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Note introduttive allo studio del linguaggio del prefetto d'Egitto

P. Oxy. X,1271: Richiesta di lasciapassare di una donna al prefetto Valerio Firmo nel 246 d.C. con una autorizzazione in latino tracciata in una grafia slanciata, ma quasi illeggibile, forse di pugno del prefetto ( da Montevecchi, La Papirologia, Milano, 1088, tav. 75)


di Gianfranco Purpura

In: Minima Epigraphica et Papyrologica, I, 1998, 1, pp. 109 - 115 (= Atti del IV Convegno Nazionale di Egittologia e Papirologia, Siracusa, 5-7 dicembre 1997, Quaderni del Museo del Papiro, IX, Siracusa, 2000, pp. 151-157).

Gli oltre sessantacinque editti dei prefetti d'Egitto, a noi pervenuti attraverso i papiri e qualche rara epigrafe, che si è iniziato a raccogliere (1), illustrano nei concreti particolari la vita amministrativa dell'Egitto romano dal 23 settembre del 22 a.C.   data del primo di essi, l'editto di Pubblio Petronio conservato nel P. Wash. (2), relativo ad un'amnistia concessa ai coltivatori in occasione del genetliaco dell'imperatore   agli inizi del IV sec. d.C., ad un momento, non meglio determinabile, di emissione di un editto di un anonimo governatore, che fissava il tasso massimo d'interessi (3). Questi testi costituiscono anche un prezioso punto di partenza per un'indagine sul linguaggio del prefetto. Occorre, però, precisare subito i limiti intrinseci in una documentazione assai frammentaria, come quella papiracea in lingua greca, ascri­vibile ad un funzionario romano, probabilmente in grado di esprimersi correttamente nelle due lingue, la latina e la greca (4), ma che per necessità amministrative si avvaleva prevalentemente della seconda e di collaboratori locali. Non v'è dubbio che personaggi come Tiberio Giulio Alessandro, il giurista Volusio Meciano o il prefetto Subaziano Aquila, del quale ci resta ad esempio un biglietto con l'ordine di rilasciare, per decorrenza del termine, un condannato a cinque anni di lavori forzati nelle cave di alabastro, vergato con i saluti allo stratega in greco, di pugno del prefetto (5), fossero in grado di esprimersi elegantemente in questa lingua. Appare anzi plausibile ritenere che la conoscenza del greco fosse indispensabile per aver affidato il governo dell'Egitto. Dobbiamo tuttavia francamente riconoscere l'impossibilità, allo stato attuale, di determinare la sicura paternità dei testi tráditi. Anche se il confronto tra i testi edittali ed il complesso degli atti amministrativi, in particolare le epistole, ascrivibili ad un determinato prefetto potrebbe fornire qualche risultato, resta pur sempre incerto il margine d'intervento, rimesso all'autonomia della cancelleria prefettizia (6). La forma dell'editto del magistrato romano e del governatore provinciale fu originariamente influenzata dalla circostanza che il testo era proposto oralmente in una contio convocata a tale scopo e successivamente era destinato ad esser trascritto e pubblicato. Il banditore (nomenclator, kéryx), collaboratore (apparitor) del magistrato, ripeteva un testo che almeno formalmente era destinato ad esser pronunciato, dopo aver premesso all'editto una formula introduttiva nella quale enunciava il nome completo del magistrato, seguito dal suo titolo di carica o dall'indicazione del potere che consentiva di emettere il provvedimento, rassicurando così la popolazione in merito alla legittimità di tale comportamento. La formula introduttiva si completava con il termine dicit (légei), e non edicit o edixit, anche se il testo era trascritto molto tempo dopo l'effettiva pronuncia. L'uso costante del presente e del verbo dicere in tutti i testi edittali pervenuti, non solo si connetteva alla convinzione della protratta validità della disposizione generale per tutta la durata della carica dell'emittente (7)  ed oltre   ma anche all'effettività di una pronuncia orale, che, in conformità alla sopravvivenza di un'arcaica concezione, continuava a privilegiare le parole e le azioni, rispetto ai testi scritti ed ai poteri astratti (8). Anche se citato a distanza di tempo, il proclama, per essere efficace, non poteva che essere riferito ad un tempo presente, ad una pronunzia attuale. Sembra anzi che la costante regolarità della citazione della praescriptio nei testi degli editti dei prefetti d'Egitto a noi pervenuti dimostri che essa fu considerata anche a distanza di tempo parte integrante dell'editto, a differenza della pratica tolemaica che consentiva di omettere ogni preliminare o lettera di accompagnamento nelle citazioni, limitandosi ad un generico: basiléon prostáxantos.

