Il tredici aprile del 124 d.C. nella strategia dell'Arsinoite, dinnanzi
al tribunale di Blesio Mariano, militare delegato dal prefetto d'Egitto
Aterio Nepote a decidere una controversia in materia ereditaria tra
indigeni, un certo Marciano, difensore del convenuto, retore romano a
giudicare dal nome, incappò all'apparenza in un errore di diritto e di
strategia difensiva tanto vistoso da ridurre a mal partito le ragioni
del suo cliente, che fu pertanto indotto a tentare autonomamente
un'ultima disperata difesa. Si tratta di una delle rare testimonianze
papiracee di scarsa preparazione professionale di un avvocato, poiché
di solito il livello d'istruzione legale di giudici, giuristi (nomikoi)
ed avvocati (rhetores), nei processi verbali di udienze processuali (hypomnematismói),
appare abbastanza elevato.
Il verbale, contenuto nel CPR I, 18 (1)è
uno dei più noti atti giudiziari dell'Egitto romano, ma l'errore del
povero avvocato, in questa sede a distanza di molto tempo, può essere
forse ancora utilmente riesaminato per valutare il grado d'istruzione e
di preparazione legale nell'Egitto romano di giudici ed avvocati(2)
riscontrabile in questo ed in altri verbali d'udienza.
Prendiamo in esame quanto avvenne in quella udienza giudiziaria, tenendo
presente che le sedute pubbliche dinnanzi ai giudici davano luogo, come
è noto, alla redazione ufficiale di un processo verbale, deposto negli
archivi locali ed in un archivio centrale ad Alessandria nel quartiere
di Patrika (3).
Purtroppo la
quasi totalità della documentazione oggi disponibile consta di copie.
Solo un papiro di un archivio di famiglia di Tebtynis (4),
datato al medesimo anno 124 del nostro documento, contiene una copia
fedele all'originale verbale di un processo iniziato nell'89 d.C. in
seguito al noto editto di Mezzio Rufo per la scorretta manutenzione
degli archivi e corredato da ben cinquantacinque documenti. Gli
antigrapha non erano esattamente fedeli all'originale, che a sua volta
non costituiva sempre una riproduzione stenografica della seduta
verbatim, ma sovente solo una registrazione che già inizialmente era
abbreviata. Probabilmente il verbale era redatto in un secondo tempo
sulla base di appunti in stile diretto presi immediatamente dal
cancelliere nel corso del processo (5),
Tuttavia i testi, che comprendono i dati essenziali per la regolarità
formale del procedimento, la data, il luogo, la denominazione delle
parti, degli avvocati, gli eventi più importanti che si erano
verificati nel corso del processo, gli allegati di parte, le prove, le
orazioni, la sentenza, le disposizioni accessorie, talvolta persino
l'autenticazione marginale del verbale di pugno dello stesso giudice,
sono certamente nel complesso attendibili (anche se nell'insieme di
questi materiali possono infiltrarsi appunti di discorsi di avvocati o
esercizi scolastici non autentici) (6)e
riportano sovente le esatte parole pronunciate in discorso diretto,
soprattutto quelle dell'autorità giudicante, come si rileva in
CPR
I, 18 (a. 124 d.C.)(7)
Alla pretesa, vantata dall'avvocato indigeno Soterico, per conto di un
padre di succedere in base alla legge al figlio premorto (l. 9) e di
considerare nullo il testamento di costui in base alle leggi (l. 12) che
escluderebbero la legittimazione attiva a testare ad un figlio nato da
un agraphos gamos durante la vita del padre, l'avvocato del convenuto,
Marciano, non oppose l'insussistenza del punto di fatto, che cioè il
matrimonio fosse engraphos, ma si spinse a contestare il punto di
diritto, commettendo apparentemente un errore di strategia processuale e
di diritto, sostenendo che la legge degli Egizi invece "concede a
tutti di far testamento e di lasciare a chi si voglia i propri
beni". Dunque il testamento redatto dal de cuius in favore di un
cugino e di un fratello appariva, secondo il difensore del convenuto in
un'ottica tipicamente romana, formalmente inattaccabile per la
sussistenza del prescritto numero di testimoni per la sua validità.
