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...Sezione:
IURA |
Note
introduttive allo studio del linguaggio del prefetto d'Egitto
di Gianfranco Purpura
In: Minima Epigraphica et Papyrologica, I, 1998, 1, pp.
109 - 115 (= Atti del IV Convegno Nazionale di Egittologia
e Papirologia, Siracusa, 5-7 dicembre 1997, Quaderni del
Museo del Papiro, IX, Siracusa, 2000, pp. 151-157).
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Gli oltre sessantacinque editti dei prefetti d'Egitto, a
noi pervenuti attraverso i papiri e qualche rara epigrafe,
che si è iniziato a raccogliere (1),
illustrano nei concreti particolari la vita amministrativa
dell'Egitto romano dal 23 settembre del 22 a.C. data
del primo di essi, l'editto di Pubblio Petronio conservato
nel P. Wash. (2),
relativo ad un'amnistia concessa ai coltivatori in occasione
del genetliaco dell'imperatore agli inizi del IV
sec. d.C., ad un momento, non meglio determinabile, di emissione
di un editto di un anonimo governatore, che fissava il tasso
massimo d'interessi (3).
Questi testi costituiscono anche un prezioso punto di partenza
per un'indagine sul linguaggio del prefetto. Occorre, però,
precisare subito i limiti intrinseci in una documentazione
assai frammentaria, come quella papiracea in lingua greca,
ascrivibile ad un funzionario romano, probabilmente
in grado di esprimersi correttamente nelle due lingue, la
latina e la greca (4),
ma che per necessità amministrative si avvaleva prevalentemente
della seconda e di collaboratori locali. Non v'è
dubbio che personaggi come Tiberio Giulio Alessandro, il
giurista Volusio Meciano o il prefetto Subaziano Aquila,
del quale ci resta ad esempio un biglietto con l'ordine
di rilasciare, per decorrenza del termine, un condannato
a cinque anni di lavori forzati nelle cave di alabastro,
vergato con i saluti allo stratega in greco, di pugno del
prefetto (5),
fossero in grado di esprimersi elegantemente in questa lingua.
Appare anzi plausibile ritenere che la conoscenza del greco
fosse indispensabile per aver affidato il governo dell'Egitto.
Dobbiamo tuttavia francamente riconoscere l'impossibilità,
allo stato attuale, di determinare la sicura paternità
dei testi tráditi. Anche se il confronto tra i testi
edittali ed il complesso degli atti amministrativi, in particolare
le epistole, ascrivibili ad un determinato prefetto potrebbe
fornire qualche risultato, resta pur sempre incerto il margine
d'intervento, rimesso all'autonomia della cancelleria prefettizia
(6).
La forma dell'editto del magistrato romano e del governatore
provinciale fu originariamente influenzata dalla circostanza
che il testo era proposto oralmente in una contio
convocata a tale scopo e successivamente era destinato ad
esser trascritto e pubblicato. Il banditore (nomenclator,
kéryx), collaboratore (apparitor) del
magistrato, ripeteva un testo che almeno formalmente era
destinato ad esser pronunciato, dopo aver premesso all'editto
una formula introduttiva nella quale enunciava il nome completo
del magistrato, seguito dal suo titolo di carica o dall'indicazione
del potere che consentiva di emettere il provvedimento,
rassicurando così la popolazione in merito alla legittimità
di tale comportamento. La formula introduttiva si completava
con il termine dicit (légei), e non
edicit o edixit, anche se il testo era trascritto
molto tempo dopo l'effettiva pronuncia. L'uso costante del
presente e del verbo dicere in tutti i testi edittali
pervenuti, non solo si connetteva alla convinzione della
protratta validità della disposizione generale per
tutta la durata della carica dell'emittente (7)
ed oltre ma anche all'effettività di una pronuncia
orale, che, in conformità alla sopravvivenza di un'arcaica
concezione, continuava a privilegiare le parole e le azioni,
rispetto ai testi scritti ed ai poteri astratti (8).
