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...Sezione:
Archeologia Subacquea |
Nuove evidenze dal banco del bagno (Lipari)
Valerio Agnesi, Marcello Consiglio, Assunta Sardella
e Maria Grazia Vanaria |
Lo studio che viene presentato è il risultato di
indagini condotte sul Banco del Bagno, iniziate una decina
di anni fa dall'Archeoclub di Lipari (rappresentato da chi
vi parla), e che hanno coinvolto in seguito studiosi e tecnici
di varie discipline.
Il Banco del Bagno, localmente indicato come "a sicca
o vagnu" (la Secca del Bagno), è una secca la
cui sommità si trova ad una profondità di
14 m. che è ubicata a circa l,18 miglia nautiche
dalla costa sud occidentale dell'isola di Lipari.
Essa è prospiciente la contrada "S. Calogero'",
dove sorge l'omonimo stabilimento termale che contiene nel
suo perimetro importanti testimonianze archeologiche.
L'interesse per il Banco del Bagno è nato dalla lettura
di alcuni testi e dalla consultazione della cartografia
storica: la curiosità è stata poi amplificata
dall'ascolto delle fonti orali che hanno stimolato la volontà
di approfondire le conoscenze sulla zona.
Le informazioni acquisite hanno permesso di delineare un
quadro dell'evoluzione subita da questo tratto di mare durante
il corso dei secoli. Le fonti indicavano in maniera inequivocabile
come fosse esistita nel passato una configurazione morfologica
del fondale differente da quella attuale e come tale modificazione
fosse da imputare ad un intervento antropico condotto in
epoca non precisata.
Infatti dai documenti cartografici e dai testi consultati
si è potuto evincere come, almeno fino alla fine
del XIX secolo, la secca presentasse la sua sommità
ad una profondità notevolmente interiore rispetto
a quella attuale e che per tale motivo, soprattutto in condizioni
di moto ondoso di una certa entità, essa venisse
addirittura ad affiorare, costituendo un pericolo gravissimo
per la navigazione.
A tale riguardo si può dire che nella Carta Nautica
realizzata dall'Ufficio Idrografico dell'Ammiragliato Britannico,
sulla base dei rilievi oceanografici condotti dal comandante
Smyth nel 1815, la secca, denominata secca Bentinck, viene
indicata ad una profondità di metri 4,57.
Nel 1892 1' Ufficio Idrografico della R. Marina pubblica
una Carta Nautica del Mare Tirreno, fra l'Italia la Sicilia
e la Sardegna, quale risultato dei rilievi oceanografici
eseguiti dal C. V. Magnaghi con la R.N. Washington fra il
1876 e il 1891; in tale carta, abbandonato il toponimo inglese,
la secca viene indicata. con l'attuale denominazione di
Banco del Bagno e con 1' indicazione della profondità
di metri 4.
Se ne deduce che l'attuale profondità di 14 metri
sia il risultato dell'opera di demolizione provocata artificialmente
dall'uomo al fine di rendere la zona sicura alla navigazione.
La zona del Banco del Bagno si caratterizza per la minore
profondità del fondale che da una profondità
di circa 100 m diminuisce fino a quasi 45 50 metri.
In tale area, in un raggio di circa 500 metri, è
presente una struttura satellitare di coni vulcanici monolitici,
le cui sommità si elevano, in alcuni casi, fino ad
una profondità compresa fra 130 e i 14 metri.
Il cappello del Banco è un monolito di roccia lavica
di forma conica con un diametro di base di circa 30 metri
ed una parte apicale dal diametro di circa 10 metri. Le
pareti della guglia sono verticali lungo il versante settentrionale,
e meno acclivi nella parte basale del versante meridionale,
a causa dell'accumulo di grossi massi, da imputare presumibilmente
alla demolizione artificiale cui si è fatto precedentemente
cenno. E' alla base di tale versante che il fondale è
particolarmente ricco di materiale archeologico eterogeneo
integro e frammentato.
Attorno alla base del cappello il fondale marino si mantiene
ad una profondità costante e presenta ampie radure
sabbiose che raggiungono un'area di circa 50 m2,
e che interrompono la continuità della formazione
rocciosa. Quest'ultima presenta forme irregolari che si
sviluppano prevalentemente in altezza, creando un variegato
ambiente di roccia e sabbia ove la forte corrente di fondo,
mettendo in movimento i depositi sabbiosi, determina il
seppellimento o l'affioramento dei reperti archeologici.
Le forti correnti, sia superficiali che profonde, che interessano
questo braccio di mare hanno determinato la concentrazione
dei reperti nel settore più meridionale dell'area
sia durante i naufragi sia successivamente per trasporto
sul fondo.