Non sembra possibile, innanzitutto, ammettere un'interpretazione
benignior in favore dell'avvocato; sostenere cioè che l'errore sul
punto di diritto fosse intenzionale per tentare un'ultima disperata
difesa dinnanzi ad un iudex pedaneus, un militare certamente inesperto
in diritto ereditario degli indigeni o dei greci residenti in Egitto(8).
Non tanto per ragioni di etica professionale, sovente trascurata al
punto da indurre ad allegare prove false (9)
o a citare disposizioni dei prefetti in maniera inesatta (10),
ma perchè l'assistenza del giurista presente, il nomikos Claudio
Artemidoro, immediatamente consultato sulla questione dal giudice,
avrebbe dovuto scoraggiare in partenza un tentativo doloso di tal
genere. (11)
Se dunque in seguito alla consulenza il processo venne deciso in favore
dell'attore ed il convenuto finalmente insorse, intervenendo di persona,
per negare la sussistenza di un agraphos gamos, scavalcando cioè
l'avvocato con una diretta partecipazione, non rara nella disinvolta
prassi procedurale attestata dai papiri, ciò dimostra non solo che la
legge degli Egizi realmente non consentiva la testamenti factio activa
ad un figlio nato da un agraphos gamos durante la vita del padre (12),
ma soprattutto che l'avvocato del convenuto si era realmente ingannato
sulla corretta disposizione vigente in proposito in Egitto ed
applicabile al caso specifico.
A questo punto, però, si prospetta il problema di determinare quale
tradizione giuridica prevedeva una disposizione di tal genere:
l'egiziana o la greca? Come è noto l'espressione "legge degli
Egizi" si collega ad un dibattito ancora aperto: si trattava di
diritto egiziano antico, equivalente agli ellenistici nomoi tes choras,
o di diritto greco che ormai nell'ottica romana si applicava
indifferentemente ad indigeni e greci residenti in Egitto ?
Secondo Modrzejewski (13)
le pratiche indigene furono equiparate come semplici consuetudini locali
agli occhi dei Romani in assenza di un riferimento civico istituzionale,
legittimante un autonomo ius civile, determinando l'anomalia di leggi
greche da applicare indifferentemente agli Egizi come "legge degli
Egizi". Secondo altri studiosi (14),
tenendo conto delle recenti scoperte(15)
che indicano che in età romana si perpetuavano raccolte di leggi
indigene nettamente distinte da quelle greche, appare difficile
giustificare l'approssimativa assimilazione sotto un'unica parificatrice
espressione di "legge degli Egizi", che denoterebbe una
notevole ignoranza della realtà etnica e culturale del paese, della
evidente differenza tra le due culture. E dunque nel verbale del 124 per
"legge degli Egizi" dovrebbe invece intendersi l'antico
diritto egiziano, applicabile agli indigeni.
Nel caso particolare del CPR I, 18 si è ritenuto (16)
che nella sostanza, trattandosi di diathéke saremmo in presenza di una
tradizione greca, che addirittura risalirebbe alla celebre legge di
Solone fondante la successione testamentaria e che culminerebbe nella
pratica ellenistica riconosciuta nell'alto impero di non imporre alcun
limite alla libertà del testatore (17).
Il diritto egiziano antico sarebbe stato contrario a tale tendenza e,
"pur riconoscendo certo degli atti dispositivi a finalità
successoria, ne avrebbe sottoposto l'impiego a regole di devoluzione
limitanti. E dunque alla pratica greca e non alla tradizione indigena si
riferirebbero i nomikoi consultati dai giudici romani.
Non bisogna
credere che si sia operata una scelta tra la tradizione greca e la
tradizione egiziana, a profitto di quest'ultima"(18)
.
Possiamo innanzitutto osservare che in realtà la sentenza
interlocutoria nega proprio quella libertà di testare che si ritiene di
ascrivere alla tradizione greca e che le indagini sul controverso
problema dell'esistenza o meno del testamento nell'Egitto faraonico
sembrano invece far propendere in senso affermativo, poiché esistevano
delle disposizioni con valore testamentario in base alle quali la volontà
revocabile di un soggetto era certamente in grado di derogare
unilateralmente alla trasmissione legale di un patrimonio, di assicurare
cioè mortis causa la delazione dei propri beni "a chi si
voglia". In un testo del IX sec. a.C. si ricorda ad esempio
testualmente che "il Faraone ha detto che ciascuno faccia ciò che
vuole dei suoi beni" e la disposizione, sovente ripetuta, è
chiaramente riferita a questioni mortis causa(19).