Anche se citato a distanza di tempo, il proclama, per essere
efficace, non poteva che essere riferito ad un tempo presente,
ad una pronunzia attuale. Sembra anzi che la costante regolarità
della citazione della praescriptio nei testi degli
editti dei prefetti d'Egitto a noi pervenuti dimostri che
essa fu considerata anche a distanza di tempo parte integrante
dell'editto, a differenza della pratica tolemaica che consentiva
di omettere ogni preliminare o lettera di accompagnamento
nelle citazioni, limitandosi ad un generico: basiléon
prostáxantos.
Le
formule introduttive del testo degli editti dei prefetti
d'Egitto, a noi pervenute, si discostano in parte dalla
prassi romano repubblicana sopra descritta, adeguandosi
nel I sec. a.C. I sec. d.C. pressoché costantemente,
come è stato notato (9),
al formulario: ó deîna légei...,
senza l'aggiunta del titolo di carica. Sarà soltanto
dal primo ottobre dell'89 d.C., data dell'editto di M.
Mettio Rufo, sulla revisione dei registri della bibliothéke
tôn egktéseon, compreso nella
celebre petitio Dionisiae del P Oxy. II,
237, che appare il titolo di carica: éparchos
Aigýptou, che si ripeterà con costanza
sino all'editto di Giuvenio Geniale del 266 71 (10).
Ma già dai primi di settembre del 279 (11)
al titolo di prefetto d'Egitto si aggiungeranno appellativi
onorifici come diasemótatos e lamprótatos,
che si manterranno con costanza sino agli ultimi editti
del IV sec., relativi ormai a governatori della Tebaide
(12).
Si è notato che in rapporto alla formula introduttiva
degli editti imperiali, di precoce complessità
e comparabile con gli editti prefettizi, "the
praescriptio of the prefectural edìct retained
its essential simplicity until late" (13).
Forse non solo per (essenzialità della mentalità
latina, diversa dall'orientale, ma anche per lantica
preminenza dell'uomo sulla carica, per la necessità
di uno stile sobrio per un personaggio posto in una posizione
tanto delicata, dopo le tormentate vicende della prima
prefettura, quella di Cornelio Gallo (14).
Non v'è comunque dubbio che, sotto questo profilo
appare fondata la conclusione di Reinmuth di un'origine
puramente romana della praescriptio degli editti
dei prefetti d'Egitto, non influenzata cioè dalla
forma dei decreti tolemaici (15)e
ancor più dallo stile delle dediche ed iscrizioni
onorarie dei Lagidi (16).
Il linguaggio del prefetto nel suo editto sembra essere
lontano da quello utilizzato nelle comunicazioni epistolari,
non solo per un diverso formulario introduttivo delle
epistulae: ó deîva tõi deîni
chaírein
érr?sthe, ma soprattutto
per il ricorrere nei testi edittali, che gli antichi stessi
riconoscevano d'intrinseca superiorità rispetto
alle manifestazioni epistolari della volontà del
prefetto, di una forma precettiva e di uno schema frequentemente
costante. Esemplare appare il celebre caso dell'editto
di T. Giulio Alessandro del 6 luglio del 68 (17).
Il preambolo dell'editto (ll. 3 10) (18)ricorda
la previdenza amministrativa del prefetto (prónoia),
che si prende cura della città di Alessandria e
di tutto il paese, sperando che esso voglia contribuire
con zelo, senza essere gravato da imposte nuove o ingiuste,
all'approvvigionamento in un momento assai delicato, ma
di grande felicità, per l'Impero: quello dell'avvento
al trono di Galba. Come nell'editto di Avillio Flacco
del P. Boissier (19),
ove si fa appello alla previdenza amministrativa dell'autorità
per introdurre il divieto di portare le armi in corrispondenza
all'esigenza di assicurare una migliore sicurezza personale,
l'intervento edittale si giustifica innanzitutto alla
luce della concezione filantropica del potere, di matrice
ellenistica. Chi altri è il prefetto, se non il
rappresentante di quell'evergeta, che con la sua auctoritas
domina l'oikumene? È dunque evidente che l'accenno
a richiedenti, in piccoli gruppi o in folla, gente distinta
o coltivatori della chóra, che lamentandosi
dei recenti abusi sotto il regno ormai concluso di Nerone,
sollecitavano e, al tempo stesso, giustificavano l'intervento
prefettizio (ll. 5 7), rientra in uno schema frequentemente
ricorrente nello stile edittale. Altra caratteristica
degna di nota consiste nel tono precettivo e sovente generale
dell'editto. Il ricorrere di espressioni come keleúo,
boúlomai anuperthétos (senza indugio),
si collegano ad uno stile edittale, piuttosto che epistolare.
