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  Attività marittime e rinvenimenti archeologici nella Sicilia romana

Epigrafe funeraria di Narbona del II sec. d.C. (ILG 573 = ILS 6969) che rivela che un alto amministratore della più importante città marittima della Gallia, Aponio Cherea, era stato al tempo stesso amministratore di città costiere siciliane, benefattore nelle medesime, e soprattutto era stato insignito di tali onori in seguito all'espletamento di un'attività imprenditoriale marittima di ampia portata, che doveva coinvolgere direttamente la Gallia e la Sicilia. in: Atti del Convegno 'La marittimità in Sicilia',
Palermo, 21 giugno 1996, Napoli, 1997.

di Gianfranco Purpura

Appaiono significative ad illustrare l'ampiezza e la varietà delle attività marittime nella Sicilia romana   solo a questo periodo posso infatti accennare nel breve tempo a disposizione in questo Convegno   alcune testimonianze letterarie, giuridiche ed epigrafiche, relative a due delle più importanti città costiere, site agli opposti vertici della Sicilia: Palermo e Siracusa.
Il primo caso (ILG 573 = ILS 6969) (1), che riguarda Palermo, ci dimostrerà che nel II sec. d.C. un alto amministratore della più importante città marittima della Gallia, Narbona, era stato al tempo stesso amministratore di città costiere siciliane, benefattore nelle medesime, e soprattutto era stato insignito di tali onori in seguito all'espletamento di un'attività imprenditoriale marittima di ampia portata, che doveva coinvolgere direttamente la Gallia e la Sicilia (fig. 1). Nei territori unificati dell'Impero l'evergetismo privato colmava i vuoti dei finanziamenti, necessari per la realizzazione di opere pubbliche.
Il secondo caso, relativo a Siracusa, indicherà che, con ogni probabilità, già sul finire dell'età repubblicana, merci provenienti addirittura dall'India, dopo aver viaggiato per l'Oceano Indiano, il Mar Rosso, il deserto orientale egiziano, il Nilo, da Alessandria transitavano per la Sicilia verso Pozzuoli. In caso di sbarco sarebbero state assoggettate ad elevati dazi doganali in base ad un regolamento (lex censoria portus Siciliae), un frammento del quale ci è pervenuto attraverso il Digesto (50, 16, 203). Naturalmente tali merci esotiche finirono per attirare la bramosia di Verre, che secondo Cicerone, annidato come novella Scilla sugli scogli e gli anfratti costieri della Sicilia, sequestrava le merci in transito (commissum), accampando pretesti inesistenti.
Tra i numerosi rinvenimenti archeologici sottomarini che negli anni ho via via segnalato e studiato   oltre centotrenta siti, per lo più riferibili all'età romana   realizzando una carta archeologica della Sicilia occidentale (2), due situazioni mi appaiono particolarmente indicative dell'ampiezza e rilevanza dei traffici marittimi siciliani in età romana: il caso del relitto di Terrasini e quello di Granitola.
Il relitto di Terrasini (3) conteneva un carico di anfore Dressel 7 9 per salsa di pesce di provenienza spagnola (metà del I sec. d.C.) con iscrizioni relative alla compagnia mercantile degli Atinii, impegnata in esportazioni verso Roma di prodotti spagnoli, seguendo una rotta meridionale che dal Nord Africa e dal Canale di Sicilia conduceva verso Pozzuoli (4). I resti lignei dello scafo foderato in piombo, oltre a contenere tegoloni, scandagli, resti di corde, vasellame, due spade, custodivano ancora alcuni grandi lingotti circolari di rame, marcati da numerali nel momento dell'estrazione dalle ricche miniere spagnole.
