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...Sezione:
IURA |
Appunti su alcuni aspetti della storia del diritto soggettivo
di Bernardo Albanese
Pubblicato in: Scritti in onore di A.C. Jemolo, 4 (Milano
1963), 1-13
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1. La natura del presente scritto - volto ad onorare un
maestro di diritto e di costume, cui tutti noi siamo debitori
di pensieri e di esempi - valga a chi scrive la comprensione
del lettore, per la rapidità con la quale si è
affrontato qualche aspetto d'uno dei più dibattuti
problemi delle nostre scienze e la connessa mancanza quasi
totale di riferimenti espressi alla imponente dottrina,
cui, peraltro, nella misura. in cui la conosco, attribuisco
doverosamente e volentieri un peso determinante nella formazione
delle convinzioni qui sommariamente espresse.
2. Uno dei risultati più sicuri - se non anche più
largamente diffusi - cui abbia condotto il pensiero giuridico
attuale, nello sforzo costante di prendere sempre migliore
consapevolezza di sè, è costituito senza dubbio
dalla persuasione, ormai radicata, della insignificanza
ed insufficienza di una considerazione meramente dogmatica
(come si dice) del fenomeno giuridico; e, parallelamente,
della inopportunità, o addirittura impossibilità,
d'una considerazione meramente empirica del medesimo.
Fermo restando il convincimento di fondo, per cui nota essenziale
e chiave per una retta intelligenza del diritto sia l'avvertenza
della sua natura storica (di fatto, cioè, umano nel
tempo), è chiaro che di « dogmatica »
in senso proprio e tecnico è assurdo parlare. Nel
contempo, però, è altrettanto chiaro come,
nella scienza del diritto, sia necessario sempre far luogo
ad uno schema logico, artificiale, voluto, entro cui sistemare,
ed alla cui luce confrontare, i dati storici.
Sicchè costruzione sistematica ed esperienza storica,
nel diritto, sono entrambe mezzi inseparabili di conoscenza,
prospettive - come pur si usa dire - l'una e l'altra per
l'impostazione e l'analisi dei fenomeni; e prospettive necessariamente
concorrenti.
Però, è da osservare che il rischio d'una
considerazione prevalentemente empirica (o, se fosse possibile,
esclusivamente empirica) della fenomenologia giuridica si
può considerare in pratica inesistente - checch'è
se ne pensi, in contrario, da alcuni. Ciò, perchè
l'esperienza mostra che anche i più antidogmatici
dei giuristi necessariamente si servono di schemi logici
per inquadrare il loro lavoro (pur potendosi, naturalmente,
a torto o a ragione, secondo i casi, lamentare che gli schemi
adoperati siano erronei, insufficienti, mal aggiornati e
via dicendo). Il rischio opposto appare, al contrario, assai
più grave, in pratica. In effetti, ancora l'esperienza
mostra come una considerazione prevalentemente dogmatica
(o, se fosse possibile, esclusivamente dogmatica) possa
tendere ad una mortificazione grave della realtà
storica. L'amore per lo schema, la passione dell'astratto
ragionare, la tendenza a far forza alla materia risultante
dall'esperienza e dai documenti con l'applicazione di categorie
cui si attribuisce un valore metastorico, assoluto, sono
altrettante tentazioni gravi, che possono dar luogo a cecità
e apriorismi, a danno della verità storica, prima,
e poi anche a danno della stessa logica.
Diciamo a danno della stessa logica, giacche è facile
vedere come tutti gli schemi logici che si è soliti
applicare alla fenomenologia giuridica sono, a buon conto,
elaborati per astrazione sulla base di dati ricavati dall'esperienza
storica, sicchè sono anch'essi - sebbene in modo
diverso e riflesso - dato storico. Sopravvalutarli, in conseguenza,
ed assolutizzarli, come purtroppo avviene di continuo, equivale
a servirsi con piena fiducia, e a ritenerli assoluti, di
valori, che per natura loro sono legati a dati che possono
ben essere superati proprio nel momento in cui - per una
specie di vischiosità degli schemi - si continua
ad adoperare i valori che ne son derivati.
La logica ferrea che si vuol basare su strumenti di tal
fatta è, quindi, una logica sbagliata, come quella
che rifiuti di prender coscienza della pur innegabile relatività
delle sue premesse.
