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Detroit Utopia: la rivoluzione urbana del neoantropocene

di Maurizio Carta


Detroit è il prototipo della città che crolla e rinasce dalle sue ceneri, anzi che “ricicla le sue ceneri”.
Dopo essere stata la capitale dell’industria automobilistica, la Motor City di Ford, Chrysler, General Motors [guarda il video], negli anni Trenta era la città con il più alto di crescita al mondo, a partire dalla fine degli anni Ottanta inizia un inesorabile declino, diventando l’emblema delle città in contrazione (shrinking cities), diventando la Motor City is Burning cantata dai MC5 [ascolta].
E fino a ieri subiva gli effetti di una recessione economica che ne ha decretato la bancarotta nel 2013, contando circa 1,1 milioni di persone in meno rispetto alla fine del 1940, con la previsioni di riduzione a meno di 700.000 abitanti.


 

Teatri sontuosi che gareggiavano con il mondo della lirica abbandonati e trasformati in parcheggi per garantirne la manutenzione (come si vede in una delle scene dello splendido film Only Lovers Left Alive di Jim Jarmush del 2013 [trailer] ambientato in una lugubre Detroit), il patrimonio artistico dei musei in vendita per pagare i debiti, case costruite con vorace fame di alloggi disabitate da inquilini che fuggono lasciando ancora il caffè a bollire per sottrarsi all’ufficiale giudiziario che pretende il pagamento di un affitto impossibile da pagare [guarda], e poi scuole senza più alunni che diventano rifugi per le gang e migliaia di officine, negozi e chiese abbandonate come se la città fosse stata attraversata da un tornado (come mostra con struggente realtà il film Detropia di Heidi Ewing e Rachel Grady del 2012 [trailer]).

 

E ancora strade su cui correvano macchine sempre più potenti lasciate in balia della natura che si riprende l’asfalto, recinti che delimitano le aree di influenza di una criminalità che imperversa. Ricordate le scene iniziali di Robocop di Paul Verhoeven del 1987? [guarda] Sono un concentrato dell’immaginario negativo che Detroit incarnava. E la violenza si fa musica quotidiana di quella che era stata la capitale del funk [ascolta Chocolate City dei Parliament], del rock [ascolta Detroit Rock City dei Kiss] e della techno [guarda il documentario Techno City].
All’alba del XXI secolo Detroit è una città che si contrae sempre di più – sorella maggiore di Milwaukee, Cleveland, Youngstown, St. Louis e Pittsburgh, le città della “cintura della ruggine” (Rust Belt) che morde e oscura il sogno americano, come racconta Philipp Meyer in Ruggine Americana [leggi] (indovinate per chi hanno votato nelle ultime elezioni presidenziali? [guarda]).

 

Una città che si ritrae spaventata entro i confini della sua 8 Mile Road come racconta a ritmo del rap di Eminem il film di Curtis Hanson del 2002 [guarda]. Una città che sembrava destinata alla scomparsa, profezia realizzata del monito di Jane Jacobs del 1961 sulla crisi del dogma dell’urbanistica modernista [leggi]. Una lenta agonia che sembrava non arrestarsi (Lose Yourself canta Eminem nel film 8 Mile [ascolta]), fino a quando la stessa comunità non comprende lo straordinario valore creativo del riciclo di quella straordinaria qualità di patrimonio urbano in disuso o in abbandono, capace di rinascere dopo la sua obsolescenza per trasformarsi in boschi, frutteti, fattorie urbane, stagni e laghi artificiali, ridisegnando completamente la fisionomia della città, senza costringere gli ultimi residenti a spostarsi, ma riattivando i meccanismi di localizzazione.

 

E’ così che in pochi anni Detroit diventa città creativa dell’Unesco per il design nel 2015 [leggi] ed una delle capitali mondiali dell’agricoltura urbana: i Detroit’s Urban Farmers, oggi sono un movimento ampio e potente [leggi]. E’ oggi uno dei luoghi più vibranti di sperimentazione architettonica basata sul riuso e di urbanistica partecipata [guarda].
Ed è tornata ad essere un epicentro della nuova scena musicale funk e R&B con la rinascita del famoso gruppo Parliament-Funkadelic [ascolta], il quale è stato coinvolto nel progetto O.N.E. Mile di rigenerazione urbana di Oakland North End Mile [leggi].