Le ripetute segnalazioni da parte dell'Archeoclub di Lipari
di reperti individuati sul fondo ed i recuperi effettuati,
hanno messo in evidenza il notevole interesse archeologico
che riveste l'intero sito. La zona, purtroppo, è
stata negli anni molto frequentata da subacquei, che attratti
dalla bellezza dei fondali, constatata la presenza di materiale
archeologico, non hanno esitato a depredare il sito dai
reperti più facilmente asportabili. Per tale motivo
il tratto di mare in questione è stato tutelato dall'ordinanza
emessa nel 1994 dall'Ufficio Circondariale Marittimo di
Lipari, che vieta le immersioni subacquee nell'area.
Nel corso di numerose immersioni è stato individuato
un vasto numero di reperti, per parte dei quali è
stato necessario effettuare un recupero d'emergenza, previa
autorizzazione delle Autorità competenti, per l'evidente
giacenza a rischio.
Le operazioni di recupero sono state precedute da un accurato
rilievo grafico e fotografico. Solo successivamente, valutando
i rischi che correva il materiale localizzato (in alcuni
casi si sono riscontrati evidenti tentativi di trafugamento),
si è proceduto al recupero stesso.
La prima fase é consistita nel rilevamento subacqueo
del reperto utilizzando come riferimento il monolito del
Banco del Bagno; quindi il punto é stato riportato
sulla superficie del mare mediante un gavitello da cui sono
state prese tre mire di riferimento a terra, rilevandone
l'azimut ed il punto nave, mediante localizzazione GPS.
I punti in tal modo rilevati sono stati riportati sulla
carta. batimetrica.
Queste campagne dì ricognizione e di successivi recuperi
hanno presentato notevoli difficoltà fin dalle prime
fasi di localizzazione della parte apicale del banco, (date
le sue ridotte dimensioni) e del successivo ancoraggio,
la cui esecuzione richiede una notevole perizia nautica;
quest'ultima operazione infatti deve essere completata da
un posizionamento manuale dell'ancora stessa.
Alla base del monolito, ad una profondità compresa
fra i 39 e i 42 metri, sono stati localizzati e recuperati
una macina litica del tipo a tramoggia, un'anfora di tipo
Corinzio B, ceppi in piombo frammentati e numerosi pezzi
di dolia; sono stati invece lasciati sul fondo due grossi
ceppi d'ancora in piombo, incastrati negli scogli e parzialmente
visibili.
Più a Sud, alla profondità di 42 metri, é
stato individuato un gruppo di sei ancore litiche, tre delle
quali sono state recuperate nel corso degli anni, di
forma lievemente semilunata, parzialmente insabbiate e addossate
l'una all'altra, e parte del fasciame di una nave, di cui
una grossa porzione é stata messa in luce dal ricorrente
affioramento del materiale ad opera della energica corrente
di fondo cui si é precedentemente fatto cenno.
Ancora più a Sud, su un fondale misto di roccia e
sabbia, intorno ai 45 48 metri, sono stati recuperati
due tubi in piombo ed un disco ligneo con resti di flangia
plumbea, e due grosse lamine in piombo; é stato inoltre
localizzato e lasciato in situ un grosso ceppo litico
a sezione rettangolare ed estremità perfettamente
rotondeggianti, semi insabbiato e privo di concrezioni.
Verso Sud Est si sono rinvenute numerose anfore integre
e frammentate di tipi differenti.
Ad Est del cappello del Banco, ad una distanza di oltre
100 metri e ad una profondità superiore ai 30 metri,
é stato localizzato un gruppo di piccoli lingotti
in piombo della lunghezza di circa 40 cm.
Infine, nel settore nord occidentale dell'area investigata,
su un fondale sabbioso intorno ai 50 metri, sono state localizzate
e recuperate un'anfora punica ed un coperchio piatto.
Tutto il materiale archeologico recuperato si inquadra in
un arco cronologico molto ampio, che va dal VI secolo a.C.
al I secolo d.C., all'interno del quale risulta maggiormente
documentato il periodo tra il II secolo a.C. ed il I secolo
d.C., ovvero tra l'età repubblicana e la prima età
imperiale romana.
Dei 21 esemplari di anfore recuperati, solo 15 sono riferibili
a tipi noti, ovvero, seguendo un ordine cronologico, al
tipo punico Mana D e ai tipi corinzio B, greco italico,
Dressel 1A, Beltran IA e II B.
All'interno del gruppo sono prevalenti le anfore di tipo
Dressel 1A, databili tra il II ed il I secolo a.C. anche
sulla base del confronto con le anfore della medesima tipologia
provenienti dal relitto A Roghi della secca di Capo Graziano
di Filicudi.
Il tipo dell'anfora vinaria Dressel 1A, che costituisce
una naturale evoluzione del tipo greco italico, era prodotto
in Campania, nel Lazío meridionale e forse anche
in Etruria e diffuso in tutta l'area del Tirreno.
Il rinvenimento delle anfore del tipo Mana D (prodotte nei
centri punici del Mediterraneo centrale ed occidentale)
del tipo corinzio B (di produzione greca o di imitazione
da fabbriche dell'Italia meridionale) e delle anfore per
garum Beltran IA e II B (provenienti da officine della Spagna
meridionale) risulta molto significativo in quanto fino
a oggi tra i ritrovamenti delle isole Eolie queste anfore
rappresentano esemplari unici.