Nel servirci, quindi, di qualunque concetto, categoria o
costruzione giuridica, tutte le volte che appaia necessario
farlo, per la sistemazione dei dati interessanti lo studio
giuridico, è indispensabile tenerne presente la natura
di comodo e relativa, la storia particolare, ed inoltre
il rischio continuo di ipostasi.
Come e quanto, in pratica, un tale atteggiamento di cautela
sia possibile è difficile precisare in generale;
ne potrebbe apparire utile, se pur possibile, una valutazione,
a questa luce, delle correnti dominanti nell'odierna letteratura
giuridica. Meno difficile, ma parimenti inutile in questa
sede, sarebbe l'attardarsi nell'analisi delle tappe - spesso
aspramente polemiche, sempre fruttuose - attraverso le quali
si è pervenuti, in linea di massima, a quella persuasione
della necessità d'una considerazione assai cauta
e attenta delle prospettive dogmatiche intese nel loro giusto
valore storico. Del resto, il relativo processo di chiarificazione
si può ormai ben considerare compiuto, e le esasperazioni
in senso unilaterale - cui o particolari temperamenti e
formazioni intellettuali, o passionali prese di posizioni
hanno dato, e talora ancor dànno, non lodevole occasione
si possono, sostanzialmente, ben considerare superate
(1).
Meglio è, piuttosto, constatare come esistano, non
poche ormai, ricerche particolari, le quali si possono,
a buon diritto, considerare modelli validi o abbozzi felicissimi
dell'accennata, equilibrata impostazione che non sacrifica
indebitamente le ragioni dell'esperienza né quelle
della concettualizzazione.
Ne vi è giurista, credo, sollecito del fondamento
stesso del proprio indagare che non vada spontaneamente,
a questo punto, con il pensiero, a quegli storici del diritto,
a quei filosofi del diritto ed a quei cultori del diritto
positivo vigente cui la nostra scienza è debitrice
di queste acquisizioni. Naturalmente, tra gli scritti cui
alludiamo un posto particolarmente degno occupano i contributi
degli storici del diritto a quella che si può a ragione
chiamare la storia della dogmatica giuridica: quell'atteggiamento,
cioè, della storia giuridica che si volge particolarmente
al difficile compito di stabilire gli antecedenti remoti,
meno remoti e recenti dei concetti generali con cui operano
i giuristi contemporanei.
3. Le ricerche sulla storia della dogmatica giuridica son
state particolarmente feconde, di recente, nel settore del
c.d. diritto soggettivo
(2).
Anche questa categoria dogmatica - cosi centrale nella speculazione
giuridica, e cosi, in essa, strettamente connessa a tanti
altri temi fondamentali (diritto oggettivo, ad esempio,
soggetto di diritto, azione, successione, negozio giuridico,
e via dicendo) - si è venuta sempre meglio chiarendo
come strumento logico, elaborato in tempi abbastanza recenti,
sotto l'influsso di determinati fattori storici.
Più che riecheggiare, qui, anche di volo, i risultati
di coloro che hanno dedicato al tema dotti ed acutissimi
saggi, vorrei invece, sulla loro medesima traccia, cogliere
un aspetto non privo di interesse nella storia della nozione
di diritto soggettivo, nella speranza che ne possano derivare
ulteriori considerazioni utilizzabili da parte di chi -
anche, e specialmente - nell'ambito del diritto vigente,
si trova ad operare di continuo con quella nozione.
Le più antiche intuizioni di cui abbiamo notizia,
in ordine ad una precisa presa di coscienza da parte dei
giuristi rispetto all'esistenza di ciò che si dice
diritto soggettivo, sono unanimi nel rilevare, come nucleo
concettuale di questa categoria, un valore di potere,
di facoltà, di libertà, di
interesse, di disponibilità, e via
dicendo: in sostanza, un valore di vantaggio per il titolare
del diritto soggettivo stesso. Escogitata, poi, la categoria
di rapporto giuridico, fu unanime e spontaneo coordinare
ad essa la nozione di diritto soggettivo, intendendo quest'ultimo
come il lato attivo, di favore per dir così, del
rapporto.
Tali intuizioni, in sostanza, si mantengono, immutate, anche
nell'odierna speculazione quale che sia la sfumatura che,
poi, ciascun autore è venuto fornendo per precisare
la sua nozione di diritto soggettivo; e costituiscono, tra
le tante divergenze che, al riguardo, dividono la dottrina,
un punto, l'unico punto, fermo. Cosi, il diritto soggettivo,
per tutti - e, per quanto sembri paradossale, anche per
coloro che ne hanno negato la sussistenza o l'ammissibilità
- è una attribuzione positiva d'un soggetto
garantita dall'ordinamento giuridico.