Anche il relitto di una navis lapidaria del IV V sec. d.C. a Capo Granitola denota l'importanza e l'ampiezza delle rotte e dei commerci che interessarono la Sicilia in età romana (5). Quarantanove blocchi di marmo proconnesio, provenienti da una cava (Saraylar) dell'Isola del Mar di Marmara (6), sono stati di recente sistematicamente rilevati (fig. 2) (7), offrendo così l'opportunità di valutare l'imponente carico (fig. 3), di oltre cinquantacinque metri cubi di marmo dal peso di centocinquanta tonnellate, e di confrontarlo con gli altri noti in Sicilia (8), che talvolta indicano una provenienza egea (relitto di Giardini Naxos) o nordafricana (Camarina I). È così possibile stimare in trenta metri circa la lunghezza della nave naufragata ed in sette   otto metri la larghezza dell'imbarcazione alla linea di galleggiamento. Uno dei monoliti (n. 38, Kg. 6844) è di oltre 5,20 m. di lunghezza, ma è presente anche un blocco (n. 30) del peso di undicimila ed ottocento chili. In occasione del rilievo sono stati evidenziati tre grandi basamenti modanati (fig. 4), forse podii di statue onorarie (fig. 5), ed altri pezzi intagliati, che denotano il trasporto del marmo in un fase di semilavorazione (9), forse da un unico centro in Egeo o in Asia per lo smistamento di pietre di diversa provenienza (fig. 6). (10)
La nave di Granitola trasportava dunque podi, forse per evergeti, come nel primo caso che vorrei esaminare, relativo a Palermo.
L'importanza del porto di Palermo (fig. 7) nel II sec. d.C. è indicata da un'epigrafe (CIL X, 2, 7295) (fig. 8 - 9) proveniente dai dintorni dell'antico porto, ubicato nei pressi della Chiesa di S. Cataldo e dell'Università (fig. 10) (11). E’ ivi menzionato un funzionario, il curator portensis kalendarii, che con ogni probabilità comandava il porto di Palermo, tenendo un registro del traffico navale, dei dazi dovuti alla città di Palermo, dei prestiti marittimi concessi con fondi cittadini ad alto tasso ai naviganti. (12) È ricordato come editore di giochi graditissimi per vari giorni nel non identificato circo di Palermo. Bestie erbarie ed orientali furono colà esibite a sue spese in venationes, che resero la cittadinanza tanto riconoscente da tributargli l'onore di una statua e dell'epigrafe in questione.
A questo mondo di evergeti privati e pubblici amministratori si riferisce un'iscrizione di Narbona (fig. 1), in Gallia, che menziona Palermo, Termini, Siracusa: ILG 573 ( = ILS 6969) del II sec d.C.


[A]ponio L(ucii) fil(io) Pap(iria) / [Ch]ereae auguri, quaes/ [to]ri c(olonia) I(ulia) P(aterna) C(laudia) N(arbone) M(artia) aedilicis or/[nam]entis honorato ob / [qua]m rem rei p(ublicae) Narbonens(is) / [(sestertium) m]d intulit item provinc(ia) / [Sicil]ia Syracusis Thermis / [Him]eris Panhormo aedili/[cis e]t du(u)mviralibus [et] / [f]lamonis et au[gura/li]bus ornament[is] / honorato / [Apo]nius Bla[stus] / [pa]trono op[timo] / d(ecreto) d(ecurionum)

A Lucio (?) Aponio Cherea, figlio di Lucio, (della tribù) Papiria, augure e questore della colonia Iulia Paterna Claudia Narbona Marzia, onorato con le insegne di edile e donatore per tale motivo alla repubblica di Narbona della somma (onoraria) di 1500 (?) sesterzi, parimenti onorato nella provincia di Sicilia a Siracusa, Termini Imerese e Palermo con le insegne di edile, duumviro, flamine ed augure, Aponio Blasto all'ottimo patrono (in base ad un decreto dei decurioni)”

