La chiesa caccamese di S. Benedetto, gioiello della decorazione palermitana in stile barocchetto-rocaille, è stata interessata da un lungo restauro da parte della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Palermo, conclusosi nel 2012, che ne ha evidenziato al meglio le peculiarità artistiche e l’alto livello delle maestranze che vi presero parte.
L’interno appare esemplato in buona parte sugli oratori serpottiani di Palermo, nelle lesene scanalate che scandiscono l’unica navata con due altari per lato e affiancano il profondo cappellone, decorato con stucchi e affreschi, come l’intera aula, mentre ai lati dell’arcone presbiteriale sono deposte due statue di Virtù – Castità e Obbedienza –, e nel catino absidale un altorilievo con la Cena in Emmaus, che ricorda ancora i teatrini plastici del Serpotta. Per il resto la decorazione, lungi dall’aggredire le superfici, tende ad evidenziare gli elementi architettonici già presenti, con profilature dorate, entro cui s’inseriscono ghirlande vegetali e bassorilievi figurati, e ad abbellire tali elementi – cornici, arcate, lunette, finestre – con conchiglie o gruppi di testine d’angeli e putti che reggono ghirlande, avvalendosi dell’elegante contrasto bianco-oro.
Il coro della chiesa poi è caratterizzato da una scenografica grata in ferro battuto, del secolo precedente, tipica delle chiese benedettine siciliane, ed altre grate più piccole costellano le pareti della navata, mentre il pavimento in piastrelle maiolicate rappresenta uno dei massimi esempi ancora intatti di ceramica palermitana a disegno unitario, del periodo tardo-barocco (prima metà del sec. XVIII).
Un fortunato ritrovamento documentario ci svela la paternità della decorazione settecentesca della chiesa, accreditandola al poco noto architetto-disegnatore Vincenzo Giovenco, facendo nuova luce anche sulla decorazione dei deliziosi interni settecenteschi siciliani e sulla libertà o meno degli artisti esecutori nei confronti degli architetti ideatori delle decorazioni.
Il documento dunque rivela la sconosciuta attività del cav. Vincenzo Giovenco e Abbate, noto finora come amministratore della Fabbrica nuova di ceramiche al Borgo di S. Lucia, alla Cala, che egli fonda nel 1760, successivamente a quella di Nicolò Sarzana.[1] Il fatto che nello stesso edificio caccamese sia presente poi uno dei più importanti pavimenti maiolicati del palermitano, apre nuovi interrogativi sul ruolo del Giovenco anche riguardo al settore delle ceramiche, sebbene il pavimento sembri più antico di qualche decennio.[2] È possibile in ogni caso che la venuta dell’artista palermitano a Caccamo possa essere relazionata alla figura del Sarzana che aveva fornito l’altro pavimento per la vicina chiesa della SS. Annunziata (1752), e non è escluso che il Giovenco, certo molto edotto nel settore delle ceramiche, prima di fondare la sua fabbrica, avesse collaborato col ceramista palermitano per il disegno di alcuni dei suoi pavimenti maiolicati, secondo la prassi individuata per la prima volta dal Giuliana Alajmo.