E pure un siffatto modo di intendere, alla radice, il diritto
soggettivo - per naturale che appaia ormai a tutti noi,
che siamo stati da secoli abituati ad una siffatta nozione,
e che ad essa abbiamo conformato il nostro linguaggio tecnico
e, quel che più conta, anche il nostro parlare comune
- solo che lo si osservi un istante sotto un profilo meno
consueto, presenta almeno una stranezza.
Questa stranezza - certo altre volte rilevata, ed anzi utilizzata
per costruire categorie diverse - consiste, come è
facile intendere, nella non piena corrispondenza (e convertibilità)
che viene a stabilirsi logicamente - e questa volta «
logicamente » si vuol riferire alla logica, per dir
così assoluta, generale, derivante dal comune modo
di operare intellettualmente - tra il diritto soggettivo
in tal modo concepito ed il c.d. diritto oggettivo.
La logica vorrebbe, infatti che - come, nelle locuzioni
diritto oggettivo e diritto soggettivo,
varia soltanto l'aggettivo, fermo restando, in entrambe,
il sostantivo (diritto) - il diritto soggettivo si concepisse
come un quid del tutto identico al diritto oggettivo
nella sostanza e differente da esso solo nel punto di vista
(subiective positum, invece che obiective positum);
sì che dovesse bastare, per dir così,
di sommare tutti i diritti soggettivi esistenti in un determinato
momento, in base ad un determinato ordinamento, per realizzare
automaticamente il diritto oggettivo, cioè l'ordinamento
medesimo.
Ora, che - in base alla concezione corrente di diritto soggettivo
questa identità di sostanza tra le due positiones
del diritto esista, è da ammettersi senz'altro,
anche tenendo presenti i rilievi, notissimi e da tutti condivisi,
circa la circolarità logica tra il diritto soggettivo
e quello oggettivo, circa la subiettivazione (come è
stato detto) del diritto oggettivo rappresentata dal diritto
soggettivo, circa la generalità e astrattezza del
diritto oggettivo e l'individualità e concretezza
del diritto soggettivo, e via dicendo.
Ma questa identità di sostanza - generalmente ammessa
- non è, nelle concezioni odierne, identità
di tutta la sostanza. In effetti, al diritto oggettivo appartengono,
in concreto, non solo le attribuzioni positive (i diritti
soggettivi, appunto, secondo le concezioni moderne) dei
soggetti, ma anche le attribuzioni, o meglio le determinazioni
negative. Oltre che poteri, facoltà, libertà,
disponibilità, etc., dei soggetti, ineriscono al
diritto oggettivo limiti, doveri, divieti, imposizioni etc.
per i soggetti.
Ora, limitandosi all'armonia formale che ha fatto distinguere
diritto oggettivo e diritto soggettivo (come facce d'una
medesima medaglia, secondo quanto usa dire), e seguendo
la logica che vorrebbe una piena convertibilità tra
questi due aspetti, si dovrebbe pretendere che anche le
determinazioni negative dei soggetti venissero pleno
iure chiamate diritti soggettivi.
Il fatto che, nelle teoriche correnti in ordine al rapporto
giuridico, all'esigenza logica ora vista si ovvii, formalmente,
con l'introduzione della categoria dogmatica - per vero
non molto diffusa di «situazione giuridica soggettiva»,
tanto più ampia del vulgato concetto di diritto soggettivo;
e, sostanzialmente, con il rilievo intuitivo, per cui nel
concetto stesso di diritto soggettivo è implicita
la considerazione del dovere o dei doveri corrispondenti
a carico di soggetti diversi dal titolare dei diritto soggettivo
medesimo, non modifica l'innegabile non piena corrispondenza
concettuale e terminologica rilevata, tra diritto oggettivo
e diritto soggettivo.
4. I precedenti rilievi - va detto subito - non son proposti
affatto per avanzare minimamente una nuova « definizione
» o « nozione » del diritto soggettivo.
