Il presente intervento è frutto dello scambio dopinioni
che da anni esiste per lo studio del relitto del Campese,
tra Paola Rendini, archeologo della Soprintendenza Archeologica
per la Toscana, e Flavia Zisa, come collaboratore archeologo
esterno dello stesso Istituto.
In questa occasione andremo a sottolineare alcune caratteristiche
rappresentate da un relitto, la cui storia, dalla individuazione
al recupero del carico presenta risvolti molto particolari
e complessi, risolti grazie allimpegno dellarcheologo
inglese Mensun Bound, il quale, a ventanni dalla
scoperta occasionale del relitto (1961), individua (1981)
il sito e soprattutto ripercorre a ritroso le tracce lasciate
dai rinvenimenti fortuiti. Grazie infatti a questa operazione
investigativa è stato possibile restituire alla
comunità scientifica la documentazione sulla nave
arcaica più antica rivenuta nel mediterraneo.
Ma
andiamo per ordine.
Le
indagini iniziano nel 1981, quando Bound, allora archeologo
subacqueo presso il Lincoln College di Oxford, individuò
in Inghilterra, nelle mani di un privato, il frammento
di unansa di anfora etrusca che, a detta del proprietario,
proveniva da un relitto trovato circa venti anni prima
allIsola del Giglio, e recuperato durante una stagione
estiva di immersioni.
Bound
entrò quindi in contatto a Londra con Reg Vallintine,
proprietario dal 1961, di una scuola di immersione a Giglio
Porto che aveva operato proprio nelle acque prospicienti
la Baia del Campese e che, già nel 1961 aveva segnalato
alle autorità la presenza di un relitto antico.
Durante
questo primo contatto, Vallintine mostrò allarcheologo
inglese tre fotografie scattate 20 anni prima: nella prima
fotografia, Bound individuò unanfora etrusca
e un anfora fenicio-punica; la seconda foto ritraeva
una signora con due kantharoi etruschi nelle mani;
nella terza, veniva mostrato un elemento importantissimo,
che permise al Bound di datare lintero contesto:
un kothon corinzio di fine VII sec. a.C.
Fu quindi chiaro che si era in presenza di una nave, etrusca
o greca, del 600 circa a.C.: il più antico relitto
di periodo arcaico fino ad allora rinvenuto.
Nonostante
il relitto fosse stato saccheggiato per molti anni, la
profondità in cui esso giaceva, oltre 50 m. (quindi
tale da scoraggiare molti subacquei) rappresentò
per Bound la speranza di poter ancora recuperare gran
parte del materiale attraverso la pianificazione di un
intervento tecnico e scientifico.
Un
primo punto va qui sottolineato, cioè il fatto
che il ritrovamento del relitto, tra gli anni 60
e i primi anni 80 venne sottostimato e non compreso
nella sua importanza: il trafugamento dei reperti, recuperati
in via privata e come attività sportiva da turisti
in vacanza sullisola, avvenne infatti in maniera
inconsapevole o parzialmente consapevole. Bound iniziò
quindi ad occuparsi del problema sapendo di aver già
perso parte della documentazione.
Fu
per questo che lindagine prese subito due direzioni:
da una parte, recuperare il trafugato per quanto possibile,
dallaltra, avviare una ricerca sistematica con le
autorità competenti di territorio, e quindi iniziando
una serie di campagne di scavo subacqueo con la soprintendenza
archeologica per la toscana.
La
prima direzione, cioè il recupero degli oggetti
dispersi, doveva servire a contenere il danno della dispersione
del contesto. che avrebbe minato fortemente quella che
sarebbe stata la comprensione finale del relitto.
Il recupero della documentazione dispersa rivelò
subito linsufficienza del sistema legislativo e
cioè la mancanza di strumenti legislativi per far
fronte ai problemi di recupero. Le cose, infatti, dovettero
procedere in via privata: attraverso una lunga operazione
investigativa Bound riuscì a rintracciare personalmente
molti di quei turisti che avevano partecipato alla spoliazione
del relitto; il recupero di questi oggetti nelle mani
di privati sparsi per tutta Europa poteva basarsi solo
sulla capacità di persuasione dellarcheologo
e sulla sensibilità del possessore circa limportanza
che un documento archeologico riveste quando esso viene
associato e restituito al proprio contesto e alla comunità
scientifica.
