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IL COLOSSO DI BARLETTA Una statua di bronzo, alta oltre 5 metri e raffigurante un imperatore in abito militare, si erge oggi dinnanzi alla chiesa del S. Sepolcro a Barletta, in Puglia. Si trova in questa cittadina almeno dal 1309, come dimostra un editto di Carlo d'Angiò con il quale si concedeva religiosis viris fratribus predicatoribus in Manfredonia morantibus seu ipsorum nunciis ymaginem de metallo existentem in dohana Baroli... in subsidium campanae della chiesa in costruzione presso Siponto (1). Nonostante la distruzione prevista della statua per la fabbricazione della campana, essa è giunta fino a noi sostanzialmente integra, essendo stato accertato in occasione di un recente restauro che almeno la testa ed il busto sono coevi e fanno parte della stessa originaria fusione (2). La sempre più accurata attenzione degli studiosi non è valsa tuttavia a lacerare definitivamente il velo tenacissimo in cui si avvolge questo monumento, sotto certi aspetti unicum fra quanti in Oriente ed in Occidente, nella tarda antichità, si eressero a celebrazione dell'Imperium. Come per molti problemi artistici insoluti, periodicamente l'acume degli studiosi si è rivolto o verso la prospettiva focale di un avvenimento storico, o verso qualche dettaglio iconografico o attributo dell'immagine. Talvolta addirittura è stata ritenuta sufficiente una mera valutazione di carattere storico artistico e solo di recente una puntualizzazione complessiva dei problemi sollevati dal Colosso ha contribuito a far chiarezza ed a sgombrare il campo da datazioni inaccettabili o da proposizioni assertive senza fondamento (3). Una successiva e penetrante indagine è valsa a confermare ulteriormente l'attribuzione della statua alla prima metà del V sec. d. C. e a chiarire il quadro storico al quale il monumento va ascritto (4). Incerte, tuttavia, restano l'esatta identificazione del personaggio raffigurato e del centro urbano dal quale il monumento fu tolto, l'originaria collocazione e destinazione, unitamente all'occasione per la quale la statua era stata eretta; ed inoltre è ignoto da chi e attraverso quali vicende la straordinaria immagine è stata asportata e come è pervenuta in Puglia. Desta soprattutto particolare curiosità quella che si dichiara essere una "antica tradizione", raccolta intorno al 1600 dal padre gesuita Giovan Paolo Grimaldi (5). Costui affermava essere stati i Veneziani a prelevare a Costantinopoli la statua raffigurante l'imperatore Eraclio, modellata da un tal Polifobo. II successivo ipotetico naufragio nei pressi di Barletta della nave veneziana che la trasportava avrebbe determinato una così insolita presenza nel centro pugliese. Pur prendendo decisamente le distanze da questa spiegazione che è stata considerata una storiella di carattere umanistico, escogitata forse anche dallo stesso Grimaldi o da qualcuno del suo tempo (6), è stato tuttavia ammesso che dovrebbe sussistere almeno un nucleo di veridicità in questa storia, che vanta a proprio conforto solo il fatto che essa appare essere in realtà l'unica giustificazione finora proposta (7). In altri termini, se è stata fermamente respinta l'identificazione con Eraclio, campione della fede, che è valsa al Colosso le popolaresche denominazioni di Erà, Aré, Aracco, Eracco, non è stata altrettanto decisamente rifiutata l'altra parte dell"'antica tradizione". E' quindi divenuta opinione consolidata ritenere che dopo la presa di Costantinopoli nel 1204 il doge Dandolo abbia fatto trasportare verso Venezia questa statua colossale, al pari dei cavalli di bronzo dell'Ippodromo di Costantinopoli o dei leoni del Pireo, utilizzati per custodire le porte dell'Arsenale; ed anzi si è pensato che i dogi veneti, divenuti seigneurs d'un quart et demi de l'Empite Romain ed impegnati verso la fine del XIII sec. in una espansione verso Ravenna e Padova contrastante con le mire della Repubblica di Genova, possano aver voluto addirittura ornare Ravenna, ghibellina come Venezia, di un arco di trionfo in onore dell'imperatore Onorio, fondatore dell'ultima capitale dell'impero romano d'Occidente, ove la statua avrebbe potuto essere collocata (8). L'idea invece che la statua possa essere stata sin dall'origine sita in Ravenna e l'interesse per un presunto relitto nei pressi di Barletta dal quale il Colosso avrebbe potuto essere stato recuperato hanno polarizzato all'inizio la mia attenzione. Non è infatti pensabile, come osserva Testini (9), che la statua si sia salvata dal naufragio ed approdata sul litorale