Sebbene io sia convinto della maggior logicità d'una
nozione più ampia quale sarebbe quella conseguente
ai rilievi or ora fatti - di più: dell'innegabile
convenienza d'una simile, più ampia, nozione ad ordinamenti
diversi da quelli, in un modo o nell'altro, ispirati alla
tradizione romanistica; e particolarmente ad ordinamenti
futuri pensabili, nell'ipotesi di diversa considerazione
dei capisaldi che fondano quella tradizione: il rilievo
della persona singola, ad esempio, o il diritto di proprietà
privata, o i canoni dell'ordinamento giudiziario, e via
discorrendo - sebbene, dunque, io sia convinto della maggiore
rigorosità logica e delle possibili, future fortune
d'una siffatta, più ampia, nozione di diritto soggettivo,
sono il primo a riconoscere l'impossibilità di applicarla
all'attuale sistema della scienza giuridica.
Se, quindi, ho avanzato il rilievo che precede, è
stato solo al fine di rafforzare le premesse del presente
discorso. Cioè, al fine di cogliere un esempio vistoso
della natura relativa e di comodo dei concetti giuridici.
Un ulteriore rilievo permette di cogliere, altresì,
particolarmente, la natura storica di quei medesimi concetti.
Le indagini storiche sul dogma del diritto soggettivo, cui
ci riferivamo più su, hanno messo in luce - ed è
questo un merito particolarissimo del Villey e dell'Orestano
- come le formulazioni di quel concetto, emerso a piena
chiarezza e divenuto oggetto di speculazione espressa solo
a partire dal XVII secolo, si sian nutrite di sostanza politica,
ed abbiano seguito, con alterne fortune, le vicende dell'idea
che, in modo sommario ed approssimativo, potremmo chiamare
individualista e moderna. All'affermazione crescente del
valore sociale e politico dei singoli, in contrapposto a
concezioni « corporative » e autoritarie, più
o meno illuminate, corrisponde, nel campo della scienza
giuridica, un progressivo affinamento (ed una progressiva
utilizzazione) del concetto di diritto soggettivo, inteso
come attribuzione positiva dei singolo.
Decisivo, su entrambi i piani - quello giuridico e quello
politico e sociale - è l'influsso del pensiero giusnaturalistico,
e, più tardi, quello dell'ideologia liberale vera
e propria. Sarebbe possibile anche, ma in altra sede, mostrare
come le flessioni e i regressi di quelle idee filosofiche,
politiche e sociali abbian trovato, e trovino ancora, in
sede giuridica, un'eco puntuale, che si esprime subito con
avversioni e ritrosie per la categoria stessa del diritto
soggettivo tradizionale.
Tutto questo che, per necessità, così sommariamente
s'è accennato, ed altro ancora che potrebbe soggiungersi
dal punto di vista della storia parallela delle idee e delle
strutture economiche e forse da altri ancora, è,
comunque, decisivo per la comprensione della storia del
concetto corrente di diritto soggettivo, sotto il profilo
della determinazione delle ragioni del fenomeno. E
decisivo, cioè, per la determinazione delle cause
che hanno portato ad un'intensificata considerazione del
fenomeno giuridico dall'angolo visuale delle situazioni
giuridiche subiettive, intese, in particolare, come situazioni
di «vantaggio» del soggetto.
5. Il rilievo che ora vorrei aggiungere tende a spiegare,
invece, come - dal punto di vista formale, esteriore, cioè
- la scienza giuridica abbia trovato, nella tradizione romana,
gli appigli tecnici più adatti per costruire quel
concetto di diritto soggettivo inteso come potere, oggi
così diffuso.
E notissimo come, nella tradizione romana, non si
rinvengano elementi d'una elaborazione, anche embrionale,
delle posizioni giuridiche soggettive sotto il profilo del
«diritto soggettivo». Cè stato addirittura
chi ha negato che mai i Romani abbiano, in tutta la loro
storia giuridica, adoperato la parola ius in senso
puramente soggettivo (Villey). Noi, per conto nostro, non
condividiamo questa opinione. Non ci sembra discutibile
un ricorrere del termine ius in senso subiettivo
nelle fonti, anche se non isolato linguisticamente da un
piu ampio senso, o valore, attributivo. Ci avviciniamo alquanto
alla posizione accennata ora nell'affermazione dell'utilizzazione
sistematica limitata e relativamente tarda di questa accezione
soggettiva. Essa, per noi, si è operata sulla fine
della Repubblica in connessione ad un processo graduale
di autonomizzazione di specifiche situazioni soggettive
(diritti soggettivi, nel senso corrente: diritto di credito,
di successione, diritti reali frazionari) da un'originaria,
indifferenziata situazione soggettiva di prevalenza (meum
esse)
(3).
