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Per una agenda urbana italiana in Europa. Note di lavoro

Il riscatto della qualità dell’azione pubblica è per l'Italia che voglia rilanciare lo sviluppo, la qualità e la coesione il primo punto di una agenda urbana entro il nuovo mainstream urbano europeo (sostenibile, intelligente e solidale). Il rilancio dell'agenda pubblica per le città dovrà essere un driver che le rimetta in grado di guidare la ripresa della produttività dei territori, il miglioramento della qualità dei servizi essenziali, l’incremento della sostenibilità ecologica degli insediamenti, il ripensamento di un welfare più solidale.
Occorre quindi ripensare il modello urbano italiano – metropolitano, urbano e rururbano – per essere in grado di affrontare le nuove sfide proposte da “Europa 2020” per le città europee più generative, adattative e resilienti. Perché le città siano i nuovi motori della strategia europea di sviluppo, esse dovranno essere in grado di supportare una crescita che sia intelligente, grazie a investimenti più efficaci nell'istruzione, nella ricerca e nell'innovazione, sostenibile, grazie alla decisa scelta a favore di un'economia a basse emissioni di anidride carbonica e della competitività dell'industria e solidale, focalizzata sulla creazione di posti di lavoro, la riduzione della povertà e il sostegno al welfare.
La strategia Europa 2020 s'impernia su alcuni ambiziosi obiettivi riguardanti l'occupazione, la ricerca, l'istruzione, la riduzione della povertà e i cambiamenti climatici/l'energia. Ma non si tratta solo di perseguire obiettivi di sostenibilità ambientale, di crescita quantitativa o di rispondere ai nuovi bisogni sociali, ma si tratta di rivedere il modello di sviluppo ed insieme ad esso ripensare il modello urbanistico che deve guidare, progettare e regolare lo sviluppo. Dobbiamo abbandonare il modello urbanistico del Novecento basato su tre R: Risorse pubbliche, Rendita e Regolazione; e dobbiamo perseguire un modello di governo delle città alimentato da nuove tre R: Resilienza, Riciclo e Riattivazione dei capitali urbani.
Nell'ambito delle politiche di coesione, l'Agenda Urbana Europea agisce con rinnovato vigore ed attraverso una visione proattiva per uscire dalla crisi, raccomandando che la dimensione urbana della politica di coesione si concentri su un triplice obiettivo:
a) aiutare le zone urbane a sviluppare le proprie infrastrutture materiali di base quale presupposto per la crescita onde sfruttare appieno il loro contributo potenziale alla crescita economica in Europa, alla diversificazione del tessuto economico e alla sostenibilità energetica e ambientale;
b) aiutare le zone urbane a modernizzare le loro specificità economiche, sociali e ambientali con investimenti intelligenti in infrastrutture e servizi tecnologici e strettamente correlati alle esigenze nazionali, regionali e locali specifiche;
c) riqualificare le zone urbane recuperando siti industriali e bonificando terreni contaminati, tenendo presente l'esigenza di sviluppare legami tra le zone urbane e quelle rurali, al fine di promuovere uno sviluppo inclusivo, in linea con la strategia Europa 2020.

L'Agenda Urbana Europea non si limita ad indicare gli obiettivi strategici generali, ma delinea una governance urbana che sia in grado di esprimere appieno il valore della sussidiarietà, sottolineando che gli enti locali elettivi hanno una responsabilità politica diretta per quanto riguarda l'adozione delle decisioni strategiche e gli investimenti di risorse pubbliche. Ai fini del conseguimento degli obiettivi della politica di coesione e della strategia Europa 2020 risultano quindi inderogabili fattori come il coinvolgimento degli enti locali elettivi nel processo decisionale strategico, la loro stretta partecipazione nella definizione dei programmi operativi e l'ampio ricorso all'opzione della subdelega delle responsabilità per quanto concerne l'attuazione e valutazione della politica di coesione, ferma restando la responsabilità finanziaria delle autorità amministrative e degli Stati membri. Infine, sottolineando che le priorità delle autorità locali sono il benessere e la qualità della vita dei loro cittadini che, insieme a tutte le parti interessate, devono essere coinvolti nelle strategie di sviluppo locale, viene sancito il ruolo cardine delle “politiche urbane” e della “pratiche urbanistiche”. In particolare viene sollecitata l'adozione di principi per la pianificazione strategica integrata, dal momento che essi possono facilitare agli enti locali la transizione da un approccio in termini di singoli progetti a un'impostazione intersettoriale con maggiore spessore strategico al fine di valorizzare il loro potenziale di sviluppo endogeno.