L'intreccio nel verbale tra diritti delle diverse etnie, strategie
legali, valutazioni degli avvocati e del giudice, parere del consigliere
sembra poi essere sottile e richiedere maggiore attenzione.
La scelta dell'avvocato indigeno dell'attore di far fulcro:
1. sul diritto del padre a succedere in base alla legge al figlio
premorto,
2. di considerare nullo in base alle leggi il testamento vantato dal
convenuto,
era, non solo naturale e basata sul diritto indigeno, ma soprattutto
confortata dalla perfetta sintonia con il diritto romano, già rilevata
da Arangio Ruiz (20),
che il giudice certo conosceva ed istintivamente sarebbe stato indotto
ad applicare nel caso specifico sottoposto alla sua valutazione. Infatti
il figlio non può fare testamento in diritto romano vivente il padre e,
anche se certamente non può dirsi che il padre succeda al figlio, poiché
la devoluzione dell'eventuale peculio al padre non è eredità, il
risultato finale nel caso specifico sarebbe stato lo stesso e in tale
affinità confidava forse l'avvocato per una soluzione del caso a lui
favorevole. Arangio Ruiz (21)
rileva con la finezza che lo caratterizzava che l'espressione scorretta
dell'avvocato (l. 9: "la legge chiama i padri all'eredità dei
figli (dei matrimoni) non scritti") non avrebbe potuto essere
pronunciata da un giurista romano, né, aggiungo io, essere riferita nel
verbale di seconda mano in una oratio obliqua - ma che l'imprecisione
avrebbe potuto essere giustificata dalla "maggiore accentuazione
dell'elemento materiale del sortem (o partem) capere che è nella voce
kleronomia in contrapposto alla latina hereditas" (22).
L'avvocato della parte avversa parla semplicemente di "kataleípein
ta ídia" e nella sentenza interlocutoria la frase "diathékes
exousían mè eschekós", "grecamente scorretta", per
Arangio Ruiz, "è molto probabilmente un'improvvisata traduzione
del latino cum testamenti factionem non habuerit" (23).
E' possibile dunque che l'avvocato Soterico giochi sull'equivoco tra la
necessità di applicare agli indigeni il proprio diritto personale e la
suggestione esercitata dall'implicito richiamo al diritto romano. Si è
infatti osservato che nel caso del primo punto su cui fa fulcro parla
genericamente della legge, nel secondo di leggi che potrebbero
equivocamente intendersi anche come leggi romane.
Come è noto in età romana, le due forme del matrimonio egiziano, che
costituivano il residuo di un regime originario dell'Egitto faraonico,
in cui persisteva una rigorosa delimitazione delle caste sociali che si
era lentamente attenuata (24),
finirono per essere accomunate in un agraphos gamos, un matrimonio
originariamente indigeno al quale ora si contrapponeva un eggraphos
gamos, un matrimonio originariamente greco, che non richiedeva più l'eggue,
né la stesura della suggraphè sunoikesíou in un tempo determinato (25).
Infatti con la progressiva assimilazione delle due popolazioni in una,
il matrimonio egiziano accompagnato dalla suggraphé trophítis, il c.d.
"scritto di alimentazione" che registrava la somma che sovente
fittiziamente il coniuge stesso accreditava alla donna per il
mantenimento e la prima fase del matrimonio greco, in attesa della
redazione della suggraphè sunoikesíou, registrante la costituzione
della dote ad sustinenda onera matrimonii, avrebbero potuto essere
facilmente accomunati in un matrimonio agraphos, suscettibile di
convertirsi in eggraphos in qualsiasi momento con la semplice stesura
della suggraphè sunoikesíou. Ma, nel primo caso, come nel matrimonio
romano sine manu, il marito non diveniva kyrios della moglie e i figli
non potevano far testamento vivendo il padre, poiché sembra che
nell'antica organizzazione della famiglia egiziana basata sulla suggraphé
trophítis i figli avessero una sorta di diritto di peculio, persistendo
la proprietà del padre; nel secondo caso invece, come nel diritto
greco, ai figli sarebbe stata riconosciuta autonomia.
