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Progettare la città aumentata

di Maurizio Carta

[pubblicato in Urbanistica, n.156, dicembre 2016]

Città intelligenti nell’Età dell’Antropocene
Negli ultimi decenni l'urbanistica più conformista – con pochi e inascoltati critici – è stata troppo occupata a progettare città che consumano suolo, che aumentano le emissioni di gas serra e che erodono le risorse naturali e culturali per riuscire invece a sviluppare strategie urbane più sensibili, integrate e proattive. Ma i tempi sono cambiati, e l'urbanistica deve anch'essa percorrere la sua metamorfosi: di orizzonti, di paradigmi e di strumenti. L'Età dell’Antropocene, definita da Stoermer negli anni Ottanta, oggi richiede un salto evolutivo dei nostri stili di vita per adattare rapidamente le forme insediative e produttive alla transizione verso l’economia decarbonizzata e per fornire una risposta proattiva al cambiamento climatico. E ci chiama, come urbanisti, a una nuova sfida: ridurre l'impronta ecologica delle attività umane sul pianeta e utilizzare attivamente l’intelligenza collettiva che deriva dalle idee e dalla sensibilità umana nei confronti dell'ambiente, diffondendola a livello globale in una rinnovata ecologia integrale, come indica con autorevolezza la recente Enciclica di Papa Francesco. Oggi le tensioni anti-urbane, il dibattito urbanistico più sensibile e una rinnovata etica della responsabilità politica ci chiedono di essere più creativi nell'uso delle risorse naturali e culturali, più intelligenti nelle politiche economiche, più aperti nella governance, più efficienti nel settore dei trasporti e più resilienti negli stili di vita: autosufficienza, circolarità, condivisione e riciclo sono le chiavi principali di una rinnovata visione di futuro. E le città nella società della conoscenza diffusa possono essere considerate organismi vibranti di bisogni e risposte collaborative, di dati e di informazioni condivisi, di sensori e attuatori distribuiti, di azioni e reazioni del metabolismo.
Diecimila anni fa la città è stata la migliore invenzione del genere umano, pensata per essere un ‘dispositivo di consenso’ per l'evoluzione della comunità e l'innovazione delle idee, non solo un luogo sicuro o simbolico. Durante la millenaria evoluzione urbana il ruolo di miglioramento della città è stato costantemente supportato dalla tecnologia: prima meccanica, poi idraulica e a vapore, in seguito elettrica, oggi digitale. E la rivoluzione della Smart City, nata come un'innovazione dirompente, è diventata presto un tabù intoccabile (Townsend, 2013), esistendo più nella dimensione seducente delle promesse che nella realtà quotidiana delle nostre città. A partire dai primi esperimenti promossi dalle multinazionali tecnologiche, la visione della città intelligente promette che le ICT possano essere sfruttate dagli amministratori locali per raggiungere livelli senza precedenti di controllo, efficienza, sicurezza, convenienza e sostenibilità. Ma non è sufficiente inserire la tecnologia dell'informazione in un corpo urbano tradizionale per migliorarne l'intelligenza e la retorica della Smart City tratta la città come un'astrazione, trascurando o fraintendendo quei processi spaziali, sociali e culturali che potrebbero veramente generare nuovo significato e rinnovato valore urbano (Greenfield, 2013).
La città è nata come il luogo migliore per vivere, non solo per la protezione da una natura ostile ma perché consente una vita di comunità che costruisce relazioni feconde, genera sinapsi fertili, produce nuove economie e accelera l'innovazione. Nella sua storia sociale dell'innovazione Steven Johnson (2010) analizza sette secoli di progresso scientifico e tecnologico - da Gutenberg al GPS - per mostrare quali tipi di ambienti più di altri nutrono l'ingegno e la creatività. Egli ritiene che gran parte degli ambienti creativi, la Factory di Warhol, il MIT o i laboratori di Los Alamos, New York City oggi, o Roma in età classica e Firenze nel Rinascimento, il web e i social network, sono come le barriere coralline, brulicanti di diverse colonie di creatori che interagiscono tra di loro e si influenzano l'un l'altro, che cooperano e che riciclano. La chiave comune per l'evoluzione naturale e tecnologica è il bricolage: riciclare i pezzi di ricambio, prendendo un oggetto da un contesto e immettendolo in un altro. E gli ambienti più creativi sono quelli che creano una piattaforma per l'innovazione, che offrono il maggior numero di pezzi di ricambio , le risorse da riciclare, la materia prima da utilizzare. Questo è ciò – sostiene Johnson – che hanno in comune la biodiversità della barriera corallina, la creatività delle città-stato italiane e l'innovazione di Twitter: sono tutti ambienti fertili che hanno permesso una miriade di innovazioni. E la città è il posto migliore in cui questa miriade di innovazioni possano trovare le necessarie risorse tangibili/intangibili, purché in grado di recuperare la sua propensione per la creatività e l'intelligenza collettiva. Le città come potenti habitat creativi "sono piattaforme per aprire le porte alla adiacente possibile" (Johnson, 2010) e ogni nuova apertura all'innovazione urbana genera nuove idee da esplorare.
Se le città sono nate e hanno resistito a tutte le proposte alternative, diventando la forma prevalente di insediamento umano, è grazie alla loro capacità di creare continuamente una piattaforma per l'innovazione, che offre materiali riciclabili con cui costruire nuove relazioni, o luoghi semilavorati per completare il processo di metamorfosi e, oggi, di transizione verso la post-carbon economy. Dobbiamo recuperare il significato originale dell'urbanistica come progetto della qualità e benessere, la sua dimensione proiettiva e i suoi valori collettivi per migliorare il senso civico e di appartenenza ai luoghi.