Un'altra epigrafe (CIL XV, 4072)   un bollo d'anfora con data consolare del 149 d.C.   dimostra le attività mercantili espletate, se non proprio dal personaggio in questione, almeno dalla sua gens (13) e rivela una commistione, per noi moderni singolare, tra attività privata, pubblica ed evergetismo. (14)
Prendiamo adesso in considerazione i portoria della provincia romana di Sicilia. Si tratta dei dazi d'importazione ed esportazione, percepiti nella misura del 5% del valore delle mercanzie, ed appaltati dai censori a società di publicani, precocemente dotate di personalità giuridica, i cui capitali, forniti dai participes, erano basati sulle particulae (obbligazioni), che essi possedevano. I socii formavano il consiglio d'amministrazione ed erano responsabili dell'esecuzione degli obblighi previsti nella lex censoria, essendo tenuti a fornire garanti e garanzie reali (praedes ed obligationes praedatoriae) per il versamento dei dazi, dedotto il tasso di aggiudicazione. Magistri (di solito a Roma) e promagistri (in provincia), eletti annualmente dai soci dirigevano attraverso subalterni (portitores) la società. Sul finire dell'età repubblicana in Sicilia esistevano otto uffici del portorium: a Siracusa, Agrigento, Palermo, Termini, Alesa, Catania, Messina, Finzia, cioè Licata, oltre a stationes locali. (15) La lex censoria portus Síciliae (16) esentava i beni di uso personale dei viaggiatori e, come altre leggi doganali, le merci in transito, giunte in porto spinte dalla tempesta, dai pirati, in occasione di festività (lex Rhodia). (17) Anche i beni dei governatori dovevano essere esentati, ma Verre certamente abusava di questa circostanza, causando nello spazio di solo qualche mese un danno di sessantamila sesterzi, pari ad un valore reale di un milione e duecentomila sesterzi di mercanzie esportate (18).
Si è sostenuto che un piombo mercantile con l'immagine di un verro sul recto ed un kantharos sul verso (fig. 11) abbia contrassegnato merci di Verre esportate in franchigia, come nel caso di un altro governatore: Q. Giunio Bleso, proconsole d'Africa nel 22 23 d.C. (19)
Cicerone (20) afferma che Verre, non soddisfatto da tali abusi, ordinava che «qualunque nave in arrivo dall'Asia, dalla Siria, da Tiro, da Alessandria, venisse immediatamente catturata grazie alle segnalazioni di persone fidate poste di vedetta: tutte le persone che erano a bordo venivano gettate nelle latomie, mentre il carico di merci veniva portato nel palazzo del governatore». Minacciava dunque i naviganti di trasporto illegale di merci. «Quelli per scongiurare il pericolo tiravano fuori chi porpora di Tiro, chi incenso e profumi e stoffe di lino, altri pietre preziose e perle, taluni vini greci e schiavi d'Asia destinati alla vendita, perché con le merci facessero capire il luogo di provenienza. Non avevano previsto che a spingerli nei guai era proprio la loro mercanzia di cui pensavano di servirsi come un mezzo per salvarsi».
Di recente si è sostenuto che le stoffe, i profumi (attesi a Capua dalla gens Numidia, specializzata nella preparazione di unguenti e profumi), le pietre preziose e le perle venissero dall'India. (21) In cambio del dolce vino campano, corallo rosso e oro, giungevano in Italia spezie, aromi, tessuti, avorio e perle, che transitavano da Alessandria per la Sicilia.