Proprio quest'ultima circostanza che i figli avrebbero potuto far
testamento vivendo il padre, in contrasto con il diritto romano,
potrebbe spiegare la curiosa strategia dell'avvocato romano del
convenuto, Marciano, che invece di contestare il punto di fatto relativo
al tipo di matrimonio, colpito forse dalla peculiarità locale o forse
consapevole della difficoltà di esibire uno scritto realmente fondante
un matrimonio eggraphos (non era tale infatti la suggraphé trophítis),
rivendicò direttamente la personalità della legge degli Egizii che
concedeva a tutti di far testamento e di lasciare a chi si voglia i
propri beni, omettendo di provare in primo luogo la natura "engrafica"
del matrimonio. E in effetti nel diritto degli Egizii ricorreva sovente,
come si è visto (26),
il principio della libertà di disporre dei propri beni: ad esempio nel
P. Tor. 2021 dell'XI sec. a.C., un verbale di autenticazione di
disposizioni testamentarie, ripetutamente si proclama tale principio
ascrivibile ad un detto faraonico (27)
e la medesima origine è dichiarata in altri casi, che avrebbero potuto
essere tramandati sino all'età romana in traduzioni greche di
disposizioni indigene, come nel caso dei due frammenti del P. Oxy. XLVI,
3285, posteriore al 150 d.C. (28).
In un altro papiro di Ossirinco (29)
il prefetto T. Giulio Lupo, consultando il nomikos Areios decide nel
72/3 d.C. in base ai nómoi che un padre può redigere un testamento
diseredando i figli senza condizioni di forma, termini o limiti alla sua
libertà. E' merito di Modrzejewski aver dimostrato che si tratta non di
diritto romano e di testamentum militis ma di diritto peregrino, che però
egli ritiene ellenistico nella convinzione che il diritto egiziano non
conoscesse il testamento (30),
ed ancora in P.Oxy. XLII, 3015, dell'inizio del II sec. d.C.,
riferendosi a "leggi degli Egizi" espressamente si dichiara
che un Egizio ha la capacità di far testamento come vuole.
Sono a noi pervenute in frammenti raccolte giuridiche egiziane (31)
di epoche assai diverse ma sostanzialmente stabili che rivelano che
dagli inizi dell'epoca tolemaica, se non già persiana, circolavano fino
in età romana compilazioni indigene per un uso pratico, quello
d'indicare la prassi corrente e la migliore soluzione da adottare in un
caso concreto in conformità alle consuetudini locali. Avvocati, giudici
e giuristi avrebbero potuto utilizzarle per conoscere le disposizioni
egiziane di remota antichità (32).
Indubbiamente le raccolte di disposizioni locali di origine sacra,
favorite dalla risalente familiarità degli egiziani con la scrittura e
dall'antico ricorso ai sacerdoti ed alla giustizia templare, sembra che
abbiano avuto l'effetto di preservare il patrimonio nazionale del
passato faraonico (33)
e che esse possano addirittura essere collegate ad antiche testimonianze
del XII sec. a.C. di ambiente tebano (34).
La soluzione proposta ad esempio nel c.d. "Codice d'Ermopoli"
(VI, 10 ss.) per il caso della costruzione su terreno altrui, volta ad
affermare all'apparenza un principio opposto a quello accolto nella
legislazione romana decemvirale del tignum iunctum (Tab. VI, 8) e
mantenuto ancora in età romana nel P.Oxy. XLVI, 3285, fr. 1, ll.1-21,
sembra essere riflessa in due decisioni giudiziarie addirittura del XII
sec. a.C. che provengono da Tebe e dichiarano soccombente il costruttore
(35),
consentendo comunque il recupero dei materiali di costruzione senza
distinguere il caso della buona fede, dalla cattiva (36)
.
Se in un processo del 121/122 d.C., dinnanzi all'autorità romana, il
costruttore invece se la cavò (37)
non fu per un mutamento giurisprudenziale
implicante l'abbandono dell'antico principio egiziano e l'applicazione
del diverso orientamento romano. Il proprietario infatti aveva atteso
oltre tre anni prima di lamentarsi ed, anche se il rigetto dell'istanza
è conforme alla regola romana dell'esperibilità nell'anno
dell'interdetto quod vi aut clam (38)
nulla indica un contrasto col diritto locale.