La città aumentata: paradigmi e strumenti
La città intesa come luogo di valorizzazione della intelligenza collettiva dei suoi abitanti invoca un cambiamento di paradigma in grado di produrre un set di strumenti procedurali e operativi per coloro che vogliono accettare la sfida di ribaltare una visione sterile e poco innovativa. Abbiamo bisogno di definire un nuovo terreno di gioco per una visione alternativa più proficua, capace di rinnovare e potenziare il ruolo della città come piattaforma abilitante delle capacità umane, come acceleratore di empowerment e come moltiplicatore del capitale umano. Considerando superata – o quanto meno consumata – la Smart City voglio proporre la città aumentata (Augmented City) come un dispositivo spaziale/culturale/sociale/economico per migliorare la vita urbana contemporanea, individuale e collettiva, informale e istituzionale, generatrice di benessere e felicità. Se ormai viviamo e agiamo in una realtà aumentata in modo permanente da dispositivi hard e soft, le città devono essere più sensibili e reattive ai nostri cambiamenti comportamentali. Dobbiamo essere in grado di costruire un ambiente urbano più efficiente, in grado di percepire quello che accade e di reagire tempestivamente per tutti gli abitanti, e non solo per alcune categorie privilegiate.
L'attuale sfida per la pianificazione urbana è la definizione di uno spazio di incontro tra la dimensione naturale e quella artificiale: il miglior equilibrio tra urbano e rurale, tra agricoltura e residenza, tra produzione e consumo. Ma questo è ancora un retaggio del vecchio pensiero lineare, non è la nuova sfida del pensiero circolare, che richiede che la produzione/gestione delle risorse avvenga nello stesso luogo in cui si produce la materia prima, dove la produzione locale connota i luoghi, dove il consumo di energia da fonti rinnovabili coincide con la sua produzione, dove i nuovi stili di vita della comunità potrebbero essere più informati e responsabili.
Per migliorare gli strumenti – epistemologici, procedurali e operativi – di una rinnovata urbanistica ho individuato dieci concetti chiave in grado di rigenerare l'urbanistica e la pianificazione territoriale per progettare la città aumentata – in senso spaziale, sociale ed economico – di fronte alle sfide del XXI secolo (European Climate Foundation, 2010). Sono concetti/paradigmi che possono generare i veri antidoti contro una urbanistica esclusivamente regolativa e non generativa, troppo conformativa e non performativa, eccessivamente dirigista e non collaborativa. Ogni parola chiave definisce quindi un attributo specifico della città in grado di aumentare la sua forza innovativa e creativa come piattaforma abilitante, server di conoscenza e sistema operativo dello sviluppo.
Innanzitutto una città aumentata è senziente perché ha bisogno di nuove fonti, parametri e strumenti per rafforzare gli strumenti cognitivi, valutativi e attuativi di un'urbanistica sempre più basata sulla conoscenza istantanea e distribuita e capace di produrre soluzioni tempestive, efficaci, solide e orientate ad uno scenario di cooperazione.

