teCLa :: Rivista

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010


teCLa

teCLa - rivista ospita articoli inerenti temi di critica e letteratura artistica, dal medioevo al contemporaneo, con attenzione alle riflessioni teoriche sugli aspetti del gusto, della metodologia, della storia del collezionismo, della museologia, del restauro e delle tecniche artistiche.
Diretta da Simonetta La Barbera, ha un Comitato scientifico internazionale, un Comitato di Referee anonimo e un Comitato di redazione.
La pubblicazione, a diffusione internazionale, fornita di codice ISSN e di codice DOI, ha cadenza semestrale.

Comitato Scientifico e comitato redazionale.

Per inserire i propri contributi è possibile contattare la redazione.

In fondo alla pagina le note legali, la pubblicazione etica e la dichiarazione di Malpractice relative a teCLa - Rivista.

Abstract del quarto numero

Ne quid nimis: storia di un emblema umanistico da Achille Bocchi ad Alberto III Pio da Carpi
di Stefano Colonna


Il saggio intende analizzare la genesi e l'utilizzo del motto umanistico “Ne quid nimis”, “nessun eccesso”, al confine tra letteratura, miniatura, scultura ed architettura verificando le modalità di trasmissione dell'emblema a partire dalle miniature presenti nei libri dell'umanista bolognese Achille Bocchi fino alle sculture del cortile del castello del principe-umanista Alberto III Pio da Carpi allievo di Aldo Manuzio il vecchio. Sullo sfondo l'interessante presenza di Erasmo da Rotterdam, anch'egli amico di Aldo, che nei suoi Adagia dimostra di conoscere il simbolo e i suoi reconditi significati.

La regola lo sguardo. La critica di Giuseppe Damiani Almeyda al libro dei cinque ordini d’architettura di Vignola
di Edoardo Dotto


Nel 1878 Giuseppe Damiani Almeyda diede alle stampe un opuscolo dal titolo Giacomo Barozzi da Vignola ed il suo libro dei cinque ordini d’architettura nel quale, pur dichiarando un sincero apprezzamento per l’opera del maestro, con una accesa presa di posizione, si compiaceva del fatto che lo studio degli ordini tracciati in ossequio alla regola di Vignola fosse stato escluso dai programmi di insegnamento ministeriale.
Secondo il metodo di Vignola, le dimensioni delle diverse partizioni e delle più minute modanature dei cinque ordini di architettura del linguaggio classicista venivano riferite - con semplici ma rigide leggi proporzionali - alla misura del raggio del fusto della colonna. La estrema chiarezza di questo metodo, che consentiva un rapido apprendimento dei rapporti di misura tra le parti, aveva sancito per oltre tre secoli lo straordinario successo della “regola”, pubblicata in centinaia di edizioni diverse con tavole sempre più dettagliate e commenti sempre più approfonditi.
Per Damiani, l’utilizzo degli ordini di architettura tracciati da Vignola, avviliti nelle più recenti riproposizioni editoriali da una sterile pedanteria, benché di indiscutibile valore educativo, aveva il difetto di «ridurre la composizione degli ordini ad una panacea» allontanando dallo studio diretto dei monumenti dell’antichità. Nelle sue opere didattiche invece Damiani non proponeva alcuno schema di proporzione. Le sue Istituzioni Ornamentali sull’antico e sul vero riportano disegni di ordini architettonici tratti da esempi romani e greci, mentre nelle Istituzioni Architettoniche, dedicate allo studio compositivo di tipologie diverse, gli ordini utilizzati non rispondono ad alcun canone prefissato, ma sono frutto di un proporzionamento sapiente che sotto il controllo di uno sguardo educato manifesta la più matura sensibilità all’equilibrio delle parti. Secondo Damiani, infatti, l’eccellenza nell’arte non poteva prescindere dall’esperienza lenta e faticosa del significato delle forme antiche, dal cui esame approfondito e consapevole scaturisce, con naturale continuità, la creazione di forme autenticamente moderne. Nella seconda metà del XIX secolo, in un periodo in cui le curiosità linguistiche ereditate dal Settecento confluivano apertamente nelle sperimentazioni dei neostili e le acquisizioni rinascimentali scadevano stancamente nella manualistica ottocentesca, l’aspetto rivoluzionario, gioioso ed innovativo della lezione di Damiani - come ci dimostra il suo uso equilibrato e spregiudicato della policromia in architettura - si fondava direttamente sullo studio approfondito delle forme della classicità.

