è azione di stretto diritto e non
provvista di clausola restitutoria, il giudice non potrà tener conto di
alcun comportamento successivo alla litis contestatio, come,
invece, nel iudicium secutorium. Simmetricamente, ed allo stesso
tempo, dovrà assolvere l'attore dal pagamento della summa
restipulationis.
In caso contrario, dovrà condannare l'attore al pagamento della summa
restipulationis, ed assolvere il convenuto in entrambi i giudizi
promossi dall'attore (actio ex sponsione tertiae partis e condictio
certae pecuniae).
In altri termini, a differenza di quanto può avvenire nella procedura
interdittale, non vi è alcuna possibilità, per il giudice, di
condannare il convenuto al pagamento della summa sponsionis e di
assolverlo in quello che andrebbe considerato il 'iudicium
secutorium'. Né, d'altra parte, una volta che il giudice sia stato
investito della decisione sulle tre formule (quella della sponsio
tertiae partis, quella della restipulatio, e quella della condictio
certae pecuniae), potrà limitarsi a decidere quelle nascenti dalla sponsio
e dalla restipulatio senza pronunziarsi, al contempo, su quella
nascente dalla condictio certae pecuniae.
Fra le decisioni relative alla sponsio ed alla restipulatio
tertiae partis, e quella sulla condictio certae pecuniae in
funzione della quale le due sponsiones sono state prestate,
infatti, non vi è alcuno iato logico.
Alla luce di queste riflessioni, a noi pare di dover concludere nel
senso che la pronunzia del giudice sull'obbligazione nascente dalla sponsio
tertiae partis relativa all'esercizio di una condictio certae
pecuniae non avesse carattere pregiudiziale, perché si accompagnava
invariabilmente a quella sulla esistenza dell'obbligazione dedotta nella
condictio (106).
Questa stessa considerazione, quindi, costituisce già una prima ragione
di dubbio che, a nostro sommesso parere, dovrebbe trattenere dal
riconoscere natura (anche) pregiudiziale all'actio ex sponsione
tertiae partis.
Nei casi in cui la sponsio ha funzione pregiudiziale, infatti, il
giudice deciderà solo indirettamente sulla questione principale, come
nel caso dell'agere in rem per sponsionem, ma non si pronuncerà
direttamente sulla questione principale. Nel caso della sponsio
tertiae partis prestata da colui che fosse convenuto con actio
certae creditae pecuniae, invece, il giudice sarà tenuto a decidere
sia sulla formula dell'actio ex sponsione tertiae partis, sia su
quella della condictio certae pecuniae.
13.
L'idea per la quale la decisione del giudice dell'actio ex sponsione
tertiae partis costituiva il presupposto per il successivo giudizio de
certa pecunia, inoltre, ci sembra ulteriormente indebolita da quanto
si trova detto, a proposito delle poenae processuali (107),
in
Gai.
4.172: Quodsi neque sponsionis neque dupli actionis periculum ei cum
quo agitur iniungatur, ac ne statim quidem ab initio pluris quam simpli
sit actio, permittit praetor iusiurandum exigere NON CALUMNIAE CAUSA
INFITIAS IRE. Unde quamvis heredes vel qui heredum loco habentur,
................ (108)
obligati sint, item feminae pupillique eximantur periculo sponsionis,
iubet tamen eos iurare.
Subito
dopo aver ricordato che quando si agiva 'de pecunia certa credita'
si ricorreva alla prestazione della sponsio tertiae partis, Gaio
puntualizza che, ove ad essere convenuti fossero donne e pupilli, la
procedura sarebbe stata 'sine periculo'. Da questi soggetti, che
erano dispensati dal dover promettere il pagamento di una penale con la sponsio
tertiae partis (o con la sponsio dimidiae partis in caso di actio
pecuniae constitutae) per il caso di soccombenza nel giudizio de
certa pecunia (o, rispettivamente, de pecunia constituta), il
pretore avrebbe preteso semplicemente la prestazione del giuramento
cosiddetto 'non calumniae causa infitias ire'.
Poiché, dunque, questo giuramento era considerato un'alternativa
rispetto alla sponsio tertiae partis (ed alla correlativa restipulatio)
(109), se ne deve dedurre
che la decisione sulla formula della condictio certae pecuniae
poteva avvenire anche indipendentemente dal giudizio sull'actio ex
sponsione tertiae partis.
14.
I risultati ai quali siamo via via pervenuti nel corso di questo
contributo possono così riassumersi:
(a) i due programmi di giudizio riferiti in TPSulp. 31 [= TP. 34]
riguardano un procedimento cum periculo relativo alla richiesta
giudiziale di certa pecunia: la seconda formula, che è quella di
una condictio certae pecuniae, segue quella dell'azione nascente
dalla sponsio tertiae partis prestata in iure dal
convenuto per obbligarsi a pagare all'attore un terzo della somma
richiesta con la condictio per l'ipotesi di soccombenza nel
giudizio de certa pecunia;
(b) la praescriptio 'ea res agetur de sponsione' che precede la
formula dell'actio ex sponsione tertiae partis costituisce un
esempio di praescriptio pro actore con funzione cosiddetta 'determinativa';
(c) l'ordine in cui le due formule processuali sono riferite nel
trittico pompeiano non può considerarsi appiglio abbastanza solido per
ipotizzare un'originaria funzione pregiudiziale, oltre che penale,
dell'azione nascente dalla sponsio tertiae partis, tanto più se
si considera che in Gai. 4.172 sono attestati casi in cui era possibile
agire in ordine ad una certa pecunia senza far ricorso alla sponsio
tertiae partis. |
Note:
1. Sulle quali si vedano C.
GIORDANO, Nuove tavolette cerate pompeiane, in Rendiconti dell'Accademia
di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli, N.S. 46 (1971), Napoli
1972, p. 187 s.; W. SELB, Formeln mit unbestimmter Intentio iuris.
Studien zum Formelaufbau, I, Wien-Köln-Graz 1974, pp. 57-58; M. KASER,
Formeln mit "intentio incerta", "actio ex stipulatu"
und "condictio", in Labeo, 22 (1976), pp. 7 e 21 ss.; L. BOVE,
Documenti processuali delle Tabulae Pompeianae di Murecine, Napoli 1979,
pp. 95-111; J. G. WOLF, Aus dem neuen pompejanischen Urkundenfund: die
Kondiktionen des C. Sulpicius Cinnamus, in SDHI, 45 (1979), pp. 141-177;
R. VILLERS, La procédure formulaire à la lumière des recentes découvertes,
in AA. VV., Studi in onore di A. Biscardi, vol. I, Milano 1982, pp.
218-222; G. PURPURA, Tabulae Pompeianae 13 e 34: due documenti relativi
al prestito marittimo, in AA. VV., Atti dell'Accademia di Scienze,
Lettere ed Arti di Palermo, serie V, 2 (1982), pp. 449 ss., ora anche in
AA. VV., Atti del VII Congresso Internazionale di Papirologia (Napoli,
19-26 maggio 1983), vol. III, Napoli 1984, pp. 1245 ss. [da cui
citeremo], nonché in G. PURPURA, Studi romanistici in tema di diritto
commerciale marittimo, Soveria Mannelli 1996, pp. 252 ss.; ID., Ricerche
in tema di prestito marittimo, in AUPA, 39 (1987), p. 286, nt. 282; R.
SANTORO, Il contratto nel pensiero di Labeone, in AUPA, 37 (1983), pp.
91 ss.; ID., Le due formule della Tabula Pompeiana 34, in AUPA, 38
(1985), pp. 335-350; P. GRÖSCHLER, Die tabellae-Urkunden aus den
pompejanischen und herkulanensischen Urkundenfunden, Berlin 1997, pp.
162-164; L. GUTIERREZ-MASSON, La prétendue "praescriptio" des
Tablettes Pompéiennes, in AA. VV., Mélanges de droit romain et d'histoire
ancienne. Hommage à la mémoire de André Magdelain, Paris 1998, pp.
201-209; F. STURM, Ea res agetur de sponsione. La Tabula Pompeiana 34
nous révèle-t-elle une forme inconnue de praescriptio pro actore?, in
AA. VV., Règle et pratique du droit dans les réalités juridiques de
l'antiquité (SIHDA - Atti della 51a Sessione Crotone-Messina, 16-27
settembre 1997), a cura di I. PIRO, Soveria Mannelli 1999, pp. 89-103;
G. CAMODECA, Tabulae Pompeianae Sulpiciorum (TPSulp.). Edizione critica
dell'archivio puteolano dei Sulpicii, Roma 1999, pp. 97-99; A.
SACCOCCIO, Si certum petetur. Dalla condictio dei veteres alle
condictiones dei giustinianei, Milano 2002, pp. 17 ss. Qualche cenno
anche in: H. HONSELL, Rec. a WOLF, Causa stipulationis, in ZSS, 92
(1975), p. 338; G. SACCONI, La "pluris petitio" nel processo
formulare. Contributo allo studio dell'oggetto del processo, Milano
1977, p. 101 s., ed ivi nt. 54; B. ALBANESE, Gli atti negoziali nel
diritto privato romano, Palermo 1982, p. 74, nt. 165; C. A. CANNATA,
Profilo istituzionale del processo privato romano. II: Il processo
formulare, Torino 1982, p. 118, ed ivi nt. 8, nonché p. 123 s.; M. DE
BERNARDI, Lex Irnitana LXXXIV-LXXXV-LXXXIX: nuovi spunti per una
riflessione sulla sponsio nel processo romano, in AA. VV., Testimonium
amicitiae. Scritti in onore di F. Pastori, Milano 1992, p. 112 s.; A.