È quindi anche collaborativa perché necessita dell'alleanza strutturale tra le dimensioni civica-tecnologica-urbana per agire efficacemente nella Sharing Society in cui viviamo, generando nuove forme dello spazio collettivo: luoghi di aggregazione e alloggi, infrastrutture sociali e luoghi del lavoro condivisi e quindi attivatori di un rinnovato patto di comunità che riattivi i fattori costitutivi della vita urbana.



Una città aumentata è intelligente – e non solo 'smart' – perché capace di generare un ecosistema abilitante basato sull'hardware fornito dalla qualità degli spazi urbani e sul software codificato dalla cittadinanza attiva, ma soprattutto dotato di un nuovo sistema operativo costituito da un'urbanistica e da un progetto urbano avanzati, capaci di rispondere alle mutate domande della contemporaneità. Uno dei primi esperimenti di un vero e proprio ‘urban OS’ è stato sviluppato dallo Smart Planning Lab dell'Università degli Studi di Palermo (Carta, 2014b) come un protocollo di pianificazione avanzata per offrire ai decisori, ai pianificatori, ai gestori e ai cittadini diversi strumenti urbani multilivello, in grado di ripensare, riprogettare e vivere pienamente la smart city di quinta generazione, una città intelligente capace di generare nuovi valori e nuovo valore.

La quarta parola chiave è produttività perché le città del futuro prossimo dovranno incentivare la territorializzazione dei makers all'interno di un nuovi distretti urbani creativi/produttivi per stimolare, agevolare e localizzare adeguatamente il ritorno della produzione nelle città, nelle forme delle nuove manifatture digitali (Micelli, 2011), per la ricostituzione di una indispensabile base economica delle città, dopo gli anni della euforia per la città dei servizi. Secondo Larry Katz, economista ad Harvard, i "buoni" posti di lavoro della classe media verranno dal riemergere di artigiani o persone altamente qualificate in ogni campo. I prossimi dieci anni vedranno riemergere come forza economica una nuova forma di artigiano: l'artigiano urbano. Come i loro predecessori ecce città medievali dell’Europa preindustriale, questi artigiani di nuova generazione potranno esercitare il loro mestiere al di fuori del sistema delle grandi imprese, guadagnando con la loro arte e la conoscenza.

Ma la città dovrà anche essere sempre più creativa attraverso l’uso integrato della cultura, della comunicazione e della cooperazione (le 3C della città creativa) come risorse per una città attiva in grado di generare una nuova forma e una diversa crescita fondate sull'identità, sulla qualità e sulla reputazione.

Una città aumentata si fonda sul riciclo degli edifici e della aree dismesse e pertanto chiede una metamorfosi del paradigma basato non solo sulla riduzione, il riuso e il riciclo delle sue risorse materiali e immateriali, ma in grado di disegnare una nuova forma territoriale in grado di cogliere le opportunità del metabolismo circolare, inserendo anche il 'riciclo programmato' tra le componenti del progetto.

Una città aumentata è quindi resiliente perché accetta la sfida dell'adattamento come dispositivo progettuale per insediamenti iper-ciclici e autosufficienti capaci di combattere proattivamente il cambiamento climatico, producendo e distribuendo efficacemente il 'dividendo della resilienza' (Rodin, 2014): non solo nuova moneta di scambio nella economia della transizione verso lo sviluppo decarbonizzato, ma anche strumento di una perequazione ecologica urbana.

L'ottava parola chiave è la fluidità che chiede di ripensare la porosità e la liquidità urbana come paradigmi proiettivi per i progetti di rigenerazione urbana che traggano dall'acqua la loro carica identitaria, producendo nuove configurazioni spaziali a partire dal rinnovo dell'interfaccia città-porto non più come luogo-soglia ma come produttore di potente nuova identità urbana.

