Tra la seconda metà del XIX e l’inizio del XX secolo, l’attività archeologica in Italia viene regolata dalla legislazione in ambito di restauro e conservazione del patrimonio artistico e monumentale.
Nel 1827 già esisteva, a Palermo, la Commissione di Antichità e Belle Arti, diretta da Domenico Lo Faso Pietrasanta, che si occupava di monitorare le esportazioni, istituiva il diritto di prelazione da parte dello Stato e provvedeva alla selezione delle opere da acquisire per il Museo della R. Università[1]. In Sicilia, nel 1860, Gregorio Ugdulena è nominato Ministro della Pubblica Istruzione e contemporaneamente si costituisce la cattedra di Archeologia presso l’Università di Palermo, il cui ordinario sarà dal 1873 anche direttore del Museo Nazionale. Nel 1861, grazie ai finanziamenti, si attivano alcune campagne di scavo in cui troviamo impegnato Giuseppe Meli[2], pittore, storico dell’arte e membro della Commissione di Antichità e Belle Arti. Si diffondono notizie sugli scavi anche nella stampa periodica: dall’1 settembre del 1863 è pubblicato a Palermo il “Giornale di Antichità e Belle Arti”, un quindicinale che ebbe come editore l’architetto palermitano Giovan Battista Filippo Basile[3].
Nel 1865 la cattedra universitaria di archeologia è affidata ad Antonino Salinas[4], che nove anni più tardi verrà designato alla direzione del Museo Nazionale (carica mantenuta fino al 1913) istituto che, dopo la soppressione degli ordini religiosi, era stato trasferito nel 1867 nei locali dell’ex convento della congregazione di S. Filippo Neri all’Olivella.
Pochi anni dopo, nel 1875, il nuovo Stato costituisce a Roma, in sostituzione della Soprintendenza, la Direzione centrale degli Scavi e dei Musei del Regno. La Direzione, con competenze territoriali amplissime, fu affidata dal ministro Ruggero Bonghi all’archeologo Giuseppe Fiorelli[5], dal 1860 direttore del Museo di San Martino a Napoli e degli scavi di Pompei.
Per Fiorelli, che resse la carica fino al 1891, il patrimonio artistico sta alla base della conoscenza e dell’identità storica dello Stato. Nell’organigramma nazionale, il principe Francesco Lanza di Scalea[6] è nominato Commissario per gli scavi e per i musei dell’Isola di Sicilia la cui politica culturale risulta in perfetto accordo con quella del direttore del museo di Palermo, Antonino Salinas, e con Giuseppe Fiorelli a Roma. Lanza di Scalea finanziò numerose attività di scavo in Sicilia assegnando la direzione dei lavori di Selinunte a Francesco Saverio Cavallari, architetto-archeologo e incisore, che pubblicherà gli esiti delle sue ricerche su numerosi periodici[7].
La Carta italiana del restauro[8], redatta nel 1883, assicurava il principio per cui l’intervento sui monumenti architettonici, dove indispensabile, venisse rivolto più al consolidamento che alla ricostruzione. Inoltre diviene importante rimuovere tutti gli elementi aggiunti nel corso del tempo tranne quelli ai quali viene riconosciuto un valore artistico. La documentazione è formata dal progetto di restauro, che comprende i rilievi architettonici per le strutture e disegni descrittivi per le decorazioni, e da una sequenza fotografica che documenta l’evoluzione dei lavori. Le copie dovevano essere depositate presso l’ufficio di competenza (nel caso di edifici religiosi, presso l’ente ecclesiastico di riferimento) e presso il Ministero della Pubblica Istruzione. Infine, si previde di apporre una lapide con incisa la data e le opere effettuate a fine lavori.
Questo documento porrà le basi per le successive direttive in materia di restauro come la Carta del restauro del 1932[9], che inserirà il concetto di “prevenzione” e successivamente, in base alla Costituzione Italiana e all’art. 9 che promuove lo sviluppo della ricerca e della cultura, l’attività legislativa si concentrerà sulla tutela, la conservazione e la fruizione delle opere da parte dei cittadini.
Lo Stato incentiva la creazione di Musei Nazionali e promuove gli scavi archeologici su tutto il territorio. Questa condizione argina, in qualche modo, il problema degli scavi clandestini e il relativo commercio illegale delle opere trafugate, tema affrontato dalla legge 182 del 1902 (Legge Nasi) che porrà le basi per la più fortunata, in termine di applicazione, legge 364 del 1909 (legge Rosadi) più specifica in materia di esportazione, scavi, tutela e restauro[10].
Questo assetto legislativo, predispone la stesura sistematica degli elenchi di opere d’arte presenti sul territorio; ciò influenza anche il campo delle pubblicazioni fino alla creazione di riviste specializzate esclusivamente sulle tematiche dell’arte, nelle quali confluiscono articoli provenienti da tutte le regioni d’Italia.
Con la legge 386 del 1907 si sancisce il ruolo delle Soprintendenze[11]; nel caso specifico della Sicilia, le sedi principali designate sono Siracusa e Palermo, quest’ultima assegnata al palermitano Antonino Salinas.
In questo contesto, opera l’archeologo roveretano Paolo Orsi, giunto in Sicilia nel 1889[12] e incaricato alla Direzione della Soprintendenza di Siracusa. L’attività archeologica di Orsi viene costantemente riportata nelle pagine del “Bollettino d’Arte”, il periodico fondato da Corrado Ricci come organo ufficiale d’informazione del Ministero di antichità e Belle Arti[13], in cui convergono sia le notizie relative ai ritrovamenti sia la gestione burocratica inizialmente descritte dai funzionari statali.
Nel “Bollettino” sono pubblicati i resoconti dei restauri effettuati dalle Soprintendenze. Un articolo di Paolo Orsi titolato L’Opera delle Sovrintendenze dei Monumenti, delle Gallerie, dei Musei e degli Scavi[14] elencava nel 1917 i lavori compiuti negli ultimi nove anni dalla Soprintendenza di Siracusa.
Nella premessa l’archeologo lamenta la carenza del personale in servizio, ma contemporaneamente esalta l’operato di alcuni dipendenti tra i quali cita Sebastiano Agati [fig. 1], oggetto del presente studio:
La R. Soprintendenza dei Monumenti in Siracusa, con giurisdizione sulle province di Catania e Siracusa, fu istituita sullo scorcio del 1908, ma solo coll’anno seguente cominciò a svolgere una regolare attività. Nei primi anni si ebbe una dotazione soddisfacente, di molto ridotta nell’ultimo biennio, ma il difetto di personale tecnico-scientifico-amministrativo ha intralciato sempre i propositi della Direzione. In condizioni siffattamente sfavorevoli, l’Ufficio ha potuto non pertanto svolgere un’assai proficua attività mercé lo zelo e l’abnegazione dei suoi pochissimi impiegati, dei quali piacemi citare a titolo di onore e riconoscenza il prof. Seb. Agati, che attese alle mansioni di architetto e d’ispettore[15].
Prima di passare in rassegna un vero e proprio elenco dei lavori effettuati in tutte le aree di competenza della Soprintendenza, Orsi illustra con quale criterio ha guidato la gestione della soprintendenza:
L’opera della Soprintendenza si è naturalmente svolta in campi diversi; a prescindere dall’ordinaria manutenzione dei monumenti statali e dalla vigilanza sopra quelli di proprietà privata, comunale ed ecclesiastica, si è provveduto: a) ad espropri e sgomberi per isolamento di monumenti; b) a restauri veri e propri, ed a consolidamenti. L’intervento dei monumenti della regione è, si può dire, completo; pressoché nulla invece si è fatto, per la dianzi lamentata mancanza di personale tecnico, di rilevamenti e riproduzioni fotografiche. L’Ufficio è venuto anche formando una Biblioteca ed una raccolta fotografica, ambedue però modestissime[16].
Dopo un elenco dettagliato dei lavori effettuati nelle province di Catania e Siracusa, Orsi descrive i lavori eseguiti nella città di Catania:
Vaste opere di sgombero e di consolidamento alle gallerie dell’Anfiteatro, con concorso del Municipio.
Espropriazioni nell’Odeon, per oltre L. 33 mila, al fine di procedere ad un graduale isolamento dello stesso.
Lavori di rassetto all’ingresso del Teatro greco.
Nuovo accesso agli ambienti sotterranei del Foro Romano e conseguenti espropriazioni.
Lavori per l’accesso ai ruderi della casa di S. Agata.
Concorso ai restauri della cappella del Crocefisso nel Duomo per L. 1000.
All’opera svolta dalla Soprintendenza in Catania ha prestato sempre zelantissimo ed intelligente concorso l’Ispettore onorario del circondario, Ing. Salv. Sciuto-Patti, altamente benemerito della tutela monumentale della sua città[17].
L’articolo si chiude con la descrizione dei lavori effettuati nella città di Siracusa, in particolare la fine dei lavori di restauro del Duomo che prevedeva il ripristino delle parti originali del tempio di Atena [figg. 2-3] e un accenno sul recupero di Palazzo Bellomo:
Nel Duomo, l’antico tempio di Athena, sopra progetto della Soprintendenza di Palermo, si condussero felicemente a termine vasti lavori per circa L. 60,000, col largo concorso di vari enti, e della liberalità dell’arcivescovo monsignor L. Bignami. Fu consolidato e restaurato il grande soffitto in legno del 1518 della nave centrale; si scrostarono le colonne doriche, deturpate da secolari intonachi, così che ora anche l’edificio greco può assai meglio studiarsi che prima non fosse. Vennero restaurate le pitture dello Scilla nella cappella del Sacramento. Nell’ultimo decennio la Cattedrale ha subita una vera trasformazione, mettendo quanto più era possibile in vista della parte greca, della bizantino-normanna e di quanto di artistico deriva da secoli successivi. La scrupolosa esecuzione di questi lavori ha riscosso il plauso dei numerosi archeologi ed architetti italiani e stranieri, che negli ultimi anni hanno visitato il venerando monumento. […] La Soprintendenza diede lumi, ausilio e denaro anche per i restauri del palazzo Bellomo, sede delle raccolte medioevali[18].
Nella complessa attività dell’archeologo, è importante evidenziare anche la fondazione nel 1920, insieme ad Umberto Zanotti Bianco, della Società della Magna Grecia, di cui è utile riportare lo statuto[19].
Sempre a Paolo Orsi e Umberto Zanotti Bianco si deve la fondazione, nel 1931, dell’“Archivio storico per la Calabria e la Lucania”, nella cui premessa Orsi scrive:
Nel dar vita a questo Archivio noi non dobbiamo mirare soltanto ad offrire un autorevole organo ai migliori cultori di studi storici delle due regioni ove la disperazione delle forze è oggi ancora attestata – come più volte lamentai – dal pullulare di una pleiade di piccole riviste povere di mezzi e quasi sempre di contenuto; ma dobbiamo compiere altresì tra i giovani studiosi un’opera educativa[20].
Nello stesso anno, la Società Magna Grecia finanzia il recupero del Tempio di Apollo a Siracusa [figg. 4-5]. Scrive Orsi:
Il tempio di Apollo in Ortygia è il più vetusto non solo di Siracusa, ma della Sicilia e della Magna Grecia. I suoi mutili avanzi, le sue colone ridotte in parte ad informi tronconi e profondamente rose dalla salsedine e dalle offese dell’uomo, sono oggetto di continui studi da parte degli archeologi, come gli epigrafisti si accaniscono attorno alla grande iscrizione che incide uno dei gradini dell’entrata. È verosimile che i primi coloni di Ortygia, appena sistemata dopo brevi lustri la difesa della città, ancora nel VII secolo abbiano posto mano alla costruzione di due santuari; quello della dea poliate del centro dell’isolotti (Athenanion) e quello di Apollo Arcageta, guida dei nuovi coloni, che lambiva quasi il grande canale proteggente l’accesso di Ortygia. Le forme tectoniche sviluppate in questo santuario appartengono al dorico più vetusto. Colonne tozze e pesanti (6 nei fronti, 17 nei lati lunghi) e così fitte come dovessero con un eccessivo accostamento sopperire allo sforzo di reggere il pesante architrave, che in alto doveva essere coronato di piastre fittili dipinte; greve e quasi schiacciato il capitello. L’iscrizione della gradinata d’ingresso, che pure va noverata tra le più antiche dell’isola, secondo una recente interpretazione ricorda che Cleomene di Cnideida dedicò ad Apollo (il tempio) elevando su ogni fronte sei colonne. Profonda è l’impressione che questo venerando rudero, ancora in gran parte soffocato da misere costruzioni, produce in chi l’osserva. Ed il più grande archeologo francese Giorgio Pierrot, dichiarava commosso di non aver visto in Grecia alcunché di simile a codeste colonne, che sembrano poderosi fusti di legno profondamente rosi e tarlati e sono contemporanee a quelle del tempio arcaicissimo di Corinto. Il denudamento delle parti ancora mascherate, e lo sgombero almeno parziale del temenos circostante al tempio promette una quantità di rivelazioni sulla Siracusa primitiva, ed è perciò che la Società Magna Grecia dovrebbe affrontare fidente ed ardimentosa la costosissima impresa[21].