Comunque, anche gli autori che si sono opposti tanto alla
radicale tesi dell'assenza, quanto a quella, assai più
limitata, or ora accennata, non hanno mai negato l'inesistenza
d'una elaborazione teorica del concetto di diritto soggettivo,
presso i Romani, o l'assenza d'un qualunque compiuto sistema
romano di diritti soggettivi
(4).
E diffusissimo, e fondato, invece, il rilievo che
i Romani abbiano spesso operato classificazioni e distinzioni
giuridiche sotto il profilo processuale, dell'actio,
cioè.
Or senza voler qui approfondire alcuno dei problemi, assai
complessi, che si possono presentare al riguardo (rapporto
tra actio e posizione giuridica soggettiva; rapporto
tra actio ed il diritto soggettivo inteso nel senso
tecnico moderno; rapporto tra actio ed il diritto
oggettivo, ad esempio), appare certo che, nell'ambito della
tradizione di studi derivati dall'esperienza giuridica romana
- dal Medioevo, almeno, alla Pandettistica - la distinzione
tra actiones in rem e actiones in personam
ha sempre assunto un'importanza fondamentale.
Come all'assunzione di importanza accennata abbian concorso
varii fattori - ad esempio, l'assoluta preminenza dell'elaborazione
del diritto privato (nell'ambito del quale la distinzione
in parola era sorta), sia nell'esperienza giuridica romana
che in quella ad essa ispirata; ovvero, l'indipendenza relativa
della distinzione stessa da particolari forme processuali,
e quindi la sua permanenza anche in sistemi lontanissimi
da quelli, pur varii, romani; ovvero, ancora, la rispondenza
del concetto di actio in rem ad ogni sistema, anche
moderno, che, come quello romano, facesse centro sulla proprietà
privata (la prima e la fondamentale delle actiones in
rem, a Roma, è la reivindicatio),
e la parallela adattabilità dell'actio in personam
ad un sistema di sviluppate relazioni obbligatorie,
caratteristico delle civiltà sempre più dense
di traffici che si son seguite in Europa dal Medioevo in
poi - non mette qui conto di rilevare in dettaglio.
Quel che, invece, occorre qui rilevare è che il riferimento
alla nozione di actio, con la distinzione tra actio
in rem e actio in personam, ha
fornito la base, nell'elaborazione verificatasi appunto,
a partire dal secolo XVII, alla formazione della distinzione
capitale tra diritti soggettivi personali, che, poi - precisata
e allargata in quella tra diritti assoluti e diritti relativi
- ha assunto il ruolo di summa divisio nei moderni
sistemi di diritti soggettivi. E, ancor più, che
appunto il riferimento all'actio e alla distinzione
tra actio in rem e actio in personam ha avuto
un peso determinante - formalmente - proprio sulla concezione
del diritto soggettivo della scienza giuridica degli.ultimi
secoli.
E facile intendere, in effetti, come il riferimento
a quella nozione e a quella distinzione processuale abbia
reso possibile, senza (almeno apparentemente) soluzione
di continuità con la tradizione romana, il sorgere
di un sistema di diritti soggettivi come l'attuale. Infatti,
è essenziale, prima di tutto, intendere come il riferimento
all'actio e, in conseguenza, fondamentalmente,
alla distinzione processuale romana abbia consentito di
riassumere in forme tradizionali quelle profonde ragioni
- che già altri ha sapientemente messo in luce e
noi stessi, poco più su, abbiamo richiamato - di
ordine politico, sociale ed economico che sollecitavano
la costruzione d'un concetto di diritto soggettivo inteso
in funzione del vantaggio del titolare. D'altra parte, altrettanto
essenziale è comprendere come il riferimento a quelle
categorie romane abbia necessitato - cosa che vale la pena
di sottolineare particolarmente - il sorgere ed il tenace
persistere della concezione del diritto soggettivo inteso
come potere.
Non occorre ricordare a chi legge le difficoltà logiche
- insormontabili ad onta d'ogni subtilitas - che
questa concezione del diritto soggettivo come potere ha
determinato nella scienza giuridica, al contatto con la
realtà della necessaria ammissione di diritti soggettivi
in soggetti incapaci di potere alcunchè (infanti,
pazzi, etc.). Queste difficoltà - e quelle più
generali, d'ordine logico, già rilevate a proposito
della mancata piena corrispondenza tra il diritto oggettivo
ed il diritto soggettivo considerato solo come attribuzione
positiva del soggetto - erano inevitabili, proprio a cagione
della derivazione storica del sistema moderno del diritto
soggettivo dall'antica distinzione romana tra actiones
in rem e actiones in personam.