Nell'orizzonte metropolitano, in cui anche l'Italia sta procedendo con importanti aspettative e necessari miglioramenti, è la reticolarità che definisce il passaggio da un ecosistema tradizionale basato su un obsoleto modello gravitazionale verso un nuovo e più efficace modello aumentato, iper-metropolitano basato su un'armatura di super-organismi metropolitani e arcipelaghi territoriali in grado di strutturare il sistema paese.

Infine, una città aumentata è strategica perché assume l’integrazione delle componenti temporale, gestionale, collaborativa e adattiva come necessarie per rispondere alla necessità di un approccio multi-dominio e multi-attore, temporalmente orientato e indirizzato all’azione entro un modello di sviluppo meno consumatore e più produttore, in grado di attivare diversi cicli vitali per riattivare distretti, città e paesaggi, meno finanziario e più cooperativo, più metabolico e meno occasionale. Per rispondere a queste nuove sfide ho elaborato un protocollo di rigenerazione urbana, che ho chiamato Cityforming© (Carta, 2015), basato su un sistema incrementale di tattiche colonizzatrici, radicamenti consolidati e progetti di sviluppo, prediligendo un approccio da masterprogram strategico piuttosto che un velleitario masterplan istantaneo.

La città aumentata deve agire come una innovazione dirompente - e ricostruttiva - per la pianificazione e la gestione urbana non accontentandosi di essere una nuova definizione tra le tante generate dalla bulimia lessicale in cui si trova la disciplina nel suo impegno di rinnovamento. Progettare la città aumentata richiede un cambiamento di paradigma, trovando già oggi molteplici evidenze empiriche, tracce di pratiche o esperimenti concreti in numerose città. Ma soprattutto ha bisogno della continua sperimentazione delle sue declinazioni spaziali, sociali, culturali ed economiche in grado di aumentare l'intelligenza collettiva dei suoi abitanti. Ha bisogno di alimentare una nuova agenda urbana e di entrare nelle pratiche più sensibili, necessita di trasferirsi negli apparati normativi e richiede un corpus tecnico di supporto. Richiede quindi di percorrere la sfida del progetto urbanistico.

Riferimenti bibliografici
Campbell, K. (2011), Massive Small. The Operating Programme for Smart Urbanism, Urban Exchange, London.
Carta, M. (2014a), Reimagining Urbanism. Città creative, intelligenti ed ecologiche per i tempi che cambiano, ListLab, Barcelona-Trento.
Carta, M. (2014b), "Smart Planning and Intelligent Cities: A New Cambrian Explosion". In Riva Sanseverino E., Riva Sanseverino R., Vaccaro V., Zizzo G. (eds.) Smart Rules for Smart Cities. Managing Efficient Cities in Euro-Mediterranean Countries, Springer.
Carta, M. (2015), “Iper-strategie del riciclo: Cityforming© Protocol”, in Carta, M. e Lino, B. (a cura di), Urban Hyper-Metabolism, Aracne, Roma.
Ellen MacArthur Foundation (2012), Towards the Circular Economy: Economic and business rationale for an accelerated transition, EMF.
European Climate Foundation (2010) Roadmap 2050. A practical guide to a prosperous, low-carbon Europe, ECF, Den Haag.
Greenfield, A. (2013), Against the smart city, Do Projects, New York.
Johnson, S. (2010), Where Good Ideas Come From: The Natural History of Innovation, Riverhead Books, New York.
Micelli, S. (2011), Futuro artigiano, Marsilio, Venezia.
Owen, D. (2009), Green Metropolis, Why Living Smaller, Living Closer, and Driving Less Are the Keys to Sustainability, Riverhead Books, New York.
Rodin, J. (2014), The Resilience Dividend: Being Strong in a World Where Things Go Wrong, PublicAffairs, New York.
Townsend A.M. (2013), Smart Cities: Big Data, Civic Hackers, and the Quest for a New Utopia, W.W. Norton and Company.