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...Sezione:
Archeologia Subacquea |
Sembra che le acque del Mediterraneo siano state
solcate da imbarcazioni almeno dallVIII millennio
a.C. Infatti in una grotta in Argolide (Franchthi)
è stata ritrovata - insieme a resti ossei
di grandi pesci - ossidiana trasportata per mare
da unisola dellEgeo (Melo), ad oltre
centocinquanta chilometri di distanza dalla terraferma
(1).
Era stata imbarcata in uno scafo antichissimo, che
utilizzava con ogni probabilità un sasso
legato ad una fune come primitivo sistema di ancoraggio
basato sulla gravità (2)
(fig. 1, in alto a sinistra).
Ancora oggi la gente di mare adotta comunemente
tale metodo, che assicura un discreto attracco,
sia su fondali di sabbia, che di roccia. Nel tipo
più rudimentale di ancora la tenuta era quindi
determinata dal peso litico calato in mare. Si trattava
di pietre informi o appena sbozzate, oggi assai
difficili da riconoscere come antiche ancore (fig.
2). Lincremento del peso determinava ovviamente
il miglioramento del rendimento del sistema di ancoraggio,
ma anche un aumento dello sforzo del marinaio per
la manovra dellattrezzo. Sussiste per tale
primitivo strumento una correlazione tra peso dellancora
e stazza dellimbarcazione. Il peso delLe ancore
di pietra consente ancora oggi di stimare con una
certa approssimazione le dimensioni di navi, delle
quali ormai non resta più alcuna traccia.
E ovviamente necessario ricordare che il rinvenimento
di una semplice pietra forata, anche se effettuato
in ambiente marino, non è sufficiente a qualificare
il reperto come ancora, potendo lattrezzo
essere stato utilizzato dallantichità
fino ai nostri giorni per gli impieghi più
vari [peso di rete, zavorra di un galleggiante,
contrappeso di un bilanciere, strumento per la pesca
del corallo (fig. 3), persino
come pietra per la trebbiatura]. Inoltre Le ancore
antiche non sempre erano connesse ad imbarcazioni,
ma potevano essere utilizzate per sbarramenti militari
o per le reti da pesca, per assicurare cioè
dei solidi punti di tenuta in luoghi particolari.
Si giustifica forse così lesistenza
di esemplari smisurati, difficili da manovrare e
relativi ad ancore gigantesche, come un ceppo plumbeo
di Saint Tropez, lungo m. 2,68 e di c. 1300 kg.
di peso, di Malta, lungo m. 4,20 e di c. 1860 kg.
(3)
(fig. 4) o di S. Vito lo Capo,
fortunatamente non recuperato. I frequenti allineamenti
sul fondale di ceppi plumbei dancora, tutti
pressocchè coevi in località inidonee
per lancoraggio, sono stati incautamente interpretati
come resti di ancore deliberatamente abbandonate
da flotte militari per agevolare in momenti di difficoltà
la velocità delle manovre (4),
trascurando la costante vicinanza che si riscontra
in questi luoghi con gli antichi stabilimenti per
la lavorazione del pesce (Levanzo, Isola delle Femmine,
Maratea ed altri siti ancora), ove sbarramenti di
reti fisse ancorate in punti particolarmente esposti
avrebbero potuto essere utilizzati per deviare i
percorsi dei pesci. Ancora una volta si evidenzia
la scarsa utilità di recuperi di ancore antiche,
effettuati senza esatti rilevamenti. Le tecniche
della lavorazione della pietra o dellesecuzione
del foro nelLe ancore litiche possono talvolta indicare
lantichità dei reperti (fig.
5). Occorre tuttavia tenere presente che anche
piccole pietre contenute in buche e cavità
del litorale marino, se agitate dal moto ondoso,
riescono con il tempo ad ingrandire fori in lastre
litiche, che, una volta spezzate, possono assumere
un aspetto assai simile a quello delLe ancore antiche.
Un importante progresso tecnico, determinato dalla
maggiore stazza degli scafi, fu conseguito tramite
linserimento in uno o più fori di pioli
lignei che assicuravano una migliore tenuta sul
fondale e permettevano una riduzione del peso complessivo
dellancora (fig. 6,
in alto). Si trattava di una parziale rivoluzione.
Labbattimento del corpo morto sul fondale,
conseguente alla trazione dalla superficie, provocava
il pressochè sicuro aggancio della marra
al fondo, ma persisteva ancora ben radicata la credenza
che lattrezzo per essere veramente efficiente
dovesse essere al tempo stesso piuttosto pesante.