Un papiro della metà del II sec d.C. (P. Vindob. G. 40822) contiene le clausole di un prestito per un viaggio terrestre e marittimo di andata e ritorno (daneion amphotéroploun) da Alessandria d'Egitto a Muziris (recto, col. II, 1. 12), noto centro del commercio romano in India, e menziona alcune di queste merci. (22) Il testo allude ad un termine massimo per la restituzione, di solito un anno, “che è stato concordato nelle singrafi di prestito concluso katà Mouzeîrin” (r. col. II, 1. 12). Da ciò si è voluto desumere che il papiro non costituisca copia della singrafe nautica, ma un documento accessorio relativo alle garanzie ed al pagamento dei dazi. L'espressione katà Mouzeîrin è stata intesa in maniera ellittica, come riferentesi ad un prestito (concernente un viaggio) a Muziris, piuttosto che concesso in quella località dell'India. Di recente è stato dimostrato (De Romanis) che si tratta invece di un vero e proprio contratto di prestito marittimo, che faceva riferimento ad un termine usualmente stabilito per la restituzione “nelle singrafi del prestito concluso per Muziris”. Tali viaggi si effettuavano a causa del regime costante dei venti monsoni sempre in periodi precisi dell'anno e dunque era sufficiente indicare per la restituzione del prestito il termine costantemente previsto in tutte le singrafi per i viaggi in India (6 gennaio), ben noto agli uffici di dogana. Il papiro contiene nel verso il computo dei dazi pagati per le merci importate dall'India (nardo, stoffe, avorio ed altre tre partite di mercanzie non determinabili, ma secondo De Romanis comprendenti pepe e malabatro) e nel recto la singrafe del prestito relativo ad un lungo viaggio misto, terrestre e marittimo, sulla nave Ermapollo, che, come nel caso del prestito di Callimaco, anch'esso marittimo ed eventualmente terrestre (D. 45, 1, 122, 1), si svolgeva “sotto sorveglianza e con le misure di sicurezza” (r, col. II, 1. 3), prima sul Nilo con un'imbarcazione fluviale idonea, fino al deposito pubblico della dogana a Coptos, poi attraverso il deserto orientale, fino al porto di Berenice o Myos Hórmos sul Mar Rosso. Ancora attraverso l'Oceano sfruttando il monsone e, dopo quasi un anno, si seguiva un identico percorso di ritorno. La ricchezza e precisione dei dati forniti dal papiro, come nella celebre singrafe di Lacrito del IV sec. a.C., ulteriormente conferma che si trattava della vera e propria singrafe nautica.
È di particolare interesse che in questo papiro (r. col. II, 1.2: “...darò al tuo conduttore di cammelli altri venti talenti per la guida della carovana verso Coptos”), come in altri testi giurisprudenziali romani (D. 22, 2, 4, 1; 44, 7, 23; 45, 1, 122, 1), si faceva riferimento ad un compenso pro operis servi traiecticiae pecuniae gratia secuti, incaricato di accompagnare il debitore durante il viaggio con il compito di controllare la puntuale esecuzione della conventio pecuniae traiecticiae e di esigere a tempo debito il credito (kermakólouthos). Nonostante il trascorrere del tempo ed il mutare degli uomini, le pratiche del commercio greco romano restavano fondamentalmente costanti.
Le iscrizioni di mercanti romani nelle nicchie del deserto (Wadi Menih), (23) il giacimento di anfore romane Dressel 2 5 e Lamboglia 1 a Zabargad, nella parte meridionale del Mar Rosso nei pressi di Berenice, (24) il bassorilievo abruzzese dei Peticii con dromedari che trasportavano anfore attraverso il deserto (25) sono altre testimonianze di questo commercio “oltre i confini dell'impero”, (26) che interessò ben presto i negoziatori italici transitando per la Sicilia, ma che secondo Plinio sottraeva oro per non meno di 50.000.000 di sesterzi all'anno.
Spero che queste testimonianze, seppur episodiche e parziali, siano valse ad illustrare in qualche modo la centralità della Sicilia e la ricchezza dell'organizzazione giuridica del commercio marittimo dell'Isola nel corso dell'età romana.


© Gianfranco Purpura
Dipartimento Storia del Diritto
Università di Palermo


Note:
1 AE, 1892, 92.
2 PURPURA, Rinvenimenti sottomarini nella Sicilia Occidentale, Bollettino d'Arte, Suppl. al n. 37 38 (1986), Archeologia Subacquea 3, pp. 139 160; Id., Rinv. sottom. nella Sic. Occid. (1986 1989), Archeologia Subacquea, Univ. della Tuscia, Roma, 1993, pp. 163 184.