Eppure quest'ultima espressione si riscontra in un testo
(20),
che si dichiara come copia di un'epistola di Gaio Turranio,
noto prefetto di età augustea, che mirava con il
provvedimento a predisporre e procedere ad una registrazione
del personale dei templi nell'imminenza del censimento
per l'esenzione dall'imposta personale (21).
La disposizione di Turranio, il cui contenuto si accorda
ad un'allusione, a distanza di più di un secolo
(22),
ad un editto di un tal Gaio Tirannio (sic) esentante
dalle imposte un alto ufficiale e sacerdote, è
espressamente indicata come copia di una epistola (l.1).
Manca però l'indicazione del destinatario, unitamente
all'usuale formula di saluto. Lo stile è quello
inconfondibile di un editto e ciò ha fatto sorgere
il dubbio sulla sua classificazione. Il problema è
di ampio rilievo in quanto da tempo è stata osservata
una certa incoerenza nei testi di editti e di epistole
a noi pervenuti (23);
infatti il termine epistolé, oltre che riferirsi
ad una lettera, in alcuni casi sembra indicare con certezza
un editto (24).
Ed è invece sicuro che nell'Egitto romano si attribuiva
ai due tipi di disposizione un valore ben diverso (25):
ad esempio si è osservato che in P. Oxy. XII, 1408,
ll. 12 ss. l'ordine di L. Bebio Iuncino, trasmesso in
precedenza con lettera agli epistrateghi, è confermato
in seguito con un editto rivolto alla popolazione. La
lettera che trasmetteva istruzioni al funzionario aveva
il normale aspetto epistolare ed invece l'editto che conteneva
disposizioni per la popolazione, oltre alla normale praescriptio
ed alla data in fine, non prevedeva in se medesimo mai
le istruzioni per la pubblicazione, sovente previste nelle
lettere. Proprio ciò ha suggerito l'ipotesi che
l'epistola, che normalmente era inviata al funzionario
con le istruzioni per la pubblicazione di un editto ad
essa annesso (26),
potesse essere inesattamente citata come riferentesi al
testo dell'editto medesimo (27).
Tutto ciò induce a distinguere:
-
Il testo dell'editto.
-
La lettera di trasmissione ad un funzionario con l'autorizzazione
alla pubblicazione (28).
-
La lettera di presentazione di un funzionario dell'epistula
prefettizia e dell'editto.
-
La menzione del compimento della pubblicazione.
-
L'indicazione
della realizzazione della copia.
È
quindi estremamente raro il caso che i papiri ci abbiano
conservato un testo originale, inviato dal prefetto (29).
Secondo Katzoff, il papiro BGU I, 288, alle ll. 1 11
conterrebbe tuttavia un testo originale con l'ordine di
pubblicazione del 10 marzo 145 d.C., in greco, di pugno
del prefetto L. Valerio Proculo (30).
Sono invece numerosi i papiri che contengono delle copie
dei testi affissi o ulteriormente divulgati. È dunque
possibile che nell'estrazione della copia ci si riferisse
all'epistula di accompagnamento, che, tra l'altro,
ulteriormente rassicurava la popolazione della legittimità
del comportamento del funzionario divulgatore del testo
e della sua autenticità (31).
Lo studio del linguaggio del prefetto in base agli editti
è appena agli inizi. Validissimo supporto alla ricerca
è adesso offerto dalla tecnologia informatica, che
consente di confrontare in tempi brevi i più diversi
testi attribuiti ad un determinato personaggio. Non v'è,
a mio avviso, dubbio che, se si continuerà a perseguire
questa linea d'indagine, i risultati non potranno mancare.