MAGDELAIN, De la royauté et du droit de Romulus à Sabin, Roma 1995, p.
167, nt. 45; D. MANTOVANI, Le formule del processo privato romano. Per
la didattica delle Istituzioni di diritto romano2, Padova 1999, p. 48,
nt. 87; L. PELLECCHI, Alcune osservazioni a proposito di TPSulp. 7 e
1bis, in IVRA, 49 (1998, ma 2002), p. 106, nt. 23.
2.
L. BOVE, Documenti processuali, cit., pp. 108 ss.; J. G. WOLF, Aus dem
neuen pomp. Urkundenfund, cit., pp. 144 ss.
3.
Che le due tavolette facessero parte, in realtà di un trittico, era
ritenuto probabile da L. BOVE, Documenti processuali, cit., p. 106 s.,
il quale, nondimeno, prendeva atto che "allo stato, la proposta
identificazione con un trittico rimane indimostrata"; non lo
escludeva J. G. WOLF, Aus dem neuen pomp. Urkundenfund, cit., p. 153 s.,
nt. 42, che, tuttavia, notava che "konkrete Hinweise auf ein
Triptychon fehlen". In particolare, tale ipotesi era basata sulla
constatazione che, sulle facciate non cerate di entrambe le tabellae,
corrispondenti alle pagine 1 e 4 di un dittico, non si scorgevano segni
di una scriptura exterior. Scrittura che poteva esser tracciata su una
terza tavoletta: o graphio, sulla facciata cerata, corrispondente alla
pagina 5 (come, ad esempio, in TP. 25 ed in TH. 14), oppure atramento
sulla facciata esterna, corrispondente alla pagina 6. È noto, infatti,
che nei trittici ad esser cerate erano la seconda, la terza e la quinta
pagina: cfr., per tutti, G. PURPURA, Diritto, papiri e scrittura2,
Torino 1999, p. 23. La questione dell'appartenenza delle tavolette ad un
trittico, però, è stata trascurata dagli altri studiosi che si sono
occupati di TP. 34.
4.
La prima edizione delle tavolette, che si deve a C. GIORDANO, Nuove
tavolette cerate, cit., p. 187 s., è riprodotta anche in W. SELB,
Formeln, cit., p. 57, nonché, con qualche variante, in L. BOVE,
Documenti processuali, cit., p. 106. Una cura secunda delle tavolette è
stata compiuta da J. G. WOLF, Aus dem neuen pomp. Urkundenfund, cit.,
pp. 141 ss. (spec. pp. 145-148), e rivista da G. PURPURA, Tabulae
Pompeianae, cit., pp. 1254-1257, con fotografie delle prime due
tavolette cerate (TP. 34) corredate da un apografo (vedile anche in ID.,
Diritto, papiri e scrittura2, cit., p. 22).
5.
Secondo l'edizione di C. GIORDANO, Nuove tavolette, cit., p. 187,
invece, nella l. 8 della tavoletta VI (= TPSulp. 31, p. 3) si dovrebbe
leggere 'P. Cassius Priscus' (cfr. anche la cura secunda di J. G. WOLF,
Aus dem neuen pomp. Urkundenfund, cit., p. 143). Il praenomen del
duumviro è, secondo Purpura, 'P(ublius)'. F. STURM, Ea res agetur,
cit., pp. 90 e 92, invece, riferisce 'P(ublicus)', probabilmente
ripetendo tralatiziamente l'errore di stampa che si legge in R. SANTORO,
Le due formule, cit., p. 338.
6.
L'unica variante che abbiamo ritenuto di dover apportare, rispetto
all'edizione di Camodeca riprodotta nel testo, è il posizionamento
della sigla 'Cos.', sciolta in 'Co(n)s(ulibus)', ad un'altezza
intermedia fra le due righe in cui sono indicati i nomi dei consoli
eponimi, ai quali tale sigla è riferita, così come accade, ad esempio,
in TH. 87 [cfr. V. ARANGIO-RUIZ-G. PUGLIESE CARRATELLI, Tabulae
Herculanenses, 5, in La Parola del Passato, 10 (1955), p. 471], oppure
nei Fasti per le annotazioni che indicano la causa per cui sono stati
nominati tanto il dictator quanto il suo magister equitum [cfr. G.
NICOSIA, Sulle pretese figure di 'dictatores imminuto iure', in AA. VV.,
Studi in onore di Cesare Sanfilippo, vol. 7, Milano 1987, pp. 576 ss.].
Segnaliamo, inoltre, che la praescriptio 'ea res agetur de sponsione'
che si legge nella prima riga della prima tavoletta è allineata a
destra, anziché, come il resto del testo, a sinistra.
7.
Cfr. p. 2, ll. 2, 6, 10; p. 3, l. 4. Sarebbe di "chiara origine
libertina" per G. CAMODECA, Tabulae Pompeianae Sulpiciorum, cit.,
p. 98.
8.
Nonostante l'identità del giudice e delle parti, il diverso ammontare
delle due somme di denaro impedisce di concludere che le due formule
fossero due distinte bozze relative ad una stessa azione, come credeva,
invece, W. KUNKEL, Epigraphik und Geschichte des römischen Privatrechts.
Akten des VI. Internationalen Kongresses für Griechische und
Lateinische Epigraphik, Vestigia 17, München 1973, pp. 193 ss. (n. v.).
In questo senso già L. BOVE, Documenti processuali, cit., p. 110 s.,
cui aderisce R. SANTORO, Le due formule, cit., p. 338.
9.
Così G. PURPURA, Tabulae Pompeianae, cit., p. 1264.
10.
Cfr. p. 2, l. 4; p. 3, l. 2.
11.
Cfr. p. 2, l. 3; p. 3, l. 1. Si tratta, forse, di un mercante o di un
capitano di una nave: cfr. G. PURPURA, Tabulae Pompeianae, cit., p.
1264.
12.
Cfr. C. GIORDANO, Nuove tavolette, cit., p. 188; L. BOVE, Documenti
processuali, cit., p. 107; J. G. WOLF, Aus dem neuen pomp. Urkundenfund,
cit., pp. 148 ss.; R. VILLERS, La procédure formulaire, cit., p. 218;
G. PURPURA, Tabulae Pompeianae, cit., p. 1255; R. SANTORO, Le due
formule, cit., p. 93; P. GRÖSCHLER, Die tabellae-Urkunden, cit., p.
163; F. STURM, Ea res agetur, cit., p. 90; G. CAMODECA, Tabulae
Pompeianae Sulpiciorum, cit., p. 98; D. MANTOVANI, Le formule2, cit., p.
28, nt. 46, e p. 48, nt. 87. Secondo W. SELB, Formeln, cit., p. 58, che
si richiama a Degrassi, invece, la coppia consolare sarebbe quella del
34 d.C.
13.
Ad una "mera dimenticanza" pensa, invece, L. BOVE, Documenti
processuali, cit., p. 109.
14.
Così J. G. WOLF, Aus dem neuen pomp. Urkundenfund, cit., p. 150 s.; cfr.
anche R. VILLERS, La procédure formulaire, cit., p. 219; P. GRÖSCHLER,
Die tabellae-Urkunden, cit., p. 163; L. GUTIERREZ-MASSON, La prétendue
"praescriptio", cit., p. 203; F. STURM, Ea res agetur, cit.,
p. 91; G. CAMODECA, Tabulae Pompeianae Sulpiciorum, cit., p. 99.
15.
In senso contrario: R. VILLERS, La procédure formulaire, cit., p. 217
s., sulla base della convinzione che le due tavolette non fossero
simmetriche. Ma questo presupposto si fonda sulla errata percezione
delle misure delle tabellae, ingenerata dall'impressione che si ha
guardando le rappresentazioni fotografiche effettuate su diversa scala.
Ogni dubbio deve ritenersi definitivamente superato, però, in séguito
all'attento esame condotto da G. PURPURA, Tabulae Pompeianae, cit., p.
1258.
16.
G. PURPURA, Tabulae Pompeianae, cit., p. 1258 s., che conferma, così,
la lezione secondo cui nella seconda formula fosse dedotta una somma di
18.000 sesterzi, e non di 8.000, come già sostenuto da J. G. WOLF, Aus
dem neuen pomp. Urkundenfund, cit., p. 177. La lettura confermata da
Purpura è accolta da R. SANTORO, Le due formule, cit., p. 340; M. DE
BERNARDI, Lex Irnitana, cit., p. 112, nt. 36; G. CAMODECA, Tabulae
Pompeianae Sulpiciorum, cit., p. 97 s.; A. SACCOCCIO, Si certum petetur,
cit., p. 20 s.
17.
G. PURPURA, Tabulae Pompeianae, cit., pp. 1245-1266. Contro: P. GRÖSCHLER,
Die tabellae-Urkunden, cit., p. 163 s.; A. SACCOCCIO, Si certum petetur,
cit., p. 20.
18.
R. SANTORO, Le due formule, cit., pp. 335 ss., seguìto da D. MANTOVANI,
Le formule2, cit., pp. 48, nt. 87, e 103, nt. 519; cfr. anche, in
parziale adesione, F. STURM, Ea res agetur, cit., p. 97 s. Nello stesso
senso, G. CAMODECA, Tabulae Pompeianae Sulpiciorum, cit., p. 99, nt. 13,
nonché, P. GRÖSCHLER, Die tabellae-Urkunden, cit., p. 164.