Winckelmann e il Sublime
di Giuseppe Pucci


Il saggio affronta una questione di grande evidenza nella riflessione di Johann Joachim Winckelmann: che cosa è il Sublime? Per risolvere questo nodo, l’autore ripercorre la vicenda dei Gedanken e della Storia delle arti del disegno, alla ricerca di un formulazione teorica che identifica il Sublime come un metro di fondamentale importanza per comprendere lo statuto di alcune opere dell’arte classica. Più che uno stile, esso è per Winckelmann un effetto che risuona dall’opera allo spettatore, una sensazione di rapimento capace di trasportare chi osserva le sculture antiche a una dimensione idealmente sovraumana.

Processo a Praga la città, il testimone, la legge
di Gabriele Scaramuzza


Tema conduttore del saggio è la presenza di Praga, mai nominata e tuttavia sempre incombente, in  Il Processo. Il saggio ripercorre la storia del romanzo, soffermandosi sui luoghi, le persone, gli eventi, i nodi problematici in cui la vita della città si riflette. La città non è solo luogo storico-geografico di grande fascino, ma è indice di una serie di situazioni, di eventi, di scenari che si inseguono, si intersecano, di luoghi facilmente riconoscibili o intuibili. Ed è il luogo infine di chi in essa progetta di difendersi scrivendo, come Josef K col suo memoriale, o Kafka stesso nella sua assoluta dedizione alla letteratura. È spazio della grande letteratura che in essa ha radici, ma in ciò anche delle grandi potenzialità artistiche che vi si sviluppano.

«…Si dica quel che si vuole, Raffaello c’entrato di certo»: Il cenacolo di S. Onofrio, un cantiere per la connaisseurship ottocentesca
di Alexander Auf Der Heyde


Oggetto dell’articolo è il dibattito attribuzionistico intorno al Cenacolo peruginesco scoperto nell’ex-refettorio del convento di S. Onofrio a Firenze l’anno 1843. La questione dell’autografia, in primis l’ipotesi raffaellesca, pone il problema metodologico della preminenza dell’esame stilistico rispetto ai più consolidati metodi di verifica storica (epigrafia, diplomatica). L’autore mette in evidenza il contesto storico, politico ed estetico di una scoperta a prima vista clamorosa che perde man mano il peso della sensazione, ma che rappresenta comunque un episodio significativo nella storia della storiografia artistica.

Storia e Arte, Forma e Colore nel primo insegnamento di Lionello Venturi
di Stefano Valeri


Panoramica sui prodromi e sui primi sviluppi del magistero venturiano nell’università di Torino, soprattutto alla luce del polemico rapporto tra l’estetica crociana e una equilibrata adesione al metodo neoidealista di valutazione delle opere d’arte che, nel primo ventennio del Novecento, si costituiscono come basi per una moderna concezione della storia critica dell’arte in Italia. Ciò che viene trascurato nel pensiero di Croce, l’analisi della forma e del colore nell’arte, Venturi invece assume e dimostra storicamente fondamentale nel linguaggio espressivo artistico di tutti i tempi, indispensabile  viatico per la formulazione del giudizio.

“Critica acritica” e altri temi. Un dibattito sulla critica d’arte in Italia 1970-1971
di Michele Dantini


Il saggio raccoglie e considera storiograficamente per la prima volta un insieme di testi nati tra 1970 e 1971 sulla rivista “NAC” (“Notiziario di arte contemporanea”) come contributi a una discussione sulla critica d’arte, i suoi statuti, il pubblico a cui essa si rivolge, le pratiche di ricerca, curatoriali e di scrittura che essa implica; e su quella che appare una “crisi” contemporanea. Prendono parte al dibattito Germano Celant, Aurelio Natali, Piero Raffa, Paolo Fossati, Carla Lonzi, Italo Tomassoni, Marisa Volpi Orlandini, Vittorio Fagone, Tommaso Trini, Luciano Caramel, Carlo Ludovico Ragghianti (in funzione di moderatore e senior super partes). Il dibattito, a tratti aspro, investe il modello istituzionale di critica d’arte pedagogica ed ex cathedra interpretato da Giulio Carlo Argan, tocca la questione dei rapporti tra critica e mercato e spinge i partecipanti a produrre elementi di teoria culturale: se, perché, a quale scopo, come interpretare l’arte nel contesto per più versi costrittivo o “omologante” dell’industria culturale? Un ciclo di immagini di Giulio Paolini, centrato sul tema della “descrizione”, commenta a distanza la discussione.