Dal documento si evince che la decorazione a stucco della chiesa viene realizzata dai plasticatori Francesco Alajmo e Giuseppe Romano – forse coadiuvato dal figlio Luigi, il cui nome peraltro si trova inciso in uno dei coretti della chiesa – noti per aver lavorato in alcune chiese palermitane, sebbene mai da comprimari.[3]
Il documento fa luce altresì sulla questione dell’interrelazione fra le arti, sollevata pure per gli oratori serpottiani, alcuni disegnati dagli architetti Amato – Paolo e Giacomo – ove la posizione del Serpotta non è tuttora ben definita: partecipò egli stesso all’ideazione delle decorazioni o era un semplice esecutore di idee altrui?[4]
La decorazione della chiesa caccamese, commissionata dalla badessa Gallegra, sorella del parroco della vicina chiesa dell’Annunziata Filippo Gallegra, viene completata dall’apposizione delle due Virtù e dal rilievo della Cena in Emmaus, di Bartolomeo Sanseverino, di cui s’è detto sopra, fuori contratto perché più tarde (1755). Ne vien fuori «un raffinato teatro arcadico, forse vivificato dai rinnovati contatti con la cultura napoletana, favoriti dalla riunificazione dell’isola sotto il regno borbonico».[5]
Dal documento risulta chiaramente che al Giovenco si deve pure la delineazione dei tre quadroni affrescati della chiesa, nonché la scelta del soggetto di essi, che appare abbastanza sapiente e ponderata: per la volta della navata, egli sceglie un episodio della vita del santo titolare dell’ordine, S. Benedetto accoglie i giovinetti S. Mauro e S. Placido venuti da Roma con i rispettivi genitori; per la volta della zona presbiteriale, un episodio del Vecchio testamento, Il sacrificio di Isacco; per la volta del coro, un episodio del Nuovo testamento, l’Assunzione della Vergine. Allo stesso cavalier Giovenco è dovuta la scelta del pittore Antonio Petringa, ligio ai canoni della pittura tardo-barocca romano-napoletana, dotato di piacevole cromatismo, che verte sui toni dell’azzurro, del rosso scuro e del verde, col quale riscatta la convenzionalità degli schemi compositivi.
Il Giovenco dunque, di cui non è specificata la qualifica, potrebbe essere uno di quegli artisti o intendenti d’arte – ai quali in genere, nella stipula dei contratti, veniva riservata la formula «benvisto all’Illmo…» o «come dirà l’Ill.mo…» –, che grazie alla rispettabilità del nome ed affidabilità personale, godevano di piena fiducia presso i committenti, laici o religiosi che fossero.
Egli infine, da quest’unica opera nota, risulta dotato di un gusto aggraziato ed elegante che ondeggia tra il barocchetto e il tardo rococò, ma anche abbastanza edotto nell’iconografia sacra del tempo e vicino alle esigenze della committenza ecclesiastica.
DOCUMENTO
Archivio di Stato di Palermo – Notai defunti, st. IV – Francesco Tugnini, v. 6062, ff. 166-171 (estratto).
Die vigesimo decimonono septembris
Millesimo septingesimo quinquagesimo quarto
Franciscus Alaimo et Joseph Romano stucchiatores […] Alojsius Romano filii ditti Joseph absenti […] se obligant Reverendo Sacerdoti Don Joseph Trapani uti commendatario Sororis D. Gratiae Mariae Gallegra uti Abbatissae Ven. Monasteriis Sancti Benedicti Civitatis Caccabi farci tutte l’opere di stucchiatore per lo nuovo stucco da farsi nella chiesa […] consistente in tutta l’intiera impilastrata di primo e secondo ordine, damuso, timpagni, di cappelle e cappellone, lati e tutti quell’adorni e grottesche come s’osservano nel disegno, come pure il sottocoro et anche sopra coro di detta chiesa, cioè dove è la clausura del resto dovendolo fare di tutta perfezione a tenore del disegno, o come meglio gli verrà ordinato dal Sr Don Vincenzo Giovenco e Abbate, come pure s’obligano far pittare il quadrone del Dammuso d’un pittore perito benvisto et eligendo dal d.o Sr Don Vincenzo Giovenco e Abate a proprie spese di detti obliganti con darli do Sr di Giovenco l’idea della Pittura […].