19.
R. SANTORO, Le due formule, cit., pp. 342-344, ai cui rilievi aderisce,
ora, anche F. STURM, Ea res agetur, cit., p. 98, giudicandoli "presque
tous péremptoires".
20.
R. SANTORO, Il contratto, cit., p. 92; ID., Le due formule, cit., p.
350. In tal senso cfr. anche W. KUNKEL, Epigraphik, cit., p. 207, che
conosciamo solo grazie alla citazione di Sturm; W. SELB, Zu den Anfängen
des Formularverfahrens, in AA. VV., Festschrift für W. Flume zum 70.
Geburtstag, vol. 1, a cura di H. H. JAKOBS, B. KNOBBE-KEUK, E. PICKER,
J. WILHELM, Köln 1978, p. 200 s., ed ivi nt. 10; e, ora, anche M.
MARRONE, Istituzioni di diritto romano2, Palermo 1994, p. 88, nt. 64.
Contro: F. STURM, Ea res agetur, cit., pp. 92 ss.
21.
Di 'actio certae creditae pecuniae' parlano, oltre a Purpura e Santoro,
anche J. G. WOLF, Aus dem neuen pomp. Urkundenfund, cit., p. 143; H.
HONSELL, Rec. a WOLF, cit., p. 338; L. BOVE, Documenti processuali,
cit., pp. 105 e 108; ID., Le tabulae ceratae, in AA. VV., Atti del XVII
Congresso internazionale di Papirologia (Napoli, 19-26 maggio 1983),
Napoli 1984, p. 1193; R. VILLERS, La procédure formulaire, cit., pp.
216 e 221; M. TALAMANCA, voce Processo civile (Diritto romano), in ED,
vol. 36, Milano 1987, p. 39 s., ed ivi nt. 239; G. CAMODECA, Tabulae
Pompeianae Sulpiciorum, cit., pp. 97 e 99. Più correttamente, invece,
M. KASER, Formeln, cit., pp. 15 e 22; C. A. CANNATA, Profilo
istituzionale, II, cit., p. 118, nt. 8; F. STURM, Ea res agetur, cit.,
p. 91, e D. MANTOVANI, Le formule2, cit., p. 48, nt. 87, e p. 103, nt.
519, discorrono di condictio certae pecuniae. In effetti, non abbiamo
elementi che consentano di stabilire con sicurezza se si trattasse di
una condictio nascente da mutuo. Se, infatti, alla condictio data per
far valere le pretese di certa pecunia si accompagnava sempre una
sponsio tertiae partis, a prescindere dalla circostanza che
l'obbligazione dedotta in giudizio fosse stata contratta re, litteris o
verbis, solamente nel caso di credito nascente da un mutuo, però, si
poteva parlare in senso proprio di actio certae creditae pecuniae.
Similmente, poiché, da un lato, in taluni passi della pro Roscio
comoedo (§ 4.10, § 4.13 e § 5.14) l'azione di cui parla Cicerone è
diretta al dare oportere di un certum, e poiché, dall'altro, si fa
riferimento a quella sponsio tertiae partis attestata in Gai. 4.13 e
4.171 (cfr. infra, nt. 27) in relazione all'actio certae creditae
pecuniae, si è voluto identificare proprio con un'actio certae creditae
pecuniae l'azione esperita da Fannio contro Roscio: cfr., per tutti, G.
DONATUTI, Le causae delle condictiones, in Studi Parmensi, Milano 1950
(ma 1951), ora anche in ID., Studi di diritto romano, vol. II, a cura di
R. REGGI, Milano 1977 [da cui citeremo], p. 705; con riferimento
all'azione intentata contro Roscio discorrono di 'actio certae creditae
pecuniae' anche A. MAGDELAIN, Les actions civiles, Paris 1954, p. 16, nt.
1; A. WATSON, The Law of Obligations in the Later Roman Republic, Oxford
1965, p. 25; G. GROSSO, Spunti e riflessioni su Cic., Pro Q. Roscio com.
5, 15, sui iudicia legitima da Cicerone a Gaio, e sull'origine dei bonae
fidei iudicia, in AA. VV., Studi in onore di A. Segni, Milano 1967, pp.
483 ss., ora anche in G. GROSSO, Scritti storico giuridici, vol. III.
Diritto privato. Persone obbligazioni successioni, Torino 2001, p. 725;
M. BALZARINI, Considerazioni in tema di iudicia legitima, in AA. VV.,
Studi in onore di E. Volterra, vol. 3, Milano 1971, p. 455; M. TALAMANCA,
Il riordinamento augusteo del processo privato, in AA. VV., Gli
ordinamenti giudiziari di Roma imperiale. Princeps e procedure dalle
leggi giulie ad Adriano. Atti del Convegno intern. di dir. rom. e del
III Premio romanistico "G. Boulvert" (Copanello 5-8 giugno
1996), a cura di F. MILAZZO, Napoli-Roma-Milano 1999, pp. 95 s. e 189. A
noi, però, sembrano più persuasive le argomentazioni di quanti hanno
escluso una siffatta identificazione sulla base della considerazione
che, negli scritti di Cicerone, il verbo 'credere' e la locuzione 'credita
pecunia' si trovano impiegati con esclusivo riferimento a somme di
denaro date a mutuo (o stipulate in connessione ad operazioni di mutuo),
sicché soltanto in relazione alla richiesta di tali somme si potrebbe
parlare tecnicamente di 'actio certae creditae pecuniae': così B.
ALBANESE, Per la storia del creditum, in AUPA, 32 (1971), pp. 127-131;
R. SANTORO, Studi sulla condictio, in AUPA, 32, cit., pp. 385 ss., nt.
71. Cfr. pure, in questo senso, L. PELLECCHI, L'azione in ripetizione e
le qualificazioni del dare in Paul. 17 ad Plaut. D. 12.2.65. Contributo
allo studio della condictio, in SDHI, 64 (1998), p. 74, nt. 16; ID.,
Alcune osservazioni, cit., p. 102 s., nt. 17; D. MANTOVANI, Le formule2,
cit., p. 48, ed ivi nt. 87, che distingue opportunamente fra condictio
certae pecuniae ed actio certae creditae pecuniae, rilevandone il
rapporto di genus a species. In senso contrario, invece, v., da ultimo,
A. SACCOCCIO, Si certum petetur, cit., p. 143, e gli autori ivi
richiamati alla nt. 3 (cfr. anche p. 149 s., ed ivi nt. 23). Da questo
angolo visuale, allora, la testimonianza di Quint., Inst. orat., 4.2.6,
dove si parla di actio certae creditae pecuniae in riferimento alla
restituzione di una somma di denaro promessa con stipulatio certi (cfr.
infra, § 7, nt. 51), si può spiegare ipotizzando un graduale processo
di assimilazione terminologica fra la condictio certae pecuniae e l'actio
certae creditae pecuniae, a misura che la nozione di credere e di
creditor si andavano via via allargando, estendendosi oltre l'originario
significato connesso al 'dare a mutuo' (al riguardo cfr. B. ALBANESE,
Per la storia, cit., pp. 126 ss.). Un simile processo, non ancora
avviato ai tempi di Cicerone, doveva essersi già sviluppato ai tempi di
Gaio. In Gai. 4.13 e 4.171, infatti, si parla di 'actio certae creditae
pecuniae' facendo riferimento, in realtà, ad ogni condictio certae
pecuniae, perché all'esercizio di quest'azione, e non limitatamente a
quella nascente da una datio mutui, si accompagnavano la sponsio e la
restipulatio tertiae partis. In questo senso cfr. J. BARON, Die
Condictionen, Berlin 1881, pp. 156 ss.
22.
Sul punto v. infra, §§ 11-13.
23.
R. VILLERS, La procédure formulaire, cit., p. 222: "Sauf à tomber
dans un scepticisme désesperé et à voir dans le mysterieux "Ea
res agetur" un simple "étiquette de dossier", nous
croyons que la mention, inutile bien sûr, avait été une sorte de cautèle
supplémentaire pur un plaideur peu sûr de son affaire".
24.
F. STURM, Ea res agetur, cit., pp. 89 ss.
25.
Sulla questione dell'appartenenza della praescriptio alla formula, nonché
sulla analogia funzionale riscontrabile fra praescriptio pro actore e
demonstratio v. M. WLASSAK, Praescriptio und bedingter Prozeß, in ZSS,
33 (1912), pp. 81 ss. (spec. 97) [= ID., Ea res agatur, in AA. VV., Mélanges
P. F. Girard, Paris 1912, pp. 615 ss.]; E. BETTI, Su la formola del
processo civile romano, in Filangieri 1914 (estr.), p. 44 s., ed ivi nt.
5, e p. 49 (cfr. anche pp. 33 ss.); W. SELB, Formeln, cit., pp. 24 s. e
27; ID., Formulare Analogien in "actiones utiles" und "actiones
in factum" am Beispiel Julians, in AA. VV., Studi in onore di
Arnaldo Biscardi, vol. II, Milano 1982, pp. 320 ss., 325 s. e 350; M.