La Società Magna Grecia ben presto promuove anche la tutela di edifici risalenti al periodo paleocristiano e medievale, vengono così stanziati i fondi per il recupero della cripta di San Marziano a Siracusa, ai quali partecipa anche Sebastiano Agati.
Nella lettera dell’11 dicembre 1931 l’archeologo roveretano scrive a Zanotti Bianco un resoconto dei risultati ottenuti durante i lavori di scavo:
11-XI-’31.
Ho seguito per un’ora e mezza la dimostrazione dei risultati conseguiti fin qui, fattami dal Prof. Agati il quale ha rilasciato nelle mie mani ricevuta di L. 3.000. Ma tale somma è stata parecchio sorpassata, e ti sarò grato se potrai mandarmi il resto promesso e impegnato. I lavori sono per ora sospesi, e forse sarebbe opportuno concentrare qui una parte dei mezzi destinati a S. Pietro. I risultati conseguiti a S. Marziano sono, oserei dire, grandiosi: Il terreno appare tutto sconvolto da trincee e quasi da mine. Sconvolte le planimetrie e le idee delle poche e magre pubblicazioni in argomento. Credo veramente che ora possediamo la tomba di S. Marziano. La quale anche prima era in vista. Ma il bravo D’Amico ha fatto opera eccellente di pulitura, consolidamento delle pitture; e così (ciò che prima non si vedeva affatto) il coperchio del sarcofago, e la lunetta di sfondo (ricorderai, esso è inserito in un arcosolio) appare tutto stuccato e coperto di una decorazione, con busti di Santi nello sfondo. Disgraziatamente tutte le pitture (quelle e parecchie altre) sono tutte in condizioni deplorevoli. Inutile pensare ad un distacco; esse devono rimanere sul posto come documento. […] Abbiamo altresì trovato centinaia di frammenti di belle scolture ornamentali-bizantine, di cui Siracusa è pure sempre povera. Penso di dare una larga relazione negli Atti della nostra Magna Grecia Bizantina Medioevale. Ma occorre danaro per la parte grafica e fotografica. […] Altra scoperta è quella di un nuovo ingresso antico, forse (?) prebizantino al Cimitero di S. Giovanni; anche qui vi è una montagna di terra (4 m. di altezza) da eliminare[22].
Nel 1939 è presentata la legge 1089/39 (Legge Bottai) che individua tutte le categorie d’interesse storico-artistico soggette a tutela e traccia le normative fondamentali che saranno alla base delle leggi ancora vigenti. La struttura legislativa e l’organizzazione burocratica permettono alle Soprintendenze di operare significativi interventi nel territorio di competenza. Un affresco dell’attività della tutela in Sicilia è delineato da Guido di Stefano[23], in un interessante e ben documentato contributo su “Archivio Storico Siciliano”[24]. Il lungo excursus tracciato giunge agli anni Cinquanta del Novecento, e comprende l’attività di soprintendenze e funzionari in diversi centri della Sicilia.
In tale quadro, segnato dalla forte personalità di Paolo Orsi nella parte orientale dell’isola, è ricordato anche Sebastiano Agati che, tra il 1902 e il 1949, svolge la sua opera di architetto, storico dell’arte, funzionario tecnico, ispettore onorario a Siracusa.
Profilo
biografico
Le
notizie
su Agati
[fig. 6]
sono
quasi
del
tutto
sconosciute[25].
È stato
possibile
ricostruire
un
profilo
biografico
tramite
le
testimonianze
dirette
dei
nipoti e
le
preziose
notizie
ricavate,
in gran
parte,
da atti
ufficiali
e
documenti
depositati
presso
l’archivio
della
Soprintendenza
di
Siracusa
e presso
l’archivio
del
Museo
Bellomo
della
stessa
città.
Sebastiano
Agati
nasce a
Siracusa
il 5
luglio
1872,
figlio
di
Francesco
e
Giuseppa
Caracciolo,
primo di
sette
tra
fratelli
e
sorelle[26].
Dopo
aver
frequentato
a
Siracusa
la Regia
Scuola
tecnica
“Archimede”
e
conseguito
la
licenza
presso
la
Scuola
d’Arte
applicata
all’industria
di
Siracusa
nel
1889, si
trasferisce
a
Palermo
per
proseguire
gli
studi.
Nel 1891
ottiene
il
diploma
presso
il Regio
Istituto
di Belle
Arti e,
l’anno
successivo,
l’abilitazione
all’insegnamento
del
Disegno
nelle
scuole
tecniche
e
normali[27].
Il primo
febbraio
1893
Agati è
assunto
come
Disegnatore
straordinario
presso
la
soprintendenza
di
Palermo,
due anni
dopo, il
25
ottobre
1895, è
nominato
Disegnatore
nel
ruolo
del
personale
dei
monumenti[28].
Di
questa
attività
sono
state
rintracciate
numerose
accademie
e studi
[figg.
7-11].
Già dal
1902
collabora
con
l’architetto
palermitano
Giuseppe
Patricolo
(1835-1905)[29],
per il
rilievo
icnografico
del
Duomo di
Cefalù[30],
questo
studio
avvicina
il
giovane
studioso
ad una
scrupolosa
attenzione
critica
verso
l’architettura
medievale,
restituita
da un
rilievo
tecnico
di
grande
accuratezza.
L’esperienza
acquisita
nel
campo
delle
tecniche
di
rappresentazione
durante
gli anni
di
formazione
artistica,
infatti,
è
evidente
nella
produzione
grafica
di
Sebastiano
Agati. È
nota
l’attività
di Agati
come
“illustratore”,
in anni
in cui
la
grafica
(disegni
o
stampe)
veniva,
lentamente,
affiancata
dalle
prime
esperienze
della
fotografia.
Oltre le
illustrazioni,
Sebastiano
Agati
scrive
per
alcune
riviste
quali
“La
Sicile
Illustreè”,
e
“Rassegna
d’Arte”,
la sua
breve
attività
letteraria
culmina,
come
vedremo,
con la
pubblicazione,
in
collaborazione
con
Enrico
Mauceri,
di un
libro
dedicato
ai
monumenti
e alle
opere
d’arte
della
Sicilia[31].
Il
lavoro
svolto
nella
pubblica
amministrazione
da
Sebastiano
Agati è
documentato
nelle
schede
di
valutazione
del
personale
compilate
dai
direttori
degli
uffici.
Le
schede
erano
generalmente
annuali
e
contenevano,
oltre le
informazioni
generali
(dati
anagrafici,
titoli
di
studio,
mansioni),
notizie
sul
rendimento
del
dipendente
e
proposte
per
eventuali
promozioni;
ne è un
esempio
quella
redatta
da
Giuseppe
Patricolo
direttore
dell’Ufficio
regionale
per la
conservazione
dei
monumenti
della
Sicilia
in
Palermo[32],
che
scrive
di
Agati:
Questo
funzionario
possiede
un’attitudine
speciale
nel
rilevare
e
disegnare
i
monumenti,
rendendone
con fine
arte il
loro
carattere;
oltre a
ciò si è
rilevato
capacissimo
nel
condurre
lavori
di
restauro,
tenendone
con
diligenza
e
scrupolo
la
contabilità.
Dopo
tanti
anni di
prove
non
dubbie
sarebbe
tempo di
porre
l’Agati
fra i
funzionari
di
ruolo,
dandogli
pure
quella
promozione
che
giustamente
merita;
ciò che
io
raccomando
oggi
vivamente
a
codesto
Ministero.
Nel 1904
è invece
Giuseppe
Rao,
nominato
direttore
al posto
di
Giuseppe
Patricolo,
a
riferire,
per
conto
della
soprintendenza,
sull’operato
di Agati
rivelandone
l’indole
artistica
nello
studio e
nel
disegno:
Abilissimo
nello
studio,
nel
rilievo
e nel
disegno
dei
Monumenti
delle
varie
epoche.
Si è
dedicato
anche
con
amore
allo
studio
della
storia
delle
Belle
Arti in
Sicilia.
Ha dato
buona
prova
come
assistente
nei
lavori
per la
conservazione
dei
Monumenti.
Sempre
Giuseppe
Rao,
nella
consueta
compilazione
della
scheda
sui
dipendenti,
nel 1907
pur
riconoscendo
le
capacità
lavorative
di Agati
ne
lamenta
la
lentezza
per i
lavori
assegnati[33].
L’anno
successivo,
da
Siracusa,
Agati
svolge
funzioni
di
catalogazione
presso
alcune
corporazioni
religiose
e
gestisce
i
servizi
di
custodia
dei
monumenti
di
Siracusa.
Il
direttore
Giuseppe
Rao
nota:
«Ha
avuto
affidato
anche
qualche
incarico
di
ricognizioni
di
oggetti
d’arte
appartenenti
a
corporazioni
religiose
che ha
espletato
lodevolmente;
ed ha
redatto
qualche
perizia
di
lavori
di poca
importanza».
Conclusa
l’esperienza
palermitana,
si
trasferisce
a
Siracusa
presso
la
Soprintendenza
dove
lavorò a
stretto
contatto
con
Paolo
Orsi,
che lì
era
stato
destinato
quale
ispettore
di terza
classe
degli
Scavi,
musei e
gallerie
del
Regno.
L’incontro
con
l’archeologo
roveretano
– figura
complessa,
mentore
di
giovani
studiosi
come
Enrico
Mauceri[34],
storico
dell’arte
siracusano
con il
quale
anche
Agati
avrà
occasione
di
lavorare
– crea
un forte
legame
professionale
e
amichevole
che
finirà
solo con
la morte
di Orsi
nel
1935.
Nella
scheda
di
valutazione
del
1909,
Paolo
Orsi gli
riconosce
«attitudini
all’ufficio
svariatissime
ed
eccellenti.
Funge da
architetto».
E,
infatti,
nel 1911
nelle
osservazioni
speciali
delle
schede
dei
dipendenti
annota:
Per
l’esperienza
che io
ho fatto
del
prof.
Agati,
lo
ritengo
degno
della
promozione
ad
architetto
malgrado
il
difetto
di studi
superiori,
difetto
compensato
da 15
anni di
vita
operosa
vissuta
in mezzo
ai
monumenti.
Nella
stessa
scheda
personale,
si
trovano
enumerati
i lavori
assegnati
ad
Agati:
Restauri
varî a
monumenti
di epoca
classica
e
medievale;
rilievi
e
disegni
dei
monumenti
(Castello
Eurialo,
pal.
Bellomo,
casa
Montalto
a
Siracusa;
chiesa
di S.
Focà a
Priolo;
castello
di Aci
Castello;
chiesa
di S.
Francesco
a Comiso
etc).
Rifacimento
dell’elenco
dei
monumenti
per la
provincia
di
Catania
e
Siracusa.
In
questi
anni
Agati è
al
seguito
di Paolo
Orsi
nelle
campagne
di
archeologia
medievale
in
Calabria,
dove
Orsi
aveva
assunto
la
direzione
della R.
Soprintendenza
(1907);
in
particolare
collabora
al
progetto
di
restauro
della
Cattolica
di Stilo
e della
decorazione
a fresco
risalente
a epoca
bizantina.
Sono
indagini
poi
confluite
in studi
monografici
di Paolo
Orsi[35],
alle
quali
come
storico
dell’arte
medievale
contribuirà,
appunto,
con le
campagne
di scavo
inaugurate
nel 1912
e
nell’anno
seguente,
anche
Agati.
Nel 1909
progetta
l’apertura
di due
balconcini
e una
finestra
al
secondo
piano
(adibito
originariamente
a
soffitta)
di
palazzo
Rizza a
Ortigia
[fig.
12]. Le
indicazioni
dell’architetto
limitano
la
lunghezza
delle
lastre
dei
balconi,
e non
incide
sull’identità
dell’edificio
che
rimane
una
delle
costruzioni
quattrocentesche
private
ad oggi
ben
conservata,
così
come
ebbe a
dire
Paolo
Orsi al
proprietario
Gesualdo
Rizza[36].
I
lavori
nel
Duomo di
Siracusa
si
concludono
nel
1913,
Agati
descrive
la
storia
dell’edificio
e il
modo in
cui sono
state
preservate
le varie
impronte
artistiche
succedute
al
tempio
greco:
A
Siracusa
si
portarono
a
compimento
i
restauri
del
Duomo,
il
quale,
come è
noto, si
sovrappone
ad un
tempio
greco
sacro ad
Athena.
Il
tempio
greco
presenta
nella
sua
struttura,
nelle
linee
nobilmente
austere
delle
sue
colonne,
le forme
del
dorico
perfetto
e
canonico.