The posthumous attitude of the contemporary monuments
di Clarissa Ricci


I monumenti manifestano oggi un mutato rapporto con la temporalità. Il saggio individua questo cambiamento definendolo come fondamento “postumo” del “futuro anteriore”. I monumenti presi in esame sono stati realizzati dopo il 1989 senza alcuna funzione commemorativa, pur mantenendo ancora la valenza retorica e la definizione di monumento. Il saggio, partendo dall’analisi di tre opere paradigmatiche, mostra la precipuità di questa fase temporale. Due opere, Monument to a Lost Glove e The Weakening Voice, entrambe di Illya e Emilia Kabakov, sottolineano che la posizione dello spettatore determina la localizzazione temporale. Diversamente l’analisi dell’opera Monument di Rachel Whiteread mostra in forma quasi discorsiva l’essenza della concezione propria del monumento. L’attimo presente è concepito come un continuum tra passato e futuro che fa sì che il “dopo che” continui a resistere. Lo spettatore, che incarna il “postumo” dei monumenti contemporanei in quest’opera è l’unico che “viene dopo”, l’unico rimasto a osservare il sopraggiungere nello stesso momento della fine e del nuovo: il “futuro anteriore”. Il piedistallo vuoto, al quale fanno riferimento questi lavori, è il nuovo interprete del “monumentale”, quasi individuando una piattaforma di un nuovo costruire carico di valori civici.


Abstract - number 4

Ne quid nimis: storia di un emblema umanistico da Achille Bocchi ad Alberto III Pio da Carpi
di Stefano Colonna


This paper analyzes the genesis and the use of the humanist motto “Ne quid nimis”, “nothing in excess”, in literature, miniatures, sculpture and architecture, examining this saying’s mode of transmission, from the miniatures in the books of the Bolognese humanist Achille Bocchi to the sculptures in the courtyard of the castle of the humanist-Prince Albert III Pio da Carpi, former student of Aldo Manuzio, the Elder. In the background is the intriguing presence of Erasmus of Rotterdam, Aldo’s friend, who shows an awareness of this motto and its hidden meanings in his Adagia.

La regola lo sguardo. La critica di Giuseppe Damiani Almeyda al libro dei cinque ordini d’architettura di Vignola
di Edoardo Dotto


In 1878 Giuseppe Damiani Almeyda published Giacomo Barozzi da Vignola ed il suo libro dei cinque ordini d’architettura, a booklet where he asserted to be pleased that the architectonic orders according to Vignola’s rules were left out of courses of ministerial studies.
Although the estreme clearness of Vignola’s design metod, issued in thousands of books, in Damiani’s opinion it was responsible for taking the students away from the straight study of roman and greek ancient architecture.
Differently from Vignola, in his educational works Damiani did not suggest any proportional scheme. Otherwise he taugth to observe with patience and sensitivity the ancient buildings with the aim to detect the deep meaning of figures and shapes. Only by attending directly to the study of greek and roman architecture students would be able to create genuine modern forms.
Even in a period marked by a linguistical experimentalism like the end of 18th century, Damiani’s major works, such as the Politeama of Palermo, distinctly show how the revolutionary, joyful and rigorous architectonic style he developed was straightly founded on his deep and scrupulous study of classical forms.

Winckelmann e il Sublime
di Giuseppe Pucci


This essay addresses a question of great prominence in Johann Joachim Winckelmann’s reflections: what is the Sublime? To untangle this knot, the author retraces the ideas of Gedanken and Storia delle arti del disegno, searching for a theoretical formulation that identifies the Sublime as a measure of fundamental importance for understanding the status of certain classical works of art. More than just a style, for Wincklemann it is an effect that resonates from the work to the viewer, a feeling of rapture that can transport the viewer of ancient sculptures to an ideal, superhuman dimension.