KASER, Formeln, cit., pp. 15, nt. 34, e 29; J. G. WOLF, Aus dem neuen
pomp. Urkundenfund, cit., p. 159; M. KASER-K. HACKL, Das Römische
Zivilprozessrecht2, München 1996, p. 320 s.; C. A. CANNATA, Profilo
istituzionale, II, cit., p. 73; R. SANTORO, Il contratto, cit., pp. 80 e
93 s.; ID., Le due formule, cit., p. 350; ID., Aspetti formulari della
tutela delle convenzioni atipiche, in AA. VV., Le teorie
contrattualistiche romane nella storiografia contemporanea, a cura di N.
BELLOCCI, Napoli 1991, p. 85; A. BURDESE, Ancora sul contratto nel
pensiero di Labeone (a proposito del volume di Raimondo Santoro), in
SDHI, 51 (1985), pp. 463 s. e 476; ID., I contratti innominati, in AA.
VV., Derecho romano de obligaciones. Homenaje al Profesor José Luis
Murga Gener, a cura di J. PARICIO, Madrid 1994, p. 88, ora anche in A.
BURDESE, Miscellanea romanistica, Madrid 1994 [da cui si citerà], p.
238 s.; M. TALAMANCA, voce Processo civile, cit., pp. 38-41 e 45 s.; J.
KRANJC, Die actio praescriptis verbis als Formelaufbauproblem, in ZSS,
106 (1989), pp. 434 ss.; L. GUTIERREZ-MASSON, La prétendue "praescriptio",
cit., p. 205 s.; F. STURM, Ea res agetur, cit., p. 93, ad avviso del
quale Gai. 4.132 potrebbe anche contenere un glossema.
26.
Altra questione risvegliata dal rinvenimento delle due tavolette cerate
di Pompei contenenti le due formule processuali è quella che concerne
il ruolo della scrittura nell'ambito del litigare per formulas: cfr. L.
BOVE, Documenti processuali, cit., pp. 95-105, con richiami alla
precedente letteratura; J. G. WOLF, Aus dem neuen pomp. Urkundenfund,
cit., p. 152.
27.
Ricordiamo che anche l'attore, da parte sua, si sarebbe obbligato con
restipulatio a pagare al convenuto la stessa somma di denaro 'si non
debitum petat'. Cfr. Gai. 4.13:
eaque actio [scil. sacramenti]
proinde periculosa erat falsi ........, atque hoc tempore periculosa est
actio certae creditae pecuniae propter sponsionem qua periclitatur reus,
si temere neget, <et> restipulationem qua periclitatur actor, si
non debitum petat; nam qui victus erat, summam sacramenti praestabat
poenae nomine, eaque in publicum cedebat praedesque eo nomine praetori
dabantur, non ut nunc sponsionis et restipulationis poena lucro cedit
adversario qui vicerit; cfr. Gai. 4.171:
ex quibusdam causis
sponsionem facere permittitur, veluti de pecunia certa credita et
pecunia constituta; sed certae quidem creditae pecuniae tertiae partis,
constitutae vero pecuniae partis dimidiae. Dall'obbligo di prestare la
sponsio tertiae partis, però, erano dispensati le donne ed i pupilli (cfr.
infra, § 13). Per la conceptio verborum della sponsio tertiae partis v.
la ricostruzione di D. MANTOVANI, Le formule2, cit., p. 103 (n. 187),
che appare preferibile a quella a suo tempo proposta da A. F. RUDORFF,
De iuris dictione edictum. Edicti perpetui quae reliqua sunt, Lipsiae
1869, p. 103 (§ 93): sul punto v., da ultimo, E. BIANCHI, La
"temerarietà" nelle Istituzioni di Gaio (4.171-182), in SDHI,
67 (2001, ma 2002), p. 271, nt. 30.
28.
Cic., pro Rosc. com., 4.10 (cfr. 5.14); lex Rubria de Gallia Cisalpina (Roman
Statutes, 1, a cura di M. H. CRAWFORD, London 1996, pp. 465 ss. [n. 28]
= FIRA, I2, n. 19), capp. 21-22; lex Irnit., capp. 84, 85, 89.
29.
Si vedano le fonti citate nella nt. precedente.
30.
Cfr. supra, § 1, su nt. 12.
31.
G. PURPURA, Ricerche, cit., p. 286, nt. 282, che, però, non adduce
alcuna testimonianza a suffragio di questo assunto. Contro: V.
ARANGIO-RUIZ, "Sponsio" e "stipulatio" nella
terminologia romana, in BIDR, 65 (1962), pp. 193 ss. (spec. p. 210).
Alle fonti già indicate da Arangio-Ruiz bisogna ora aggiungere anche i
capp. 84, 85 e 89 della lex Irnitana, dove il termine sponsio si trova
impiegato in riferimento a sponsiones iudiciales: cfr. M. DE BERNARDI,
Lex Irnitana, cit., pp. 117-119 (cfr. anche p. 140, nt. 105).
32.
G. PURPURA, Tabulae Pompeianae, cit., pp. 1259 ss.
33.
Tale praescriptio, infatti, riguarda soltanto la prima delle due formule
riferite in TPSulp. 31 [= TP. 34]. Deve infatti escludersi, con R.
SANTORO, Il contratto, cit., p. 92, nt. 77; ID., Le due formule, cit.,
p. 339, che la praescriptio riguardasse entrambe le formule. Nello
stesso senso: G. PURPURA, Tabulae Pompeianae, cit., p. 1255; G. CAMODECA,
Tabulae Pompeianae Sulpiciorum, cit., p. 98. Contro: J. G. WOLF, Aus dem
neuen pomp. Urkundenfund, cit., p. 158, seguìto da C. A. CANNATA,
Profilo istituzionale, II, cit., p. 118, nt. 8.
34.
Da parte di F. STURM, Ea res agetur, cit., pp. 93 ss.
35.
Negli Excerpta Probiana riferiti nel Codex Einsidlensis 326 (FIRA, II,
pp. 457 ss.), infatti, la sigla 'E. R. A.', che riguarda con sicurezza
una praescriptio pro actore, è sciolta con la formulazione del verbo
all'indicativo presente 'ea res agitur' (Prob., 6.3). Nel palinsesto
veronese delle Institutiones gaiane è attestata la forma con il
congiuntivo presente 'ea res agatur' (Gai. 4.131-133): è opportuno
ricordare, però, che, nel luogo del codice veronese relativo a Gai.
4.137, si legge, in realtà, la forma 'agetur', che gli editori hanno
poi corretto in 'agatur' (sul punto cfr., per tutti, C. A. CANNATA,
Profilo istituzionale, II, cit., p. 118).
36.
Con riguardo alla questione che concerne la possibilità di concepire
una praescriptio con funzione 'determinativa' in relazione alle pretese
di un certum cfr. J. G. WOLF, Causa stipulationis, Köln-Wien 1970, p.
200 s., nt. 43; ID., Aus dem neuen pomp. Urkundenfund, cit., pp. 162
ss.; M. KASER, Formeln, cit., p. 23 s.; R. VILLERS, La procédure
formulaire, cit., p. 220 s.; C. A. CANNATA, Profilo istituzionale, II,
cit., p. 123 s.; L. GUTIERREZ-MASSON, La prétendue "praescriptio",
cit., p. 203 s.; F. STURM, Ea res agetur, cit., p. 94.
37.
Cfr. Gai. 4.131.
38.
Anche a tacere della parentela semantica ravvisabile fra questi due
aggettivi, va comunque sottolineato che, come è stato già notato, si
tratta di due funzioni non sempre nettamente distinguibili fra loro,
l'una relativa all'aspetto 'quantitativo' della pretesa, l'altra
all'aspetto, per così dire, 'qualitativo': cfr. M. TALAMANCA, voce
Processo civile, cit., p. 40, nt. 294; R. SANTORO, Il contratto, cit.,
p. 94, nt. 84, il quale nota che la funzione limitativa "può
rientrare nel più ampio concetto di funzione determinativa della res de
qua agitur".
39.
Ed anzi osserviamo che sembrano avere funzione cosiddetta
'determinativa' gli esempi di praescriptiones riferiti in Gai.
4.136-137, la prima delle quali inserita 'loco demonstrationis', e le
altre due premesse alle formule delle azioni intentate contro i garanti
(sponsor o fideiussor): cfr. C. A. CANNATA, Profilo istituzionale, II,
cit., p. 124; R. SANTORO, Il contratto, cit., pp. 88 ss.; M. MARRONE,
Istituzioni2, cit., p. 88, nt. 64; ID., La formula della rivendica:
astratta o causale?, in AUPA, 46 (2000), p. 149.
40.
Cfr. S. SCHLOSSMANN, Praescriptiones und praescripta verba. Wider die
Schriftformel des römischen Formularprozesses, Leipzig 1907, pp. 10
ss.; R. SANTORO, Il contratto, cit., p. 93 s.; J. KRANJC, Die actio
praescriptis verbis, cit., p. 438, nt. 11.
41.
In questo senso: R. SANTORO, Il contratto, cit., p. 92 s.
42.
Il valore della testimonianza ciceroniana potrebbe sembrare indebolito
proprio dal fatto che la specificazione dell'id de quo disseratur sia
riconnessa ad un convenire delle parti in contesa. Questa obiezione,
tuttavia, può esser superata se si considera che la litis contestatio
era compiuta sul programma di giudizio così come esso era stato
approvato in iure da entrambe le parti in causa sotto la direzione del
magistrato giusdicente: anche l'eventuale inserimento nel testo della
formula delle praescriptiones - non importa se pro actore o pro reo -
doveva esser concordato da entrambe le parti.