Molte delle persone che avevano partecipato alle immersioni
nei 20 anni tra il 1961 e il 1981 erano ormai irreperibili,
trasferite in altri paesi; alcuni erano morti, altri avevano
cambiato nome e luoghi di residenza, altri nuovi possessori
avevano acquisito i reperti in via ereditaria. Per entrare
in contatto con quanti più possibile, Bound si
servì persino degli strumenti televisivi: dopo
un documentario mandato in onda dalla BBC,nel 1983 una
signora inglese spontaneamente si mise in contatto con
Bound e restituì allo Stato Italiano quello che
lei aveva ingenuamente definito come pomo di porta etrusca,
un aryballos laconico, inviandolo dentro un pacchetto
postale per raccomandata allattenzione del prof.
Nicosia, Soprintendente archeologo per la Toscana.
Questa
prima fase della storia del recupero ci mostra quindi
il modo con cui, operando su un background culturale che
aveva sottostimato per 20 anni limportanza del relitto,
sia stato necessario adottare strumenti di recupero alternativi
a quelli di legge, che in questo caso specifico risultavano
insufficienti o inapplicabili. In tutto questo, gioca
un ruolo importante la figura dellistruttore subacqueo
Vallintine e della sua collaborazione privata alle ricerche
di Bound; la sua presenza, nella storia del recupero del
relitto, può quindi essere considerata come una
variabile di fortuna, visto latteggiamento positivo
verso la ricerca e il recupero del materiale. Non sempre
tra coloro che conoscono siti o modalità di recupero
di giacimenti di reperti archeologici sottomarini è
facile superare una barriera di sospettosità o
di paura per le conseguenze di loro rivelazioni a posteriori.
Lindagine
investigativa di Bound, degna della più tipica
tradizione poliziesca britannica, portò in quegli
anni alla scoperta più clamorosa del relitto gigliese:
lesistenza di un elmo corinzio.
Di
tutti i reperti rinvenuti dalla nave, il più spettacolare
è un elmo corinzio ricavato da ununica lamina
di bronzo e decorato con incisioni di serpenti, cinghiali
ed elementi floreali. Lelmo, trovato nel 1961 e
trasportato in Germania, fu individuato da Bound dopo
tre anni di ricerche; al Bound fu permesso di vederlo,
di disegnarlo, di fotografarlo e di restituirne almeno
la conoscenza (foto e disegni) alla comunità scientifica.
Lelmo si trova attualmente, come al momento dellindagine,
presso una cassetta di sicurezza di una banca tedesca.
Nel frattempo, nel 1982 inizia quella che possiamo definire
come seconda fase, cioè lindagine scientifica
con strumenti legislativi a disposizione.
Dopo
un primo saggio di accertamento, nel 1983 vengono avviate
campagne regolari di scavo subacqueo condotte fino al
1985, ed effettuate con concessione ministeriale ai sensi
della legge 1089 del 1939. Le campagne vengono condotte
sotto forma di compartecipazione e di sponsorizzazione
internazionale: il gruppo è formato dalla Oxford
University (tramite la diretta approvazione del direttore
prof. John Boardman), da vari sponsors internazionali
(World Ship Trust; Expeditions Council) e la partecipazione
di volontari e di studenti.
Considerato limponente impegno finanziario delle
campagne di scavo (ricordiamo che il relitto si trovava
a 50 metri di profondità e ciò impegnava
un notevole numero di partecipanti per circa due mesi
allanno) la Soprintendenza Archeologica per la Toscana
concorda di assumere lonere del restauro dei reperti,
anche in considerazione della alta specializzazione acquisita
nel frattempo dalla propria struttura e dalle eccezionali
esperienze di restauro problematico di reperti di recupero
sottomarino (ricordiamo che il Centro di Restauro di Firenze
è stato autore del restauro dei Bronzi di Riace,
dellanfora argentea da Baratti e di molti altri
reperti ceramici e metallici).
Al concessionario restava ovviamente lonere di provvedere
ai primi interventi di conservazione e restauro immediatamente
successivi al recupero, come previsto dalla legge.
Fra
il 1982 e il 1986 si costituisce così un gruppo
di lavoro multidisciplinare capace di affrontare in loco
tutte le fasi necessarie, dal recupero sottomarino al
restauro dei singoli reperti; le operazioni vengono seguite
dalla Soprintendenza Toscana e vengono condotte pensando
alla destinazione finale di fruizione pubblica e turistica;
si passa quindi dallanalisi e pubblicazione scientifica,
allorganizzazione di una prima mostra di presentazione
preliminare (non essendo disponibile una sede museale
vicina al sito di ritrovamento viene temporaneamente allestita
nel 1993 una mostra al Museo Archeologico Nazionale di
Firenze, Un mercante greco in Occidente, dove
resta fino al 1997.