 

Dal punto di vista urbanistico l'esito della rinascita di Detroit è stato, alla fine del 2012, l’elaborazione del documento Detroit Future City [leggi] che persegue una missione articolata in alcuni impegni: a) la “ri-energizzazione” dell’economia della città per aumentare le opportunità di lavoro e rafforzare la base imponibile e per attrarre nuovi residenti; b) l’utilizzo di approcci innovativi per trasformare i suoli inutilizzati in forme che aumentino il valore e la produttività promuovendo la sostenibilità a lungo termine e il miglioramento della salute dei cittadini; c) la promozione di una gamma diversificata di densità residenziali sostenibili, dimensionando anche le reti per una popolazione più piccola, che li renda più efficienti, più accessibili e con migliori prestazioni; d) la promozione di un sistema gestionale per tutte le zone della città adottando l’equilibrio tra strategie a breve e lungo termine, anche attraverso adeguate forme di collaborazione regionale.


Detroit Future City è un approccio globale orientato a guidare il processo decisionale per rimettere i beni pubblici al centro di una urbanistica più coordinata, strategica e produttiva. Detroit Future City è quindi un grande propulsore di “impegno civico” verso la realizzazione delle aspirazioni di una intera città: un obiettivo ambizioso ma raggiungibile. Il documento allinea le attività con le opportunità, mappando un quadro di riferimento che sappia coordinare al meglio gli investimenti delle risorse – persone, tempo, talenti e denaro – in modo da rafforzare il bene comune prima che la composizione degli interessi. E parallelamente alla costruzione dello scenario, l’amministrazione sta lavorando per identificare i progetti pilota che possano essere rapidamente attuati per stimolare nuove opportunità. Il motto ricorrente della nuova Detroit è “It’s time. Time to Think Big”. Detroit è oggi una città dove molte idee audaci sono diventate reali e vuole di nuovo dare l’esempio al mondo, e ancora una volta attraverso un paradigma in grado di re-immaginare l'urbanistica.
Il piano Detroit Future City attua un approccio poliedrico allo sviluppo, capace di coniugare alcuni grandi progetti necessari per attrarre investimenti (centri di servizi specifici per l’occupazione e la popolazione nella città compatta, o il grande progetto del viale urbano del West McNichols Hospital) con l’individuazione di aree depresse della città in cui attivare il rinnovo urbano sostenibile. Viene stimato che un quarto di Detroit, oggi in gran parte in disuso o in abbandono, entro cinque anni si trasformerà in boschi, frutteti, fattorie urbane, stagni e laghi artificiali, ridisegnando completamente la fisionomia della città, senza costringere gli ultimi residenti a spostarsi, ma riattivando i meccanismi di localizzazione.

 

Il piano individua una varietà di strategie a breve e lungo termine per affrontare la sfida di fornire servizi su lunghe distanze a una popolazione in forte diradamento. La strategia a lungo termine è invece rappresentata nella strategic renewal map, orientata a far sì che i residenti che vivono nel raggio di decine di chilometri quadrati nelle aree classificate come di “mantenimento” o “sostituzione, riusi o disattivazione”, e che avrebbero visto la qualità dei servizi urbani diminuire nel tempo, dopo 20 anni si troveranno ad abitare in un “quartiere in transizione”, caratterizzato da stagni, boschi urbani e dalla nuova agricoltura peri-urbana.
Tra le opzioni operative per la sostenibilità e le strategie a lungo termine si inserisce la recente scoperta da parte dell’arte contemporanea della città come un campo sterminato di ispirazione dall’estetica della rovina, ma anche di spazi enormi a prezzi stracciati. Il cosiddetto “ruin porn”, il susseguirsi di case abbandonate, bruciate e crollate, restituisce l’immagine di una città insieme bellissima e indecente nel suo decadimento, immortalata nel libro di Andrew Moore “Detroit Disassembled” [guarda].
A polarizzare le energie per la rinascita culturale della città è il Detroit Institute of Arts che sta facilitando l’arrivo di numerosi artisti pronti ad approfittare dei 70.000 edifici abbandonati e degli enormi capannoni industriali. Pioniere della nuova creatività artistica è Scott Hocking, autore di Ziggurat, una installazione site specific realizzata clandestinamente con i 6 mila blocchi di legno che ricoprivano il pavimento di una fabbrica abbandonata [leggi].