43.
Un'analoga funzione doveva svolgere, probabilmente, anche la
praescriptio che precedeva la formula nascente dal compromissum di cui
si ha testimonianza in TH. 76: v. B. BISCOTTI, Dal pacere ai pacta
conventa. Aspetti sostanziali e tutela del fenomeno pattizio dall'epoca
arcaica all'editto giulianeo, Milano 2002, pp. 289 e 323 s.
44.
Ma la formulazione con l'indicativo futuro non dovrebbe poi stupire più
di tanto se si tiene presente che tanto il congiuntivo desiderativo
quanto l'indicativo futuro hanno una funzione per certi aspetti analoga:
così W. SELB, Formeln, cit., p. 58; in adesione: J. G. WOLF, Aus dem
neuen pomp. Urkundenfund, cit., p. 159; M. KASER-K. HACKL, Das röm.
Zivilprozessrecht2, cit., p. 258. Contro: F. STURM, Ea res agetur, cit.,
pp. 93 e 97. Al riguardo ricordiamo che, secondo C. A. CANNATA, Profilo
istituzionale, II, cit., pp. 118 ss., le variazioni della forma verbale
nelle praescriptiones non dovevano essere indifferenti.
45.
Cfr. supra, nt. 35.
46.
La lacuna del manoscritto, tuttavia, non ha impedito ad alcuni studiosi
di trarre la conclusione che "la praescriptio pro actore è una
clausola tipica delle formule con demonstratio fornite di intentio
incerta": così G. SACCONI, La "pluris petitio", cit., p.
173; cfr., nello stesso senso, R. VILLERS, La procédure formulaire,
cit., p. 221; L. GUTIERREZ-MASSON, La prétendue "praescriptio",
cit., p. 203.
47.
La lezione del palinsesto veronese, dove si legge 'pacto' in luogo di 'facto',
era preferita da F. KNIEP, Präscriptio und pactum, Jena 1891, pp.
60-63, sulla base di una diversa ricostruzione della lacuna del
manoscritto nel luogo corrispondente a Gai. 4.134. Ma si tratta di tesi
non sostenibile: cfr. C. FERRINI, Sulla teoria generale dei 'pacta', in
Filangieri, 17 (1892), ora anche in ID., Opere, vol. III. Studi vari di
diritto romano e moderno (sulle Obbligazioni, sul Negozio giuridico,
sulle Presunzioni), Milano 1929, p. 268 s., e, più di recente, R.
SANTORO, Il contratto, cit., p. 78 s., nt. 52.
48.
In questo senso E. BETTI, Su la formola, cit., p. 49, nt. 2. Su Gai.
4.134 v., da ultima, M. MICELI, Sulla struttura formulare delle actiones
adiecticiae qualitatis, Torino 2001, pp. 351 ss., ove altra letteratura
nella nt. 46.
49.
Cfr. Gai. 4.45: Sed eas quidem formulas, in quibus de iure quaeritur, in
ius conceptas vocamus.
50.
Ad una stipulatio incerti ha pensato A. F. RUDORFF, Römische
Rechtsgeschichte, vol. 2, Leipzig 1859, p. 120, nt. 34.
51.
Ciò risulta da varie fonti, tanto letterarie quanto giuridiche: cfr.
Cic., pro Rosc. com., 5.14; Quint., Inst. orat., 4.2.6: Satis est
dixisse: certam creditam pecuniam peto ex stipulatione; D. 12.1.9 pr. (Ulp.
26 ad ed.): Certi condictio competit ex omni causa, ex omni obligatione
ex qua certum petitur rell. [per la cui genuinità si veda, da ultimo,
A. SACCOCCIO, Si certum petetur, cit., pp. 55 ss., con indicazione della
precedente letteratura in nt. 119]; D. 12.1.24 (Ulp. l. s. pand.): Si
quis certum stipulatus fuerit, ex stipulatu actionem non habet, sed illa
condicticia actione id persequi debet, per quam certum petitur; I. 3.15
pr.:
Ex qua (scil. verbis obligatione) duae proficiscuntur actiones,
tam condictio, si certa sit stipulatio, quam ex stipulatu, si incerta
rell.; sch. 1 ad B. 11.2.23 (Hb., I, 695); sch. ad B. 23.1.4 (Hb., II,
591) [trad. lat. Heimbach]:
ex certa autem stipulatione nulla actio
nascitur, praeter solam generalem certi condictionem rell.); sch. 5 ad
B. 29.1.39 (Hb., III, 379) [trad. lat. Heimbach]: Latior textus habet:
condictionem ad debiti exactionem habet: et Stephanus adnotans ait:
Certi condictionem generalem intellige, quae etiam pro actione ex
stipulatu intenditur. Pone enim, ut propositum est, dotis restitutionem
extraneus sibi servasse). Cfr. K. A. D. UNTERHOLZNER, Ueber die Rede des
Cicero für den Schauspieler Q. Roscius und über die litterarum
obligatio insbesondere, in ZRG, 1 (1815), p. 252, ed ivi nt. 5; A.
BECHMANN, Das Römische Dotalrecht, II, Erlangen 1867, p. 350; V. V.
MELTZL, Ueber den Ursprung der condictio incerti und ihr Verhaeltnis zur
actio incerta ex stipulatu, Koloszvár 1907, pp. 9 ss.; P. F. GIRARD,
Manuale elementare di diritto romano4, trad. ital. di C. LONGO, Milano
1909, p. 506, nt. 2; P. E. CORBETT, The Roman Law of Marriage, Oxford
1930, p. 166; G. DONATUTI, Le causae delle condictiones, cit., p. 706
s.; G. PROVERA, Corrispondenze tra stipulatio ed intentio (Riflessioni
su Gaio, 4, 53d), in Annali Camerino, 21 (1955), p. 202 s., ed ivi ntt.
10-11; ID., La pluris petitio nel processo romano. I. La procedura
formulare, Torino 1958, p. 69 s., nt. 74, con richiami alla letteratura
più antica; E. BETTI, Istituzioni di diritto romano, II.1, Padova 1960,
pp. 38 e 135 s.; B. ALBANESE, Gli atti negoziali, cit., p. 74, nt. 165;
M. MARRONE, Istituzioni2, cit., p. 475, nt. 122; M. KASER, Romisches
Privatrecht. Ein Studienbuch15, München 1989, p. 220; D. NÖRR, PSI VII
743r fr. e: Fragment einer römischen Prozeßformel?, in ZSS, 117
(2000), p. 189, nt. 51.
52.
Gai. 4.18 e 4.41 (cfr. anche Gai. 4.33 e 4.86); lex de Gallia Cisalpina
(FIRA, I2, n. 19), cap. 21, ll. 5, 10, 13. Cfr. D. MANTOVANI, Le
formule2, cit., p. 48 (n. 19).
53.
Gai. 4.136: Item admonendi sumus, si cum ipso agamus qui incertum
promiserit, ita nobis formulam esse propositam, ut praescriptio inserta
sit formulae loco demonstrationis hoc modo: IUDEX ESTO. QUOD A. AGERIUS
DE N. NEGIDIO INCERTUM STIPULATUS EST, CUIUS REI DIES FUIT, QUIDQUID OB
EAM REM N. NEGIDIUM A. AGERIO DARE FACERE OPORTET et reliqua. Cfr. D.
MANTOVANI, Le formule2, cit., p. 50 s. (n. 25). Anche la condictio
incerti deduceva nell'intentio non un 'dare oportere', bensì un 'dare
facere oportere': cfr. O. LENEL, Das Edictum Perpetuum. Ein Versuch
seiner Wiederherstellung3, Leipzig 1927, p. 156.
54.
Si potrebbe allora immaginare una condictio certae pecuniae avente una
formula del genere: 'EA RES AGETUR, QUOD A. AGERII SERVUS HS TOT MILIA
DE N. NEGIDIO STIPULATUS EST. TITIUS IUDEX ESTO. SI PARET N. NEGIDIUM A.
AGERIO HS TOT MILIA DARE OPORTERE, QUA DE RE AGITUR, TITIUS IUDEX N.
NEGIDIUM HS TOT MILIA A. AGERIO CONDEMNATO. SI NON PARET ABSOLVITO'.
Pure F. KNIEP, Präscriptio und pactum, cit., pp. 58 ss., riteneva che
l'azione in questione avesse una intentio certa. Al riguardo cfr. anche
PH. E. HUSCHKE, Kritische Bemerkungen zum vierten Buch der Institutionen
des Gaius, in ZRW, 13 (1846), p. 326 s.
55.
Di una quaestio de facto si occupava anche l'esempio di praescriptio pro
actore riferita in Gai. 4.137 ('EA RES AGATUR, QUOD A. AGERIUS DE L.
TITIO INCERTUM STIPULATUS EST, QUO NOMINE N. NEGIDIUS SPONSOR EST, CUIUS
REI DIES FUIT'), che, a nostro avviso, svolgeva una funzione anche
'determinativa' (cfr. supra, nt. 39), potendo attribuirsi funzione
limitativa, all'interno di tale praescriptio, solamente alle parole 'cuius
rei dies fuit'. In virtù di questa praescriptio, il giudice, giusta
l'esplicito richiamo delle parole 'OB EAM REM' contenute nell'intentio,
sarebbe stato tenuto ad accertare la sussistenza di un factum che doveva
corrispondere a verità 'secundum naturalem significationem', quale la
conclusione di una stipulatio incerti fra l'attore ed il debitore
garantito dallo sponsor convenuto in giudizio.
