Le cose sono come i luoghi: cè sempre qualche
fantasma che le abita.
Nelle cose, innanzitutto, ci sono i fantasmi delle cose
stesse: esse un tempo sono state nuove, esse un tempo
sono state intere, esse un tempo sono state in uso.
Se ci viene spontaneo pensare che una rovina, un edificio
diruto o abbandonato, ospitino fantasmi malinconici, che
qualche bel restauro ed un appropriato riuso delledificio
potranno senzaltro esorcizzare, non ci viene però
altrettanto spontaneo pensare che piccoli fantasmi, non
meno malinconici, abitino dentro gli oggetti. Non ci viene
né spontaneo né facile neppure immaginare
che anche per questi fantasmi sia necessario un appropriato
esorcismo, una nuova forma di comunicazione, perché
essi perdono tutta la loro malinconia.
Non basta, alle volte, conservare le cose in una bella
vetrina, se non cè nulla che esorcizzi i
loro fantasmi. Se non cè, insomma, un meccanismo
comunicativo che le faccia tornare nuove e intere, seppur
solo virtualmente, che le faccia tornare in uso, seppur
solo espositivamente.
Nelle cose, poi, ci sono i fantasmi di chi le ha create,
così come in qualche piramide cè il
fantasma dellarchitetto immolato, come tanti telesmata,
alla morte del faraone.
Se ci viene naturale, di fronte a qualsiasi importante
edificio, domandarci chi ne sia stato larchitetto,
in quale momento della sua vita lo abbia progettato, a
quale cultura generale ed a quali ideali del tutto individuali
egli si sia ispirato, sicché, alla fin fine, il
suo fantasma, se pur esiste, ci appare come un fantasma
del tutto benefico e protettivo, non è altrettanto
naturale, di fronte ad una vecchia pentola, intravedere
il fantasma del fabbro o del vasaio che lha costruita.
Eppure, anche questultimo aveva un nome, viveva
e produceva i suoi oggetti allinterno di un proprio
sistema culturale, e guardava al suo prodotto con senso
estetico e sentimenti di autocompiacimento.
Non basta, dunque, porre la pentola insieme ad altre consimili
dentro una bacheca, se non esorcizziamo il fantasma del
suo artefice, facendone tornare vivi i pensieri, la manualità,
gli strumenti.
Nelle cose, poi, ci sono i fantasmi della gente per la
quale le cose stesse sono state create, così come
in un castello scozzese ci sono i fantasmi dei suoi antichi
abitanti. [
]
Non basta, dunque, appendere un quadro assieme ad altri
alla parete di una pinacoteca, se non esorcizziamo il
fantasma del suo pubblico, e non rendiamo comprensibile
come esso lo vedeva in origine, se davvero come unopera
darte, o se non, invece, come unimmagine religiosa,
come il ritratto di una persona cara o importante per
la vita dinastica della famiglia, come un oggetto nuovo,
perfino scandaloso, oppure spiritoso, decorativo, significativo,
didattico, ininfluente. Se non spieghiamo, come certe
nuove forme di didattica museale vorrebbero, chi sono
i personaggi rappresentati, o quali siano le specie botaniche,
e quale la loro interpretazione simbolica, o quale sia
il senso degli emblemi, o il significato più profondo,
iconologico, della rappresentazione: non ogni componente
del pubblico è un Warburg o un Panowsky in incognito.
Nelle cose, infine, ci sono i fantasmi delle persone che
le hanno raccolte, così come nei luoghi abitano
non solo antichi fantasmi, ma anche più recenti
emanazioni.
Se è del tutto ovvio quando si visita una città
o anche una strada, chiedersi come quellassortimento
di stili e di colori, di gusti e di dettagli, si sia potuto
formare, se dal caso o dalla storia, se per la pianificazione
di qualche politico, o per il progetto di qualche urbanista,
molto meno ovvio è che ci domandiamo, di fronte
ad una raccolta di oggetti, come e perché quegli
oggetti stanno insieme, insomma, che sia qualche cosa
di più e di diverso della semplice addizione di
quel che ci dice ciascun oggetto preso per sé.
Il collezionista ha una sua personalità, la collezione
è una struttura dipendente da quella e non basta,
dunque, conservare una collezione in un unico luogo, un
oggetto vicino allaltro, se il fantasma del collezionista
si aggira ancora nei pressi e noi lo esorcizziamo spiegandone
le ragioni, la cultura, i movimenti.
Spesso, gli allestimenti dicono ben poco sulla personalità
dei collezionisti che hanno dato origine ai vari musei,
spesso, perfino le guide, seppur puntigliosamente compulsate,
non dicono molto di più: pensare, invece, che lumanità
e la sapienza celate dietro ad una raccolta commuovono
e colpiscono, talvolta, quanto la raccolta stessa. La
cultura, alla fin fine, altro non è che la cultura
delluomo, degli uomini che la fanno, uomini che
hanno un carattere, dei sentimenti, dei problemi, e che
riversano tutti questi aspetti della loro personalità
in quella ossessione organizzata che è
la collezione: troppo spesso i musei ed i curatori di
museo, inariditi dalla specificità disciplinare,
dimenticano o sottovalutano limportanza del fattore
umano.
Alla fine, tutti questi fantasmi a piede libero, delle
cose, degli artefici, dei committenti, del collezionista,
potrebbero tendere una cappa di nebbia sulle cose, una
densa caligine di incomunicabilità, uno spettrale
lenzuolo di desuetudine e di malinconia.
Quando i fantasmi si aggirano, i visitatori non si aggirano.
Se lo fanno, fuggono spaventati.
Se non fuggono spaventati, escono per lo meno annoiati
e, come certi parapsicologi che non credono nei fantasmi,
ma cionondimeno si intrigano di esperimenti medianici,
confessano di non aver visto niente. Di non avere né
visto né capito.
|