Se pur disposizioni locali contrastanti con il diritto romano avrebbero
potuto essere benevolmente applicate agli indigeni, come nel caso del
riconoscimento di capacità testamentaria ai figli nati da matrimoni
"engrafici" o nel 115 d.C. in una controversia relativa a
diritti di patronato (39)
, al nomikos Claudio Artemidoro nel processo del
124 d.C. dinnanzi a Blesio Mariano non sfuggiva l'errore dell'avvocato
del convenuto e proclamava che, essendo allo stato degli atti il
matrimonio "agrafico", sussisteva la regola indigena
favorevole all'attore ed in sintonia ai principi romani, determinando
una pronuncia conseguente.
A questo punto risalta con evidenza che la copia della quale si dispone
è ben lungi dall'essere una riproduzione stenografica della seduta
verbatim, poiché la reazione del soccombente, le repliche del vincente
e quelle inevitabili degli avvocati sono asciuttamente sintetizzate,
offrendo, con molta benevolenza per la nostra ottica moderna, un'ultima
possibilità al certamente indignato erede testamentario: quella di
sperare nella mancata prova della natura "agrafica" del
matrimonio nel termine previsto.
La faccenda giudiziaria, infine, e la ricostruzione proposta
dell'istituto matrimoniale e della capacità di far testamento, con gli
influssi reciproci delle due tradizioni egiziana ed ellenistica in
contatto con la romana, appaiono significative per indicare il tipo di
diritto che si applicava in alcuni casi agli inizi del II sec. d.C. agli
abitanti dell'Egitto, ai provinciali, ai quali l'autorità romana
appariva propensa a riconoscere l'adozione anche di pratiche estranee,
ascrivibili prevalentemente ad un diritto dei Greci che lentamente
tendeva a proporsi come "diritto degli Egizi". Se poi tali
pratiche finivano talvolta per coincidere con le romane, certo non era
da biasimare.
© Gianfranco
Purpura
Dipartimento di Storia del Diritto
Università di Palermo
Note:
1 Edito
da Mommsen, Aegyptischer Erbschaftsprozess aus dem J. 124 n. Chr., ZSS,
XII, 1892, pp. 284 - 296; Mitteis, Grundzüge u. Chrest. der
Papyruskunde, II, Leipzig, 1912, n. 84; Arangio Ruiz, La successione
testamentaria, cit., pp. 46 - 56; Bruns, Fontes Iuris Romani Antiqui 7,
1909, n. 189; Meyer, Juristische Papyri, Berlin, 1920 (rist. Chicago,
1976) , n. 89; cfr. Modica, Introduzione allo studio della Papirologia
Giuridica, Milano, 1914, p. 292; Arangio Ruiz, Persone e famiglia nel
diritto dei papiri, Milano, 1930, pp. 76 ss. e 80; Wolff, Written and
unwritten marriages in hellenistic and postclassical roman law,
Haverford, 1939, pp. 60 ss.; Seidl, Rechtsgeschichte Ägyptens als römischer
Provinz (Die Behaptung des ägyptischen Rechts neben dem römischen),
Sankt Augustin, 1973, pp. 48; 101 e s.; 226; Id., Nachgiebiges oder
zwingendes Erbrecht in Ägypten ?, SDHI, 40, 1974, pp. 99 -110;
Modrzejewski, "La loi des Égyptiens": le droit grec dans l'Égypt
romaine, Proocedings XVIII Intern. Congr. Pap., Athens, 25 - 31 maggio
1986, II, Athens, 1988, (= Droit impérial et traditions locales dans l'
Égypte romaine, 1990, pp. 383 - 399); Crook, Legal Advocacy in the
Roman World, London, 1995, pp. 74 e s.
2 Sui
giudici cfr. Daris, L'immagine del giudice nei papiri d'Egitto, Ponzio
Pilato o del giusto giudice, a cura di Bonvecchio e Coccopalmerio, 1998,
pp. 99 - 113; sugli avvocati Crook, op. cit.