barlettano, quasi fosse un'assiceIla di legno, ma neppure è credibile l'ipotesi di una imbarcazione, squassata dalla tempesta e rifugiatasi nel porto di Barletta, che abbia ripreso senza alcuna esitazione il viaggio dopo aver scaricato sul molo un bronzo di tale pregio e valore (10). Recuperi sottomarini nell'antichità di statue da relitti non sono da escludere, come dimostra ad esempio un rilievo romano di Ostia dell'aruspice C. Fulvius Salvis, che raffigura il rinvenimento in mare di una statua. E dunque il caso di Barletta è stato indicato come un possibile rinvenimento sottomarino effettuato in un passato piuttosto remoto (11). Ma in realtà non solo non sussiste il ben che minimo indizio di un relitto e di un recupero, ma il recente restauro del Colosso non ha evidenziato alcuna traccia di permanenza della statua in mare. E' evidente che i problemi relativi alla provenienza, trasporto e collocazione originaria sono strettamente connessi all'identificazione del personaggio e dell'avvenimento storico che ha determinato l'erezione della statua. Per quanto concerne l'identificazione del personaggio, inizialmente è stata proposta una grande varietà di ipotesi. L'imperatore Eraclio, come espressamente indicato nell'antica tradizione, è stato evocato per il collegamento con la grande croce che il Colosso originariamente brandiva come un labaro (12). Eraclio (610-641) infatti per primo aveva vendicato l'offesa della profanazione della tomba di Cristo ed il 21 marzo del 630 aveva effettuato un pellegrinaggio a Gerusalemme per restituire il sacro legno della Croce, riconquistato ai Persiani (13). Se il nome di Eraclio, come è stato sostenuto, era ben noto e ricorrente nella propaganda religiosa delle Crociate, era facile associare il Colosso alla chiesa del S. Sepolcro, dove i canonici gerosolimitani o, come vuole la tradizione, il patriarca Rodolfo (un domenicano consacrato da Celestino V nel 1294), aveva portato la Croce patriarcale con una reliquia della vera Croce ed altri cimeli (14). Tra il 1442 ed il 1459 si costruì nei pressi della Chiesa del S. Sepolcro una loggia goticheggiante, dinnanzi alla quale avrebbe potuto essere collocata la statua. Se dunque nel 1442 e nel 1481 si concedeva un giorno franco di mercato in loco di Aracho, già in questo periodo, si è sostenuto, il Colosso avrebbe dovuto ornare la piazza con braccia e gambe rifatte (15). Ancora una volta è smentita la tradizione riferita dal Grimaldi, che fissava successivamente, al 1491 (16), la data del trasferimento della statua dal molo alla chiesa del S. Sepolcro e del contemporaneo rifacimento delle parti mancanti della statua da parte di un tal Fabio Albano. E' però probabile che agli inizi del Cinquecento la statua fosse ancora collocata nella piazza all'interno del castello, ove fu vista da Leandro Alberti e dove avrebbe potuto essere tenuto il mercato (17). Come si è detto, le ipotesi più varie sono state avanzate per l'identificazione del Colosso. Haseloff ha addirittura sospettato senza alcun fondamento una origine carolingia; Bernoulli ha sostenuto l'identificazione con Teodosio il grande; Gurlitt con Arcadio; Koch e Cecchelli con Valentiniano I sulla base di una suggestiva, ma non probante, descrizione di questo imperatore da parte di Ammiano Marcellino (18); per Delbrück e Kollwitz si tratterebbe di Marciano, anche se per quest'ultimo l'età di Teodosio II e di Valentiniano III sarebbe in realtà da preferire a quella di Marciano; per Picozzi infine il Colosso raffigurerebbe Giustiniano (19). Le più recenti e complete indagini di Testini e di Demougeot significativamente convergono verso la prima metà del V sec. ed in particolare sulla figura di Onorio. Le loro argomentazioni meritano di essere prese in più attenta considerazione. Secondo Testini per un orientamento cronologico dell'opera poco o nulla giovano le monete per la tendenza... alla astrazione e al convenzionalismo che le rende poco utili sul piano comparativo (20). Elemento più sicuro è rappresentato dalla pettinatura che non sembra anteriore alla fine del 1V, ma passata di moda verso la fine del V secolo; in particolare però la terminazione breve e curva dei capelli sulla nuca ha riscontri significativi nel presunto Valentiniano II del Museo di Costantinopoli assegnato al 380 circa e in due teste marmoree del Louvre attribuite a Valentiniano III e a Teodosio II del 440 circa. Anche la barba, breve ed incolta, richiama da vicino il volto del presunto Valentiniano III appena citato (21). La forma del diadema non è di età giustinianea, come