Nel VII
secolo
viene
trasformato
in
chiesa
cristiana
dal
vescovo
Zosimo
che, «al
culto
della
più pura
delle
divinità
pagane,
sostituisce
quello
della
Vergine
divina».
Zosimo
lascia
lo
schema
templare
greco
immutato,
ma
chiude
con muri
gl’intercolunni
degli
ambulacri,
apre una
serie di
arcate
nei due
muri
laterali
della
cella,
sì che
il
tempio
viene a
presentare
in
ultimo,
la forma
della
basilica
con una
navata
centrale
e due
laterali.
Alquanto
più
tardi,
dalla
malsicura
sede di
S.
Giovanni
delle
Catacombe,
vi si
trasporta
la
Cattedrale,
onde il
Santuario
subisce
altri
adattamenti,
altre
riforme.
Nei
tristi
secoli
medievali,
Siracusa,
raccolta
nel
breve
isolotto
di
Ortigia,
provvide
come
meglio
potè al
decoro
della
sua
maggior
chiesa,
ed a
riparare
ripetute
volte i
disastrosi
effetti
di
violenti
terremoti.
L’ultimo
e più
grave,
quello
del
1693,
aveva
determinato
il
crollo
della
facciata
normanna,
della
quale è
a
rimpiangere
non sia
rimasta
riproduzione
di
sorta.
Dopo
quella
data,
nefasta
per
tutta la
Sicilia
orientale
ed in
particolare
per il
nostro
tempio,
imperversò
la mania
dei
restauri,
condotti
secondo
la moda
e le
correnti
del
tempo e
senza
riguardo
alle
precedenti
tradizioni
artistiche,
i cui
avanzi
furono
implacabilmente
alterati
e
caricati
d’intonaci
e di
stucchi,
coi
quali
parve si
volesse
cancellare
ogni
traccia
di
paganesimo.
Tali le
condizioni
della
nostra
chiesa,
prima
che vi
ponesse
mano la
Soprintendenza
di
Siracusa,
la quale
esplicò
per più
anni
l’opera
sua,
sorretta
nel
travaglio
della
soluzione
d’infiniti
problemi
tecnici
dagli
incoraggiamenti
di
quanti,
veramente
intendenti
d’arte,
italiani
e
stranieri,
visitarono
il
venerando
santuario
della
storia
di
ventiquattro
secoli.
Conciliare
i segni
artistici
di età
profondamente
disparate
per
concezioni
religiose
e gusto
d’arte,
dalla
greca
alla
settecentesca,
attraverso
Bizantini,
Normanni,
Aragonesi,
parve
dapprima
problema
insolubile.
Ed
invero
non era
agevole,
trovare,
in un
monumento
che
accoglie
come un
grandioso
palinsesto
le
impronte
disparate
di tanti
secoli,
un
motivo
unificatore
al quale
potesse
subordinarsi
la
complessa
condotta
dei
restauri.
Ma i
lavori
compiuti
sotto la
direzione
di chi
scrive
queste
brevi
note,
con il
continuo
consiglio
di P.
Orsi,
diedero
il modo
di
cogliere
in pieno
la
struttura
del
tempio
greco,
nulla
sacrificando
delle
manifestazioni
delle
epoche
successive.
Tutto
ciò che
di ogni
età, era
storicamente
ed
artisticamente
degno,
fu
scrupolosamente
conservato
e messo
in
miglior
vista,
sì che
il
tempio
oggi
rifulge,
senza
aspri
contrasti
in tutta
la sua
austera
bellezza
dalle
linee
armoniose
dell’ignoto
architetto
dorico
del V
secolo
avanti
Cristo,
fino
alle
tarde ma
nobili
decorazioni
sia
pittoriche
che
architettoniche
dello
Scilla e
del
Picherale[37].
Poco
dopo,
Agati è
nominato
Ispettore
Onorario
della
Soprintendenza
di
Siracusa,
diretta
da Paolo
Orsi che
amministra
anche il
Museo
Archeologico
e
fornisce
periodicamente
informazioni
riguardanti
gli
scavi, i
lavori
di
restauro,
le
acquisizioni.
Proprio
per una
direttiva
mandata
dal
Ministero,
in cui
si
chiede
alle
Soprintendenze
di
creare
un
elenco
di
monumenti
da
salvaguardare,
Agati è
designato
catalogatore
dal
ministero[38].
La
pubblicazione
apparirà
nel 1917
con
un’introduzione
di Paolo
Orsi:
Nello
scorrere
l’Elenco
degli
edifici
monumentali
della
provincia
di
Siracusa,
che ho
l’onore
di
presentare
alla S.
V.
Illustrissima,
sono
rimasto
colpito
io
stesso
dal
numero
relativamente
esiguo
di essi.
[…] Una
tale
deficienza
io
attribuisco
a due
fattori
ugualmente
negativi,
uno
politico,
l’altro
sismico.
Siracusa
fu
davvero
grande
soltanto
nell’antichità;
nei
tempi di
mezzo
l’architettura
v’ebbe
una
modesta
fioritura
all’epoca
normanna
e sveva;
dopo di
allora è
una
desolante
decadenza,
corrispondente
alle
sinistre
condizioni
politiche,
decadenza
che è
durata
sino a
pochi
lustri
orsono.
Pressoché
nulla
possediamo
del buon
Rinascimento;
viene
poscia
un
dilagare
dell’arte
barocca,
che solo
col
secolo
XVIII,
talvolta
per
opera di
monaci e
architetti,
assunse
forme
più
purgate
e
piacevoli.
[…]
l’esaltazione
dell’ascetismo
dovuta,
dalla
metà del
secolo
XVI,
alla
controriforma,
ebbe
larga
ripercussione
in
Sicilia
anche
nel
campo
dell’architettura.
Città e
borgate
si
popolarono
allora
di una
miriade
di nuove
chiese,
di
chiesette,
di
oratori,
e
soprattutto
di
monasteri,
taluni
sontuosissimi,
contro i
quali
troppo
ha
inveito
il
modernismo,
senza
discernimento
distruggendo
e
abbattendo
sovente
anche
ciò che
aveva
pregio
d’arte.
[…]
Nessuna
regione
d’Italia,
nessuna
parte
dell’isola
possiede,
appunto
per ciò,
tante
opere di
escavazioni
rupestri
dovute
alla
mano
dell’uomo,
quante
ne
possiede
la
provincia
di
Siracusa.
A
prescindere
dalle
migliaia
di
sepolcri
siculi
(la cui
esplorazione
è,
fortunatamente,
molto
progredita),
che
culminano
nella
meravigliosa
e
fantastica
necropoli
di
Pantalica,
nessun’altra
regione
d’Italia
vanta un
complesso
di
cimiteri
cristiani
quali
Siracusa,
a
ragione
proclamati
da G. B.
De Rossi
[39]
rivali
per
grandiosità
a quelli
di Roma.
E dire
che sino
ad un
trentennio
addietro
si
conoscevano
solo le
insigni
catacombe
di San
Giovanni
[…] Per
finire
dirò,
che
sgradevolmente
colpisce
la
mancanza
assoluta
di una
letteratura
monumentale
dell’evo
medio e
moderno,
mentre
abbonda,
relativamente,
quella
dell’evo
antico
dovuta
agli
archeologi.
La
scienza
dei
monumenti,
nata
ieri,
non ha
fin qui
avuto in
questa
provincia
un
cultore
specialista;
eppure
le case
patrizie,
i pochi
castelli,
le poche
chiese
medievali,
i molti
monumenti
sei e
settecenteschi
offrirebbero
ampio e
dilettevole
campo ad
un
architetto
erudito
per
gettare
una
buona
volta le
basi di
quella
storia
critica
ed
analitica
dell’architettura
siciliana,
che
ancora
manca.
Comunque,
la
Sovrintendenza
ha posto
ogni
diligenza
nella
redazione
di
questo
primo
elenco
di
monumenti,
che
considera
come
sacro
retaggio
affidalo
alle sue
cure.
Detto
elenco
venne
redatto
dal prof
Sebastiano
Agati e
dal
sottoscritto,
e la
bibliografia
dal
sottoscritto.[40]
Contemporaneamente
proseguono
i lavori
di
restauro
del
palazzo
Bellomo
e il 31
ottobre
del 1923
Agati
firma
come
“Funzionario
Tecnico
Redattore”
una
perizia
per il
recupero
delle
sale del
pianterreno
e il
trasporto
e
sistemazione
di
materiale
artistico
(sculture,
statue,
ecc)
presente
nella
sede
centrale
del R.
Museo di
Siracusa.
Sebastiano
Agati
intrattiene
un breve
rapporto
epistolare
con
Umberto
Zanotti
Bianco[41],
amico
fraterno
di Orsi,
in
quegli
anni in
contatto
con
Giuseppe
Agnello[42],
ed uno
dei
fondatori
(oltre
la
Società
Magna
Grecia)
dell’Associazione
Nazionale
per gli
Interessi
del
Mezzogiorno
d’Italia.
La
lettera
del 17
aprile
del 1932
è una
richiesta
economica
per la
prosecuzione
dei
lavori
di scavo
presso
la
cripta
di S.
Marziano
a
Siracusa:
Il
lavoro
si è
svolto
tra
mille
difficoltà,
cercando
la
costruzione
originaria
della
cripta
si è
dovuto
pensare
in più
tempi a
salvare
le
soprastrutture
medievali
di
conservazione.
[…] I
risultati,
che solo
uno
scavo
metodico
poteva
condurci,
hanno
procurato
documenti
nuovi ed
hanno
consentito
di
raccogliere
dati
abbondanti
per
risolvere
il
problema
della
cripta
Marciana,
lasciata
insoluta
da
quanti
si sono
fin qui
occupati
del
cimitero
cristiano
di S.
Giovanni.
Nemmeno
il
Führer
volle
tentare
la
ricostruzione
della
pianta[43].
Nella
lettera
successiva
del 17
luglio
1933,
Agati
mantiene
in
costante
aggiornamento
Zanotti
Bianco
sui
lavori
della
cripta e
sulle
difficoltà
sopraggiunte
dall’effetto
climatico
che
condiziona
la
salute
degli
operai:
Caro
Dottore
Zanotti,
ancora
pochi
colpi di
zappa ed
avrò
finito a
S.
Marciano.
La
Pianta è
fatta,
sono
pronte
anche le
fotografie.
Siamo in
ritardo,
è vero,
ma ciò è
accaduto
a causa
dell’estate
che
quest’anno
si è
fatta
attendere.
Io già
la
intuii
della
necessità
che i
lavori
laggiù
nella
cripta
si
facciano
nel
tempo
dei
forti
calori
per non
esporre
gli
operai a
malattia[44].
Esprime
anche la
sua
preoccupazione
riguardo
la
nomina
di
soprintendente
e
direttore
del
museo
siracusano
assegnata
a
Giuseppe
Cultrera[45]:
Le
cose
nostre
qui non
si
presentano
come
erano
nelle
previsioni
e nelle
promesse.
Il Prof.
Cultrera
avrà
anche la
direzione
del
Museo,
ciò che
mi da
molto a
pensare
per la
tranquillità
del
nostro
Senatore[46].
Ma vedrò
se
riuscirò
a
mantenere
la pace[47].
Conclude
la
lettera
proponendo
una
serie di
azioni
commemorative
in onore
di Paolo
Orsi tra
le quali
una
targa,
un busto
in
bronzo e
alcune
medaglie
d’oro:
Pensiamo
tra un
gruppo
di amici
alle
numerose
onoranze
da
tributare
al
Senatore,
le quali
dovrebbero
essere a
mio
avviso
improntate
a grande
semplicità.
Ma
certamente
sarà dei
nostri.
Si
penserebbe
a questo
programma:
1.
Istituzione
di una
targa
intitolata
a Paolo
Orsi
2.
Intitolazione
a Paolo
Orsi
della
grande
sala
biblioteca
nella
nuova
ala del
Museo
Reg. di
Siracusa,
con
l’elevazione
di un
busto in
bronzo
(Scultore
Diano)
3.
Medaglie
d’oro
espressamente
coniate
(Scultore
Diano)
[48].
A
distanza
di due
mesi,
un’altra
lettera
indirizzata
sempre a
Umberto
Zanotti
Bianco
mostra
il
disagio
di Agati
per la
carica
appena
assegnata
al
Cultrera
e
osserva
che
quest’ultimo:
«Vuol
fare il
soprintendente
in pieno
e non
consente
ingerenze
dei suoi
dipendenti
in
affari
d’indole
scientifica»[49].
Segue
l’aggiornamento
sullo
stato di
avanzamento
dei
lavori
nella
cripta
di S.
Marziano
finanziati
dalla
Società
Magna
Grecia:
Il
Prof. C.
che ha
dovuto
mettere
anche a
giorno
sui
lavori
eseguiti
con i
fondi
della M.