56.
Sulla natura 'astratta' della formula della condictio cfr., fra gli
altri, J. BARON, Die Condictionen, cit., passim; P. F. GIRARD, Manuale
elementare4, cit., p. 506, ed ivi nt. 2 (cfr. anche p. 624, ed ivi nt.
2); G. DONATUTI, Le causae delle condictiones, cit., p. 705 s., ed ivi
nt. 11; G. PROVERA, La pluris petitio, cit., pp. 73 ss.; E. BETTI,
Istituzioni di diritto romano, II.1, cit., p. 135; J. G. WOLF, Causa
stipulationis, cit., pp. 198 e 200 s., ed ivi nt.73; ID., Aus dem neuen
pomp. Urkundenfund, cit., p. 161 s., ntt. 75 e 77; W. SELB, Formeln,
cit., p. 44; M. KASER, Formeln, cit., p. 18; ID., Röm. Privatrecht. Ein
Studienbuch15, cit., p. 220; C. A. CANNATA, Profilo istituzionale, II,
cit., p. 75; P. BONFANTE, Istituzioni di diritto romano10, (rist.
corretta) Milano 1987, p. 96; A. BURDESE, Rec. a W. PIKA, Ex causa
furtiva condicere im klassischen römischen Recht, in SDHI, 55 (1989),
p. 477; ID., Miscellanea romanistica, cit., p. 229 s.; L. PELLECCHI,
L'azione in ripetizione, cit., p. 73 s.; I. FARGNOLI, "Alius solvit
alius repetit". Studi in tema di indebitum condicere, Milano 2001,
pp. 6-8; A. SACCOCCIO, Si certum petetur, cit., pp. 16 ss., ove altra
letteratura alla nt. 36.
57.
Che si trattasse di una condictio certae pecuniae risulta, oltre che da
Cic., pro Rosc. com., 4.10-12, anche da altri passi dell'orazione, come
il § 4.13 (iudicium pecuniae certae) ed il § 5.14 (pecunia petita
certa); così già P. HUVELIN, Études sur le furtum dans le très
ancien droit romain, I. Les sources, Lyon-Paris 1915, p. 462 s. Sul
punto cfr. anche le notazioni svolte supra, nt. 21.
58.
In questo senso v. G. PROVERA, La pluris petitio, cit., p. 81, nt. 90;
J. G. WOLF, Causa stipulationis, cit., p. 201, nt. 43; ID., Aus dem
neuen pomp. Urkundenfund, cit., p. 163, ed ivi nt. 79.
59.
Cfr. pro Rosc. com., 4.13:
iam duae partes causae sunt confectae;
adnumerasse sese negat, expensum tulisse non dicit, cum tabulas non
recitat. Reliquum est ut stipulatum se esse dicat; praeterea enim quem
ad modum certam pecuniam petere possit non reperio; 5.14:
haec
pecunia necesse est aut data aut expensa lata aut stipulata sit rell. A
giudizio di A. SACCOCCIO, Si certum petetur, cit., p. 149, con citazione
della precedente letteratura alla nt. 21 (sul punto v. anche gli autori
citati ibid., p. 151, nt. 27), si tratterebbe di un'elencazione
tassativa, ricalcata sul sistema muciano, in cui al sistema delle
fattispecie tutelate con condictio si sarebbe contrapposto quello delle
fattispecie tutelate con azioni di buona fede.
60.
Cfr., in proposito, i persuasivi rilievi di R. SANTORO, Il contratto,
cit., p. 76 s., ed ivi nt. 47, fondati sulla lezione che si legge nel
palinsesto veronese nel luogo corrispondente a Gai. 4.40, già difesa a
suo tempo da M. WLASSAK, Praescriptio, cit., p. 103 s., nt. 2, e
tuttavia da altri studiosi emendata in 'principio' sulla base di
presupposti che, però, non appaiono del tutto convincenti, e, quindi,
non condivisibili. Alle conclusioni di Santoro sembra aderire, di
recente, anche M. MICELI, Sulla struttura formulare, cit., p. 350 s., ed
ivi nt. 4.
61.
Gai. 4.40; cfr. anche Gai. 4.60.
62.
Il problema non si sarebbe posto, invece, per le formule delle azioni in
factum conceptae di cui si parla in Gai. 4.46, perché nella parte
iniziale di tali formule si indicava ciò 'quod factum est'. Sulla
scorta di quanto si legge in Gai. 4.60, infatti, non si deve dubitare
che l'intentio in factum concepta designasse la 'res de qua agitur': cfr.
R. SANTORO, Il contratto, cit., p. 77 s. D'altra parte, quanto già
affermato da questo A. ci pare confortato proprio dal modo in cui si
esprime il giurista in Gai. 4.60, lì dove al demonstratorio modo con
cui si designa la res de qua agitur dell'actio depositi in ius, fornita
di demonstratio, viene contrapposto, in maniera perfettamente parallela
sul piano espositivo, l'alio modo con cui si designa la res de qua
agitur nella intentio dell'actio depositi in factum. Sui rapporti fra
demonstratio ed intentio in factum concepta v. G. SACCONI, La "pluris
petitio", cit., p. 198 s., con indicazione della precedente
letteratura in nt. 121.
63.
Così come ipotizzava, sia pur in termini dubitativi, G. PROVERA, La
pluris petitio, cit., p. 76. Sul punto cfr. gli autori citati in M.
WLASSAK, Praescriptio, cit., pp. 105 ss., nt. 4, nonché E. BETTI, Su la
formola, cit., p. 49, nt. 2.
64.
Circa la funzione che dovevano svolgere le parole 'qua de re agitur'
nelle formule delle azioni in personam v., da ultimo, M. MARRONE, Due
interessanti testi di Pomponio a proposito di preclusione processuale,
litis contestatio e sentenza, in AA. VV., Mélanges Fritz Sturm offerts
par ses collègues et ses amis à l'occasion de son soixante-dixième
anniversaire, vol. I, a cura di J.-F. GERKENS, H. PETER, P.
TRENK-HINTERBERGER, R. VIGNERON, Liège 1999, p. 373 s. [= AUPA, 45.1
(1998), p. 437 s.], con richiami ad altra letteratura (ibid., nt. 21);
cfr. anche D. MANTOVANI, Le formule2, cit., p. 26.
65.
La funzione di deducere in iudicium è esplicitamente riconosciuta alla
praescriptio pro actore in Gai. 4.134.
66.
Al riguardo cfr., da ultimo, M. MARRONE, Due interessanti testi di
Pomponio, cit., p. 433 s., con indicazione delle fonti e puntuale
citazione della letteratura meno recente nelle ntt. 10-11; ID., Res in
iudicium deducta-res iudicata, in BIDR, 98-99 (1995-1996, ma 2000), p.
65.
67.
Così F. STURM, Ea res agetur, cit., p. 98.
68.
Cfr. G. FALCONE, Ricerche sull'origine dell'interdetto Uti possidetis,
in AUPA, 44 (1996), p. 237 s.
69.
Al riguardo ci sia consentito rinviare a M. VARVARO, Di nuovo sulla lex
de XX quaestoribus, in AUPA, 45.2 (1998), p. 465, con altra letteratura
in nt. 18, cui adde G. NOCERA, Il linguaggio del diritto in Roma, in AA.
VV., Atti del III Seminario Romanistico Gardesano (22-25 ottobre 1985),
Milano 1988, p. 533.
70.
W. SELB, Formeln, cit., pp. 40 ss., spec. 42, dove si precisa - in
riferimento, però, alle pretese di un incertum - che la "Individualisierung
des Streitgegenstandes" poteva avvenire, in alcuni casi, nell'intentio,
in altri casi nella demonstratio o nella demonstratio-praescriptio, in
altri ancora nella mera praescriptio (come in Gai. 4.131-131a). Cfr.
anche ID., Zu den Anfängen, cit., p. 201, ed ivi nt. 10.
71.
B. KUPISCH, Rec. a W. SELB, Formeln mit unbestimmter intentio iuris, in
ZSS, 93 (1976), p. 454; J. G. WOLF, Aus dem neuen pomp. Urkundenfund,
cit., pp. 162 ss. Di "funzione di delimitazione della materia del
contendere" discorre D. MANTOVANI, Le formule2, cit., p. 25, nt.
31.
72.
F. STURM, Ea res agetur, cit., p. 102.
73.
Cfr. G. PUGLIESE, voce Giudicato civile (storia), in ED, vol. 18, Milano
1969, p. 738 s., ora anche in ID., Scritti giuridici scelti, vol. II, a
cura di G. SACCONI ed I. BUTI, Napoli 1985, p. 150 s.; M. MARRONE, Agere
lege, formulae e preclusione processuale, in AA. VV., Praesidia
libertatis. Garantismo e sistemi processuali nell'esperienza di Roma
repubblicana. Atti del convegno intern. di dir. rom. (Copanello 7-10
giugno 1992), a cura di F. MILAZZO, Napoli 1994, p. 24 s., nt. 16 [=
AUPA, 42 (1992), p. 217 s., nt. 16], con fonti; ID., La ripetizione
della rivendica formulare tra le stesse parti e il problema dell'eadem
res, in SDHI, 64 (1998), pp. 50 ss., con altra bibliografia, cui adde,
ora, M. MICELI, Sulla struttura formulare, cit., pp. 251 ss., ed ivi nt.