è stato sostenuto, ma della prima metà del V secolo; in particolare i pendenti richiamano il gusto della cascata di perle che si nota sulle immagini di Licinia Eudoxia, sposa nel 437 di Valentiniano III (22). In generale, si sentono... superati modi e forme dell'arte teodosiana..., ma è ancora contenuta la tendenza alla tipizzazione e stilizzazione così marcate nei prodotti artistici a partire dal tardo V sec. (23). Per quanto concerne una precisa identificazione, non vi è anzitutto dubbio che si tratti di un ritratto fisiognomico; e l'attribuzione non avrebbe suscitato tante insormontabili difficoltà senza le note carenze dell'iconografia imperiale (24). Orientandosi verso il primo quarto del V sec. e supponendo che si tratti di uno degli imperatori della pars occidentalis, l'aspetto adulto escluderebbe che possa trattarsi di Valentiniano III, nato nel 419. Anche il collega orientale Teodosio II, nato nel 401, era a quella data ancora giovanetto. Quindi Onorio, nato nel 384 e morto nel 423 all'età di trentanove anni, avrebbe maggiori possibilità per Testini di essere identificato nell'immagine del Colosso di Barletta, che può essere confrontata con la figura del medesimo imperatore, ma di aspetto diverso, sul dittico di Probo del 406. In ultima analisi il problema dell'identificazione resta tuttora aperto alla discussione ed all'approfondimento critico (25). Anche per Demougeot si tratterebbe di Onorio, tuttavia si osserva che il diadema del Colosso è impreziosito da un singolare gioiello goto in oro e smalti che ornava il diadema di Aelia Eudoxia, figlia del generale Bauto, sposa di Arcadio e madre di Teodosio II. «Il est significatif de retrouver sur le diadème du Colosse de Barletta cette orfèvrerie utilisée à la cour d'Arcadius et de son jeune fils, mais qui ensuite ne réapparaît plus sur les figurations connues des empereurs des V(e) et VI(e) siècle» (26). Anche la grande croce, originariamente brandita dal Colosso, si collegherebbe a Teodosio II. In seguito all'apparizione nel 419 di Cristo a Gerusalemme, sarebbe stata eretta una grande croce sul Golgota per ordine di Teodosio II che si preparava ad una guerra contro Bahram V, persecutore dei cristiani (27). Nel 422 si celebrarono i vicennalia di Teodosio II ed il trionfo sui Persiani e così la grande croce del Golgota, tempestata di gioielli, divenne nelle monete il simbolo della salvezza e della vittoria imperiale sui persecutori barbari, sostituendosi definitivamente dal 425 sui solidi al labaro (28). Tutto ciò induce Demougeot a credere che «le colosse de Barletta fut exécuté sur I'ordre de Théodose II, peut étre dans quelque atelier constantinopolitain, selon les indications de la cour orientale», ma la statua raffigurerebbe il trentottenne o trentanovenne Onorio tra il 422, data dei primi solidi con la grande croce del Golgota, ed il 15 agosto 423 momento della sua morte (29), «puisque son neveu Theodose II, l'àiné de Valentinien III, en 425, n'avait alors que vingt trois o vingt quatre ans». E' difficoltoso giustificare, tuttavia, l'erezione di una statua di Onorio da parte di Teodosio II in un periodo successivo al clima di estrema freddezza determinato dalla nomina l'8 febbraio del 421 dell'Augusto Costanzo III, non riconosciuto dalla corte orientale (30). Anche se l'improvvisa morte di Costanzo, il 2 settembre 421, potrebbe aver determinato un relativo miglioramento dei rapporti, indicato dal fatto che nel 422 i due imperatori furono consoli insieme, resta del tutto inspiegabile un presunto omaggio orientale. Per questa ragione Demougeot è costretto ad ipotizzare l'erezione, in alternativa, nel 425 di una statua di Onorio da parte di Teodosio II a titolo postumo, per confermare il riavvicinamento con la parte occidentale dell'impero, conseguente alla nomina ad Augusto di Valentiniano III (31). Ma è ancora più incomprensibile che Teodosio II, proprio nel momento in cui si accordava con Galla in un clima di ritrovata concordia e si apprestava a far finalmente prevalere la sua superiorità sull'Occidente, avesse voluto rendere un tardivo e certamente inopportuno onore a chi per lunghi anni aveva fatto pesantemente pesare la propria anzianità e non si era evidentemente fatto apprezzare né dalla corte orientale, né dalla nuova corte occidentale, adesso composta da Galla e Valentiniano, che da Onorio erano stati costretti a rifugiarsi esuli a Costantinopoli. E' probabile che da Galla, dopo la morte di Onorio e l'usurpazione di Giovanni, siano state fornite garanzie precise e stipulati dettagliati accordi, volti