Un ulteriore progresso fu realizzato con linserimento
di un bastone di legno (fig. 6, in basso) in senso
normale ai pioli (ben presto incastrato in alto
in una scanalatura o un apposito foro) per evitare
che lancora, ponendosi di fianco potesse per
qualche tratto slittare (fig.
7). In tal modo lattrezzo, oltre a divenire
più efficiente, cominciava ad assumere un
aspetto alquanto simile alLe ancore moderne: le
marre erano costituite da pioli lignei, il fusto
dalla lastra di pietra ed il ceppo da un semplice
bastone di legno che assicurava la facilità
di aggancio sul fondale. Era il peso del fusto,
piuttosto che del ceppo, che favoriva labbattimento
ed il conseguente incaglio dellattrezzo. Il
passo successivo - una vera rivoluzione - fu volto
a realizzare in pietra tale bastone (ceppo) ed alleggerire
il fusto, fabbricandolo in legno (fig.
1, in basso). Risultava così complessivamente
minore il peso dellintero attrezzo. Occorre
ricordare che era pur sempre necessario appesantire
il ceppo per evitare che lancora, divenuta
lignea, galleggiasse e non si abbattesse sul fondale,
ostacolando laggancio delle marre (fig.
8). E probabile che tale progresso venisse
favorito dal simultaneo impiego di altri attrezzi
per ancorare: una croce lignea zavorrata, una sorta
di rampino ed un semplice uncino di legno (ogkos),
cioè un piccolo tronco dalbero tagliato
allaltezza dellintersezione con un ramo,
che collegato ad una fune avrebbe potuto assicurare
la tenuta di unimbarcazione anche in terraferma,
incastrando luncino tra le radici o gli scogli
della riva. Il relitto
di Maagan Michael, del 400 a.C. circa,
ha fornito un ancora che si collega
ad un tradizione di uncini di tal genere (5)
(fig. 9 e 10).
La comparsa in età arcaica dellancora
dal ceppo in pietra e dal fusto e marre in legno
costituì dunque una svolta radicale del sistema
ancorario. Tale tipo di ancora fu utilizzato dalla
fine dellVIII al IV sec a.C. (fig.
11), ma esso non soppiantò gli altri
modelli più antichi, che continuarono a sussistere.
E significativo che il termine áncora
(dal greco agkura), collegato ad uncino
(ogkos), sembra sia stato introdotto proprio
allora nella lingua greca e risulta attestato per
la prima volta alla fine del VII sec. a. C. (6)
I precedenti attrezzi litici, che continuarono ad
essere utilizzati, venivano invece denominati eunai
(letti), probabilmente ancora una volta a causa
della forma assunta con linserimento dei pioli
lignei nella lastra litica. Di tale innovazione
tecnica resta traccia nelle fonti che attribuiscono
tale progresso al filosofo scita Anacarsi o ad Eupalamos
di Sicione o addirittura al mitico re frigio Mida
(7).
Solo in pochi casi è possibile datare con
precisione i ceppi in pietra in base ad epigrafi
graffite o a reperti con sicurezza associabili (8).
Ad esempio a Cavalaire-sur-Mer, in Provenza, ove
un ceppo litico è registrato insieme ad anfore
greche arcaiche del VI sec. a.C. La stessa attendibilità
cronologica si riscontra per un ceppo litico del
relitto del Sec (IV sec. a.C.), a Palma di Maiorca,
o in luoghi in cui ceppi litici furono utilizzati
come oggetti votivi in santuari marittimi o come
signacoli di tombe, in quanto appaiono collegati
a contesti databili (9)
(fig. 12). Degno di nota è
il fatto che alcune iscrizioni graffite sui ceppi
litici, non solo hanno consentito di datare i reperti,
ma di attribuirli a precisi personaggi menzionati
nelle fonti: così a Gravisca, ove un grande
ceppo litico fu dedicato tra la fine del VI e gli
inizi del V sec. a.C. ad Apollo di Egina da Sostrato,
larmatore ricordato da Erodoto (10)
come uno dei più ricchi mercanti greci (fig.
13) (11),
o a Crotone ove sulla spiaggia di Capo Cimiti è
stato ritrovato un ceppo litico dedicato a Giove
Meilichio da Faillo, latleta crotoniate per
ben tre volte vincitore nelle gare Pitiche e unico
dei greci dItalia a prender parte volontariamente
con una nave equipaggiata a sue spese alla battaglia
di Salamina del 480 a.C. (12)
Talvolta il materiale litico utilizzato per il ceppo
- marmo bianco dellEgeo (fig.