54.
74.
D'altro canto, la circostanza che la seconda formula del trittico
pompeiano, avente ad oggetto un certum, non sia preceduta da alcuna
praescriptio, si potrebbe spiegare con la considerazione che, in
riferimento ad essa, non vi sarebbe stato alcun rischio connesso agli
effetti estintivi della litis contestatio.
75.
Non deve trarre in inganno, al riguardo, quanto si legge in Gai. 4.131,
lì dove si dice 'necesse est ut cum hac praescriptione agamus': la
'necessità' cui si fa riferimento, infatti, è subordinata alla
condizione che l'attore voglia 'id quidem, quod praestari oportet,
petere et in iudicium deducere, futuram vero obligationis praestationem
in integro relinquere'.
76.
R. SANTORO, Le due formule, cit., pp. 347-350, cui aderisce, sulla base
di nuove osservazioni (che, però, non trovano sempre adeguato sostegno
nelle fonti), L. GUTIERREZ-MASSON, La prétendue "praescriptio",
cit., p. 209. Contro, ma senza argomenti specifici, M. TALAMANCA, voce
Processo civile, cit., p. 40, nt. 291.
77.
F. L. KELLER, Der römische Civilprozess und die Actionen6, Leipzig
1883, pp. 88 ss.; J. KAPPEYNE VAN DE COPPELLO, Über constituta pecunia,
in Abhandlungen zum römischen Staats- und Privatrecht, trad. tedesca,
Berlin 1891, pp. 201 ss.; E. JOBBÉ-DUVAL, Études sur l'histoire de la
procédure civile chez les Romains, I. La procédure par le pari, Paris
1896, pp. 181 ss.; O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II.1, Leipzig
1901, p. 595 s. Altra letteratura sul tema in R. SANTORO, Le due
formule, cit., p. 348, nt. 63.
78.
Cfr. lex de Gallia Cisalpina, cap. 21 (Roman Statutes, 1, cit., p. 465
s.): a quoquomq(ue) pecunia certa credita, signata forma p(ublica) p(opulei)
R(omanei), in eorum quo o(ppido) m(unicipio) c(olonia) p(raefectura) |
f(oro) v(eico) c(onciliabulo) c(astello) t(erritorio)ve, quae sunt
eruntve in Gallia Cisalpeina, petetur, quae res non | pluris (sestertium)
(quindecim milibus) erit, sei is eam pecuniam in iure apud eum, quei
ibei i(ure) d(eicundo) p(raerit), ei quei | eam petet, aut ei quoius
nomine ab eo petetur, d(are) o(portere) debereve se confessus | erit,
neque id quod confessus erit solvet satisve faciet, aut se sponsione |
iudicioque utei{ve} oportebit non defendet, seive is ibei d(e) e(a) r(e)
in iure non | responderit, neque d(e) e(a) r(e) sponsionem faciet neque
iudicio utei oportebit | se defendet: tum de eo, a quo ea pecunia
peteita erit, deque eo, quoi eam | pecuniam d(arei) oportebit, s(iremps)
res lex ius caussaque o(mnibus) o(mnium) r(erum) esto atque utei esset
esseve | oporteret, sei is, quei ita confessus erit, aut d(e) e(a) r(e)
non responderit aut se | sponsione iudicioque utei oportebit non
defenderit, eius pecuniae iei | quei eam suo nomine petierit quove eam
d(arei) o(portebit), ex iudici<bu>s dateis iudi|careve recte
iusseis iure lege damnatus esset fuisset rell.; si legga anche il
successivo cap. 22.
79.
Al riguardo cfr. M. KASER, Die lex Aebutia, in AA. VV., Studi in memoria
di E. Albertario, vol. I, Milano 1953, p. 32; G. NEGRI, Appunti
sull'"indefensio" nella condictio certae pecuniae ex lege
Rubria, in AA. VV., Atti del III Convegno di studi veleiati (Piacenza -
Veleia - Parma 31 Maggio-2 Giugno 1967), Milano-Varese 1969, pp. 257-259
e 284; F. J. BRUNA, Lex Rubria. Caesars Regelung für die richterlichen
Kompetenzen der Munizipalmagistrate in Gallia Cisalpina, in Studia
Gaiana, 5, Leiden 1972, p. 150 s., ed ivi nt. 19; N. SCAPINI, La
confessione nel diritto romano, I. Diritto classico, Torino 1973, pp. 23
ss. (spec. p. 31 s.); R. SANTORO, Le due formule, cit., p. 348, nt. 64;
M. DE BERNARDI, Lex Irnitana, cit., p. 112 (cfr. anche p. 139 s.); L.
PELLECCHI, Alcune osservazioni, cit., p. 103 s.
80.
In questo senso v. O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, II.1, cit.,
p. 596; R. SANTORO, Le due formule, cit., p. 349, nt. 65. Sul punto v.
anche L. PELLECCHI, Alcune osservazioni, cit., pp. 103 ss.
81.
Che nel contesto espositivo dei capp. 21-22 della Lex de Gallia
Cisalpina il termine 'iudicium' vada inteso nel senso di 'formula' ci
sembra riconosciuto da F. J. BRUNA, Lex Rubria, cit., p. 150 s., il
quale così traduce le ll. 6-7 del cap. 21 della Lex de Gallia
Cisalpina: "falls er nicht erschienen ist und ebensowenig in dieser
Angelegenheit eine sponsio leistet und sich mit Hilfe einer
Prozessformel wie vorgeschrieben verteidigt".
82.
Che il prestare le sponsiones ed il compiere le relative litis
contestationes sulle formule delle azioni che ne derivavano fossero
considerati due aspetti di un'unica attività ci sembra possa dedursi
dal fatto che, a livello espositivo, lo 'sponsionem non facere' e lo 'sponsionum
iudicia accipere' sono sintatticamente legati dalla congiunzione 've',
mentre le altre attività ricordate fra i cetera ex interdicto (vim
facere ex interdicto; fructus licitatio; satisdatio fructuaria) sono fra
loro connesse dalla congiunzione 'aut'.
83.
Come si vedrà (infra, § 13), infatti, vi erano anche alcuni casi in
cui era possibile agire sine periculo.
84.
Poiché, infatti, entrambe le parti si trovavano già innanzi al
magistrato giusdicente, non v'era bisogno di procedere alla prima editio
che solitamente precedeva la in ius vocatio, e che serviva a far sapere
al convenuto quale tipo di azione l'attore avrebbe intentato contro di
lui, perché costui potesse comportarsi di conseguenza, decidendo, ad
esempio, se e come resistere, o, in alternativa, se confessare in iure:
cfr. D. 2.13.1 pr. (Ulp. 4 ad ed.).
85.
Cfr. R. SANTORO, Le due formule, cit., pp. 345 ss.
86.
La lettura si arresta qui in corrispondenza della lacuna dovuta
all'impossibilità di leggere un'intera pagina del palinsesto: cfr. P.
KRÜGER-G. STUDEMUND, Gai Institutiones ad Codicis Veronensis Apographum
Studemundianum novis curis auctus, I, Berolini 1884, p. 196.
L'interpretazione di Santoro, peraltro, fa leva sulla presenza, nel
testo di Gai. 4.165, delle parole 'formulae subicit', che sono frutto di
una ricostruzione della lacuna del testo proposta da Studemund e da Krüger,
la quale, però, non può giudicarsi del tutto convincente: cfr. A. M.
GIOMARO, Agere per sponsionem: dal procedimento interdittale al
procedimento in rem, in Studi urbinati di Scienze giur., pol. ed econ.,
49 (1990-91), pp. 220 ss. Secondo questa A., infatti, l'integrazione del
passo lacunoso con le parole 'formulae subicit' non sarebbe accettabile,
in quanto non riuscirebbe comunque a colmare tutti gli "spazi
bianchi" del testo, e mal si concilierebbe con le lettere ancora
leggibili, più o meno chiaramente, nel manoscritto veronese. Ebbene, se
si accolgono tali rilievi, i quali non sembrano del tutto infondati,
verrebbe a cadere il solo indizio dal quale poter dedurre che, nell'agere
ex interdicto cum periculo, la formula dell'actio ex sponsione e quella
del iudicium secutorium si susseguissero in uno stesso documento.
87.
Il parallelismo fra le due procedure è specificamente analizzato, nella
recente letteratura, da A. M. GIOMARO, Agere per sponsionem, cit., pp.
199-232.
88.
La qualificazione è di F. BOZZA, Actio in rem per sponsionem, in AA.
VV., Studi in onore di Pietro Bonfante nel XL anno d'insegnamento, vol.
II, Milano 1930, p. 594.
89.
In questo senso v. G. I. LUZZATTO, Procedura civile romana, 3. La genesi
del processo formulare, Bologna s.d. (ma 1950), pp. 56 ss. (spec. pp.
77-79); ID., Spunti critici in tema di actio in rem per sponsionem, in
AA. VV., Studi in memoria di E. Albertario, vol. I, cit. [nt. 79], pp.
169 ss. (spec. pp. 185-187) [in estrema sintesi anche ID., voce Sponsio,
in NNDI, vol. 18, Torino 1971, p. 41]; G. PUGLIESE, Il processo civile
romano, 1. Le legis actiones, Roma s.d. (ma 1962), pp. 357 ss.; R.