ad assicurare il trono al figlioletto sotto la sua reggenza. Sul contenuto dei medesimi occorre soffermarsi con attenzione, visto che sembrano connessi strettamente alle vicende relative all'erezione della statua. Cedendo sulla spinosa questione territoriale dell'Illirico, che addirittura aveva sotto Onorio determinato il profilarsi di un conflitto armato tra Oriente ed Occidente, Galla si impegnava ad accettare la superiorità di Teodosio ed un più o meno dissimulato controllo nella persona di alcuni emissari orientali, posti al suo fianco (32). Accoglieva i progetti di ritrovata concordia imperiale, che avrebbero potuto estendersi ad un riordino della legislazione passata e ad un raccordo previsto, già da allora, della futura. E' significativo che l'importante legge occidentale, nota per una parte come legge delle citazioni e volta alla determinazione delle fonti del diritto, sia stata emessa il 7 novembre del 426, quando ancora non doveva essere completamente sopito l'eco dei torbidi trascorsi e le condizioni obiettive della cancelleria ravennate non dovevano essere certamente tali da giustificare un progetto di tale portata (33). Un ulteriore indizio che la legge ravennate rappresenti quasi un'anticipazione ed una sperimentazione di un progetto concordato con l'Oriente e come tale rientrante in tali accordi è stato intravisto nella presenza del magister officiorum Elione a Roma il 23 ottobre del 425 per l'incoronazione ad Angusto del fanciullo di sette anni Valentiniano (34). Costui per la sua posizione specifica avrebbe potuto intrattenere i colleghi della cancelleria occidentale anche sui problemi dell'amministrazione della giustizia (35). Altre indicazioni in tal senso sono soprattutto offerte dalla concordanza con il progetto del 429 del Codice di Teodosio ove si parla di un coniunctissimum imperium((36)), dalla consonanza della legislazione occidentale a temi cari a Teodosio ed ancora ribaditi dopo la pubblicazione del CTh. (37) e in una successiva legge orientale del 446, nella quale si regolava l'iter per la promulgazione della lex generalis con l'unanime consenso dei proceres palatii, già richiamato nella legge del 426 di Valentiniano (38). Ma soprattutto la pacifica accettazione, per non dir quasi indifferenza, da parte di Valentiniano dei tagli operati dai commissari di Teodosio all'atto dell'inserzione dell'oratio del 426 nel CTh., che fu immediatamente promulgato in Occidente, rivela l'inconsistenza della presunta autonomia del progetto ravennate. La celebre dichiarazione del figlio Valentiniano relativa alla sottoposizione del principato alle leggi, rilasciata a Ravenna a distanza di circa tre mesi dal precedente ordine di Teodosio padre di redazione a Costantinopoli del Codice Teodosiano (39), appare quasi, in questa prospettiva, il segnale dell'accettazione di un progetto, da tempo concordato e concepito da parte di chi si trovava ormai in una riconosciuta posizione di superiorità, di un'unica legislazione generale per entrambe le parti dell'impero. Infine è possibile che sia nata precocemente in Teodosio l'idea di un riordinamento della legislazione se si valutano gli attriti tra le due parti prima della morte di Onorio e si osserva che già nel febbraio del 425 si provvide alla importante riforma della scuola di Costantinopoli ed alla riorganizzazione degli studi con il dichiarato intento autoritario della composizione dei dissidi (40). Si è d'altro canto osservato che la legislazione di Galla, soprattutto nella fase iniziale, non manifestò alcun segno di autonomia dalla politica di Bisanzio, ma al contrario era intesa a conciliare all'Augusta e all'erede le correnti cattoliche integraliste, assumendo atteggiamenti conformi allo spirito di Teodosio e della devotissima Pulcheria (41), e ricalcava quasi disposizioni già prese in Oriente (42). E' possibile rilevare una completa sintonia tra atti ed eventi in Oriente, immediatamente riflessi in Occidente. E' questo un dato particolarmente significativo poiché svanisce ogni divario in questo momento tra la posizione della cancelleria ravennate e quella costantinopolitana. La rinuncia da parte di Teodosio II alla prospettiva di una diretta riunificazione dell'impero nella sua persona in favore di Galla e di suo figlio fu determinata dalla purezza della discendenza teodosiana di Galla, dalla sopravvenuta usurpazione di Giovanni, ma soprattutto dalla sicurezza delle garanzie offerte, che determinarono la concessione di un esercito orientale sotto la guida dei generali alani Ardarbur ed Aspar ed il fidanzamento