G. a S.
Marziano,
si è
mostrato
disposto
a
scrivere
lui
l’articolo
per gli
atti.
Pertanto
io le
consiglio
di
scrivergli
subito
dandogli
l’incarico
sul nome
della M.
G. Egli
è uomo
onesto e
dirà a
chi
spetta
il
merito
della
scoperta.
I
grafici
sono
tutti
completi.
[…]
verrà un
bel
lavoro
completo
esauriente,
mai
tentato
fin qui
dagli
illustratori
di quel
complesso
monumentale
così
caotico
nell’apparenza[50].
Un’altra
annotazione
nella
lettera
è
relativa
alla
mancanza
di fondi
necessari
al
restauro
del
Tempio
di
Apollo[51].
La
lettera
chiude
accennando
al
precario
stato di
salute
di Paolo
Orsi,
colpito
da
«arteriosclerosi
ormai
diffusa».
Nel 1935
Sebastiano
Agati
pubblica
un
articolo[52],
dedicato
all’amico
appena
scomparso,
in cui
viene
descritto
il
lavoro
svolto
all’interno
della
soprintendenza
nel
periodo
della
loro
collaborazione:
Nel
periodo
in cui
Siracusa
fu sede
della
Soprintendenza
ai
monumenti
(1908-1924)
per le
province
di
Catania
e
Siracusa,
Paolo
Orsi
scrisse
un
importante
capitolo
nella
storia
dei
restauri
ai
monumenti,
sia
classici
che
medievali
e
moderni,
affidati
alle sue
cure. A
Siracusa,
furono
intrapresi
e
condotti
a
compimento
i lavori
di
assetto
della
zona
alta del
Teatro
greco,
dove un
molino
era
rimasto
per
oltre
due
secoli a
turbarne
le linee
severe.
Riscattato
il
molino e
poscia
demolito,
fu
possibile
isolare
e
restaurare
con
opportuni
accorgimenti
l’intiera
zona.
L’Ara di
Ierone
II,
l’Anfiteatro,
il
Castello
Eurialo
all’Epipoli,
le
Catacombe
di S.
Giovanni
e di
Vigna
Cassia,
palazzo
Montalto,
palazzo
Bellomo,
la casa
delle
Orsoline,
la
chiesa
di S.
Maria,
le
parrocchiali
di S.
Tommaso
e di S.
Martino,
la
chiesetta
normanna
di S.
Nicolò
La
Pietra,
la
basilica
prebizantina
di S.
Foca,
presso
la
frazione
di
Priolo,
per dire
dei
principali
monumenti,
ebbero a
Siracusa
consolidamenti
e
restauri,
i quali
valsero
a
salvare
alcuni
di essi
da
sicura
rovina.
La
chiesa
di S.
Lucia al
Sepolcro
fu
isolata
nella
sua
parte
absidale,
ponendo
i lavori
anche in
relazione
colle
sottostanti
catacombe,
nell’istesso
tempo
scoperte
e
scavate.
Lavoro
di
grande
mole fu
quello
eseguito
dalla
Soprintendenza
ai
monumenti
per
incarico
del
Ministro
della
Guerra.
Fu
dolorosa
necessità,
infatti,
accasermare
durante
l’ultima
grande
guerra
le
truppe
di
stanza a
Siracusa
in
alcune
chiese
della
città,
onde
molti
danni
esse
subirono
in
conseguenza
di tale
uso.
Larghi
restauri
pertanto
furono
condotti
nelle
chiese
ex
conventuali
di S.
Benedetto,
del
Carmine,
di S.
Lucia,
dell’Immacolata,
nella
chiesa
del
Collegio
di S.
Giuseppe,
in
quelle
dello
Spirito
Santo,
di S.
Giovannello,
di S.
Pietro,
di S.
Cristoforo,
ridandovi
stabilità,
decoro
ed
assetto,
mentre
si
ponevano
in
valore
gli
avanzi
di
epoche
più
remote,
emersi
durante
i
lavori.
Le
stonacature
e gli
isolamenti
praticati
nella
chiesa
di S.
Pietro
svelarono
l’esistenza
della
basilichetta
bizantina
dedicata
a questo
Santo
che
credevasi
distrutta.
I
castelli
medievali
di
Adrano,
di
Acicastello,
di Motta
S.
Anastasia,
di
Vendicari
presso
Noto,
mal
ridotti
per il
lungo
abbandono,
riprendevano
nuova
vita. A
Centirupe
il
mausoleo
di
Corradino,
i ruderi
dei così
detti
Bagni
ricevevano
cure e
consolidamenti
onde
arrestarne
il
disfacimento.
A
Militello
di Val
di
Catania,
la bella
chiesa
di Santa
Maria la
Vetere
riebbe i
tetti
del
portico
e della
navata;
ad
Acireale
la
chiesa
di S.
Antonio
Abate fu
risanata
dall’umidità,
senza di
che gli
affreschi
del
Vasta,
onde è
decorata,
sarebbero
andati
irrimediabilmente
perduti;
a Ragusa
Ibla fu
restaurato
il
grande
portale
d’arte
catalana
di S.
Giorgio
Vecchio;
a
Nicosia
provvidenze
conservative
furono
adottate
per gli
affreschi
di
Filippo
Randazzo,
di cui è
tappezzato
quell’oratorio
di S.
Calogero[53].
Il
31
dicembre
1932, in
ottemperanza
della
riforma
degli
uffici
provinciali,
Siracusa
diventa
sede
della
Soprintendenza
alle
antichità
per
tutte le
province
della
Sicilia.
Le
politiche
di
tutela
del
patrimonio
artistico
e
monumentale
sono
ricordate
da
Agati:
Sebbene
il
compito
assegnato
alla
Soprintendenza
di
Siracusa
fosse
quello
di
attendere
alla
condotta
degli
scavi
archeologici,
alla
cura ed
all’incremento
dei
Musei
prevalentemente
classici,
tuttavia
furono
portati
a
compimento
notevolissimi
lavori
d’isolamento
e di
restauro
in
monumenti
di età
greca e
romana,
prima
avvolti
e
soffocati
da
fabbriche
moderne,
ovvero
giacenti
sotto
cumuli
di
rovine.
Lavori
di
isolamento,
o per
meglio
dire
vera e
propria
redenzione,
furono
eseguite
ad
Agrigento
intorno
al
Santuario
di
Demetra
ed ai
templi
di
Esculapio,
di
Vulcano,
dei
Dioscuri;
a
Selinunte
presso
il
Santuario
della
Malophoros,
dove fu
provveduto,
mercé
apposite
nervature
in
cemento
armato,
al
consolidamento
dell’edificio
principale
del
Santuario,
rimasto
per più
tempo in
istato
rovinoso.
Opere di
liberazione
furono
compiute
nelle
rovine
di
Tindari;
così nel
Teatro
di
Taormina
fu dato
inizio a
quegli
sgomberi
da tempo
vagheggiati,
i quali
seguiti
man mano
da
necessari
ripristini,
hanno
avviato
a
soluzione
molte
delle
incognite
che
presentava
la
fabbrica
ellenistica
cui si
sovrappose
più
tardi la
riforma
romana.
Un’opera
di mole
eccezionale,
sempre
in tema
di
isolamento,
va
ricordata:
la
redenzione
compiuta
negli
anni
1929-30,
del
tempio
dorico
di Imera
auspicata
da tempo
da Luigi
Mauceri
che a
quel
tempio
aveva
dedicato
una
dotta
monografia[54].
Tutta la
superficie
dei
ruderi
era
coperta
di alti
strati
di terra
e di
detriti
e sulla
parte
elevata
erano
appoggiate
fabbriche
moderne,
sì che
scarsissimi
elementi
apparivano
alla
superficie.
Il
lavoro,
faticoso
e
difficile
promosso
dalla
«Società
Magna
Grecia»
e
affidato
alla
direzione
dell’ispettore
Pirro
Marconi[55],
importò
la
demolizione
dell’intiera
vasta
fattoria
– la
fattoria
di
Bonfornello
– le cui
macerie,
insieme
col
materiale
di
scavo,
richiesero
lo
sgombero
di circa
diecimila
metri
cubi di
detriti[56].
Nel
medesimo
articolo
pubblicato
su
“Archivio
Storico
della
Calabria
e
Lucania”
Agati
cita
anche il
recupero
della
cripta
di S.
Marziano
finanziato
dalla
Società
Magna
Grecia:
Infine
durante
l’estate
del 1931
e la
primavera
del ‘32
con
fondi
della
«Società
Magna
Grecia»
si
svolsero
delicati
lavori
nella
cripta
di S.
Marziano
a
Siracusa,
«diretti
a
precisarne
la
struttura
originaria
ed a
stabilire
se e
quanta
consistenza
avesse
la
secolare
tradizione,
che qui
fosse il
sepolcro
del
fondatore
della
Chiesa
siracusana».
Ma se i
risultati
degli
scavi
metodici
nel
tormentato
santuario
procurarono
documenti
nuovi e
consentirono
di
raccogliere
dati
abbondanti
per
risolvere
i
problemi
fin qui
insoluti,
misero
d’altra
parte
allo
scoperto
le poco
rassicuranti
condizioni
della
compagine
della
cripta,
onde fu
necessario
provvedere
ad
urgenti
consolidamenti.
Particolari
cure
vennero
inoltre
rivolte
ai
freschi
di tutte
le età
(ridotti
in
pessime
condizioni
del
mancato
regime
delle
acque)
che
rivestono
le
pareti
del
sacro
luogo,
talvolta
a più
strati[57].
Ed
infine i
lavori
di
ripristino
del
Teatro e
dell’Odeon
di
Catania:
Il
teatro
di
Catania,
sorto in
epoca
greca,
ma
rifatto
in varie
riprese
in epoca
romana,
deve
considerarsi
uno dei
più
interessanti
da
studiare,
perché,
sepolto
com’è
sotto
costruzioni
posteriori,
con una
sola
piccola
parte di
cavea
visibile
e con il
fondo
invaso
dalle
acque
stagnanti
dell’Amenano,
non ha
avuto
nemmeno
la
fortuna
di
essere
ben
rilevato,
né di
vedere
risolti
i
molteplici
problemi
connessi
con la
sua
origine
e con le
sue
trasformazioni.
La
Soprintendenza
di
Siracusa,
durante
il
governo
dell’Orsi,
mercé
l’espropriazione
di
alcune
case, ne
iniziò
la
liberazione,
ma
l’impresa
non poté
condursi
a
termine
per
mancanza
di
mezzi.
Ma
Catania,
oltre al
grande
teatro,
uno ne
possiede
di
minori
proporzioni,
disposto
lateralmente
a quello
ed
appoggiato
allo
stesso
colle.
Questo
piccolo
teatro,
nel
quale
gli
eruditi
locali
hanno
creduto
di
riconoscere
un
Odeon,
presenta
la forma
comune
ed altri
edifici
romani
congeneri.
La cavea
che ne
costituisce
il corpo
principale
si
svolge
in parte
incassata
nel
monte,
in parte
isolata
e
racchiusa
da una
muraglia
semicircolare
ornata
all’esterno
di
arcate e
di
lesene
di
rinforzo.
Sostengono
questa
seconda
branca
di cavea
muri con
disposizione
a
ventaglio,
formanti
a due a
due il
guscio
di 17
aditi
praticabili,
anch’essi
diretti
come
raggi al
centro.
Quasi
veruna
traccia
rimane
del
fronte
della
scena né
del
pulpitum;
al loro
posto
oggi
torreggia
un
palazzo
a più
piani.
Gli
aditi
adibiti
fino a
pochi
anni
addietro
ad usi
domestici
dai
diversi
proprietari
che vi
arrecarono
modifiche
e
trasformazioni
non
poche e
vi
sopraelevarono
perfino
nuovi
piani.
Sulla
branca
inferiore
della
cavea
sorgevano
altri
corpi
bassi,
poggianti
sopra
enormi
masse di
detriti.
Le
preoccupazioni
per le
sorti
dell’importante
monumento
cominciarono
a
manifestarsi
quando,
nell’aprile
del
1868,
uno dei
proprietari,
volendo
procedere
ad
alcuni
lavori
di
riforma,
abbatteva
una
parte
del
cuneo
estremo
ovest,
ond’egli
veniva
condannato
al
risarcimento
dei
danni ed
alla
pena del
confino
(Legge
borbonica).
Fu in
seguito
a tale
increscioso
fatto
che si
pensò di
riscattare
per
conto
dello
Stato
l’intiero
edificio
allo
scopo di
isolarlo.
Si
ottenne
un
decreto
di
pubblica
utilità
in base
ad un
progetto
del
Genio
Civile
di
Catania
del
1879, ma
le
pratiche
abortirono
sul
nascere.