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© Gianfranco Purpura
Dipartimento Storia del Diritto
Università di Palermo |
Note:
1
PURPURA, Gli editti dei prefetti d'Egitto. I sec. a.C.
I sec. d.C., «AUPA» 8 (1992), pp. 487 671.
2 BAGNALL,
«YCS» 28 (1995), p. 86.
3 P.L.
Bat. XIII, 9.
4 HARRIS,
Lettura ed istruzione nel mondo antico, Bari 1991, pp. 279
e s.
5 SB
I, 4639.
6 Occorre
inoltre considerare che non disponiamo di termini di confronto
costituiti da scritti del prefetto, sicuramente indipendenti
dall'attività della cancelleria.
7 WILCKEN,
Zu den Edikten, «ZSS» 42 (1921), pp. 139 144;
REINMUTH, The Prefectural edict. 1 The Praescriptio,
«Aegyptus» (1938), pp. 3 28.
8 SANTORO,
Potere e azione nel diritto romano, «AUPA» 30
(1967), pp. 120 ss.
9 REINMUTH,
op. cit., p. 24 nt. 1 e s.
10
P. Oxy. XX, 2266, ll. 3 4.
11
P. Oxy. LI, 3613, ll. 1 2.
12
P. Oxy. IX, 1186 v, e P. L. Bat. XIII, 9.
13
REINMUTH, op.cit., p. 25.
14
Tracce di uno stile poco sobrio sono state rilevate nella
famosa iscrizione di Cornelio Gallo, primo prefetto d'Egitto
(OGIS, 654).
15
REINMUTH, op.cit., p. 26.
16
Ad es.: OGIS, 54.
17
CHALON, Lédit de T. Iulius Alexander, «Bibl.
Helv. Rom.» V, Olten Lausanne 1964.
18
OGIS, II, 669.
19
l.6: Pãsan prónoian poioúmenon...
20
BGU IV, 1199, col. III.
21
ll. 7 9.
22
P. Oxy. XII, 1434 del 107 8 d.C.
23
KATZOFF, Sources of law in Roman Egypt. The cole of the
prefect, «ANRW» II, 13 (1980), p. 810 nt. 7.
24
Alcuni casi sono menzionati da KATZOFF, Prefectural edicts
and letters, «ZPE» 48, (1982), p. 215: oltre
a BGU IV, 1199, si tratta di P. Oxy. II, 237, col. SV, 37
(editto o epistola di Sulpicio Simile) e di P. Fay. 24 (editto
o epistola di Sempronio Liberale).
25
KATZOFF, Prefectural edicts, cit., p. 209.
26
Questa epistola è conservata nel caso dell'editto
di Flacco, di Cn. Vergilio Capitone, di L. Lusio Geta del
29 marzo del 54 d.C., di L. Giulio Vestino, di L. Munazio
Felice, di Subaziano Aquila del 206 in tema di percezione
delle imposte, di L. Bebio Aurelio Iuncino del 211 3.
Cf. KATZOFF, Prefectural edicts, cit., p. 210. Anche
l'editto di M. Sempronio Liberale del 159 160 d.C.
(P. Ryl. 271, v.) sembra esser stato incluso in una
lettera.
27
KATZOFF, Prefectural edicts, cit., pp. 209 217.
REINMUTH, The prefectural edict. I The praescriptio, cit.,
p. 21, attribuisce al governo romano il mutamento della
prassi ellenistica, che prevedeva l'invio di una lettera
che conteneva un editto del sovrano. La pratica successiva
faceva ricorso ad una autonoma lettera alla quale era allegato
un indipendente editto.
28
Nel caso dell'editto di L. Munazio Felice il prefetto aveva
inviato il testo all'epistratega, che a sua volta aveva
trasmesso agli strateghi l'editto con una sua lettera di
accompagnamento, che ci è pervenuta nelle ll. 7 14
del P. Iand. VII, 140.
29
REINMUTH, op. cit., p. 4.
30
KATZOFF, Prefectural edicts, cit., p. 213.
31
REINMUTH, op. cit., p. 23. |
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