Il ritorno della priorità urbana al centro dell’agenda europea costituisce non solo l'occasione per ridefinire i profili di competitività, di sostenibilità e di coesione delle nazioni travolte dallo tsunami della crisi, ma anche l’opportunità per ripensare il “ruolo sociale” della pianificazione territoriale e dell’urbanistica. Il fallimento dei protocolli finanziari dello sviluppo sollecita la necessità di ripensare il modello di sviluppo e di insediamento verso una maggiore "territorializzazione", verso un ritorno a politiche di sviluppo fondate sulla valorizzazione dei capitali territoriali, soprattutto di quelli urbani.
L’interazione esplosiva tra aumento dell’impronta urbana sul pianeta e crisi di un modello finanziario di sviluppo ci impone di rivedere i paradigmi che guidano sia le analisi che le pratiche per il governo del territorio, non più in termini esclusivi di crescita, accumulo e consumo, ma programmando e regolando anche la decrescita e il riuso, la densificazione e il policentrismo. La città espansiva tendeva infatti ad incorporare le aree marginali, adottando misure per regolamentare la marginalità (introduzione di servizi pubblici, strade, social housing, ecc.) che spesso hanno contribuito ad aggravare il problema, incentivando l’effetto attrattore e il consumo di risorse (prima fra tutte il suolo). La città che si ricompatta richiede che le nuove morfologie insediative siano individuate attraverso uno sforzo creativo di interpretazione delle identità e delle risorse, di integrazione delle azioni e di riconfigurazione degli spazi liberati dal processo di riduzione, producendo tessuti urbani più “relisienti”, "addattativi" e "fluidi".
La città del terzo millennio, forma urbana prevalente dell’insediamento umano ma non esclusiva o omogenea, chiede quindi di essere pensata attraverso nuovi paradigmi, indirizzata attraverso nuove visioni e progettata e regolata con nuovi strumenti di pianificazione e progettazione.

In tale direzione, e verso la necessità di “re-immaginare lo sviluppo”, si è mosso alla fine del 2012 il Ministero della Coesione Territoriale attraverso la presentazione di un documento di metodi e obiettivi per orientare la programmazione comunitaria nell’orizzonte del 2020. Il documento si alimenta di un punto di vista derivante dalle migliori prassi internazionali di politica di sviluppo rivolta ai luoghi e mira ad individuare le “trappole del non-sviluppo – sia attorno a equilibri di arretratezza, come nel Mezzogiorno, sia attorno a un blocco della produttività, come nel Centro-Nord – quale risultato di scelte consapevoli delle classi dirigenti locali e nazionali. Tali scelte sono dettate dalla convenienza a estrarre un beneficio certo dalla conservazione dell’esistente – giovani non istruiti, accessibilità inadeguate, imprese inefficienti assistite, barriere amministrative all’entrata, ambiente non tutelato, bandi di gara e progetti mal fatti – anziché competere per un beneficio incerto in un contesto innovativo e in crescita – dove i giovani sono competenti, l’accessibilità buona, le imprese inefficienti acquisite da quelle efficienti, l’entrata è facile, l’ambiente è tutelato, bandi di gara competitivi e progetti ben fatti attraggono l’offerta dei migliori. In altri termini, l’azione pubblica è di cattiva qualità non per l’incapacità delle classi dirigenti che ne sono responsabili, ma per la loro espressa volontà”.
L’agenda di sviluppo che ne deriva – rilevante germoglio di una vera e propria Agenda Urbana che tuttavia bisogna coltivare perché non sfiorisca – propone il ritorno ad un forte presidio nazionale come “destabilizzatore delle trappole di non-sviluppo”, il quale, pur rifuggendo da pericolose tentazioni neo-centraliste che negano il principio di sussidiarietà, è orientato verso il consolidamento della natura non negoziabile delle “regole del gioco” e delle “invarianti della qualità”. Se oggi la crisi fa da levatrice a quella che molti leggono come un inarrestabile processo di centralizzazione e verticalizzazione dei poteri – si veda ad esempio l’accorpamento delle provincie – è sul territorio che va giocata la partita tra chi sostiene che la salvezza sia data dalla drastica riduzione della dimensione intermedia dei poteri e chi invece sostiene il territorio come il luogo dei reticoli sapienti, dell’urbanesimo molecolare e delle diversità culturali e sociali che costituiscono il genoma dello sviluppo italiano.
Ma è ancora una volta l’arena delle città quella in cui deve essere giocata una nuova partita dello sviluppo: l’Agenda Urbana Europea e la sfida propulsiva dei sistemi urbani deve trovare l’Italia attrezzata a riattivare una politica di sviluppo centrata sulle città non solo come luoghi fisici, ma soprattutto come generatori di qualità e attivatori di creatività, luoghi dello scambio sociale e di intersezione di reti e flussi. La strategia governativa per la nuova programmazione dei Fondi comunitari incentiva la realizzazione di prototipi che svolgano un ruolo di esempio e di sprone, costituendo un importante prologo di una Agenda Urbana Italiana nell’ambito delle politiche urbane europee che dovrà soddisfare tre requisiti:
a) puntare sulla rete delle città metropolitane per rafforzare la competitività attraverso la loro funzione di gateways materiali e immateriali della rete delle città medie e dei clusters urbani;
b) considerare le città medie come “territori snodo” e “aree funzionali” con particolare attenzione ai reticoli del policentrismo propulsivo come riserve di creatività e generatrici di sviluppo;
c)
rafforzare la cooperazione e la co-decisione tra diversi livelli di governo entro una dimensione di maggiore performatività e qualità delle specializzazioni e delle decisioni.
A partire da queste premesse generali, la costruzione della strategia si declina attraverso tre opzioni, non esclusive ma incrementali:
a) ridisegnare e modernizzare i servizi urbani per i residenti e gli users delle città;
b) sviluppare pratiche per l’inclusione sociale per i segmenti di popolazione più fragili e per le aree ed i quartieri più disagiati;
c) rafforzare la capacità delle città di potenziare i segmenti locali più pregiati delle filiere produttive globali, rafforzandone il ruolo di “commutatore territoriale” dei flussi delle reti lunghe in energia dello sviluppo locale.