Inserantur capitula
Capitoli Patti e Condizioni d’osservarsi d’uno o più partitari che saranno quali prenderanno a fare tutte l’opere di stuchiatore per lo novo stucco da farsi nella chiesa dello Venerabile Monasterio sotto titolo di San Benedetto nella Città di Caccamo consistente in tutta l’intiera impilastrata di primo e secondo ordine dammuso timpagni di cappelle e capellone, lati e tutti quelli adorni e grottesche come s’osservano nel disegno come pure il sotto coro, ed anche sopra coro di detta chiesa cioè dove è la clausura del resto dovendolo fare di tutta perfezione, a tenore del disegno o come meglio gli verrà ordinato dall’Ill. Sig. don Vicenzo Giuvenco ed Abate, ed a tenore delle seguenti Capitoli Patti e Condizioni cioè
E prima siano o s’intendano obligati li partitari che saranno a dovere pecuniare tutte le mura in quelle parti che si ricerca a tenore del disegno e ponerci tutti quelli morsaglie a ferizzo ben murati e stipati con gesso e calce con uscirci quelli ogetti che si ricerca tanto per pilastri quanto per membretti, cornicione del primo e secondo ordine per tutto l’intiero giro di nave e cappellone Basi ed in tutte quelle parti che occorreranno
E più s’intendono obligati a dovere rizzare con arena di fiume ben netta e crivellata mescolata con calce e gesso della migliore qualità la volta dello dammuso tutti li basi pilastri, membretti cornicione di primo e secondo ordine e tutti li fondi e damusi di detta Chiesa
Siano pure obligati a dovere formare con stucco tutti li fasci, contrafasci di piedi e con suoi basi attiarghi ben scorniciati, capitelli, architrave e cornicione con stucco ben netto e governato, mescolato con polvere di marmo, e formare tutti quelli pilastri scannillati connexe nel primo 3° e membretti anche scannillati e questi farli con sue sagome di legname bene a piombo e con sporti equali
E più dovere formare con stucco simile tutti quelli capitelli d’ordine corinthio con sue foglie e voluti tanto in detti pilastri quanto nelle membretti di detta nave e Cappellone
E più siano nell’obligo dovere formare con stucco equale tutta l’architrave per l’intiero giro di detta chiesa e Cappellone con uscirci l’ogetti sopra li vivi delle detti pilastri e membretti e questo farlo con tutte quelle moderi di legname che necesitano, e giusta la forma del disegno, s’anche siano nell’obligo fare il suo freggio sopra detta architrave e quelli medesimi giri con suo aggetto sopra, li vivi delli istessi pilastri bene e magistrabilmente
E più dovere fare lo cornicione per lo giro dell’istessa e Cappellone e farlo con tutti quelli moderi scorniciati giusta la forma di Giacomo Barozzio da Vignola con suoi dentelli e modiglioni e formarci tutti quelli oggetti di scoche sopra li vivi delle medesime pilastri e membretti
E più dovere fare li cimasi nelli pedi delli girlandi con numero 4 girlandi per numero 4 Capelle con sue teste di serafine e fistine per imposti di detti girlandi, con dovere formare un'altra girlanda per la boccatura dello Capellone scorniciata con sue teste festine e svolazzo e brachittone attorno la finestra sopra con sua fascia ed adorno di cornice e grotescho, e due bottini nelli lati con sue festine come megliono appaiono nel disegno
Si pure siano obligati fare tutti l’impilastrati, fasci, fisaiolo, freggio e cimasi per l’ordine bastardo di sopra li vivi delli detti impilastrati del primo ordine, con suoi riquatri, sfondati e scorniciati, si pure adornare con suo brachittone attorno li spighi di quatro lunette con suo grotescho p. imposte festine alle lati a formarci il suo riquatro nelli strumbati delle lunette e riquatri nelli campi delli timpagni di detti lunetti, si anche adornare con brachittone fasci grotesche e fistine numero 4 finestre che donano lume alla suddetta Chiesa
E più siano nell’obligo li medesimi partitarij che saranno dovere fare n° 2 fascione e due a libro, quali girano in tutta l’intiera volta dello dammuso di detta nave, e si pure altri n° 4 porzioni di fascioni con suoi cartocci in testa sino ad investire il brachittone dello quatrone di d.o dammuso, e questi da farli con suoi riquatri e fioroni e suoi membretti sopra li vivi delli pilastri del cappellone, ben stuchiati e poluti ed adornare due lunette con suo brachittone, festine e riquatri, come pure adornare due grade con suo fascione di piedi, brachittone, fascette, palme, fisaioli, cimase contornate, due teste di serafine per ogniuna d’essi e sue festine sopra come nel disegno appaiono o come meglio gli veranno ordinati dall’Ill.mo Sig. don Vicenzo Giovenco ed Abate
E più stuchiare tutti li campi dello primo ordine di detta nave e cappellone sud.o, tutto lo timpagno della boccatura del Cappellone, e succeli, e lati delli pilastri dell’anzidette Cappelle con farci tutti li riquatri, contornati e scorniciati, e suoi fistine, e sue grotesche nelli vani dell’istesse riquatri e tutto quello e quanto si ricerca per la totale perfezione dell’istessa
Ed infine sia nel obligo di trasportare tutta quella quantità di sterro e pietra della d.a Chiesa, quale si farà per causa di d.e opere con farla trasportare a’ suoi loghi soliti dove gli saranno designati, a sue proprie spese […].