La
Soprintendenza
di
Siracusa,
impensierita
delle
condizioni
di
abbandono
in cui
trovavasi
il
monumento,
si
propose
di
affrontare
in pieno
il
problema
della
redenzione
del
rudere.
E
l’impresa,
che
pareva
prima un
mito, è
quasi al
suo
termine.
Con la
liberazione
di tutta
la
cortina
di
casupole
che ne
nascondevano
il
godimento,
l’edificio,
prima
quasi
sconosciuto,
risorge
ora
imponente
nella
sua
tinta
grigia,
propria
del
materiale
ond’è
costruito,
ossia la
lava. Ai
consolidamenti,
eseguiti
là dove
apparvero
necessari,
fu
provveduto
mercé
riprese
con
murature
di
mattoni,
tenuta
in
arretrato
rispetto
all’antico
fronte[58].
Agati
chiude
l’articolo
ricordando
la
grande
professionalità
con cui
Paolo
Orsi ha
diretto
la
soprintendenza:
E
questo
schematico
elenco
potrebbe
a lungo
seguitare
se,
uscendo
fuori da
quella
forma di
attività
in cui
l’azione
della
Soprintendenza
ebbe un
carattere
veramente
personale
e
diretto,
ci si
volesse
addentrare
in una
disanima
completa
di
quelle
minori
manifestazioni
che
ebbero
vita e
sviluppo
sotto il
controllo
dell’ufficio
di
Siracusa,
di cui
l’Orsi
fu
sempre
la mente
direttiva.
Campo
vastissimo
–
sebbene
destinato
a
rimanere
il meno
conosciuto
– che
investe
tutta
un’attività
chiamata
quotidianamente
a
risolvere
problemi
più o
meno
gravi di
decorazione
o di
restauro.
Approvazione
di
progetti,
proposte
di
modifiche,
elaborazione
di
disegni,
tracciamento
di
norme,
energica
opposizione
di
divieti,
costituirono
la trama
di
quest’opera
vigile
che ebbe
ripercussione
vastissima,
sia
direttamente,
sia
attraverso
l’azione
degl’ispettori
onorari,
scelti
con
oculato
criterio
in ogni
angolo
della
Sicilia.
Ma il
quadro
sommario
in
precedenza
tracciato
credesi
valga a
dare
un’idea
della
potenza
costruttiva
dell’Orsi,
che fu
soprattutto
uomo di
studio e
di
meditazione
severa,
ma seppe
anche
entrare
con
gagliarda
forza
assimilativa,
nel
campo
della
pratica
attività
e
risolvere
genialmente,
in
un’atmosfera
di
armonica
collaborazione,
gravi
problemi
di
archeologia
e di
arte[59].
Tra il
1934 e
il 1938,
Sebastiano
Agati e
Giuseppe
Cultrera
partecipano
ai
restauri
nel
Tempio
di
Apollo a
Siracusa.
Ad
Agrigento,
nel
tempio
della
Concordia
e nel
Tempio
di Era,
effettuano
il
consolidamento
delle
colonne
e delle
gradinate
e del
basamento
orientale[60].
I due
architetti
liberano
un
tratto
della
cavea
dell’Odeon
di
Catania
(Agati
firmerà
i
rilievi),
e nel
teatro
di
Tindari
[fig.
13]
progettano
il
ripristino
in
muratura
del
podio
romano
arretrandolo
rispetto
alla
collocazione
precedente.
Sempre
nel
1938,
Guido di
Stefano
pubblica
L’architettura
religiosa
in
Sicilia
nel XIII
sec.[61]
e rende
noto che
Sebastiano
Agati si
è
interessato
alla
ricostruzione
storico-artistica
della
chiesa
di S.
Nicolò
di
Agrigento.
Dopo
un’attenta
ricerca
che si
avvale
anche
della
comparazione
delle
date di
affreschi
presenti
all’interno
dell’edificio,
Agati
deduce
che vi
siano
stati
rimaneggiamenti
decorativi
nel XVI
secolo;
più
specificatamente
scrive
in una
lettera
inviata
a di
Stefano:
[…] una
rielaborazione
profonda
è
avvenuta
verosimilmente
nel ‘500
[…] la
riforma,
con
aggiunte,
ringrossi
murari,
spessi
intonaci,
occultò
quasi
totalmente
la
primitiva
fabbrica,
il
maggior
danno
ebbe a
soffrirlo
la
facciata,
la quale
fu
rifatta
di sana
pianta,
forse
arretrandola,
onde
avere
base più
solida
in
terreno
franoso.
E non mi
meraviglia
che in
tale
rifacimento
si sia
voluto,
alla
grossa,
riprodurre
il
disegno
della
facciata
primitiva[62].
Nello
stesso
anno
Agati
progetta,
in
collaborazione
con
l’ingegnere
Giuseppe
Bonajuto,
il
recupero
del
palazzo
Greco a
Siracusa
[fig.
14]; una
costruzione
medievale
colpita
da forte
degrado
ed in
stato di
abbandono,
da
destinare
a sede
dell’Istituto
Nazionale
del
Dramma
Antico
(inda),
istituto
fondato
nel 1914
per la
promozione,
attraverso
le
rappresentazioni
teatrali
e le
ricerche
scientifiche,
del
teatro
antico[63].
La
diretta
testimonianza
è
contenuta
nella
lettera
del 31
luglio
1938
spedita
al
Soprintendente
all’arte
medievale
e
moderna
di
Palermo,
Filippo
Di
Pietro[64],
al
quale
chiede
l’autorizzazione
per
l’avvio
dei
lavori:
«Ho il
piacere
di
informarVi
che si è
risolta,
favorevolmente
agli
interessi
dell’Arte,
la
questione
riguardante
la casa
medievale
già di
proprietà
Greco,
apparsa
durante
il corso
delle
demolizioni
condotte
dal
Comune
di
Siracusa
lungo la
via del
Littorio».
E
prosegue:
[…] La
parte
medievale
della
casa non
verrà
alterata,
ma sarà
necessario
integrarla
sia per
restituire
alla
stessa
l’equilibrio
statico
di un
tempo,
sia per
creare i
vani di
cui
l’Istituto
bisogna.
Tale
integrazione
sarà
improntata
alla
massima
semplicità,
scartando
qualsiasi
vista ed
insulsa
imitazione
dell’antico.
L’Ingegnere
architetto
Giuseppe
Bonaiuto,
che, al
riguardo,
ha
voluto
ascoltare
qualche
mio
suggerimento,
ha
redatto
il
progetto
relativo,
il quale
trova la
sua
esplicazione
nelle 5
tavole
di
disegni,
che a
parte Vi
spedisco.
[…] Il
progetto,
la cui
compilazione,
non è
stata
scevra
di
difficoltà,
credo
risolva
e
concilii
opportunamente
le varie
esigenze.
Come ho
detto,
la parte
antica
viene ad
essere
rigorosamente
rispettata,
anzi,
dove è
possibile,
ricondotta
alle
origini
e posta
meglio
in
vista.
[…]
L’ingresso
allo
stabile
è
previsto
con
simpatica
ed
opportuna
soluzione
dalla
porta
ogivale
che si
apre
sotto
l’antica
torretta,
del lato
della
via S.
Cristoforo.
Da
tergo,
incastonate
alle
pareti
lisce,
appariranno
alcuni
elementi
architettonici
recuperati
dalle
demolizioni,
con ciò
volendo
venire
incontro
al
desiderio
espresso
dall’On.
Biagio
Pace,
Presidente
dell’Istituto.
[…] Ben
s’intende
che
porgo
fin da
ora a
Vostra
disposizione
l’opera
mia per
quanto
concerne
la
vigilanza
sui
lavori a
compiersi[65].
Pochi
giorno
dopo, il
5 agosto
del ‘38,
Agati
riceve
la
risposta
con la
quale il
Soprintendente
di
Palermo
chiede
documentazione
fotografica
della
casa ad
integrazione
del
progetto
ed
aggiunge:
Conto
nella
Vostra
preziosa
collaborazione
e sarò
ben
lieto a
suo
tempo di
poterVi
dare
l’incarico
di
vigilare
i
lavori,
che
saranno
eseguiti
nella
casa in
oggetto
per
adattarla
a sede
principale
del
Dramma
Antico[66].
I
lavori
si
protraggono
per due
anni, al
termine
dei
quali la
Casa
viene
ufficialmente
assegnata,
come
sede
provinciale,
all’Istituto
Nazionale
del
Dramma
Antico.
Ne dà
comunicazione
sulle
pagine
della
rivista
“Dioniso”[67]
Vincenzo
Bonaiuto,
segretario
dell’Istituto[68].
L’articolo
annuncia
la
consegna
dell’edificio
da parte
delle
istituzioni
e
riassume
sia le
fasi di
restauro
sia la
descrizione
e
collocazione
delle
stanze
dell’edificio:
«Sorse
allora
nel
nostro
Presidente
[Biagio
Pace]
l’idea
di
utilizzare
la
palazzina
medievale
scoperta
durante
le
demolizioni
in Via
del
Littorio,
tra le
strutture
di Casa
Greco, e
che gli
organi
competenti
avevano
dichiarato
dovesse
andare
rispettata».
[…]
Intorno
alle
pareti
superstiti
dell’antico
edificio
– il
portico
interno
con una
squisita
bifora,
la
torretta,
la
postierla
dell’atrio
e alcuni
altri
portali,
messi
opportunamente
in
rilievo,
che
costituiscono
le parti
più
caratteristiche
della
costruzione
[…]
l’opera
è stata
condotta
d’intesa
con la
Regia
Soprintendenza
ai
Monumenti
per la
Sicilia,
rappresentata
dall’architetto
Sebastiano
Agati,
che è
stato
collaboratore
e
consulente
artistico
del
progettista[69].
Sul
versante
architettonico
il
recupero
di
edifici
degradati
come
palazzo
Greco e
palazzo
Bellomo
[fig.
15],
destinati
a centri
di
divulgazione
culturale,
preannunciano
la nuova
concezione
del
restauro
di tipo
conservativo.
L’obiettivo
è quello
di
ridurre
i lavori
alla
manutenzione
e al
consolidamento
escludendo,
quanto
più
possibile,
il
ripristino
di parti
mancanti
e
rispettando
l’originale
identità
progettuale
pur
tenendo
conto
delle
possibili
variazioni
stilistiche
subite
nel
corso
dei
secoli.
Due anni
più
tardi,
nel
1940, il
Soprintendente
ai
Monumenti
di
Catania,
Armando
Dillon[70],
riceve
una
lettera
dell’allora
Soprintendente
di
Palermo,
il
fiorentino
Roberto
Salvini[71],
riguardante
la
protezione
degli
edifici
contro
le
incursioni
aeree:
Come da
accordi
verbali,
resta
inteso
che
all’apportazione
dei
segni
distintivi
negli
edifici
del
Museo di
Palazzo
Bellomo
di
Siracusa
e del
Museo
Civico
di
Castello
Ursino
in
Catania
provvederà
codesta
Soprintendenza
avendo
tali
edifici
carattere
estremamente
monumentale[72].
Di
conseguenza,
viene
richiesto
a
Sebastiano
Agati un
progetto
per la
protezione
del
Duomo e
in
particolare
delle
due
statue
presenti
nel
prospetto,
S.
Pietro
e S.
Paolo
opere
dello
scultore
palermitano
Ignazio
Marabitti[73].
Monsignor
Ettore
Baranzini,
arcivescovo
di
Siracusa,
comunica
al
Soprintendente
Dillon
l’inizio
dei
lavori
per
tutelare
il Duomo
dalle
incursioni
aeree,
riponendo
massima
fiducia
nella
professionalità
di
Agati:
Ho
dato
disposizione
affinché
operai
addetti
ai
lavori
di
protezione
antiaerea,
siano
ammessi
ad
eseguire
la
necessaria
tutela
dell’altare
con
tabernacolo
del
Vanvitelli
in
questa
Cattedrale[74].
A
maggior
garanzia
ho
affidato
la
sorveglianza
al Comm.
Arch.
Sebastiano
Agati[75].
Dalle
corrispondenze
consultate
si
evince
che
Sebastiano
Agati
nel 1941
cura
l’acquisto
per il
museo di
un
dipinto
di
scuola
messinese
del XVI
secolo
raffigurante
la
SS.
Trinità
dell’Arcibasilica
dello
Spirito
Santo di
Siracusa.
Nello
stesso
anno
chiede
al
direttore
del
Museo di
Messina
il
permesso
di
creare
calchi
in gesso
di
alcune
parti
del
sarcofago
dell’arcivescovo
Pietro
Bellorado,
opera
dello
scultore
carrarese
Giovan
Battista
Mazzolo
(1513)
custodita
oggi
all’interno
del
Duomo di
Messina,
per
integrare
il
monumento
funebre
di
Eleonora
Branciforti
scolpito
dallo
stesso
artista
e
presente
nel
museo[76].