del bambino Valentiniano con la figlia di Teodosio, Licinia Eudoxia, nata nel 422 (43). Vinto l'usurpatore e proclamato Augusto, Valentiniano III avrebbe potuto far erigere, per ben più fondati motivi, una statua in onore di Teodosio II dinnanzi al palazzo imperiale nei pressi di S. Croce, a Ravenna, ove Galla aveva fissato la propria residenza (44). In questo caso però, poiché non vi è dubbio che si tratti di un ritratto fisiognomico, la statua avrebbe raffigurato un individuo ventiquattrenne o venticinquenne, essendo Teodosio nato i1 10 aprile del 401. Giustamente invece Demougeot ha sostenuto di recente che l'età del Colosso sembra aggirarsi intorno ai trentotto o trentanove anni, spiegando anche le ragioni per le quali taluni sono stati indotti a pensare ad un'età superiore alla quarantina (45). Questa piuttosto è l'età di Teodosio II in un altro momento molto importante della vita di Valentiniano e dell'Impero; quando cioè, in esecuzione degli accordi del 424 5 (46), l'imperatore occidentale, ormai diciottenne, aveva sposato e condotto a Ravenna Licinia Eudoxia, la figlia di Teodosio. Nonostante il matrimonio venisse celebrato a Costantinopoli il 29 ottobre del 437, la partenza da Tessalonica degli sposi per l'Occidente non avvenne prima della primavera del 438 (47). Sembra che questo indugio sia stato determinato dalla necessità di ultimare i lavori del Codice Teodosiano, completato il 15 febbraio 438 (Nov. Theod. 1), per la consegna e pubblicazione in Occidente. L'ultima legge di questo codice, inserita dai commissari dopo il 16 marzo 437, costituisce un esplicito omaggio al dominus ac filius noster Valentinianus semper Augustus, rappresentando una conferma espressa da parte di Teodosio di una legge del futuro genero concedente privilegi (48). Ancora una volta fu ripresa e definitivamente risolta la questione dell'Illirico, essendosi il fidanzamento risolto con il matrimonio previsto. Il 31 gennaio 438 Teodosio proclamava l'imperatore tutore della religione (49) e subito dopo la partenza degli sposi l'imperatrice Aelia Eudoxia si recava in Terrasanta, quasi per propiziare con il suo pellegrinaggio il matrimonio e distrarsi dalla nostalgia della figlia (50). L'8 luglio del medesimo anno Valentiniano, giunto a Ravenna, emetteva un provvedimento di condono fiscale per la recentium pariter votorum sacra festivitas (51). E probabile che in questa data, se non già poco tempo prima, venisse disposta la costruzione o ristrutturazione di un palazzo imperiale ad Laureta nel sobborgo di Cesarea fuori Ravenna e residenza della nuova coppia imperiale (52). La decorazione di una stanza particolare dell'edificio, diverso dal palazzo dell'Augusta madre che era prossimo al Monastero di S. Croce ed al celebre mausoleo, è descritta dal poeta di corte Merobaude. Si tratta proprio della stanza della prima figlia di Valentiniano e Licinia Eudoxia nata dal matrimonio, ove nel tetto insieme alla coppia imperiale era raffigurato in segno di omaggio lo stesso Teodosio II, indicato come praeside nostro (53). Il 25 dicembre del 438 a Roma veniva solennemente pubblicato il CTh., che entrava così contemporaneamente in vigore con efficacia preventivamente concordata tanto in Oriente che in Occidente il 1° gennaio del 439 (54). Da allora in poi i problemi dell'uniformità legislativa tra le due partes dell'Impero avrebbero dovuto essere risolti tramite una trasmissione reciproca dei rispettivi provvedimenti. Ed infatti Theodosius Perpetuus Augustus Pater, dopo aver emesso nel 446 una legge nella quale regolava l'emissione di leggi generali, trasmise il 1 ottobre 447 al figlio Valentiniano alcune nuove costituzioni, confermate dall'imperatore occidentale il 3 giugno 448 (55). Il 10 gennaio del 439 Theodosius imperator octava quinquennalia edidit a Costantinopoli ed il 6 agosto del medesimo anno Licinia Eudoxia, che aveva dato alla luce una figlia, fu proclamata Augusta a Ravenna (56). In una di queste due occasioni avrebbe potuto essere eretta a Ravenna, dinnanzi al nuovo palazzo di Valentiniano, una statua raffigurante il trentottenne imperatore Teodosio, già segnato dagli anni, in segno di gratitudine, di riconosciuta superiorità e di affettuoso omaggio per l'Augusta orientale ed il venerabile padre. La statua, eretta in concomitanza all'entrata in vigore del Codice Teodosiano, avrebbe poi rappresentato un simbolo concreto e maestoso della ritrovata unità dell'Impero sotto un'unica legislazione generale e soprattutto cristiana (57). Anche Teodosio II dopo il matrimonio nel 421 con Aelia Eudoxia