Patti e Condizioni d’osservarsi dalli partitari che saranno […].
E prima procede di patto che debbano fare le suddette opere di mastrie e di tutto quello attratto che necessita per la totale perfezione di detta chiesa si di calce con doverla trasportare di S.o Martino sopra la città di Montereale per far lo solo stucco e con tutte quelle portature necessarie a sue proprie spese, si pure di gesso e polvere di marmo, ed arena di fiume ben netta come pare di tutto quello e quanto necesita p. detta
E più che lo stucco sia ben governato bianco e poluto senza veruna linea per li campi lisci di detta come pure per tutti li fasci controfasci scorniciati con quelle sagome che s’osservano nel cennato disegno o come meglio gli verranno ordinati dall’Ill.mo Signor D. Vicenzo Givencho ed Abate, come pure per fare li convexe nello primo 3° e concave nelle ultime 2.3e. tirate con le sue moderi necessarij ben dritti di linea retta senza curvita veruna come pure tutti quelli capitelli d’ordine corinthio giusta la forma di Giacomo Barozzio, e tutti li scorniciati e cornicione che siano tutti bene e magistrabilmente eseguiti secondo ricerca l’arte e giusta la forma che s’osservano nel disegno e delli sopradetti Capitoli, o come meglio gli verrà ordinato dall’Ill. Sig. d. Vicenzo.
Come pure siano obligati fare tutti li ponti necessari per li sudd.e opere a sue proprie spese con che però la Sig.ra Madre Abbadessa gli debba consegnare pronta tutta quella legname tanto d’ossatura quanto d’intavolatura cordi ed altri necessarij per la intiera formazione di d.o Ponte del resto dovendolo fare a sue proprie spese con tutte quelle portature e riportature necessarij, ed al fine eseguite le suddette opere di tutto punto e perfezionate, siano obligati a ripostare la suddetta legname nello luogho che gli sarà designato dalla Madre Abadessa e queste a sue proprie spese dovendo consegnarcela nell’istessa Città
E più che tutti li soprascritti opere s’intendono di tutto attratto e mastria portature cesso, recesso e tutto quello e quanto necesita per la totale perfezione di d.a Chiesa
E più che debba stare al parere ed ordine dello Sig.Ill.mo Don Vicenzo e che ritrovandosi qualche opera di stucco non eseguita secondo lo sopracennato disegno o ritrovandosi lo stucco di mala qualità o per malo governo o per non essere perfettamente poluto o per mancanza d’assistenza personale o per qualsisia altro difetto, in tal caso siano nel obligo di rifarsi a sue proprie spese senza paghamento veruno.
E più siano dell’obligo di dovere fare partenza d.i partitarij d’un subito che sarà fatto il contratto obligatario con d.i partitarij e d.o Ven.le Monasterio ed arrivati a d.ta Città d’un subito incominciare le sudd. opere e così successivamente andare lavorando colla personale assistenza di d.ti partitarij sino a tanto che sarà perfezionata di tutto punto la sud. chiesa con ché però il denaro se gli debba somministrare a pro’ dell’opere che anderanno operando dovendo sempre restare in credito d.o Ven.le […] Per sua cautela qualche somma proporzionata pagando al fine lo computo della somma essendo perfezionata di tutto punto.