3
Anagnostou Canas, La documentation judiciaire pénale dans l'Égypte
romaine, MEFRA, 112, 2000, 2, pp. 764 ss. e la lett. ivi cit.
4
Il P. Fam. Tebt. 24 è edito da Groningen, A family archive from
Tebtynis, P. Lugd. Batav. VI, Leyde, 1950.
5
Coles, Shorthand and use of the oratio recta in reports of proceedings
in the papyri, Atti dell'XI Congr. Intern. Di Papirologia, Milano, 1966,
pp. 118 - 125; Id., Reports of Proceedings in Papyri, Papyrologica
Bruxellensia, 4, 1966.
6
La valutazione scettica di Coles, Reports of Proceedings, cit., p. 21 nt.
2 è giustamente ritenuta ipercritica da Crook, Legal Advocacy, cit.,
pp. 60 ss. che esamina attentamente la questione.
7
Seguendo prevalentemente Bruns, Fontes Iuris Romani Antiqui 7, 1909, n.
189.
8 Ipotesi
proposta e scartata da Crook, op. cit., p. 75.
9
E' ovviamente difficile dimostrare scorrettezze di tal genere, ma sembra
che Cicerone si sia vantato di aver ottenebrato la giuria nella Pro
Cluentio (Quint., Inst. II, 17, 21). Sul punto cfr. Crook, op. cit., pp.
139 ss.
10
La citazione di consolidate disposizioni prefettizie da parte
dell'avvocato Diadelfo in BGU I, 15 del 194 d.C. era inesatta nella
parte conclusiva che interessava il suo cliente. Crook, op. cit., pp. 89
e s.
11
Così in Crook, op. cit., p. 75.
12
Sull'agraphos gamos cfr. H.J. Wolff, Written und Unwritten Marriages in
Hellenistic and Postclassical Roman Law, Am. Phil. Ass., Philological
Monographs, IX, Haverford, 1939, pp. 60 e s.; 64.
13 Modrzejewski,
"La loi des Égyptiens", cit., pp. 396 ss.
14
Taubenschlag, The law of greco-roman Egypt in the light of the papyri
(332 B.C.-640 A.D.) 2, 1955, Warszawa, pp. 20 nt. 55 e p. 116; Seidl,
Rechtsgeschichte Ägyptens, cit., pp. 48; 101 e s.; 226 ; Arangio Ruiz,
Persone e famiglia, cit., pp. 76 ss. ed altri.
15
P. Caire dém. 89127-89130; 89137-89143; Mattha, Hughes, The Demotic
Legal Code of Hermopolis, Le Caire, 1975 (IFAO, 45); P.Oxy. XLVI, 3285;
Pestman, Le manuel de droit égyptien d'Hermoupolis. Les passages
transmis en démotique et en grec, Textes et études de papyrologie
grecque, démotique et copte, Leyde, 1985, (P.Lugd.Bat. 23), pp. 116
-143; Bresciani, Frammenti da un 'prontuario legale' demotico da Tebtuni
nell'Istituto Papirologico G. Vitelli di Firenze, Egitto e Vicino
Oriente, 4, 1981, pp. 201 - 215.
16
Modrzejewski, l.c.
17
Modrzejewski, "La loi des Égyptiens", cit., p. 391.
18
Così invece in Seidl, Rechtsgeschichte Ägyptens, cit., pp. 48 e 226;
Id., Nachgiebiges oder zwingendes Erbrecht in Aegypten, SDHI, 40, 1974,
p. 100.
19 Statuetta
del Museo del Cairo 42.208. Théodorides, À propos de la loi dans l'Égypte
pharaonique; Id., Le testament dans l'Égypte ancienne, RIDA, 17, 1970,
pp. 117-216 ; Id., Considération sur le testament dans l'Égypte
ancienne, Atti del Seminario Romanistico Internazionale, Perugia -
Spoleto - Todi, 11 - 14 ottobre 1971, Perugia, 1972, pp. 264 - 276
20
Arangio Ruiz, Persone e famiglia, cit., pp. 76 ss.
21
Arangio Ruiz, Persone e famiglia, cit., p. 77.
22
Arangio Ruiz, Persone e famiglia, cit., p. 78 nt. 1.
23 Così in Arangio
Ruiz, l.c.