Naturalmente a questo disegno dell’Italia al 2020 dovrà corrispondere una governance che preveda, stimoli e premi un ruolo di maggiore responsabilità delle città stesse entro una rinnovata ottica delle “interdipendenze selettive”. La nuova dimensione policentrica e reticolare dell’insediamento e l’articolazione del territorio in “piattaforme territoriali strategiche” e “territori snodo” rafforza la necessita di stringere la relazione tra città ed aree interne, sottolineando le diversità ambientali, ecologiche e culturali dei contesti territoriali entro cui le città italiane sono inserite. Le aree interne – i tre quinti del territorio e poco meno di un quarto della popolazione – sono dotate di risorse complementari rispetto alle aree centrali, sono territori ad “identità rugosa”, con problemi di spopolamento ma al tempo stesso tendenti ad un policentrismo fattuale prima che governato e con elevato potenziale di attrazione. Per riconnettere le aree interne alle traiettorie di sviluppo al 2020 l’Agenda italiana per la qualità del territorio deve essere in grado di perseguire una strategia di intervento articolata attorno a tre obiettivi:
a) tutelare il territorio e rafforzare la sicurezza degli insediamenti non solo attraverso azioni reattive, ma responsabilizzando gli abitanti affidandogli la cura dei territori, riducendo lo spopolamento o la gentrification dei sistemi rurali e riattivando le ecologie e le economie del paesaggio;
b) promuovere la diversità naturale, rafforzare l’armatura culturale e stimolare il policentrismo dei centri medi connettendolo con reti più ampie, assicurando modelli di vita nelle aree interne competitivi con quelli offerti dalle aree urbane costiere o dalle metropoli;
c) rilanciare lo sviluppo e il lavoro attraverso l’uso delle risorse potenziali male utilizzate e dei “talenti” delle aree interne per consentire nuove e significative opportunità di produzione e di lavoro.