3 PURPURA, Il relitto di Terrasini, Sicilia Archeologica, 24 25, 1974, pp. 45 61.
4 BIVONA, Rinvenimenti sottomarini nelle acque di Terrasini Palermo), Kokalos, XX, 1974, pp. 201 ss.
5 PURPURA, Un relitto con un carico di marmo a Capo Granitola, Mazara, Sicilia Archeologica, 33, 1977, pp. 55 59; Id., Il relitto di capo Granitola, Archeologia Viva, 1983, 5, pp. 44 48.
6 LAZZARlNI, MOSCHINI, STIEVANO. Alcuni esempi di identificazione di marmi antichi mediante uno studio petrografico e la determinazione del rapporto Ca/Sr, Quaderni Soprint. B.A. Venezia, 9, 1980, pp. 44 ss. = Archaeometry, 22, 173, pp. 183 ss.; ALAIMO, CALDERONE, Determinazione della provenienza dei marmi delle sculture di Selinunte attraverso le analisi di alcuni elementi in tracce e degli isotopi del carbonio e dell'ossigeno, Sicilia Archeologica, 56, 1985, pp. 53 62.
7 Con l'ausilio degli operatori subacquei di un corso di formazione professionale (CESAT POSEIDON), che, segnalando la località a bassa profondità e prossima alla riva in maniera idonea, mirano a render possibile osservare in situ gli imponenti blocchi di pietrame, che compongono questo che è certamente uno dei più interessanti carichi finora noti lungo le coste siciliane.
 8 Altri carichi in Sicilia sono stati rinvenuti a Capo Taormina (90 100 t.), Marzamemi I (200 t.) e II, Isola delle Correnti (350 t.), Capo Taormina (90 100 t.) (KAPITÄN, Esplorazioni su alcuni carichi di marmo e pezzi architettonici davanti alle coste della Sicilia Orientale, Atti del III Congr. Intern. di Archeol. Sottom., Barcellona, 1961, Bordighera, 1971, pp. 296 309; Id., Elementi architettonici per una basilica dal relitto navale del VI secolo di Marzamemi, Corsi Ravennati, 27, 1980, pp. 71 136), Camarina I (PARKER, Il relitto romano delle colonne a Camarina. Sicilia Archeologica, 9, 30, 1976, pp. 25 29) e Camarina II (Di Stefano, Marmi e pesi da Camarina, Archeologia Viva, 45, 1994, pp. 11 e s.), Giardini Naxos (95 t.) (BASILE, A roman wreck with a cargo of marble in the bay of Giardini Naxos, IJNA, 1988, 17, 2, pp. 133 142). La lunghezza stimata della nave naufragata a Giardini è di venture venticinque metri, quella di Marzamemi di circa trenta metri, di Isola delle Correnti di quaranta quarantotto metri ed una larghezza di dieci undici metri. Sia la nave di Madhia (230 250 t.), che di Punta Scifo (300 t.), sono state valutate di trenta, trentacinque metri di lunghezza, come nel caso di Granitola. Tutto ciò sembra indicare che, prescindendo dalle dimensione straordinarie dell'imbarcazione affondata ad Isola delle Correnti, la lunghezza media delle naves lapidariae si aggirava intorno ai trenta trentacinque metri.
9 Il sistematico prelievo di campioni consente di studiare la composizione non solo del carico naufragato, ma anche dei precedenti trasporti effettuati dalla nave in altri viaggi attraverso l'esame degli spezzoni di stiva, e di confrontare poi i reperti con i campioni degli altri carichi rinvenuti in Sicilia.
10 Nel IV e V sec. d.C. Afrodisia fu uno dei più importanti centri asiatici per il commercio di marmi di diversa provenienza.
11 COLUMBA, op. cit., p. 62; Bivona, Iscrizioni lapidarie latine del Museo di Palermo, Sikelika, V, Palermo, 1970, pp. 47 ss.