Di grande interesse, inoltre, è il gruppo dei dolia,
purtroppo frammentari, finora documentati alle Eolie soltanto
da un esemplare rinvenuto sull'isola di Filícudi.
Si può ipotizzare che questi grandi contenitori,
destinati a trasportare vino o mosto, soprattutto dalla
Spagna, appartenessero ad una di quelle imbarcazioni definite
"a dolia", quale ad esempio il noto relitto
di Diano Marino in Liguria.
La circolazione di dolia è ampiamente attestata
in tutta l'area del Mediterraneo, in un periodo abbastanza
circoscritto tra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C.
Dalla secca del Bagno provengono anche tre ceppi di ancora
in pietra, di forma allungata e semilunata, con incavo centrale,
di un tipo diffuso in ambito greco tra il VII ed il IV secolo
a.C.
La presenza sul fondale della secca di numerosi altri ceppi
del medesimo tipo, posti a breve distanza tra loro, rende
suggestiva l'ipotesi dell'appartenenza di tali reperti ad
un unico carico, come dotazione di bordo o destinati ad
una funzione diversa, quale poteva essere quella votiva,
già attestata in contesti archeologici dell'Italia
meridionale.
Ai ceppi litici si aggiungono alcuni frammenti di due ceppi
di ancore in piombo, un tipo mobile, l'altro fisso
con cassetta centrale quadrangolare, confrontabili con altri
esemplari rinvenuti alle Eolie.
Particolarmente interessante è stato il recupero
della macina in pietra del tipo a tramoggia e leva,
completa di meta e catillus recanti entrambi
incisa, su un lato, una P greca.
Questo tipo di macina, di origine greca, risulta ampiamente
attestato in ambito mediterraneo per un periodo molto lungo
dal V secolo a.C. al I secolo d.C.
Una macina del medesimo tipo è stata rinvenuta a
Lipari all'interno del bothros di Eolo, sull'acropoli
del Castello, datato tra la fine del VI e gli inizi del
V secolo a.C.
Concludiamo questa sintesi sui materiali menzionando il
recupero di 12 frammenti di lamine in piombo che facevano
parte del rivestimento del fasciame in legno di una nave,
con piccoli fori per l'inserimento di chiodi; due frammenti
di fistulae anch'esse in piombo e un disco ligneo
con resti di flangia plumbea, forse provenienti dall'impianto
di sentina, ed infine due chiodi probabilmente in rame,
uno dei quali conserva ancora resti del legno dell'imbarcazione.
Poiché si tratta di recuperi occasionali, in attesa
di un'indagine sistematica del sito, lo studio dei materiali
della secca del Bagno non consente allo stato attuale di
fornire dati precisi riguardo ai contesti di appartenenza.
I frammenti ceramici sono riferibili a vasi dì uso
comune da mensa o da dispensa. Si tratta nel complesso di
due làgynoi, due bacili, una pelvis,
un piatto coperchio ed un'ansa di un grande contenitore,
databili dal età ellenistico romana alla prima età
imperiale, ovvero dal III secolo a.C. al I secolo d.C.
Sulla base dello studio tipologico dei reperti si possono
comunque individuare due principali rotte commerciali nelle
quali il sito era compreso in età greca e romana,
tanto più se si suppone l'esistenza, in prossimità
dell'area della secca, di approdi sussidiari a quelli principali
sul versante orientale dell'isola.
Una rotta, la più frequentata, interessava l'area
del Tirreno centrale e meridionale, come attesta la presenza
delle anfore di tipo greco italico, corinzio B, Dressel
IA, i dolia e le forme della ceramica comune, l'altra
documentata dalle anfore puniche e betiche, collegava la
penisola italiana e la Sicilia alla Spagna meridionale e
all'Africa settentrionale.
Per quanto riguarda l'esistenza di uno o più approdi
sussidiari lungo questo tratto di costa le indagini geomorfologiche
hanno evidenziato un forte arretramento della falesia e
una conseguente modifica della linea costiera.
Il versante è profondamente inciso da piccole valli,
che si presentano sospese sulla falesia, fatto questo che
permette di ipotizzare un rapido arretramento della stessa
falesia non ancora compensato dall'approfondimento dei solchi
vallivi per erosione di fondo.
Si può pertanto ipotizzare che siano esistiti, soprattutto
allo sbocco delle valli, arenili dì modeste dimensioni,
sufficienti tuttavia per permettere un approdo, anche temporaneo.
L'ipotesi sarebbe inoltre sostenuta dalla presenza, lungo
il tratto di costa prospiciente il Banco del Bagno e la
Pietra del Bagno, di aree estese di frammenti ceramici che
documentano insediamenti rurali, soprattutto di età
romana.
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Valerio Agnesi, Marcello Consiglio, Assunta Sardella e Maria
Grazia Vanaria |
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