L'
iconografia tradizionale ci mostra un esercito
di schiavi sotto la minaccia delle fruste dei
sorveglianti intenti a trascinare, spingere, sollevare
con l'aiuto di funi, leve e cunei enormi blocchi
di pietra sotto il cielo infuocato della valle
del Nilo. Un'enorme e gratuita forza-lavoro, sfruttata
senza pietà per sopperire alla mancanza di mezzi
tecnici per costruire le piramidi. Ma gli studi
più recenti ci dicono che le piramidi molto probabilmente
non furono costruite così ma, al contrario, furono
opera di tecnici e operai specializzati e regolarmente
retribuiti.
Resta però da spiegare come sia stato possibile
sollevare migliaia e migliaia di blocchi di granito,
pesanti da 15 a 30 tonnellate, fino ai quasi 150
metri delle costruzioni maggiori in un'epoca in
cui erano sconosciuti carrucole e argani e non
era ancora stata inventata la ruota. Un problema
che ha sempre tormentato gli studiosi di egittologia
e che diventa fondamentale se si accetta l'ipotesi
che le maestranze non fossero, o almeno non fossero
prevalentemente schiavi.
Ad un convegno organizzato qualche tempo fa a
Torino al Museo Egizio è stata presentata una
ipotesi di soluzione che ha incontrato il consenso
di molti studiosi. L'ha illustrata Osvaldo Falesiedi,
un autodidatta che da anni studia il problema.
Essa parte da uno strumento ritrovato in tombe
del Nuovo Regno, chiamato "dondolo" o "elevatore
oscillante", che potrebbe essere la "macchinetta
formata da legni corti" che, secondo il racconto
dello storico Erodoto, sarebbe servita appunto
per costruire le piramidi.
Sull'uso
di questo strumento sono state fatte fin dall'inizio
del secolo varie teorie i nessuna delle quali,
tuttavia, è esente da contraddizioni. Ora Falesiedi
ha presentato un modellino di macchina che sembra
superare tutte le obiezioni. Il dondolo recante
il blocco da sollevare è appeso con 4 funi a un'incastellatura
di travi. Imprimendo un'oscillazione al dondolo
due delle corde (quelle poste nella direzione
in cui viene spinto il dondolo) possono essere
leggermente tirate e accorciate facendo forza
su un palo trasversale sovrastante; in questo
modo il dondolo e il blocco di granito sono saliti
di un po'; ora la spinta viene data nella direzione
opposta e vengono tirate le due corde corrispondenti,
con un altro innalzamento del blocco. E così via
fino all'altezza voluta. Un lavoro che, secondo
Falesiedi, può essere eseguito da soli tre uomini.
Una macchina analoga, posta a cavallo di una pista
di travi, sarebbe servita anche per il trasporto
dei blocchi dalla cava al Nilo e dal Nilo al cantiere.
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