aveva eretto una statua a Costantinopoli in onore del proprio padre Arcadio per ribadire allora la continuità della dinastia teodosiana in Oriente, minacciata dall'Augusto occidentale. Con una legge del 3 aprile 439 Teodosio vietò la partecipazione di privati in nostrae serenitatis imaginibus ac statuis erigendis (58), ma purtroppo non sembra che vi sia alcuna traccia nella assai lacunosa documentazione occidentale pervenutaci dell'erezione di una statua da parte di Valentiniano. Le fonti orientali non registrano la notizia e solo la stringente somiglianza, che è stata notata tra la statua di Barletta ed una testa marmorea di Teodosio II, ritenuta databile al 440 (59), limitatamente al fatto che un gioiello della madre di Teodosio si sia identificato proprio nel diadema del Colosso (60), sono indizi a sostegno dell'ipotesi che una statua di Teodosio II avrebbe potuto essere stata eretta da Valentiniano. Forse qualche elemento più concreto può ricavarsi da una riflessione sulle circostanze in base alle quali la statua potrebbe essere giunta a Barletta. Se si respinge la leggenda della provenienza costantinopolitana, contraddetta da diversi indizi, e si constata che agli inizi del '300 la statua si trovava già a Barletta, appare plausibile supporre che il Colosso sia stato trasportato in Puglia intorno alla metà del XIII sec. E' possibile allora pensare che proprio Federico II, appassionato ricercatore di antichità (61) ed interessato al rinnovamento dellImperium, sia stato in qualche modo coinvolto nel rinvenimento di una statua imperiale, che oggi si trova proprio nel cuore del suo regno. E' ben noto che Federico, oltre alla lastra di Castel del Monte, scolpita in antico e raffigurante un corteo, dispose in più occasioni il trasporto in Capitanata di opere antiche di gran pregio, come le imagines lapideae che furono condotte a Lucera nel 1240 o le due sculture bronzee spedite nel 1242 nella medesima località dal Monastero di S. Maria di Grottaferrata, ove per qualche tempo erano state riposte (62). Ma è pure certo che intorno al Natale del 1231 l'imperatore, attendendo vanamente la realizzazione di una dieta di principi tedeschi a Ravenna, preso da un singolare interese antiquario, avviò veri e propri scavi nell'antica città dei re goti e degli imperatori bizantini (63). Nell'agosto settembre del medesimo anno era stato appena promulgato a Melfi il Liber Augustalis, che come il Codice di Teodosio e la compilazione di Giustiniano mirava ad un corpus di leggi che esaltasse la maestà dell'Impero. Strettissimi erano i collegamenti tra i precedenti romani ed il Codice siculo, unica codificazione in tutto il Medioevo destinata ad esercitare una grandissima influenza sulla formazione del diritto degli stati assoluti d'Europa (64). Anche Carlo Magno, al quale va pure ascritto un progetto fallito di codificazione del diritto (65), aveva scavato a Ravenna in due occasioni: nel 784 e nell'801 (66). Come non è casuale che entrambi gli imperatori abbiano tentato una codificazione del diritto, certamente non è fortuita la circostanza che costoro, interessati alla renovatio imperii, abbiano ricercato testimonianze del passato proprio nella sede dell'impero romano d'Occidente (67). Si trattava non solo di rievocare le ombre dei Cesari, come suggestivamente è stato scritto, ma anche di riappropriarsi materialmente di un patrimonio considerato di spettanza imperiale (68). Lo dimostra il fatto che i reperti rinvenuti furono utilizzati per abbellire le residenze imperiali. Come Carlo Magno impiegò marmi e mosaici ravennati ad Aquisgrana e fece asportare una statua equestre di Teodorico (69), così Federico utilizzò nel 1240 colonne antiche che si trovavano nella chiesa di S. Michele a Ravenna per ornamento del suo palazzo di Palermo (70). Ancora parti di un antico tempio di Mercurio, unitamente a due colonne d'onice ed altre cose preziose, furono da Federico prelevate a Ravenna (71). Degli scavi effettuati da Federico nel 1231 2 siamo informati attraverso un resoconto fornito nel 1279 dal frate minorita Tommaso da Pavia, che almeno nel 1253 era stato certamente in Romagna ed era amico di un arcivescovo ravennate di nome Filippo (72). II suo racconto è stato considerato sostanzialmente attendibile, nonostante una serie di inesattezze, richiami favolosi ed abbellimenti leggendari (73), che possono forse essere plausibilmente giustificati. Tommaso da Pavia narra che Federico nel 1231 ... ... parlamentum iussit congregari
Ravenne, ut de iuribus imperii multis temporibus occupatis exigeret rationem.
