Palermo, la cultura come capitale
di Maurizio Carta
A Palermo il dibattito sul valore di essere la Capitale Italiana della Cultura si inaridisce oscillando tra apocalittici e integrati: i primi vedono solo l’immondizia che circonda i monumenti e mugugnano, i secondi plaudono a qualsiasi iniziativa indebolendo la fertilità democratica della critica.
Io vorrei spostare i termini discutendo della “cultura come capitale”, della cultura come risorsa reale per generare valore urbano e sociale, ma anche economico. Voglio qui dimostrare i vantaggi per Palermo di usare la cultura come un asset di sviluppo primario, sostituendo altri fattori più tradizionali, ma erosivi di qualità.
La cultura è fattore primario di sviluppo se in grado di affondare le radici nel palinsesto della storia della città e protendere le sue ali nel progetto di futuro. È un rizoma composto da luoghi e da persone, da patrimoni tangibili e intangibili, ma anche da identità civica e visione. Le politiche culturali, quindi, non devono accontentarsi di attivare eventi e manifestazioni temporanee, ma devono concretizzarsi in luoghi di incontro per la comunità, consolidarsi in servizi permanenti e, soprattutto, migliorare la nostra vita attraverso l’energia propagata dai nuovi epicentri culturali. La cultura come fattore di sviluppo richiede, quindi, un poderoso progetto di città, fatto di pratiche, ma soprattutto di politiche, di strategie a lungo termine ma anche di tattiche quotidiane.
Usare la cultura come capitale significa vivificare il patto culturale che sta alla base dell’art. 9 della Costituzione Italiana: «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Un vessillo dietro il quale combattere la nostra comune battaglia perché l’Italia sia davvero fondata sulla cultura, e per questo, capace di generare lavoro, diritti e felicità dei suoi cittadini.
In un paese che voglia riconquistare la dimensione culturale dello sviluppo, Palermo si propone come laboratorio. La sua estesa e profonda armatura culturale, i suoi beni protetti dall'Unesco, l’arcipelago di storia e bellezza che mosaica la città e il cosmopolitismo naturale chiedono politiche integrate, culturali e urbanistiche insieme, che generino nuovi modi di abitare, di muoversi e di produrre. Il patrimonio culturale palermitano pretende di ripensare la pedonalizzazione del centro storico come un nuovo modo di viverlo, chiede la qualità dello spazio pubblico come occasione di democrazia, reclama mobilità sostenibile e innovazione energetica, richiede una fruizione turistica rispettosa dei luoghi e strutture narrative che raccontino il passato prefigurando il futuro. Invoca musei che comunichino la storia in forme nuove e con linguaggi adatti a diversi tipi di pubblico per narrare il futuro possibile.
I beni culturali di Palermo pretendono di non essere più isole di qualità protette da una bolla di bellezza in mezzo al degrado, ma chiedono di interagire con i cicli di vita della città concorrendo al modello di sviluppo previsto dal PRG in fase di redazione, pretendendo modelli di gestione efficienti in grado di farli agire come propulsori della qualità della vita degli abitanti. Chiedono di essere il genoma della città!
Il rapporto Unesco "Re-shaping Cultural Policies" indica che le politiche culturali siano integrate con quelle per la sostenibilità e, soprattutto, nei piani urbanistici. A Palermo l’urbanistica deve valorizzare il contesto culturale delle azioni di rigenerazione, selezionando le scelte localizzative dei servizi, soprattutto nelle periferie, le direttrici di mobilità e le azioni di riqualificazione ambientale per cogliere dinamismo delle politiche culturali e creative per il raggiungimento degli obiettivi economici e sociali. È anche indispensabile l’attivazione di una batteria progressiva di incentivi fiscali che indirizzino l’inclusione nell’ecosistema culturale di attività creative già forti e lo stimolo di quelle latenti a partire dal capitale sociale delle aree meno centrali. È necessario agire sul capitale sociale agevolando l’autoimprenditorialità e i reticoli associativi, per facilitare la transizione verso i settori dell’economia creativa.
Serve quindi che il capitale culturale giochi nella borsa dello sviluppo, distribuendo in maniera estesa ed equa il suo valore moltiplicativo. Palermo Capitale della Cultura deve distribuire in tutta la città un vero e proprio "dividendo culturale", una nuova moneta di scambio nell'economia della cultura, uno strumento di equità capace di agire nel mercato della negoziazione degli interessi, ridefinendo priorità e traiettorie di sviluppo.
Serve, infine, una corresponsabilità tra pubblico, imprese e società civile, per attivare gli adeguati ritorni sull’investimento – finanziari e sociali – prodotti dall’ecosistema culturale.
Parafrasando Mahler, usare la cultura come capitale non vuol dire adorarne le ceneri, ma custodirne il fuoco!
[pubblicato su "Repubblica Palermo" del 18 febbraio 2018]
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