14 e 15), dellImetto,
del Pentelico e così via - consente di risalire
alla nazionalità della nave di appartenenza.
E possibile che in età classica laumento
della produzione del piombo conseguente allo sfruttamento
delle miniere dargento ed il crollo del suo
prezzo abbiano contribuito a determinare la sostituzione,
intorno al IV sec. a.C., del ceppo in pietra, che
al centro si spezzava facilmente, con quello in
piombo (13).
Tale metallo presentava il vantaggio di essere a
parità di volume più pesante, più
facilmente lavorabile e scarsamente attaccabile
da parte di agenti marini. Controversa è
la datazione di un piccolo ceppo in piombo del relitto
di Antibes, in quanto si è sostenuto che
esso sia stato erroneamente attribuito al complesso
datato alla metà del VI sec. a.C. (14)
i più antichi esemplari sicuramente databili
risalgano alla fine del IV, inizi del III sec. a.C.,
ma non è da escludere che i primi attrezzi
di questo tipo possano essere più antichi
della data accertata. Per economizzare metallo frequentemente
si inserivano nel ceppo pietre o frammenti lignei,
fino al punto da includere unassicella che
costituiva una sorta di anima lignea (fig.
16). Con il metodo del C14 la materia organica
costituita dai frammenti lignei inclusi oggi può
essere datata e ciò consente una precisa
collocazione cronologica di tali reperti. Così
è stato datato un grande ceppo plumbeo rinvenuto
in Atlantico lungo le coste del Portogallo (isola
di Berlenga) (fig. 17), che
ha indicato una data assai antica (V-IV sec. a.C.)
(15),
addirittura finora la prima testimonianza relativa
alluso del ceppo plumbeo ed anteriore alle
prime frequentazioni greche delle coste atlantiche,
segnalate nelle fonti con la narrazione del viaggio
di Pitea di Marsiglia verso le Isole Casseridi (Gran
Bretagna) alla fine del IV, inizi del III sec. a.C.
E da segnalare che ancore litiche assai rudimentali
sono state rinvenute nel Dorset (Inghilterra), una
con un foro per linserimento di un ceppo ligneo
ed un segno graffito (fig. 18)
(16).
Talvolta due barrette di piombo potevano essere
racchiuse tra assicelle strette da corde e costituire
così un rudimentale ceppo facilmente componibile
e smontabile (fig. 1, in basso) o una lamina di
piombo poteva essere inchiodata in vario modo al
fusto ligneo (fig. 19) Il
ceppo in piombo si diffuse ampiamente in età
ellenistica e romana (fig. 20)
e, anche se gli ultimi ceppi plumbei sono datati
al III sec. d.C., è possibile che tali attrezzi
siano rimasti in uso ancora sino alla fine dellevo
antico, accanto ad ancore in ferro ormai ampiamente
utilizzate. Il tipo dancora di uso più
frequente nellantichità - dopo quella
in pietra che era di facile reperibilità
e di basso prezzo - fu dunque quella dal ceppo in
piombo con perno di ritegno al fusto (fig.
21). Tale perno si formava riempendo un foro
praticato nel fusto con del piombo, fuso e colato
in uno stampo per realizzare il ceppo. Ovviamente
ne risultava un ceppo inamovibile dal fusto. La
contromarra per meglio assemblare le marre al fusto,
soprattutto in attrezzi usurati, veniva realizzata
anchessa in piombo. Ne risultava un reperto
a tre fori, che oggi, per la disgregazione del legno,
frequentemente si rinviene e rappresenta, oltre
al ceppo, una delle poche parti superstiti di unancora
antica (fig. 22). I puntali
metallici delle marre non erano previsti in tutti
gli esemplari; talvolta erano in bronzo, metallo
meno duttile del piombo, o in ferro (fig.
23). Accade oggi di constatare che la cassetta
del ceppo plumbeo, invece di presentare un perno
di ritegno plumbeo, mostra in alcuni casi allinterno
dei fori simmetrici. Si deve allora ritenere che
il ceppo venisse fissato al fusto mediante una piccola
asse di legno, annegata nel piombo, che attraversava
lancora lignea in croce per un foro (fig.