Che, in sede processuale, in realtà, venisse in considerazione
esclusiva il vantaggio dell'attore, ed il suo potere, è
di per se evidente. Altrettanto evidente è che, stabilitasi
artificialmente una corrispondenza piena tra actio e
diritto soggettivo e tra actio in rem e diritto assoluto
da un lato, e actio in personam e diritto relativo,
dall'altro, era inevitabile concepire il diritto soggettivo
(assoluto o relativo che fosse) come un vantaggio e un potere.
Che poi questa costruzione « logica » risultasse
profondamente illogica - e determinasse, per ciò,
tutte, o quasi, le difficoltà che ancor oggi si oppongono
ad una pacifica considerazione del sistema dei diritti soggettivi
- appare fatale: la simmetria corretta tra diritto soggettivo
e diritto oggettivo, da un lato, e la realtà quotidiana
determinata dai moderni sistemi di diritto, dall'altro,
non son dati che possano piegarsi ad un manchevole schema.
D'altra parte, a sua volta, questo schema appare necessitato
dalla sua storia, che abbiamo indagata sotto il profilo
sostanziale della crescente affermazione - politica, sociale
ed economica - del singolo, e sotto il profilo formale della
derivazione espressa da uno schema processuale romano.
Come le precedenti osservazioni giovino a porre in luce
diversa in luce storica, appunto - alcuni gravi problemi
che si son dibattuti, anche di recente, tra i giuristi non
storici (e alludo ai notissimi, e pregevolissimi, lavori
italiani, specialmente, di Balladore Pallieri, di Barbero,
di Allorio e altri) appare chiaro. Qui, conformemente alla
natura del presente scritto, sia consentito di non affrontare
problemi specifici; e di ribadire soltanto il convincimento
della natura storica di tutti i concetti operativi della
dogmatica giuridica, ed in particolare, per quel che se
ne è detto, del concetto corrente di diritto soggettivo.
Pretendere soluzioni logiche assolute per i connessi problemi
equivale a condannarsi ad un inutile lavoro; e ciò
tanto più in quanto - senza pretesa alcuna di fare
il profeta - è assai probabile che gli sviluppi storici
della società in cui viviamo, e a cui è indissolubilmente
legato ogni ordinamento giuridico, e, con esso, ogni dogmatica
giuridica, ben presto obbligheranno i giuristi a modificare
in profondità il corrente concetto di diritto soggettivo,
e forse la stessa considerazione, fin qui centralissima
delle posizioni giuridiche soggettive. |
© Bernardo Albanese |
Note:
1 Citiamo
al riguardo la testimonianza di uno storico del diritto
non romanista, e quindi estraneo alle note polemiche svoltesi
quasi esclusivamente tra romanisti: F. Calasso, Il negozio
giuridico 2, Milano, 1959, p. 17 e ss., con considerazioni
equilibrate e bibliografia essenziale; cfr. anche la «scoperta»
umanissima del SATTA - indagatore del diritto vigente -
di cui alla prefazione al suo recente Commentario al
cod. di proc. civ., I (Milano, 1959).
2 Rinviamo
- per una vastissima indicazione bibliografica e per preziose
osservazioni - al corso (litografato) di R. Orestano, Le
fondazioni nel diritto romano, Torino,
Giappichelli, 1959, pp. 220 ss. Assai importanti
sono gli studi del Villey, raccolti nelle Leçons
dhistoire de la philosophie du droit,
Paris, 1957.
3 Ci
permettiamo rinviare ad Ann. Palermo, XX, 1949, pg.
352 e ss. e ad uno scritto specifico che speriamo di pubblicare
presto.
4 Cfr.,
per tutti, Pugliese, Res corporales e res incorporales
e il problema del diritto soggettivo, in Studi
in onore di V. Arangio-Ruiz, vol. III, Napoli,
1953, pp. 225 ss. Questo studioso mi attribuisce
una opinione che non corrisponde alla vera: cfr. la mia
precisazione in Ann. Palermo, XXIII, 1953, pp. 214
e ss., in nota. Lo stesso rilievo devo fare per il
cenno di Bonifacio, Ius quod ad actiones pertinet,
in Studi Betti, p. 17, n. 40 (estr.). |
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