12 Cfr. ad es. Pap. Lond. III, 1164 (212 d.C.). II termine kalendarium indicava, di per se, un registro con annotazioni periodiche. In età imperiale la riscossione dei dazi doganali, divenuta adesso diretta, da parte di funzionari, è in Sicilia attestata soltanto a Lilibeo in base ad un'iscrizione che menziona un servus actor portus Lilybitani (CIL X, 2, 7225). Cfr. DE LAET, Portorium, Brugge, 1949, p. 295.
13 ROUGÈ, Recherches sur l'organisation du commerce maritime en Méditenanée sous l'Empire romain, Paris, 1966, pp. 137; 250; 307.
14 VEYNE, Il pane e il circo. Sociologia storica e pluralismo politico, Bologna, 1984.
15 DE LAET, op. cit., p. 67.
16 D, 50, 16, 203: Alfenus Varus libro septimo digestorum. In lege censoria portus Siciliae ita scriptum erat: «servos, quos domum quis ducet suo usu, pro is portorium ne dato».
17 PURPURA, Relitti di navi e diritti del fisco. Una congettura sulla Lex Rhodia, Annali Seminario Giuridico Univ. Palermo, 36. 1976, pp. 69 87; Id., Il regolamento doganale di Cauno e la Lex Rhodia in D. 14, 2. 9, Annali Seminario Giuridico Univ. Palermo, 38, 1985, pp. 273 331.
18 DE LAET, op. cit., p. 69 e s.
19 MANGANARO, La Sicilia da Sesto Pompeo a Diocleziano, Aufstieg u. Niedergang der röm. Welt, II, 11, I, Berlin NewYork, 1988, p. 40 nt. 194.
20 Cic. II, 56, 145 146.
21 DE ROMANIS, Cassia, cinnamomo, ossidiana. Uomini e merci tra Oceano Indiano e Mediterraneo, Roma, 1996, pp. 159 ss.
22 HARRAUER, SIJPESTEIJN, Ein neues Dokument zu Roms Indienhandel, P. Vindob. G 40822, Anzeiger d. Österreichische Akad. d. Wissenschaften, Phil.  Hist. Klasse, 122, 1985, I 9 (Wien, 1986), pp. 124 155; Casson, P. Vindob. G. 40822 and the shipping of goods from India, BASP, 23, 3 4, 1986, pp. 73 79; THÜR, Hypothekenurkunde eines Seedarlehens für eine Reise nach Muziris und Apographe für die Tetarte in Alexandreia, Tyche, 2, 1987, pp. 229 245; THÜR, Zum Seedarlehen Katà Mouzeîrin, Tyche, 3, 1988, pp. 229 233; CASSON, New light on maritime loans: P. Vindob. G. 40822, ZPE, 84, 1990, pp. 195 206; PURPURA, Testimonianze storiche ed archeologiche di traffici marittimi di libri e documenti, Ann. Univ. Palermo, 44, 1996, pp. 369 ss.; DE ROMANIS, Cassia, cit., pp. 178 ss.
23 BERNaND, De Koptos a Kosseir, Leiden, 1972; Id., Pan du dèsert, Leiden, 1977; Id., Le Paneion d'El Kanais: Les inscriptions grecques, Leiden, 1972; DE ROMANIS, Viaggi ed esplorazioni oltre i confini dell'impero fra l'età di Plinio e quella di Tolomeo, Optima Hereditas. Sapienza giuridica romana e conoscenza dell'ecumene, Milano, 1992, pp. 261 e s.; Id., Cassia, cinnamomo, ossidiana, cit., pp. 203 ss.
24 VERRI, Naufragio al tropico, Archeologia Viva, 45, maggio giugno 1994, pp. 52-57.
25 TCHERNIA, Le dromadaire des Peticii et le commerce oriental, MEFRA, 104, 1992, 1, pp. 293 301.
26 MORTIMER WHEELER, La civiltà romana oltre i confini dell'impero, Torino, 1963, pp. 127 ss.

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