E sempre
per il
restauro
il
palazzo
Bellomo,
il 20
marzo
Agati
riceve
«[…] in
vaglia
bancario
la somma
di L.
4986,85,
quale
terza
anticipazione
per far
fronte
ai
lavori
di
restauro
in
corso».
Durante
il
conflitto
mondiale,
il 23
luglio
1942,
Agati
scrive
al
soprintendente
Dillon
preoccupato
per la
sorte di
palazzo
Greco
destinato
a sede
del
comando
militare:
La
progettata
occupazione
dei
locali
dell’Istituto
nazionale
del
Dramma,
pare
tenda a
dare una
sede al
Comando
delle
nuove
truppe
che
dovranno
presenziare
Siracusa.
Sicché
né il
Prefetto
e tanto
meno il
Podestà
vi hanno
ingerenza.
Gioverà
perciò
che
cotesta
on.
Soprintendenza
si
rivolga
direttamente
al
Ministero
dell’Educazione
nazionale,
il
quale,
di
comune
accordo
con il
Ministero
della
Coltura
popolare,
già
interessato,
potrà
influire
presso
lo Stato
Maggiore
dell’Esercito,
affinché
si
desista
dalla
determinazione
presa
dall’autorità
militare
locale[77].
Sei mesi
dopo
Agati
invia a
Dillon
il
progetto
per la
salvaguardia
delle
statue
di S.
Pietro
e S.
Paolo
di
Ignazio
Marabitti,
proponendo
una
soluzione
inedita
rispetto
le
normali
strutture
di
protezione[78]:
Scartato
l’uso
del
castello
in
legname
e sacchi
di
sabbia
che a
seguito
della
dolorosa
esperienza
fatta
dalle
recenti
incursioni
nelle
città
del
continente,
si è
dimostrato
insufficiente,[79]e
talvolta
anche
dannoso,
avrei
ideato
di
involucrare
con muri
in cotto
tanto le
statue
che i
sottostanti
piedistalli,
colmando
i vuoti
interni
della
massa
muraria
con
sabbia
sciolta,
la
quale,
penso,
potrà
servire
ad
attutire
gli
scuotimenti
cagionati
dagli
scoppi
dei
proiettili
che
dovessero
cadere
in
prossimità.
Una vera
e
propria
tramoggia,
dunque,
ripiena
di
sabbia,
da
coprire
con
voltine
in
cemento
armato e
con
cordolo,
pure in
cemento
armato,
a metà
altezza
per
assicurarne
meglio
la
stabilità.
[…]
Quanto
alla
statua
di
Sant’Ignazio
nell’interno
del
Collegio,
poiché
trattasi
di una
chiesa
demaniale,
sarei di
avviso
che
delle
relative
provvidenze
di
difesa
venga
incaricata
l’intendenza
di
Finanza
[…]
Infatti
preso da
troppi
impegni
e
preoccupazioni
(cui va
unita la
considerazione
della
mia non
più
giovane
età)
onde
porre in
salvo le
numerose
opere
d’arte
nobili
della
città,
non mi
rimane
tempo
sufficiente
per
poter
attendere
con la
dovuta
assiduità
alla
condotta
delle
opere
che
vorreste
affidarmi[80].
Il
1943 è
l’anno
che
segna la
vasta
campagna
di
bombardamenti
aerei
sulla
Sicilia,
di cui
resta un
preciso
“bollettino
di
guerra”
sulle
pagine
del
“Giornale
di
Sicilia”[81].
Il
23
giugno
viene
trasmessa
dal
Soprintendente
una
lettera
al
Ministero
contenente
l’elenco
dei
danni
riportati
al Duomo
di
Siracusa
a
seguito
dell’esplosione
di
alcune
bombe;
lo
spostamento
d’aria
ed
alcuni
frammenti
staccati
dal
campanile
provocarono
danni
anche
alla
copertura
e al
soffitto
della
navata
principale
coinvolgendo
parzialmente
anche il
Palazzo
Bellomo[82].
L’anno
successivo,
durante
l’occupazione,
Agati
chiede
notizie
riguardanti
due
opere
‘siracusane’,
l’Annunciazione[83]
di
Antonello
da
Messina
e il
Seppellimento
di S.
Lucia
di
Caravaggio[84],
entrambe
in
restauro
a Roma.
Gli
effetti
della
guerra
non
tardano:
nel 1945
Agati
lamenta
l’aumento
dei
prezzi
dovuti
alla
speculazione
che
condiziona
l’economia
dell’Italia
e la
probabile
difficoltà
di
eseguire
tutti i
lavori
con i
fondi
stanziati
per il
recupero
degli
edifici
danneggiati
dagli
eventi
bellici[85].
In
una
lettera
spedita
nel 1945
al
canonico
Concetto
Rotondo,
il
soprintendente
Dillon
rilascia
il
nulla-osta
per
l’esecuzione
dei
lavori
di
restauro
del
pavimento
della
cappella
di S.
Lucia
del
Duomo di
Siracusa,
esprimendo
ancora
una
volta
ottimismo
per la
scelta
di Agati
come
supervisore
dei
lavori.
Scrive
infatti:
«Prendo
atto con
piacere
che i
lavori
saranno
diretti
dall’ingegnere
La Ciura
con
l’assistenza,
per la
parte
artistica,
dell’arch.
Prof.
Agati»[86].
Durante
il
periodo
della
seconda
guerra
mondiale,
alcune
opere
d’arte
furono
dislocate,
secondo
uno
schema
fornito
da
Agati,
presso
altre
città
siciliane,
mentre e
le opere
difficili
da
spostare
furono
“difese”
con
imbracature.
La
realizzazione
dei
castelletti
di
protezione,
che
dovevano
accogliere
le opere
protette
da
sacchi
di
sabbia,
fu
affidata
all’artigiano
siracusano
Carmelo
Minniti.
Agati
dispose,
inoltre,
di
ricoverare
a
Palermo
i quadri
più
importanti
e le
opere
d’arte
applicata
al museo
archeologico
di
Siracusa:
Le
sculture
in situ
con
castelletti
di legno
e sacchi
di
sabbia
I
quadri
più
significativi
chiusi
in casse
e
trasportati
a S.
Martino
delle
Scale
Arti
Minori,
Maioliche
ecc, al
Museo
Archeologico
chiusi
in casse[87].
Il
26
ottobre
1947 si
abbatté,
su
Siracusa,
un
violentissimo
nubifragio
che creò
svariati
danni al
museo.
Immediata
l’ennesima
lettera
di Agati
alle
autorità
preposte
allo
stanziamento
delle
somme
per
arginare
i danni
e
ripristinare
i canali
di scolo
delle
acque:
L’eccezionale
irruenza
della
pioggia
ha
cagionato
guasti
ai tetti
ed agli
scoli
dei
cortili,
ostruendo
in
quest’ultimi
i canali
di
convogliamento
delle
acque,
così da
allagare
parte
del
piano
terra.
Urge
provvedere
ai
ripari
ove non
si
voglia
incorrere
in danni
maggiori[88].
Negli
ultimi
anni di
vita, il
lavoro
di
Sebastiano
Agati si
concentra
principalmente
sulle
attività
di
palazzo
Bellomo
e la
conservazione
delle
opere
d’arte:
Desideroso
di
rivedere
la mia
presente
situazione,
in
relazione
al
proposito
di
volermi
quanto
prima
ritirare
a vita
privata
[…] Me
ne
rammarico,
come può
rammaricarsi
chi, al
pari di
me, dopo
anni di
lavoro
irremunerato,
e con
una
pensione
di fame,
si trovi
nella
incresciosa
necessità
di por
mano
alla
propria
esausta
borsa,
pur di
non
vedere
deperire
le opere
d’arte
affidategli[89].
È
datata
21
aprile
1948 una
lettera
inviata
al
soprintendente
in cui
Agati
chiede
il
rimborso
spese
per la
spedizione
di una
tavola
del
pittore
Antonello
“Panormita”,
in
deposito
temporaneo
presso i
locali
di
Castello
Ursino
di
Catania:
Ho
tuttavia
presente
una nota
di spese
inoltrate
per il
trasporto
a
Siracusa
per la
tavola
del
“Panormita”
che era
rimasta
depositata
al Museo
Civico
del
Castello
Ursino
durante
la
guerra.
Per
tutto
quanto
occorse
(imballo,
cassa,
spedizione
in
ferrovia
ecc..)
si
occupò
gentilmente
uno dei
custodi
del
Castello,
il sig.
Sebastiano
Noè, il
quale fu
da me
rimborsato,
tramite
il
pittore
Nicolosi[90].
Nel 1949
Agati
accoglie
in
visita a
Palazzo
Bellomo
Cesare
Brandi,
direttore
dell’Istituto
Centrale
del
Restauro
di Roma.
Vengono
scelti
due dei
quadri
presenti
nella
collezione
del
museo da
sottoporre
ad
intervento
di
restauro.
Nella
lettera
inoltrata
il 24
giugno[91]
dello
stesso
anno si
fa
riferimento
ai costi
di
spedizione
per
effettuare
il
trasporto
delle
opere
ma,
soprattutto,
è
importante
notare
il
precario
stato di
salute
di
Sebastiano
Agati
che
scrive:
«Ch.mo
Professore
Cesare
Brandi,
non ho
scritto
fino
adesso
perché
le mie
condizioni
di
salute
non me
lo hanno
consentito»[92].
L’ultima
lettera
in
ordine
cronologico,
presente
presso
gli
uffici
del
museo,
porta la
data 22
luglio
1949: è
una
richiesta
d’intervento
di
restauro
per il
quadro
del
pittore
fiammingo
Guglielmo
Borremans,
raffigurante
la
Madonna
in
gloria
tra i
SS.
Lucia,
Agata e
Antonio
Abate.
In una
nota a
margine
si legge
che
Cesare
Brandi
riconosce
l’iconografia
del
quadro
con S.
Eulalia
e S.
Caterina.
Enrico
Mauceri
la
descrive
così in
“Bollettino
d’Arte”[93]:
L’altra
tela (m.
2,46 x
3,74),
già nota
per un
lavoro
del Di
Marzo,
dà pure
l’immagine
dell’Immacolata,
ma con
raggruppamento
più
ricco di
figure,
essendovi
in basso
la
Maddalena,
S.
Caterina,
S.
Antonio
abate,
S.
Francesco
e S.
Chiara.
Essa,
oltre la
data
1716,
reca la
firma
del
pittore
Guglielmo
Borremans,
un
fiammingo
che
trascorse
molti
anni in
Sicilia
lavorando
a fresco
nelle
chiese,
ma che
non
giunse
mai a
vera
altezza
e
solenne
magistero
d’arte.
I
contributi
sulla
stampa
periodica
Come già
accennato
Sebastiano
Agati si
avvicina
alla
pubblicistica
inizialmente
come
illustratore
grafico:
nel 1903
Gioacchino
Di Marzo
e Enrico
Mauceri
pubblicano
su
“L’Arte”,
la
rivista
diretta
da
Adolfo
Venturi,
un
articolo
dal
titolo
L’opera
di
Domenico
Gagini
in
Sicilia[94],
un’attenta
ricostruzione,
supportata
anche da
fonti
documentarie,
di
alcuni
lavori
eseguiti
dallo
scultore
bissonese
a
partire
dal
1463.
Nell’articolo
sono
citati
anche i
capitelli
che
Domenico
realizzò
per le
colonne
della
chiesa
dell’Annunziata
a Porta
S.
Giorgio
di
Palermo
(distrutta
dai
bombardamenti
del 1943[95]).
Illustrano
il
contributo
dei due
storici
dell’arte
proprio
i
disegni
dei
capitelli
eseguiti
da
Sebastiano
Agati
[figg.
16-17]:
Nell’interno
son
disposte
due
fughe di
colonne
di marmo
in
numero
di 12,
sostenenti
una
serie di
archi
acuti,
decorati
posteriormente
di
stucco,
che
dividono
il
tempio
in tre
navate.
I
capitelli
leggeri
ed
eleganti,
di una
certa
finezza
di
lavoro,
presentano
un
intreccio
di
leggiadri
ed
originali
motivi,
che da
soli
basterebbero
a
dinotare
il gusto
decorativo
del
Gagini.
In
ognuno
di essi
è
rappresentata
una
Sibilla
portante
una
targhetta
fra le
mani col
rispettivo
nome, e
attorno
si
innalzano
larghe,
dritte e
morbidissime
foglie
di
acanto,
a volte
fra una
bella
testa di
serafino,
o fra
due
delfini
incontrastati
e
discesi
dalle
volute.
Tutti
offrono
pregi
notevoli
di
stile,
ma
alcuni
risaltano
ancor di
più per
la
superiorità
dell’esecuzione,
come
quello
dalla
forma di
corba
traforata,
con la
Sibilla
Persica,
e
l’altro
con la
Cumana,
qui
riprodotti
da un
disegno
gentilmente
favoritoci
dall’amico
prof.