Finalmente
si passa alla collocazione definitiva dellintero
complesso in una prestigiosa istituzione museale, la Fortezza
Spagnola di Porto S. Stefano, dove è allestita
una mostra permanente sullarcheologia subacquea
del territorio, con il contributo della Locale Amministrazione
Comunale di Monte Argentario, (GR).
La realizzazione dellintero progetto si è
quindi avvalsa dellimpiego di una struttura specializzata
nelle varie competenze e ricorrendo allapplicazione
di strumenti legislativi noti e di nuove opportunità
e forme di sponsorizzazione; il progetto rappresenta infatti
uno dei primi casi di applicazione dei criteri di sponsorizzazione
straniera in Italia. Ciò ha permesso di sviluppare
e seguire interamente in loco tutte le fasi necessarie
affinché, una volta esaurito liter preliminare,
lintero relitto venisse restituito alla fruizione
pubblica.
Ma
veniamo adesso ad un punto di osservazione che sarebbe
opportuno rilanciare proprio in questa sessione di lavoro:
il caso dellelmo corinzio.
In
un primo momento, lelmo non fu riconosciuto come
tale o come oggetto di pregio; successivamente, il reperto
fu segnalato con dati di provenienza errati; infine, fu
attribuito al relitto Gigliese dal Bound, che ne ha fornito
gli elementi di attuale ubicazione alla Soprintendenza,
la quale a sua volta ha informato il Nucleo Tutela Patrimonio
Artistico dei Carabinieri, per il recupero ufficiale.
Il problema risiede nel fatto che lelmo è
conservato in una caveau di sicurezza presso una banca
tedesca; nonostante nel frattempo siano intervenute le
leggi comunitarie, che favoriscono il rientro delle opere
trafugate nel paese dorigine, non conoscendo lentità
originaria del giacimento, prima dello scavo ufficiale,
manca lelemento giuridico probante unazione
di trafugamento e quindi il presupposto per la pratica
di restituzione. In questa sede siamo tenuti ad un doveroso
riserbo sulla preziosa attività investigativa da
tempo svolta dal Nucleo Tutela dei Carabinieri.
Ci
si chiede se, in questo consesso, possano giungere suggerimenti
per risolvere il problema in altra via. Lattuale
possessore (indebito, ma da tempo possessore e per altro
committente dellintervento di restauro) potrebbe
desistere dallipotesi della restituzione del reperto,
nel timore di essere accusato di indebita appropriazione
di un oggetto. Daltra parte, solo lui può
garantire, con la propria testimonianza, che loggetto
proviene dallItalia. Ricordiamo infatti che lattuale
possessore potrà sempre affermare che le foto con
lelmo, prodotte dal Bound allo Stato Italiano, siano
state scattate durante una sua immersione in Grecia o
altrove e non al Giglio. Quindi, in questo caso, risulta
importante trovare una forma che rassicuri il possessore,
inducendolo ad una collaborazione serena con le autorità
italiane e alla restituzione allo Stato di un documento,
così rilevante per noi e per lui invece difficilmente
vendibile, quindi godibile.
Veniamo adesso allultimo punto: la possibilità
di riacquisire i reperti grazie alla pubblicità
data dai mass-media come forma di appello per la sensibilizzazione
del pubblico ai problemi e alla salvaguardia dei beni
culturali; abbiamo citato, nel caso del Giglio, un significativo
precedente di successo rappresentato da quanto accaduto
allindomani di un servizio della BBC sul relitto,
quando giunse alla Soprintendenza, dallInghilterra,
un pacchetto postale con un aryballos laconico. Su questa
direzione occorrerebbe insistere, adottando verso gli
eventuali possessori quella stessa formula di persuasione
che abbiamo auspicato, come detto prima, per il caso dellelmo.
Per concludere, tra le forme involontarie di collaborazione
rientrano inoltre i recuperi occasionali (lultimo,
riferito ad un lingotto di piombo, data al 4 Ottobre del
2000): questi ultimi recuperi dimostrano lesistenza
di altri elementi del carico antico, non solo a grande
profondità, ma anche a media profondità
e quindi ad un livello raggiungibile da sommozzatori sportivi
di normale preparazione. Lepisodio ripropone quindi
la necessità di continuare lindagine a grande
profondità, non attuabile se non con un supporto
tecnologico adeguato e in linea con i nuovi indirizzi
che prevedono forme di co-sponsorizzazione di più
soggetti pubblici e privati.
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