E più li sudd. partitarij siano nell’obligo a fare sudd. Opere […] secondo la formazione delli presenti Capitoli, patti e condizioni.
Ed infine ritrovandosi le sudd. opere di stucco fatti bene e magistrabilmente secondo lo sopradetto disegno, e perfezionato di tutto punto con tutto quello attratto necessario e mastrie con doverla consegnare tutta ben governata e poluta senza veruna fiacha e sbarazzata d’ogni impachio, con dovere trasportare li cimenti e sterro, e legname a’ suoi loghi designandi a sue proprie spese al fine trovandosi di tutta perfezione se gli darà la somma di once ducento – per tutto suo attratto e mastria, portature, riportature, cesso e ricesso in tutto la somma sopradetta e non più, senza potere riclamare così di concerto ed accordio dico o. 200 […].
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1 R. Daidone, Le officine palermitane di maiolica della seconda metà del Settecento, in Terzo fuoco a Palermo 1760-1825. Ceramiche di Sperlinga e Malvica, a cura di L. Arbace, R. Daidone, Introduzione di V. Abbate, Arnaldo Lombardi, Palermo 1997, pp. 17-29, p. 22.
2 Molti studiosi (A. Giuliana Alajmo, 1956; G. Giacomazzi, Caccamo, 1965) hanno ritenuto la pavimentazione della Badia opera del maestro Nicola Sarzana, ceramista palermitano che nel 1751 aveva realizzato quella della vicina chiesa della SS. Annunziata. Concluso questo lavoro, gli studiosi hanno ipotizzato che la badessa del monastero benedettino, sorella dell’arciprete della SS. Annunziata, Filippo Gallegra, avesse deciso di incaricare lo stesso artista. In realtà, come hanno scritto Antonino Ragona (La maiolica siciliana dalle origini all’ottocento, 1975) e altri studiosi, l’opera, stilisticamente di cultura tardo-barocca, è di fattura più antica e se ne deve anticipare la datazione al primo trentennio del XVIII secolo, periodo di grande splendore della produzione figulina palermitana. Tra le opere più importanti si ricordano: le pavimentazioni degli oratori palermitani di S. Mercurio (1715) e dei Pellegrini (1719), entrambe commissionate al maestro Sebastiano Gurrello; quella di Sant’Elena e Costantino con la raffigurazione della Battaglia di Ponte Milvio, dipinta da Antonino Gurrello (1730); i pannelli murali raffiguranti il SS. Crocifisso e S. Ciro, rispettivamente collocati all’esterno della chiesa della Collegiata a Monreale e della chiesa Madre di Marineo. Cfr. M. Reginella, Maduni pinti. Pavimenti e rivestimenti maiolicati in Sicilia, Maimone, Catania 2013, pp. 121-122.
3 D. Garstang, Giacomo Serpotta e gli stuccatori di Palermo, Sellerio, Palermo 1990, p. 253, p. 289, n. 12, p. 291. Francesco Alajmo esegue gli stucchi in S. Antonio Abate (1739) e, insieme a Bartolomeo Sanseverino, restaura gli stucchi serpottiani della chiesa di S. Matteo nel 1739, Luigi Romano esegue gli stucchi del secondo ordine della facciata di S. Ninfa dei Crociferi, su disegno di F. Lombardo nel 1760-61.
4 S. Grasso, Il valore della tradizione, in Giacomo Serpotta. L’oratorio del Rosario in Santa Cita a Palermo, a cura di S. Grasso, G. Mendola, C. Scordato, V. Viola, Facoltà Teologica di Sicilia, Leonforte 2015, pp. 39-56, in part. pp. 39-42.
5 A. Cuccia, Caccamo. I segni artistici, Introduzione di M.G. Paolini, Cassa rurale ed artigiana S. Giorgio di Caccamo, Palermo 1988, pp. 97-100.