16). In qualche raro caso accade di constatare
che allinterno della cassetta non era stato
praticato alcun foro o fissato alcun perno di ritegno
al fusto. In questo caso il ceppo avrebbe dovuto
essere fissato con legamenti, talvolta bloccati
da cavicchi in legno, posti nel fusto al di fuori
della cassetta nei rispettivi punti di contatto
(fig. 24). Questo tipo d'ancora
consentiva un notevole risparmio di spazio a bordo,
potendo il ceppo essere sfilato dal fusto ed abbattuto
sulla coperta durante la navigazione. Se ne è
dunque ipotizzato un uso a bordo soprattutto di
navi militari, ma mancano conferme sicure in tal
senso. Loneraria romana di età imperiale
recava a bordo diverse ancore, la maggior parte
in piombo, ma anche alcune in ferro, come dimostra
anche un papiro del III sec. d.C. (Pap. Lond. III,
1164). Il peso del ceppo può consentire di
desumere con una certa approssimazione la stazza
dellimbarcazione antica. Infatti il peso del
ceppo in piombo sembra corrispondere più
o meno alla metà dellancora completa.
E' molto probabile allora che il peso dellancora
sia allincirca pari ad un millesimo della
stazza della nave che larmava. I colossali
ceppi in piombo, come quelli di Malta o di S. Vito,
dal peso così elevato da escluderne ragionevolmente
luso frequente a bordo delle navi antiche,
come si è detto è probabile che fossero
stati utilizzati, non per colossali imbarcazioni,
ma per ancorare postazioni di reti fisse e sbarramenti
militari, sovente utili per impedire laccesso
ai porti o a zone protette. Come lancora dal
ceppo in piombo non soppiantò lattrezzo
in pietra, che viene ancora oggi utilizzato, così
la comparsa dellancora in ferro, allincirca
in età ellenistica (fig.
25), non impedi lulteriore protrarsi dellimpiego
dellancora dal ceppo in piombo fino ad un
epoca non ancora esattamente determinata. Soltanto
in epoca bizantina Le ancore in ferro di forma assai
caratteristica divennero di uso generale, ma ancora
nei relitti di età normanna di Marsala e
di S.
Vito Lo Capo (metà del XII sec.) insieme
da ancore in ferro erano imbarcate ancore di pietra.
Si ritiene che la forma dellancora di ferro
si modifichi lentamente con il trascorrere del tempo:
da una forma a freccia, di età ellenistica
e repubblicana, pare che si passi ad una forma arrotondata
in età imperiale, per poi assumere una caratteristica
forma patibulata, con le estremità delle
marre ad angolo ottuso (fig. 26).
In esemplari di età bizantina ed islamica
le marre hanno un aspetto assai simile alla lettera
alfabetica w (fig.
27). In tale età sono anche ampiamente
diffusi rampini di ferro a quattro marre, che hanno
origini ben più antiche e che continueranno
ad essere utilizzati fino ai giorni nostri, rendendo
assai difficoltosa la datazione di questo tipo di
attrezzi. Nel campo delLe ancore antiche sussistono
ancora modelli poco noti e numerosi problemi irrisolti.
Un reperto proveniente da Cefalù rivela lesistenza
di un tipo dancora lignea appesantita sulla
sommità del fusto da un colletto di piombo
forato per linserzione di un ceppo di legno
(fig. 28 e 29).
Nei Musei di Palermo e Terrasini si conservano ancore
litiche a tre fori, costituite in realtà
da lastre di terracotta (fig.
30). Un ceppo in piombo, proveniente da Torre
Molinazzo (Terrasini), si presenta deliberatamente
arcuato, suscitando perplessità sulle ragioni
di tale rara peculiarità (fig.
31). Se il ceppo in piombo veniva fabbricato
praticando un foro nel fusto dellancora e
fondendo direttamente il metallo in una forma lignea
alluopo predisposta, è evidente che
la realizzazione del ceppo deliberatamente arcuato
di Terrasini deve aver posto una difficoltà.