Sebastiano
Agati[96].
Nell’aprile
del
1905,
Agati
pubblica
su “La
Sicile
Illustrée”,
uno dei
periodici
più
diffusi
agli
inizi
del XX
secolo
in
Sicilia,
un
articolo
a
carattere
divulgativo
sulla
villa
Palagonia
di
Bagheria[97].
L’autore
evidenzia
la
carenza
di
notizie
riguardanti
l’edificio,
meta di
viaggiatori
europei
già dal
XVIII
secolo[98]
per la
bizzarra
particolarità
dei
mostri
di
pietra
che
decorano
il muro
di
cinta, e
basandosi
sulle
fonti ne
traccia
un
profilo
storico
e
artistico:
Il
palazzo
o, come
lo
chiamano
gli
abitanti
del
luogo,
il
Casino
Palagonia
fu
impreso
a
costruire
nel 1715
per
delizia
del
Principe
Francesco
Ferdinando
Gravina,
il quale
adibì in
sul
principio
l’opera
dell’architetto
P.
Tommaso
Di
Napoli,
domenicano,
allora
in gran
fama per
avere
progettata
la
sistemazione
di
piazza
S.
Domenico
di
Palermo.
La
fabbrica
fu più
tardi
portata
a
compimento
da un
altro
architetto,
Agatino
Dajdone;
e più
tardi
ancora
Salvatore
Gravina,
congiunto
di
Francesco
Ferdinando
vi
introdusse
modifiche
e
cangiamenti
nella
decorazione
interna.
Ciò è
quanto
si
apprende
dagli
archivi
della
patrizia
famiglia
e da
un’enfatica
iscrizione
che si
legge ne
vestibolo.
[…] I
nomi dei
due
architetti
risultano
chiari
dagl’incartamenti
dell’archivio
della
famiglia.
Il nome
del P.
Di
Napoli
appare
da un
solo
atto del
1715. in
esso
alcuni
cavatori
si
obbligano
fornire
per la
fabbrica
del
casino
tutta la
quantità
di
pietra
di
intaglio
rustico
dell’Aspra
(cava
ancora
in piena
attività)
[…]. In
atti
successivi
(rogiti,
misurazioni,
note di
spese,
etc.)
figura
sempre
il nome
dell’Ajdone
con
l’esplicita
qualità
di
architetto
della
fabbrica.[…]
Il piano
nobile
si
compone
di 13
ambienti.
La sala
mette
subito
in una
scala
ovale,
donde, a
destra e
di
faccia,
si
perviene
nell’appartamento
d’onore,
destinato
ai
ricevimenti
ed alle
feste.
Quivi
artefici
ignoti
sbizzarrirono
l’ingegno
di un
ricco
singolare
sfoggio
di
decorazione.
V’è un
gran
salone
quadrato
che
sembra
proprio
ispirato
dal
regno
dei
sogni e
della
fantasia.
Nel
soffitto,
con
novità
ingegnosa,
volle
rappresentare,
mediante
specchi,
la volta
del
cielo
sparsa
da
nuvolette;
nelle
pareti,
fra un
ricco
commesso
di marmi
policromi,
furono
disposti
i busti
dei
principali
personaggi
gentilizi,
fra’
quali
quelli
del
fondatore
e della
di lui
consorte,
Gioacchina
Gravina
Gaetani.
Elegantissima,
inoltre,
la
loggia,
ossia il
salotto
di
conversazione
che si
svolge
lungo la
facciata
meridionale
dell’edificio[99].
Sei mesi
dopo,
sempre
su “La
Sicile
Illustrée”,
viene
pubblicato
un
secondo
contributo
dedicato
ad
alcuni
lavori
di
restauro
in corso
in tre
città
dell’Isola[100].
Agati
informa
che a
Palermo
si
progetta
il
restauro
della
volta
dell’Oratorio
del SS.
Rosario
in S.
Domenico,
decorata
con
l’affresco
di
Pietro
Novelli
raffigurante
l’Incoronazione
della
Vergine
(1630
ca.)[101]:
Da
qualche
tempo
notavansi
alcune
screpolature
nella
volta
che
fecero
sorgere
qualche
timore.
Infatti
eseguita
da parte
dell’ufficio
tecnico
regionale
pei
Monumenti
una
minuziosa
visita,
è stato
constatato
il
cattivo
stato
delle
centinature
della
volta,
che
insieme
alla
irrazionale
costruzione
del
tetto
soprastante,
era
causa
dei
danni
lamentati.
Compilato
il
relativo
progetto
d’arte
si
procederà
fra non
guari
all’esecuzione
dei
restauri
coi
mezzi
pecuniari
approntati
dal
Ministero
della P.
Istruzione
e dai
confrati.
Scrive
poi che
nella
chiesa
di S.
Francesco
d’Assisi
a
Messina
è stato
ricollocato
il
monumento
funebre
dell’ammiraglio
Angelo
Balsamo
(1507)
danneggiato
dall’incendio
che
aveva
colpito
la
chiesa
nel
1884:
[…] il
mausoleo
ad
Angelo
Balsamo
i cui
pezzi
furono
raccolti
religiosamente
e
conservati
in un
magazzino,
dove
chissà
ancora
per
quanto
tempo
avrebbero
atteso
la
ricollocazione,
se non
fosse
stato
pel
pensiero
altamente
civile
del
signor
Principe
di
Castellacci,
Francesco
Marullo,
che ha
voluto a
tutte
sue
spese
ricomporre
il
mausoleo,
esternando
così la
memoria
di un
suo
illustre
antenato
e
restituendo
inoltre
all’amministrazione
degli
amatori
dell’arte
uno
splendido
esemplare
di
scultura
del
Rinascimento.
Il
lavoro è
ben
riuscito,
e di ciò
va data
lode a
quel
benemerito
ispettore
locale
dei
Monumento,
Ing.
Pasquale
Mallandrino,
che ne
diresse
i
lavori.
[…] La
stilistica
la fa
riportare
alla
seconda
metà del
cinquecento,
sebbene
il
Balsamo
sia
morto il
1507
come si
apprende
da una
iscrizione
che ivi
si
legge.
[…] In
questa
rappresentazione
l’artista
evidentemente
s’ispirò
al
monumento
del
viceré
d’Acuna,
nel
Duomo di
Catania.
L’insieme
ha bensì
una
stretta
affinità
con
l’edicola
del
Cristo
risorto
nella
Cattedrale
della
stessa
Messina,
opera
che
vuolsi
eseguita
dallo
scultore
e
architetto
Giacomo
Del
Duca. Fu
lo
stesso
artista
che
eseguì
il
monumento
al
Balsamo?
Più
tardi
forse
qualche
documento
potrà
far luce[102].
L’articolo
mette in
risalto
la
capacità
di
analisi
sulla
“stilistica”,
e Agati
–
fornendo
una
precisa
lettura
del
monumento
(con
adeguati
raffronti
alle
opere di
Antonello
Freri),
e degli
interventi
di
restauro
relativi
– sembra
accordare
fiducia
alle
ricerche
documentarie
proprie
della
“scienza
storico-artistica”.
L’ultima
notizia
riguarda
l’inizio
dei
lavori
di
restauro
del
palazzo
Bellomo
di
Siracusa,
che si
protrarranno
per
decenni,
ai quali
parteciperà
direttamente,
con
un’interessante
notazione
del
progetto
museografico
che
riguarda
gli
allestimenti
delle
collezioni
d’arte
nelle
diverse
sale
dell’edificio:
La
sovraintendenza
archeologica
di
Siracusa
pensa di
dare un
locale
più
acconcio
alle
opere ed
oggetti
d’arte
medievale
e
moderna,
destinando
allo
scopo
l’antico
palazzo
Bellomo
che fu
fino a
poco
tempo da
monastero
di donne
[…] I
lavori
di
restauro
(e
l’edifizio
ne ha
bisogno
parecchi)
sono già
iniziati,
e quando
saranno
compiuti,
vi si
disporranno
le varie
collezioni
che al
presente
hanno
posto
inadatto
nelle
sale del
grande
Museo di
antichità
classiche.
Nel
pianterreno,
sotto le
grandiose
volte a
croce,
talune
cordonate
similmente
a quelle
di
Castel
Maniace,
saranno
collocati
le
statue
ed i
frammenti
di
scultura;
sopra,
le sale
illuminate
da ampie
finestre
dagli
archetti
tribolati
e dalle
esili
colonnine
accoglieranno
i quadri
gli
arredi
sacri,
le
oreficerie,
i
merletti
e molti
altri
oggetti
che si
son
potuti
salvare
dalla
mania
devastatrice
cui
furono
soggetti
per
qualche
tempo i
cimeli
artistici
nostri[103].
Il
1906 è
l’anno
di
pubblicazione
su
“Rassegna
d’Arte”,
manifesto
della
cultura
milanese
del
primo
Novecento[104],
del
saggio
sull’attività
siciliana
dello
scultore
dalmata
Francesco
Laurana[105],
scritto
in
collaborazione
con
Enrico
Mauceri.
Nell’articolo
è
proposto
uno
studio
approfondito
sulle
opere
scultoree
di
Francesco
Laurana,
un tema
al quale
la
storiografia
d’oltralpe
si era
interessata
fin dal
1851[106];
ma che
rappresenterà
un forte
“banco
di
prova”
per gli
studi
del
primo
Novecento[107]
e per
quelli
più
recenti,
soprattutto
in
relazione
all’attività
dei
Gagini
in
Sicilia[108].
Attraverso
riscontri
documentari
e studi
stilistici,
gli
autori
dimostrano
che la
permanenza
dell’artista
dalmata
nell’Isola
si
protrae
ben
oltre il
triennio,
che la
precedente
letteratura
artistica
aveva
fissato
fra il
1468 e
il 1471.
Inquadrando
l’attività
artistica
circoscritta
alla
provincia
agrigentina,
in
particolare,
i due
autori
riconoscono
nel
portale
di marmo
della
chiesa
di S.
Margherita
di
Sciacca
l’opera
del
Laurana:
Esso non
è certo
al posto
di
origine,
giacché
in
taluni
pezzi,
specie
nella
parte
superiore,
si
osservano
vari
spostamenti
avvenuti
pel
fatto
della
ricomposizione.
Trattasi
di
un’opera
squisita,
genuinamente
ed
integralmente
compiuta
dal
Laurana,
il quale
qui,
come
altrove,
si
rivela
elegante
e
sviluppato
figurista,
perfino
nei più
minuti
particolari
di
carattere
ornamentale,
con
sovrabbondanza
di
angioletti,
testine
di
serafini,
ecc. […]
La
presenza
del
Laurana
a
Sciacca
fa
pensare
al busto
di
Eleonora
d’Aragona
(Signora
di
quella
terra e,
come si
disse,
fondatrice
della
chiesetta
di Santa
Margherita
anzidescritta),
proveniente
dal
convento
di Santa
Maria
del
Bosco,
ed oggi
posseduto
dal
Museo
nazionale
di
Palermo.
Potrebbe
darsi
che tale
lavoro,
ascritto
già dal
Salinas
al
nostro
artista
per suoi
rapporti
stilistici
con la
Madonna
di Noto,
sia
stato
eseguito
nel
corso
dei
lavori
di Santa
Margherita,
e che
poi sia
stato
trasportato
nel
celebre
convento
a
richiesta
di quei
frati, i
quali
dovevano
conservare
un
grande
culto
per la
nobile
infantessa,
benefattrice
del loro
cenobio[109].
I
due
studiosi
siracusani,
inoltre,
attribuiscono
a
Laurana
anche la
Madonna
col
Bambino,
detta
Madonna
del
Popolo,
nella
chiesa
di S.
Agostino
a
Messina,
la cui
paternità
era
stata
precedentemente
assegnata
da
Gioacchino
Di Marzo
a Giovan
Battista
Mazzolo,
e che
oggi è
riferita
a Pietro
de
Bonitate[110].
[…] Due
altre
madonne
segnaliamo
infine
come
uscite,
a nostro
parere,
dalla
officina
del
Laurana;
una
nella
chiesa
di S.
Agostino
di
Messina,
creduta
da
alcuni
del
Mazzolo,
da altri
di
Antonello
Gagini,
mentre
essa di
approssima
alla
Madonna
di Noto
e a
quella
del
prospetto
della
cappella
di Santa
Barbara
nel
Castel
Nuovo a
Napoli;
l’altra
nella
chiesa
di Santa
Maria
della
Porta in
Geraci
Siculo,
nella
quale
non ci è
stato
possibile
dare una
riproduzione
fotografica
per
difficoltà
di vario
genere[111].
e
il busto
marmoreo
di
Pietro
Speciale:
Un’opera
di
magistrale
fattura,
finora
ritenuta,
in
mancanza
di prove
contrarie,
di
Domenico
Gagini,
dopo
queste
nostre
nuove
indagini,
possiamo
dare al
Laurana;
ed è il
busto di
Pietro
Speciale,
collocato
entro
una
nicchia
nella
scala
dell’antica
casa di
quel
Signore,
in
Palermo.