SANTORO, Potere e azione nell'antico diritto romano, in AUPA, 30 (1967),
p. 413, ed ivi ntt. 5-6 (cfr. anche ID., Le due formule, cit., p. 350,
nt. 65); I. BUTI, Il "praetor" e le formalità introduttive
del processo formulare, Napoli 1984, p. 151, nt. 62; G. FALCONE, Per la
storia dell'indefensio nella rivendica: agere in rem per sponsionem e
interdetto quem fundum, in AUPA, 43 (1995), p. 553 s., ed ivi nt. 60 (cfr.
anche le notazioni svolte ibid., p. 557, nt. 69). Che la sponsio dell'agere
in rem per sponsionem fosse seguìta, originariamente, da restipulatio,
imitando il lege agere sacramento, è ipotizzato anche da E. BETTI, Su
la formola, cit., p. 40 s. Sulle sponsiones processuali v., da ultimo,
M. DE BERNARDI, Lex Irnitana, cit., pp. 97-144, con indicazione della
letteratura più antica.
90.
Per un quadro sintetico della questione rinviamo a R. MARTINI, Sponsio e
processo formulare (su spunti di G. Scherillo), in AA. VV., Gaetano
Scherillo. Atti del Convegno Milano, 22-23 ottobre 1992, Milano 1994,
pp. 115-128. Circa la derivazione del regime della rivendica formulare
dall'agere (in rem) per sponsionem v., invece, I. BUTI, Il "praetor",
cit., p. 150 s., ed ivi nt. 60; M. MARRONE, voce Rivendicazione, in ED,
vol. 34, Milano 1989, p. 10.
91.
Gai. 4.94: Non tamen haec summa sponsionis exigitur. Non enim poenalis
est, sed praeiudicialis, et propter hoc solum fit, ut per eam de re
iudicetur. Unde etiam, is cum quo agitur non restipulatur rell.
92.
Per il significato con cui intendere questo sintagma cfr. Gai. 1.112;
1.121-122; 2.22; 2.89; 2.157; 2.173; 3.56; 3.90.
93.
La stessa precisazione, peraltro, viene puntualmente ribadita anche in
quel che si legge nel corrispondente passo, purtroppo lacunoso, dei
Fragmenta Augustodunensia, 4.96 (FIRA, II, p. 225 s.): NON TAMEN HAEC
SVMMA SPONSIONIS. NON ENIM ........ non est poene ..... sponsione ......
poenalis sponsio. Ideo nec restipulatio fit
Ergo ubi poenalis
sponsio est, est et restipulatio: ubi autem praeiudicialis sponsio est,
non fit restipulatio.
94.
Gell., N. A., 14.2.26: Verba ex oratione M. Catonis, cuius commeminit
Favorinus, haec sunt: Atque ego a maioribus memoria sic accepi: si quis
quid alter ab altero peterent, si ambo pares essent, sive boni sive mali
essent, quod duo res gessissent, uti testes non interessent, illi, unde
petitur, ei potius credendum esse. Nunc si sponsionem fecisset Gellius
cum Turio, ni vir melior esset Gellius cum Turio, ni vir melior esset
Gellius quam Turius, nemo, opinor, tam insanus esset, qui iudicaret
meliorem esse Gellium quam Turium: si non melior Gellius est Turio,
potius oportet credi, unde petitur. Per un'interpretazione del testo v.,
di recente, U. VINCENTI, Duo genera sunt testium. Contributo allo studio
della prova testimoniale nel processo romano, Padova 1989, p. 99 s., nt.
19; B. ALBANESE, La sponsio processuale sulla qualifica di vir bonus, in
SDHI, 60 (1994), pp. 135-157. Un'altra attestazione, oltre a quella
riferita da Gellio, si può leggere, come notato da B. ALBANESE, La
sponsio processuale, cit., pp. 150-152, in Cic., de off., 3.19.77,
echeggiato da Val. Max., Dicta et facta mem., 7.2.4.
95.
Cfr. B. ALBANESE, La sponsio processuale, cit., p. 149 s., ed ivi nt.
34, secondo cui anche in questo caso sarebbe verosimile che la summa
sponsionis fosse simbolica e non venisse effettivamente pagata.
96.
Cfr. B. ALBANESE, La sponsio processuale, cit., pp. 144 e 149 s. Questa
stessa regola potrebbe cogliersi in Horat., Serm., 2.5.29.
97.
Al riguardo v. M. MARRONE, voce Rivendicazione, cit., p. 10.
98.
Cfr. Gai. 4.13 (trascritto supra, nt. 27); di 'periculum' si parla,
sempre con riguardo alla sponsio tertiae partis, anche in Gai. 4.172
(trascritto infra, § 13, nel testo). In proposito rileviamo che, a
nostro modo di vedere, in Gai. 4.13 il collegamento fra il sacramentum
(della legis actio sacramenti) e la sponsio tertiae partis (che
accompagnava l'actio certae creditae pecuniae) sembra giustificato
proprio sulla base del loro comune carattere penale, piuttosto che
dell'analoga funzione pregiudiziale, come è stato sostenuto, invece, da
R. SANTORO, Le due formule, cit., p. 349, nt. 65. In Gai. 4.13, infatti,
si impiega espressamente il termine 'poena' tanto per il sacramentum,
quanto per la summa sponsionis e la summa restipulationis (di
'pecuniaria poena' si discorre ancora in Gai. 4.171 in relazione alla
sponsio tertiae partis ed in Gai. 4.180-181 in relazione alla
restipulatio prestata dall'attore). Si trova puntualizzato, inoltre,
che, in entrambe le procedure poste a confronto, tale somma veniva
effettivamente pagata dal soccombente (all'erario nel caso del
sacramentum, all'avversario nel caso della sponsio o della restipulatio
tertiae partis). Anzi, proprio il fatto che la somma di denaro promessa
dallo sponsor venisse poi effettivamente riscossa doveva esser
considerato particolarmente significativo ai fini della qualificazione
della summa sponsionis come 'poena', se, come s'è visto (cfr. supra,
ntt. 91 e 93), lo stesso Gaio giustifica la circostanza che la summa
sponsionis promessa dal convenuto con la sponsio nell'agere in rem per
sponsionem non veniva poi effettivamente esatta con il carattere
meramente pregiudiziale di tale sponsio.
99.
Al riguardo v., da ultimo, G. GULINA, "Sacramentum" e "lex
Calpurnia", in corso di stampa in IVRA, 51 (2000, ma 2002), e la
letteratura ivi citata alla nt. 15.
100.
Cfr. Gai. 4.165-168; Quint., Inst. orat., 2.10.5; 7.5.3; 12.10.70; v.
anche i passi ciceroniani citati in M. DE BERNARDI, Lex Irnitana, cit.,
p. 109, nt. 22. Ci pare che le fonti non autorizzino a pensare che
queste sponsiones e restipulationes dell'agere ex interdicto fossero
tertiae partis, come riteneva G. I. LUZZATTO, Proc. civ. rom., 3, cit.,
p. 72. Su quale ammontare, del resto, si sarebbe dovuta calcolare la
terza parte?
101.
Si vedano le fonti citate in F. BOZZA, Actio in rem per sponsionem,
cit., p. 597, nt. 22.
102.
Al riguardo cfr., per tutti, G. FALCONE, Ricerche, cit., p. 294.
103.
Per la ricostruzione della cui formula v. D. MANTOVANI, Le formule2,
cit., p. 71 (n. 75).
104.
Cfr. Gai. 4.169.
105.
Cfr. Gai. 4.166a:
et hoc amplius si apud adversarium meum possessio
est, quia is fructus licitatione vicit, nisi restituat mihi possessionem,
Cascelliano sive secutorio iudicio condemnatur.
106.
In questo senso già H. H. PFLÜGER, Ciceros Rede pro Q. Roscio comoedo
rechtlich beleuchtet und verwertet, Leipzig 1904, p. 10: "Die
sponsio war doch ohne Zweifel so gefasst, dass wenn der Beklagte
schuldig befunden wurde, auch zugleich die Bedingung der Sponsio erfüllt
war, der Beklagte also ohne weitere Untersuchung zugliech in die
Sponsionssumme verurteilt werdenn musste; wogegen umgekehrt die
Freisprechung im Hauptprozess auch die Freisprechung im
Sponsionsiudicium nach sich zog".
107.
Su Gai. 4.171-172 v., di recente, E. BIANCHI, La "temerarietà",
cit., pp. 239 ss. (spec. pp. 269 ss.), ove altra bibliografia. Per un
inquadramento delle poenae processuali nell'ambito del più generale
fenomeno della penalità nel diritto romano cfr. B. ALBANESE, voce
Illecito (storia), in ED, vol. 20, Milano 1970, ora anche in ID.,
Scritti giuridici, vol. I, a cura di M. MARRONE, Palermo 1991, pp. 793
ss. (spec. p. 814).
108.
Per le diverse integrazioni di questa lacuna ('simpli nec amplius'
oppure, secondo Studemund, 'simplo tenus') v., da ultimo, E. BIANCHI, La
"temerarietà", cit., p. 272, nt. 134
109.
Ciò si ricava anche dalla lettura di Gai. 4.181: Qui autem
restipulationis poenam patitur, ei neque calumniae iudicium opponitur
neque iurisiurandi religio iniungitur; nam contrarium iudicium ex his
causis locum non habere palam est. Al riguardo v. E. BIANCHI, La
"temerarietà", cit., p. 296 s.
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