L’era della metamorfosi dello sviluppo in cui siamo chiamati all’impegno di re-immaginare l’urbanistica non possono rimanere al livello delle visioni e degli indirizzi governativi, ma devono produrre metodiche e pratiche sintetizzabili in alcuni punti chiave che possono costituire l’ordito di una nuova agenda degli urbanisti italiani:
a) Invertire la scarsa rilevanza dei temi della vivibilità delle città, della qualità del paesaggio, della coesione delle aree interne, della sostenibilità ambientale e dell’efficienza energetica nell'agenda politica e sociale dell’Italia, ripensando e declinando con maggiore incisività il “piano città” verso un “patto per le città” che produca maggiore innovazione dei processi e non solo l’accelerazione dei finanziamenti. La qualità del territorio e del paesaggio e la conservazione dell’ambiente e delle energie devono essere la matrice di politiche attive di creazione di nuovo valore urbano.
b) Reinserire la riforma urbanistica nazionale come sfida per un reale ripensamento delle responsabilità, dei protocolli e degli strumenti per un governo del territorio che sia più intelligente, sostenibile e solidale – come richiesto dall’Agenda Urbana Europea – ma anche capace di accompagnare verso un efficace “federalismo urbanistico” che renda più integrato entro una vera ottica concorrenziale le leggi regionali.
c) Accelerare i processi di metropolizzazione determinati dalle nuove condizioni economiche e sociali che generano nuove spinte ad una diversa crescita della città e della popolazione urbana in una rinnovata dimensione transcomunale cooperativa e non più semplicemente ancillare. Le poche metropoli italiane e le tante proto-metropoli pongono alla pianificazione alcune sfide per la risoluzione delle loro insostenibilità: inquinamento e congestione prodotti dalla mobilità, compulsivo consumo di suolo, fragilità del patrimonio edilizio, dispersione energetica, mancanza di reticoli di spazio pubblico ed interruzione delle reti ecologiche; ed impongono di mutare radicalmente i contenuti principali della pianificazione urbana e territoriale e di innovare gli strumenti regolativi e progettuali.
d) Internalizzare i nuovi temi come l’urban recycle in termini di riuso creativo della dismissione, la shrinking city come progetto di suolo non esclusivamente in termini di consumo, la smartness per la revisione dei cicli di acqua-energia-rifiuti e per la gestione delle reti digitali e di mobilità verso una reale sostenibilità, la green economy come motore dello sviluppo e moltiplicatore degli investimenti, l’urban retrofitting come modalità di intervento sulla città esistente non efficiente. Dai margini del pensiero urbanistico – talvolta dalle sue eresie – i nuovi temi ed i relativi paradigmi devono costituire il nuovo cuore pulsante di un progetto urbanistico che voglia tornare “rilevante”.
e) Revisionare il rapporto pubblico-privato verso una maggiore corresponsabilità e concorrenza verso lo sviluppo sostenibile, mettendo a regime il rapporto tra regolazione e incentivazione, tra facilitazione e redditività. In particolare decisiva sarà la sostenibilità delle risorse finanziarie per la “città pubblica”, per la realizzazione dei servizi, per la dotazione di pertinenze di qualità, per le infrastrutture di mobilità pubblica, per la qualità dello spazio pubblico, per l’incentivazione del social housing. A tal fine dovrà essere rivista la fiscalità locale e di scopo per l’incentivazione della pianificazione operativa, nonché innovata la fiscalizzazione generale della rendita, al fine di una sua più equa distribuzione sociale. Alle incentivazioni fiscali dovranno essere affiancate quelle autorizzative, gestionali ed amministrative, le quali, intervenendo sul fattore tempo, possono concorrere alla agevolazione dell’investimento privato.
f) Rinnovare la “cassetta degli attrezzi” dell’urbanista attraverso il concorso dell’ecological urbanism, dello smart planning e del landscape design in una rinnovata ottica cooperativa, accettando la sfida di forgiare nuovi strumenti analitici ed operativi dove i tradizionali risultino obsoleti ed inefficaci.

Il perseguimento di questi obiettivi – per ampiezza di intenti ed integrazione trasversale – richiedono di ripensare profondamente i contenuti disciplinari dell’urbanistica, innovando i percorsi formativi e le figure professionali non solo rispetto alle nuove domande già esistenti, ma soprattutto perché siano in grado di concorrere al miglioramento della stessa domanda di politiche territoriali pubbliche e del partenariato privato. Occorre rivedere anche i criteri di valutazione degli effetti dell’analisi, della diagnosi e dell’azione urbanistica non solo in termini qualitativi rispetto alla efficacia delle singole azioni e progetti (importante ma non sufficiente) ma inserendo sensori e parametri efficaci per misurare e valutare l’impatto reale sulla qualità delle trasformazioni territoriali generate da una pianificazione territoriale e urbanistica che voglia tornare ad essere "rilevante".

[© Maurizio Carta, contributo al Seminario INU "Uscire dalla crisi Le risorse per la rigenerazione delle città e dei territori" (7 marzo 2014), pubblicato in Atti a cura di Carmela Giannino, Roma, Isttituto Nazionale di Urbanistica, aprile 2014]