Le formule introduttive del testo degli editti dei prefetti d'Egitto, a noi pervenute, si discostano in parte dalla prassi romano repubblicana sopra descritta, adeguandosi nel I sec. a.C.   I sec. d.C. pressoché costantemente, come è stato notato (9), al formulario: “ó deîna légei...”, senza l'aggiunta del titolo di carica. Sarà soltanto dal primo ottobre dell'89 d.C., data dell'editto di M. Mettio Rufo, sulla revisione dei registri della bibliothéke tôn egktéseon, compreso nella celebre petitio Dionisiae del P Oxy. II, 237, che appare il titolo di carica: éparchos Aigýptou, che si ripeterà con costanza sino all'editto di Giuvenio Geniale del 266 71 (10). Ma già dai primi di settembre del 279 (11) al titolo di prefetto d'Egitto si aggiungeranno appellativi onorifici come diasemótatos e lamprótatos, che si manterranno con costanza sino agli ultimi editti del IV sec., relativi ormai a governatori della Tebaide (12). Si è notato che in rapporto alla formula introduttiva degli editti imperiali, di precoce complessità e comparabile con gli editti prefettizi, "the praescriptio of the prefectural edìct retained its essential simplicity until late" (13). Forse non solo per (essenzialità della mentalità latina, diversa dall'orientale, ma anche per l’antica preminenza dell'uomo sulla carica, per la necessità di uno stile sobrio per un personaggio posto in una posizione tanto delicata, dopo le tormentate vicende della prima prefettura, quella di Cornelio Gallo (14). Non v'è comunque dubbio che, sotto questo profilo appare fondata la conclusione di Reinmuth di un'origine puramente romana della praescriptio degli editti dei prefetti d'Egitto, non influenzata cioè dalla forma dei decreti tolemaici (15)e ancor più dallo stile delle dediche ed iscrizioni onorarie dei Lagidi (16). Il linguaggio del prefetto nel suo editto sembra essere lontano da quello utilizzato nelle comunicazioni epistolari, non solo per un diverso formulario introduttivo delle epistulae: ó deîva tõi deîni chaírein…érr?sthe, ma soprattutto per il ricorrere nei testi edittali, che gli antichi stessi riconoscevano d'intrinseca superiorità rispetto alle manifestazioni epistolari della volontà del prefetto, di una forma precettiva e di uno schema frequentemente costante. Esemplare appare il celebre caso dell'editto di T. Giulio Alessandro del 6 luglio del 68 (17). Il preambolo dell'editto (ll. 3 10) (18)ricorda la previdenza amministrativa del prefetto (prónoia), che si prende cura della città di Alessandria e di tutto il paese, sperando che esso voglia contribuire con zelo, senza essere gravato da imposte nuove o ingiuste, all'approvvigionamento in un momento assai delicato, ma di grande felicità, per l'Impero: quello dell'avvento al trono di Galba. Come nell'editto di Avillio Flacco del P. Boissier (19), ove si fa appello alla previdenza amministrativa dell'autorità per introdurre il divieto di portare le armi in corrispondenza all'esigenza di assicurare una migliore sicurezza personale, l'intervento edittale si giustifica innanzitutto alla luce della concezione filantropica del potere, di matrice ellenistica. Chi altri è il prefetto, se non il rappresentante di quell'evergeta, che con la sua auctoritas domina l'oikumene? È dunque evidente che l'accenno a richiedenti, in piccoli gruppi o in folla, gente distinta o coltivatori della chóra, che lamentandosi dei recenti abusi sotto il regno ormai concluso di Nerone, sollecitavano e, al tempo stesso, giustificavano l'intervento prefettizio (ll. 5 7), rientra in uno schema frequentemente ricorrente nello stile edittale. Altra caratteristica degna di nota consiste nel tono precettivo e sovente generale dell'editto. Il ricorrere di espressioni come keleúo, boúlomai anuperthétos (senza indugio), si collegano ad uno stile edittale, piuttosto che epistolare. Eppure quest'ultima espressione si riscontra in un testo (20), che si dichiara come copia di un'epistola di Gaio Turranio, noto prefetto di età augustea, che mirava con il provvedimento a predisporre e procedere ad una registrazione del personale dei templi nell'imminenza del censimento per l'esenzione dall'imposta personale (21). La disposizione di Turranio, il cui contenuto si accorda ad un'allusione, a distanza di più di un secolo (22), ad un editto di un tal Gaio Tirannio (sic) esentante dalle imposte un alto ufficiale e sacerdote, è espressamente indicata come copia di una epistola (l.1). Manca però l'indicazione del destinatario, unitamente all'usuale formula di saluto. Lo stile è quello inconfondibile di un editto e ciò ha fatto sorgere il dubbio sulla sua classificazione. Il problema è di ampio rilievo in quanto da tempo è stata osservata una certa incoerenza nei testi di editti e di epistole a noi pervenuti (23); infatti il termine epistolé, oltre che riferirsi ad una lettera, in alcuni casi sembra indicare con certezza un editto (24). Ed è invece sicuro che nell'Egitto romano si attribuiva ai due tipi di disposizione un valore ben diverso (25): ad esempio si è osservato che in P. Oxy. XII, 1408, ll. 12 ss. l'ordine di L. Bebio Iuncino, trasmesso in precedenza con lettera agli epistrateghi, è confermato in seguito con un editto rivolto alla popolazione. La lettera che trasmetteva istruzioni al funzionario aveva il normale aspetto epistolare ed invece l'editto che conteneva disposizioni per la popolazione, oltre alla normale praescriptio ed alla data in fine, non prevedeva in se medesimo mai le istruzioni per la pubblicazione, sovente previste nelle lettere. Proprio ciò ha suggerito l'ipotesi che l'epistola, che normalmente era inviata al funzionario con le istruzioni per la pubblicazione di un editto ad essa annesso (26), potesse essere inesattamente citata come riferentesi al testo dell'editto medesimo (27). Tutto ciò induce a distinguere:

  1. Il testo dell'editto.
  2. La lettera di trasmissione ad un funzionario con l'autorizzazione alla pubblicazione (28).
  3. La lettera di presentazione di un funzionario dell'epistula prefettizia e dell'editto.
  4. La menzione del compimento della pubblicazione.
  5. L'indicazione della realizzazione della copia.

È quindi estremamente raro il caso che i papiri ci abbiano conservato un testo originale, inviato dal prefetto (29). Secondo Katzoff, il papiro BGU I, 288, alle ll. 1 11 conterrebbe tuttavia un testo originale con l'ordine di pubblicazione del 10 marzo 145 d.C., in greco, di pugno del prefetto L. Valerio Proculo (30). Sono invece numerosi i papiri che contengono delle copie dei testi affissi o ulteriormente divulgati. È dunque possibile che nell'estrazione della copia ci si riferisse all'epistula di accompagnamento, che, tra l'altro, ulteriormente rassicurava la popolazione della legittimità del comportamento del funzionario divulgatore del testo e della sua autenticità (31). Lo studio del linguaggio del prefetto in base agli editti è appena agli inizi. Validissimo supporto alla ricerca è adesso offerto dalla tecnologia informatica, che consente di confrontare in tempi brevi i più diversi testi attribuiti ad un determinato personaggio. Non v'è, a mio avviso, dubbio che, se si continuerà a perseguire questa linea d'indagine, i risultati non potranno mancare.