Loperazione si effettuava per ragioni dingombro
mantenendo capovolta lancora di legno, brandita
per il fusto, e dunque dopo la realizzazione del
ceppo ed il capovolgimento dellancora il fondo
dello stampo, ben levigato, finiva per apparire
al di sopra. Ciò offriva anche il vantaggio
di nascondere le eventuali inclusioni lignee o di
pietre, inserite per risparmiare metallo. Invece
i ceppi plumbei deliberatamente arcuati non solo
dovevano essere difficili da realizzare, ma è
evidente che per essi doveva essere impiegata una
tecnica completamente diversa. Le difficoltà
di fabbricazione erano forse bilanciate dalla credenza
che essi fossero più agevolmente disincagliabili
dal fondale (fig. 32) e immediatamente
riconoscibili. Non infrequenti erano i furti di
ancore tra i naviganti, al punto che in un ceppo
litico a noi pervenuto è graffito lavvertimento
di non sottrarlo ed in età bizantina, nel
Nomos Rhodion Nautikos, sorta di codice marittimo
dellVIII sec. d.C., si reprimeva ancora il
furto di attrezzature navali ed ancore (17).
Le ancore antiche sovente venivano contrassegnate
da iscrizioni o simboli votivi (fig.
33), che si riferivano a divinità protettrici,
denominazioni dellimbarcazione, a nomi dei
proprietari, degli armatori, dei comandanti, a scongiuri
o ad ammonizioni. Talvolta erano contrassegnate
con numerali, di controversa interpretazione o indicavano
personaggi storici noti, come nel caso di un ceppo
di C. Aquillio Proculo da Punta Licosa nel Cilento
(18).
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© Gianfranco Purpura (Università di
Palermo) |
Note:
1
Jacobsen, Diciasettemila anni di preistoria greca,
Le Scienze, 98, ott. 1976 = Letture da Le Scienze,
Milano, 1981, p. 93 e s. 2
Frost, Anchors sacred and profane. Ugarit-Ras Shamra,
1986; the stone anchors revised and compared, Ras
Shamra Ougarit VI: Arts et Industries de
la pierre, ERC Paris, 1991, pp. 355-410 e la lett.
ivi cit. 3
Diversamente in Frost, The birth of the stocked
anchor and the maximum size of early ships, The
Mariners Mirror, 68, 3, 1982, pp. 270. 4
Tusa S., Perché larcheologia subacquea,
Nuove Effemeridi, XII, 46, 1999, II, Archeologia
subacquea, pp. 10 e s. 5
Rosloff, A one-armed anchor of c. 400 BCE
frm the Maagan Michael vessel. Israel. A preliminary
report, IJNA, 20, 3, 1991, pp. 223-226. 6
Gianfrotta, Archeologia subacquea. Storia, tecniche,
scoperte e relitti, Milano, 1981, p. 301. 7
Gianfrotta, l.c. 8
Gianfrotta, First elements for the dating of stone
anchor stocks, IJNA, 6, 4, 1977, pp.285-292. 9
Gianfrotta, Lancora di Kutikluna (ovvero,
considerazioni sulla tomba n. 245 di Valle Trebba),
Boll. Annuale dei Musei Ferraresi, 12, 1982, pp.
59 ss.; Kapitän, Klutikunas anchor and
the question: was a stone anchor stock in the tomb
or a complete stone-stocked wooden anchor?, IJNA,
15,2, 1986, pp. 133-6; Purpura, Navigazione e culti
nella Sicilia occidentale: alcune testimonianze
archeologiche, VI Rassegna di Archeologia subacquea,
Giardini, 25 - 27 ottobre 1991 (Reggio Calabria,
1994), p. 81. 10
Storie IV, 152. 11
Gianfrotta, Le ancore votive di Sostrato di Egina
e di Faillo di Crotone, La Parola del Passato, 30,
1975, pp. 311 ss. 12
Gianfrotta, op.cit. 13
Gianfrotta, Ancore romane. Nuovi materiali
per lo studio dei traffici marittimi, Roman Seaborne
Commerce, Mem. Of the Am. Acad. in Rome, XXXVI,
Roma, 1980, pp. 103 ss. 14
Gianfrotta, Archeologia subacquea, cit.,
p. 305. 15
Correio de Arqueonautica, I, 1 (outubro 1992),
pp. 8 e 11; Alves et alii, Os cepos de âncora
em chumbo provenientes de águas portuguesas,
O Arqueólogo Português,
IV, 6/7, Lisboa, 1992. 16
Markey, An inscribed stone anchor from Dorset, IJNA,
26, 2, 1977, pp. 127-132. 17
Lex Rhodia III, 1 e 2 (v. Ashburner, The
Rhodian sea Law, Oxford, 1909). 18
Gianfrotta, Un ceppo di C. Aquillio Proculo tra
i rinvenimenti archeologici a Punta Licosa nel Cilento,
RSL, XXXX, 1974, 1-4 (Bordighera, 1979), pp. 75-107.
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