La rinascita culturale sta anche alimentando la ripresa di un mercato immobiliare ridando vita a edifici prestigiosi come il Madison Building o il Chrysler Building o agevolando la localizzazione nel centro storico di una dozzina di startup dedicate alle creative industries o attraendo scrittori attraverso il programma “Write A House” che donerà case abbandonate agli scrittori che si impegnino a viverci e restaurarle per almeno due anni [leggi]. E’ anche da questa energia vitale legata all’arte contemporanea che trae alimento la visione di una rigenerazione urbana di Detroit guidata dall’applicazione del paradigma del “reduce, reuse, recycle” con l’aggiunta di una vitale “renaissance”.
Infine, una delle più interessanti e feconde visioni del piano è quella che guarda ai paesaggi come nuove infrastrutture. Così come gran parte delle infrastrutture del XIX e XX secolo è ormai alla fine della loro vita produttiva (anche se la manutenzione rimarrà necessaria), anche il paesaggio può funzionare in modo simile, adattandolo a fungere da infrastruttura dei sistemi delle acque piovane e reflue, dell’energia, delle strade e dei rifiuti, articolata in Blue Infrastructures, costituite dai paesaggi d’acqua, come gli stagni e i laghi di ritenzione, che catturano e depurano le acque piovane, riducendo la quantità e migliorando la qualità di acqua che entra nel sistema fognario. Le Green Infrastructures sono i paesaggi forestali che migliorano la qualità dell’aria mediante l’acquisizione per via aerea degli inquinanti prodotti dall’industria, dagli scarichi veicolari lungo le autostrade e dall’inceneritore. L’infrastruttura ecologica comprende anche i percorsi verdi, le piste ciclabili e i percorsi pedonali o per l’attività sportiva. L’infrastruttura paesaggistica può agire anche come più tipi di infrastrutture in una sola volta. Ad esempio, una combinazione di blu (acqua) e verde (piante e alberi) costituisce un possibile corridoio per intercettare le acque piovane lungo le strade principali, integrando una greenway per andare in bicicletta e camminare, per supportare gli spostamenti tra casa, lavoro e servizi.


 

Entro il 2030, un sistema avanzato e multi-funzionale di spazi aperti fornirà una nuova e forte identità a Detroit, ripartendo da quel lungofiume tanto celebrato: una rete di parchi, piazze, zone umide, stagni e laghi, centri ricreativi, boschi e frutteti, orti condivisi e campi di bonifica che depureranno l’aria e acqua attraverso le infrastrutture paesaggistiche popoleranno la città, collegati da una greenway per pedoni, biciclette e automobili. Non con senza criticità connesse alla gentrificazione [leggi] e al ritorno della segregazione sociale che aveva infiammato la città alla fine degli anni Sessanta, come racconta Kathryn Bigelow nel film Detroit del 2017 [guarda].

 

Oggi Detroit ha persino ritrovato l’orgoglio produttivo, come raccontano efficacemente gli spot della Chrysler trasmessi durante il Super Bowl del 2011 e del 2012 (il primo affidato alla voce narrante di Eminem [guarda], e il secondo a Clint Eastwood [guarda]). E non punta più solo sull'automobile, ma anche sulla produzione artigianale di lusso, come testimonia il caso di Shinola, manifattura pregiatissima di articoli in pelle, biciclette, abbigliamento sportivo e orologi, tutto rigorosamente "made in Detroit".

 

Quella di Detroit è una parabola esemplare per comprendere direzione e azione delle città del neo-antropocene, una lezione importante – anche per le sue ombre – per capire in che modo ripensare, progettare e governare le città delle transizione, programmando la loro evoluzione, riciclando le risorse in disuso e pianificando il loro riuso dopo l’obsolescenza.

[agosto 2017]