© Gianfranco Purpura
Dipartimento Storia del Diritto
Università di Palermo


Note:
1 PURPURA, Gli editti dei prefetti d'Egitto. I sec. a.C.   I sec. d.C., «AUPA» 8 (1992), pp. 487 671.
2 BAGNALL, «YCS» 28 (1995), p. 86.
3 P.L. Bat. XIII, 9.
4 HARRIS, Lettura ed istruzione nel mondo antico, Bari 1991, pp. 279 e s.
5 SB I, 4639.
6 Occorre inoltre considerare che non disponiamo di termini di confronto costituiti da scritti del prefetto, sicuramente indipendenti dall'attività della cancelleria.
7 WILCKEN, Zu den Edikten, «ZSS» 42 (1921), pp. 139 144; REINMUTH, The Prefectural edict. 1  The Praescriptio, «Aegyptus» (1938), pp. 3 28.
8 SANTORO, Potere e azione nel diritto romano, «AUPA» 30 (1967), pp. 120 ss.
9 REINMUTH, op. cit., p. 24 nt. 1 e s.
10 P. Oxy. XX, 2266, ll. 3 4.
11 P. Oxy. LI, 3613, ll. 1 2.
12 P. Oxy. IX, 1186 v, e P. L. Bat. XIII, 9.
13 REINMUTH, op.cit., p. 25.
14 Tracce di uno stile poco sobrio sono state rilevate nella famosa iscrizione di Cornelio Gallo, primo prefetto d'Egitto (OGIS, 654).
15 REINMUTH, op.cit., p. 26.
16 Ad es.: OGIS, 54.
17 CHALON, L’édit de T. Iulius Alexander, «Bibl. Helv. Rom.» V, Olten   Lausanne 1964.
18 OGIS, II, 669.
19 l.6: Pãsan prónoian poioúmenon...
20 BGU IV, 1199, col. III.
21 ll. 7 9.
22 P. Oxy. XII, 1434 del 107 8 d.C.
23 KATZOFF, Sources of law in Roman Egypt. The cole of the prefect, «ANRW» II, 13 (1980), p. 810 nt. 7.
24 Alcuni casi sono menzionati da KATZOFF, Prefectural edicts and letters, «ZPE» 48, (1982), p. 215: oltre a BGU IV, 1199, si tratta di P. Oxy. II, 237, col. SV, 37 (editto o epistola di Sulpicio Simile) e di P. Fay. 24 (editto o epistola di Sempronio Liberale).
25 KATZOFF, Prefectural edicts, cit., p. 209.
26 Questa epistola è conservata nel caso dell'editto di Flacco, di Cn. Vergilio Capitone, di L. Lusio Geta del 29 marzo del 54 d.C., di L. Giulio Vestino, di L. Munazio Felice, di Subaziano Aquila del 206 in tema di percezione delle imposte, di L. Bebio Aurelio Iuncino del 211 3. Cf. KATZOFF, Prefectural edicts, cit., p. 210. Anche l'editto di M. Sempronio Liberale del 159 160 d.C. (P. Ryl. 271, v.) sembra esser stato incluso in una lettera.
27 KATZOFF, Prefectural edicts, cit., pp. 209 217. REINMUTH, The prefectural edict. I The praescriptio, cit., p. 21, attribuisce al governo romano il mutamento della prassi ellenistica, che prevedeva l'invio di una lettera che conteneva un editto del sovrano. La pratica successiva faceva ricorso ad una autonoma lettera alla quale era allegato un indipendente editto.
28 Nel caso dell'editto di L. Munazio Felice il prefetto aveva inviato il testo all'epistratega, che a sua volta aveva trasmesso agli strateghi l'editto con una sua lettera di accompagnamento, che ci è pervenuta nelle ll. 7 14 del P. Iand. VII, 140.
29 REINMUTH, op. cit., p. 4.
30 KATZOFF, Prefectural edicts, cit., p. 213.
31 REINMUTH, op. cit., p. 23.

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