24
Arangio Ruiz, Persone e famiglia, cit., p. 67; Théodorides, Le droit
matrimonial dans l'Égypte pharaonique, RIDA, 23, 1976, pp. 15 - 55.
25
Arangio Ruiz, Persone e famiglia, cit., pp. 71 ss.; Wolff, Written and
unwritten marriages in hellenistic and postclassical roman law,
Haverford, 1939; Taubenschlag, The law of greco-roman Egypt, cit., pp.
115 ss.; Biscardi, Corso di Papirologia Giuridica, Milano, 1966, , pp.
ss.; Montevecchi, La Papirologia2, Milano, 1988, pp. 203 ss.; 568 e la
lett. ivi cit.
26
Supra nt. 24.
27
Théodorides, Le testament dans l'Égypte ancienne, cit., pp. 182 ss.;
193 ; 199 e s. ; Id., Considération sur le testament, cit., pp. 268 e
s. ; 262.
28
Il P.Oxy. XLVI, 3285 non rappresenta una traduzione in greco del noto
"Codice di Ermopoli" della prima metà del III sec. a.C., ma,
come osserva Modrzejewski, op. cit., p. 383, una versione greca di
un'altra raccolta simile.
29
P.Oxy. XXXVI, 2757, col. II. (posteriore al 79 d.C.).
30
Modrzejewski, op. cit., pp. 389 e s. Id., SDHI, 43, 1977, p. 787. Seidl,
Nachgiebiges oder zwingendes Erbrecht, cit., pp. 99 -110 aveva
ipotizzato che si trattasse di un caso relativo ad un testamento
militare romano.
31
Oltre al c.d. "Codice di Ermopoli" ed al P. Oxy. XLVI, 3285,
il P. Dem. Berl. 13621 della metà o fine del II sec. a. C. (il c. d.
"codice di procedura civile"; cfr. Koenen, APF, 17, 1960-62,
pp. 11 ss.; Mrsich, Gedächtnisschrift f. W. Kunkel, Frankfurt , 1984,
pp. 205 ss.; Allam, op. cit., pp. 56 nt. 4 e 64 e s.) o i settantuno
frammenti demotici di un papiro della fine dell'epoca tolemaica o inizio
dell'epoca romana proveniente dal santuario di Sobek a Tebtynis (Bresciani,
Frammenti di un 'prontuario legale' demotico da Tebtynis, Egitto e
Vicino Oriente, 4, 1981, pp. 201 - 215).
32
La c.d. "Cronaca demotica" della Biblioteca Nazionale di
Parigi, databile alla fine del III sec. a. C. (al regno di Tolomeo III
Evergete I) sembra che accenni ad una codificazione di Dario nel 519
a.C. dell'antico diritto egiziano ad opera di sapienti reclutati anche
tra i sacerdoti (Diodoro I, 95; Allam, Réflexions sur le 'Code légal'
d'Hermopolis, Chron. d'Égypte 61, 1986, pp. 57 e 64).
33
Quaegebeur, Sur la 'loi sacrée' dans l'Égypte gréco-romaine, Anc.
Soc., 2, 1980-1, pp. 227-240; Modrzejewski, op. cit., p. 384.
34
Allam, op. cit., pp. 68 ss.
35
Allam, op. cit. , p. 69.
36
In diritto romano in quest'ultimo caso non era consentito il recupero
dei materiali impiegati. Cfr. Marrone, Istituzioni di diritto romano,
Palermo, 1994, pp. 324 e s.
37
P. Tebt. II, 488 descr.; Modrzejewski, op. cit., p. 384 ; Rea, P.Oxy.
XLVI, 3285, p. 30.
38
Modrzejewski, op. cit., p. 395.
39
P. Oxy. IV, 706. Il prefetto Rutilio Lupo e del suo consiglio si
mostrano disposti ad esaminare un chirografo con una eventuale clausola
invalida per il diritto romano. Cfr. Purpura, Diritti di patronato e ¢stiko
nÒmoi in P.Oxy. IV, 706, Atti del V Convegno Nazionale "Colloqui
di Egittologia e Papirologia", Firenze, 10-12 dicembre 1999, a cura
dell'Istituto Papirologico "G. Vitelli", pp. 199 - 212.