Verum huius
tempore parlamenti aliquid accidit, quod non exstimo omittendum. Nam ad hoc
parlamentum cum principibus Alamanie miles quidam Ricardus nomine curialis
advenit, qui temporibus Karoli Magni scutifer Oliverii Dacie ducis fuit, qui
fuit unus de 12 palatinis et Rolandi socius specialis. Fridericus igitur
imperator hunc militem coram principibus requisivit, si tempore aliquo
Ravenne cum Karolo fuerat et si in ipsa posset aliqua secreta ostendere, per
que verbis illius posset certa fides haberi. Tunc ille ait: Cum Karolo et
Rolando et meo domino Oliverio fui in hac civitate et si mecum circa
civitatem volueritis equitare, certa vobis ostendam inditia, per que me verum
dicere cognoscetis. Equitavit igitur imperator ad quoddam monasterium prope
urbem dixitque Ricardus ad eum: In hoc monasterio est quedam capella pulcerrima,
quam hedificari fecit Galla Placidia, opere mosaico decorata, in qua de
alabastro sunt tria sepulcra, in quorum uno imperatoris Theodosii corpus est
positum, iuxta quem ensis eius cum vexillo tale preferente insigne est
positus. In alio est corpus uxoris cum suarum duarum corporibus filiarum. Sed
in tercio corpus est Helisei prophete de Costantinopoli cum aliis huc
translatum. Itaque iuxta dicta Ricardi capellam imperator invenit, sed
propter antiquitatem et excrescentias fluviorum sic terris opertam, ut
introitus per ostium non pateret in eam. Terram igitur iussit effodi et usque
ad pavimentum capelle optime excavari, quibus sic per omnia actis capellam
intravit, ubi ut Ricardus dixerat tres archas invenit. Cumque archa Theodosii
fuisset aperta, cum vexillo et spata inventum est corpus eius, et quia in
archa una veritas erat inventa, noluit imperator archas alias aperiri...
Iterum Ricardus ille iam dictus eius quod dicebat alium signum dedit. Dicebat
enim, quod in Karoli comitato erat miles quidam discretionis sensu
permodicus, sed stature longitudine eximius, ita quod vix inveniri posset
aliquod vestimentum corpori suo aptum, capiti pileum, calcaria pedibus et
manui cirotheca, nisi ad eius fierent de novo mensuram. Contigit autem semel, quod
imperator Karolus subito de Ravenna discederet, ita quod multi recessum ex
militibus nescientes eum non fuerint tunc secuti. Inter quos vir iste
longissimus accipere pre festinantia sua calcaria est oblitus et ideo tarde
Karolum est secutus. Et quia sine calcaribus equitabat, omnium derisui
expositus erat, quia segui alios non valebat eo quod calcaria sua in quadam
fenestra huius claustri reliquerat, que sic alta erat, quod nullus alius
preter ipsum manum illuc mittere poterat. At illi, qui cum imperatore erant,
investigantes ibi fenestras in eo latere quo dicebat, derelicta calcaria
repererunt propter antiquitatem rubiginosa, quamvis fuerint deaurata,
tanteque magnitudinis erant, ut admirationi fierent universis, tanquam
quoddam novum et insolitum mirarentur. Itaque habemus in hiis fidem Theodosii
quam sequamur, qui monasterium istud exstruxerat seque ibi sepeliri
mandaverat, habemus et sanctitatem Helisei eximiam, quam affectibus
veneremur, habemus longevitatem Ricardi cum longitudine corporis, quam
miremur. Et in hiis omnibus divinam nobis est attendere
maiestatem, quam in omnibus et ex omnibus collaudemus, que facit magna et
inscrutabilia, quorum non est numerus (74). Indubbiamente il fantastico racconto riflette lo stupore del monaco medievale che è indotto a fornire una ingenua spiegazione, elaborata per giustificare alcuni fatti straordinari. Avvalendosi dell'eco di una tradizione che risaliva ad oltre quattrocento anni prima, lo scavo di Federico sarebbe stato previsto e condotto in uno dei siti ove già aveva scavato Carlo Magno. Si sapeva infatti in precedenza ciò che sarebbe stato rinvenuto. E' stato già notato che la località non era il mausoleo di Galla Placidia, ma un luogo straordinariamente simile, ubicato però fuori Ravenna (75). Come la cappella di Galla, ascritta a S. Lorenzo, ma raffigurante all'interno un tema musivo degno di un mausoleo funebre imperiale, forse il giudizio ultimo (76), sito degli scavi è stato ritenuto un sacello attribuito al medesimo Santo e che avrebbe potuto essere adiacente alla reggia di Valentiniano, S. Lorenzo in Cesarea (77). Assai delicata questione di archeologia ravennate è l'ubicazione esatta della reggia di Valentiniano, che si vorrebbe identificare nella Regio Caesarum all'interno di Ravenna, nei pressi del c.d. Palazzo di Teodorico (78). Ma i resti archeologici non sono finora particolarmente significativi (79), né le fonti documentarie inequivocabili (80). D'altro canto, se la presenza nell'area di palazzi regali di epoche diverse potrebbe facilmente spiegare la denominazione della Regio Caesarum, quale giustificazione troverebbe invece il toponimo di Cesarea, attribuito al sobborgo fuori Ravenna (81)? Un secondo evento colpì la fantasia di Tommaso da Pavia: il rinvenimento da parte dei compagni di Federico su di un lato del mausoleo, sotto una finestra, di calcaria... propter antiquitatem