Processo a Praga la città, il testimone, la legge
di Gabriele Scaramuzza


The theme of this essay is the presence of Prague, never mentioned but always looming, in The Trial. The essay traces the story of the novel, focusing on places, people, and events, the troublesome tangles in which the life of the city is reflected. The city is not only a historical and geographical place of great interest, but indexes a number of situations, events and scenarios that are connected to or intersect with easily recognizable or ascertainable places. And finally, it is the place for one who intends to defend himself by writing, like Josef K in his memoir, or Kafka himself in his absolute devotion to literature. It is a space in which great literature has its roots, but also in which great artistic potential develops.

«…Si dica quel che si vuole, Raffaello c’entrato di certo»: Il cenacolo di S. Onofrio, un cantiere per la connaisseurship ottocentesca
di Alexander Auf Der Heyde


The article focuses on the controversy about Perugino’s Last Supper, uncovered in the former-refectory of the Florentine monastery S. Onofrio in 1843. The question of its authorship (often given to the young Raffaello) leads to a complex methodological dilemma: is stylistic analysis the only relevant prove of authenticity and which authority have historical methods such as epigraphy and diplomatics ? The author emphasizes the historical, political and aesthetical context of a discovery which, after gradually losing its sensational character, still plays a relevant role in the history of art historiography.

Storia e Arte, Forma e Colore nel primo insegnamento di Lionello Venturi
di Stefano Valeri


An overview of the beginnings and early development of Venturi’s teachings at the University of Turin, especially in light of the contentious relationship between Crocean aesthetics and a balanced endorsement of the neoidealist method of evaluating works of art that, in the first twenty years of the twentieth century, formed the basis for a modern conception of the critical history of art in Italy. What is neglected in Croce’s thinking, the analysis of form and colour in art, Venturi instead takes up and demonstrates to be historically fundamental in the expressive language of art in all periods, an indispensable resource for the formulation of judgements.

“Critica acritica” e altri temi. Un dibattito sulla critica d’arte in Italia 1970-1971
di Michele Dantini


This is the first-ever collection and historiographic analysis of a series of texts that appeared between 1970 and 1971 in the magazine “NAC” (Bulletin of Contemporary art) as contributions to a debate on the “crisis” of art criticism, its statutes, the audience it addressed and the practices of research, curatorship and writing that it entails. Participants in the debate included Germano Celant, Aurelio Natali, Piero Raffa, Paolo Fossati, Carla Lonzi, Italo Tomassoni, Marisa Volpi Orlandini, Vittorio Fagone, Tommaso Trini, Luciano Caramel, Carlo Ludovico Ragghianti (the latter as moderator and impartial elder). A few drawings of Giulio Paolini, focused on the topics of “description”, seem to subtly comment issues at stake. The discussion, at times heated, attacked the institutional model of pedagogical, ex-cathedra art criticism interpreted by Giulio Carlo Argan (defended solely by Tomassoni), invested the issue of the relatioshionships between art and art market and ended up involving the participants in a social and political reflection upon interpretation. If, how, why and at what condition are we authorised to interpret artworks in the limiting or “homologizing” context of the culture industry?

The posthumous attitude of the contemporary monuments
di Clarissa Ricci


Monuments today show a changed paradigm in the relation with temporality. The paper, addresses this change and defines it as the “posthumous” attitude of the “future anterior”.
The monuments taken into consideration for this analysis belong to a period after the 1989 and are characterized by a non-specific historical celebration, even though still maintain the “monument” rhetoric and name. The paper shows, through the methodological analysis of three artworks, the main characteristic of this temporal mode.
Two artworks, both by Illya and Emilia Kabakov, Monument to a Lost Glove and The Weakening Voice, underline how the position of the viewer determines the locality of temporality. Instead the analysis of Monument by Rachel Whiteread highlights in a discursive way how the constituency of a monument is conceived. The present, the actuality, is perceived as a constant movement, backwards and forward, between past and future, allowing the “after” to continuously takes place. The viewer, whom embodies the posthumous nature of contemporary monuments, is intended in these works as the one who “comes after”, the one who is let to see the end and at the same time a new becoming: the Future Anterior.
The empty pedestal, which all of these works refer to is the new actor of the “monumental”, enacting a platform for civic construction.