rubiginosa, quamvis fuerint deaurata. Le insolite dimensioni determinarono certamente la costruzione dell'intero racconto: un uomo tanto grande, ma per contrasto permodicus, avrebbe posato gli stivali su di una finestra irraggiungibile a tutti (82). Un improvviso abbandono ne avrebbe determinato la caduta e così giustificato l'interramento. I1 reperto ritrovato era metallico, essendo arrugginito e dorato come una statua imperiale. Anche se il frate non descrive esplicitamente il rinvenimento di una statua, non v'è dubbio che un corpo d'insolita grandezza (...longitudine corporis quam miremur) viene preso in considerazione, unitamente ad un abbigliamento completo. E' dunque possibile avanzare l'ipotesi che in questa maniera, per noi favolosa e sorprendente, venisse descritta almeno la prima fase del rinvenimento di una statua imperiale. Se è vera questa ipotesi, difficilmente la statua in questione avrebbe potuto essere diversa da quella di Barletta. I campagi, aperti nella parte anteriore del piede, che la statua di Barletta originariamente calzava (83), devono avere accresciuto lo stupore e forse suggerito l'idea della difficoltà di reperire vestiti idonei a ricoprire un così grande corpo. Dopo la secolare esposizione agli agenti atmosferici ed i diversi strati di vernice verde scuro cosparsi sulla statua sino ad un passato non troppo remoto (84), non è stata segnalata traccia di doratura in occasione del recente restauro (85). Sono stati riscontrati invece numerosi ed apparentemente inspiegabili colpi di scalpello per tutta la superficie (86). Una plausibile spiegazione potrebbe essere costituita dal fatto che la statua avrebbe potuto essere stata dissotterrata al tempo di Federico con non troppa cura. Tuttavia si è affermato che la «condizione in cui l'opera è giunta sino a noi prova che al momento del trafugamento la statua non giaceva a terra per caduta dall'alto a seguito di terremoto o altra calamità accidentale». In realtà i danni alle estremità, soprattutto le braccia e sul lato della croce, non consentono affermazioni così recise. Esiste una testimonianza che forse giustifica l'errore di Federico nell'attribuire l'arca a Teodosio e che forse conforta l'identificazione proposta. Intorno al 1295 Riccobaldo di Ferrara dichiarava: Vidi ego in Ecclesia Sancti Laurentii sacello, quod est apud Ravenna, sepulcrum nobile; iuxta id in pavimento erat petra scripta literis celatis dicens sic: Theodosius Imperaror. Vidi et legi. E più innanzi: ...in Caesarea ecclesia Beati Laurentii iuxta quam constructum fuit sacellum elegans, in quo sunt mausolea ex marmore affabre caelata, in quo quidem elegantiori corpus Theodosii Augusti esse, et literae in petra scriptae id testantur, quas legi (87). Dunque nel pavimento della chiesa di S. Lorenzo in Cesarea fuori Ravenna vi era una iscrizione dinnanzi ad un sarcofago, che menzionava Teodosio. Questo fatto spiega facilmente l'errore di Federico e dei successivi visitatori e conferma la sostanziale genuinità della notizia riferita da Tommaso da Pavia. Nessun imperatore Teodosio era certamente colà sepolto (88) e d'altro canto se realmente si fosse trattato di una iscrizione funeraria, il testo di essa sarebbe stato piuttosto Divus Theodosius (89). Ed allora, tra le innumerevoli semplici spiegazioni della presenza dell'iscrizione, perché non pensare anche al titulus di una statua antistante in onore dell'imperatore vivente, riutilizzato successivamente come lastra pavimentale? E' difficile determinare in che momento Federico avrebbe potuto disporre il trasporto in Puglia della statua di Teodosio II ritrovata nel 1231 2 ed eretta a Ravenna da Valentiniano III nel 439. Se ciò non avvenne immediatamente, è possibile che il trasporto sia avvenuto dopo la presa di Ravenna nel 1240. Nel 1240 2 l'imperatore dispose l'invio di diverse opere d'arte antiche in Puglia. Nel medesimo tempo Riccardo di Montefusculo, funzionario che porta il diffuso nome del fantastico personaggio menzionato da Tommaso da Pavia e che era camerarius imperiale e cioè addetto alla cura dei beni regi, ricevette l'incarico di iniziare la costruzione di Castel del Monte. I documenti ulteriori relativi all'edificazione del monumento andarono perduti nella disfatta di Parma (90). Allo stesso modo potrebbero essere stati distrutti gli atti relativi al trasporto della statua. L'ubicazione a Barletta del Colosso potrebbe indicare allora che la statua, piuttosto che essere diretta a Foggia o a Lucera, ove erano raccolte numerose opere d'arte e l'immagine dell'imperatore che brandiva la croce avrebbe potuto essere proficuamente utilizzata nel campo dei saraceni per ribadire la maestà imperiale (91), era sul punto di essere trasportata per la strada più diretta per Melfi, sede di solenni assise imperiali e luogo di pubblicazione del codice di Federico. Le ulteriori drammatiche vicende dell'imperatore ne fermarono per sempre il cammino. |
© Gianfranco Purpura |
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