È
inutile
parlare
di
raffronti
di
stile,
quando
sono
evidenti
da per
sé
stessi
con le
sculture
di
Sciacca
e col
San
Giuliano
di
Salemi.
[…] il
lavoro
originale,
il quale
è retto
da una
mensola
ornata,
e
circuito
da una
ghirlanda:
l’una e
l’altra
rivelanti
lo
stesso
segno
accurato,
deciso
dello
scalpello
del
Laurana[112].
Gli
autori
invitano
gli
studiosi
ad
approfondire
le
ricerche
sull’attività
di
Francesco
Laurana
in
Sicilia:
[…] Dopo
tutto
quanto
abbiamo
passato
in
rassegna,
a noi
pare che
l’attività
artistica
del
Laurana
in
generale
sia in
diritto
di
richiedere
uno
studio
attento
ed
analitico,
dai
primordi
sino al
suo
completo
svolgimento,
cosa che
finora
nemmeno
si è
tentato.
Noi non
affrettiamo
giudizi,
né
vogliamo
imporre,
come
fanno
alcuni,
la
nostra
opinione.
Diciamo
solo:
esaminate
e
giudicate!
Si è
creduto
che la
comparsa
dello
scultore
dalmata
in
Sicilia
fosse
stata
rapida
come una
meteora,
ed
invece
ora con
la
testimonianza
dei
fatti,
si può
provare
il
contrario;
giacché
è
inammissibile
concepire
che un
artista
abbia
potuto
compiere
tante
opere in
brevissimo
giro di
anni[113].
È
da
notare,
solo per
inciso,
come
l’articolo
riveli
la
sensibilità
dei due
studiosi
siciliani
che,
riprendendo
il
percorso
tracciato
in
precedenza
da
autori
quali
Gioacchino
Di Marzo
e
Antonino
Salinas,
intuiscono
la
necessità
di un
approfondimento
dell’attività
dello
scultore
dalmata
in
Sicilia,
figura
centrale
del
Rinascimento,
come poi
messo a
fuoco da
Adolfo
Venturi,
che
individuerà
con
precisione
il nesso
fra
Laurana,
Antonello
e Piero[114].
Il
1907 è
l’anno
della
pubblicazione
de Il
“Cicerone”
per la
Sicilia[115]
una
guida
pubblicata
dall’editore
Reber di
Palermo,
a cura
dell’Associazione
Siciliana
per il
Bene
Economico.
Un’opera
che
vedrà
ancora
la
collaborazione
fra
Agati e
Mauceri,
autore
molto
versato
in
questo
genere
di
letteratura
artistica[116].
È
il
fenomeno
delle
guide
artistiche,
che,
come
notato
da
Gianni
Carlo
Sciolla[117],
combinavano
il
vecchio
filone
del
genere
periegetico
con la
cultura
antropo-geografica
di fine
Ottocento.
Anche in
Sicilia,
nello
scorcio
del XIX
secolo,
appaiono
numerose
guide e
“ciceroni”
dell’isola,
influenzati
dalla
geografia
culturale
che,
nata
proprio
in quel
periodo,
si
occupa
di
oggetti
e luoghi
che
«accentuano
in sé
tutti i
valori
della
cultura,
ne
testimoniano
il
carattere
peculiare»;
questi
luoghi e
questi
oggetti
sono i
beni
culturali,
segni
incisi
nel
territorio
quali
simboli
di una
cultura
propria
di un
popolo,
sono i
segni
del
paesaggio,
«simboli
culturali»[118].
Così il
“Cicerone”
di
Sebastiano
Agati,
riccamente
illustrato
e
corredato
da
piante e
rilievi
di sua
mano
[figg.
18-20],
partecipa
di
questi
caratteri.
L’itinerario,
introdotto
dall’excursus
storico-artistico
di
Mauceri,
inizia
da
Palermo
e
finisce
con
Messina,
toccando,
anche se
in forma
sintetica,
e non
tralasciando
preziose
informazioni
sulla
dislocazione
delle
opere
d’arte,
tutte le
province
siciliane.
Il
volume è
chiuso
da un
saggio
di
bibliografia
che
comprende
principalmente
testi di
storia
siciliana
e di
letteratura
artistica
e
antiquaria-archeologica,
testimonianza
di
un’attenzione
verso
gli
studi
precedenti
e verso
la
letteratura
artistica
classica.
“L’Arte”
di
Adolfo
Venturi,
rivista
sempre
attenta
alle
novità
editoriali[119],
recensiva
nel
Bollettino
bibliografico
la guida
di Agati
e
Mauceri,
sottolineando
un
inedito,
seppur
non
ancora
perfettamente
maturo,
approccio
scientifico
verso
l’opera
d’arte.
Si
evidenziavano,
comunque,
come
caratteristiche
positive
del
“Cicerone”
nella
linea
degli
handbooks,
il
“soffio
della
critica”
che
ridimensionava
molte
attribuzioni
“gonfiate”
del
secolo
scorso,
l’aggiornamento
bibliografico,
frutto
di un
saldo
rigore
scientifico,
e la
facilità
nella
consultazione:
Vuole
essere
spezialmente
una
guida
pratica
per i
monumenti
della
Sicilia,
e sotto
questo
aspetto
risponde
pienamente
allo
scopo:
ma ha
anche
valore
di
studio
critico,
in
quanto
spesso
corregge,
circa le
opere
d’arte,
attribuzioni
inesatte,
errori
tradizionali.
Questo
bel
volumetto
sarà
quindi
molto
utile
anche
agli
studiosi
sebbene,
sotto il
secondo
aspetto,
sia
stato
troppo
inegualmente
preparato.
Nella
Pinacoteca
di
Palermo
gli
autori
hanno
fatto
penetrare
il
soffio
della
critica,
distruggendo
le
fantastiche
attribuzioni
al
Raffaello,
al
Correggio,
ecc.,
così per
molte
opere
d’arte
singole
hanno
tenuto
conto
delle
risultanze
dei più
recenti
studi;
in altri
e non
infrequenti
casi non
hanno
fatto
che
ripetere
gli
errori
antichi.
Lodevole
in
complesso,
quest’opera
sostituirà
degnamente
la bella
ma non
pratica
e troppo
invecchiata
guida
del
Dennis[120].
Paolo
Orsi,
nella
recensione
scritta
su
“Archivio
Storico
per la
Sicilia
Orientale”[121],
commentava
l’uscita
del
“Cicerone”
con toni
decisamente
più
entusiastici,
e ne
sottolineava
positivamente
il
carattere
“autoctono”
siciliano,
che la
rendeva
del
tutto
particolare
rispetto
alle
precedenti
guide
dedicate
alla
Sicilia
in
lingua
straniera,
come
quella
dell’archeologo
inglese
George
Dennis[122]:
Ecco un
ottimo
libro
tutto
italiano,
anzi
siciliano,
stampato
in
nitidissima
edizione,
con
buone
carte, e
redatto
con cura
e
precisione
encomiabilissime,
Esso
corrisponde
ad un
vecchio
desiderio
di
quanti,
viaggiando
in
Sicilia,
desiderano
conoscere
tutto
che di
pregevole
per la
storia e
per
l’arte
racchiudano
anche i
più
riposti
e
sconosciuti
paeselli.
In parte
è un
rifacimento
del
vecchio
ed
irreperibile
Handbook
for
travellers
in
Sicily
del def.
Dennis;
ma le
correzioni
e le
aggiunte
sono
così
numerose,
e così
diversa
l’orditura
del
libro,
che ne
risulta
un’opera
nuova ed
originale,
un vero
ed
eccellente
Bedaeker
per la
Sicilia.
In mezzo
a tante
guide
mediocri
e da
strapazzo,
che oggi
ingombrano
il
mercato
libraio,
questa
terrà
senza
dubbio
ed a
lungo il
primato,
e non
può
mancare,
attesa
la sua
serietà,
in ogni
buona
biblioteca.
Una lode
sincera
all’editore
Reber,
ed ai
due
autori,
che non
hanno
risparmiato
spese
cure e
fatiche,
perché
il libro
riuscisse
veramente
utile,
pratico
e
decoroso[123].
Nel 1908
Agati
invia
una
lettera
dal
titolo
Monumenti
inediti[124]
ai
direttori
della
rivista
“Rassegna
d’Arte”,
Guido
Cagnola
e
Francesco
Malaguzzi
Valeri,
nella
quale
puntualizza
le varie
inesattezze
riguardanti
due
articoli
di
Lorenzo
Fiocca,
che
aveva
già
scritto
su temi
siciliani
per la
testata
milanese[125],
pubblicati
lo
stesso
anno[126].
Scrive
Agati:
Mi
si
consenta
di
aggiungere
alcune
considerazioni
sul
grave
argomento
che egli
ha
impreso
a
trattare:
L’arte
siciliana,
per la
sua
intima
particolare
natura,
per il
suo
carattere
spiccatamente
eclettico,
per le
sue
varie
manifestazioni
dipendenti
dal
diverso
senso
che
animava
nei
tempi le
signorie
succedutesi
nel
dominio
dell’Isola,
può
facilmente
trarre
in
inganno
lo
studioso
che di
essa non
abbia
una
preparazione
speciale
fatta di
lunga e
minuta
osservazione
locale
degli
avanzi
meravigliosi
di una
civiltà
trapassata.
Le
indagini
sull’architettura
siciliana,
soprattutto,
esigono
che lo
studioso
viva fra
i
monumenti
del
nostro
paese,
che
scruti e
ricerchi
nella
vita dei
popoli
di una
volta,
che
esamini
le loro
opere,
le loro
tendenze;
le
maniere
loro più
predilette
in fatto
d’arte.
Una
corsa o
una
visita
rapida
per
l’Isola
non
possono
dare che
impressioni
erronee
e di
conseguenza
fallaci,
per
quanto
talvolta
sicuramente
affermati.
[…] Il
prelodato
critico,
riscontra
“contrassegni
evidenti
e
vigorosi
dell’arte
così
detta
normanna”
nella
finestra
della
sagrestia
della
cattedrale
di
Messina,
mentre
questa
altro
non è se
non un
saggio
di
quell’architettura
genialissima,
frammista
di
elementi
locali e
spagnuoli,
fiorita
in
Messina
e nelle
provincia
intorno
agli
ultimi
decenni
del
quattrocento
e ai
primi
del
secolo
seguente.
[…]
Discorrendo
del
sontuoso
portale
meridionale
del
Duomo di
Palermo,
riconosce
nell’opera
“forme
lombarde”,
quando
essa,
invece,
ha
carattere
spiccatamente
siciliano,
ispirata
a
modelli
preesistenti,
ad
esempio
il
portale
del
Duomo di
Monreale.
Ed è
strano
che il
Fiocca
taccia
il nome
dell’artista,
Antonio
Gambara,
la data,
1426,
l’uno e
l’altra
ricordati
da una
iscrizione
ivi
apposta[127].
Da
quanto
scrive
Agati –
«lo
studioso
viva fra
i
monumenti
del
nostro
paese,
che
scruti e
ricerchi
nella
vita dei
popoli
di una
volta,
che
esamini
le loro
opere,
le loro
tendenze;
le
maniere
loro più
predilette
in fatto
d’arte»
– si
nota
come
ritenga
indispensabile,
dunque,
la
conoscenza
diretta
dell’opera
d’arte,
come
prodotto
storico
di una
civiltà,
da
indagare
nelle
pieghe
più
riposte,
con
un’analisi
comparativa
di
modelli
architettonici
e
stilistici.
La
polemica
su
Fiocca
coinvolge
anche
Antonino
Salinas,
allora
direttore
del
Museo
Nazionale
di
Palermo,
che
accusa,
sulle
pagine
della
stessa
rivista,
Lorenzo
Fiocca
di
plagio e
altre
inesattezze:
Nessuno
contende
al
Fiocca
la
libertà
di
seguire
particolari
suoi
metodi
di
studio,
né io mi
propongo
di
esaminare
se egli
abbia o
no il
dritto
di
copiare,
perfino
nelle
mende
tipografiche,
quel che
ho
scritto
in
proposito
molti
anni fa;
quel che
gli
contesto
è,
invece,
il
dritto
di farmi
dire, e
se di un
periodico
così
importante
com’è la
Rassegna
d’Arte,
quello
che io
non ho
detto,
né
potevo
dire[128].
D’altronde,
già dai
primi
anni del
Novecento,
non di
rado si
assiste
alle
cosiddette
“polemiche
artistiche”,
dovute
anche
alla
maggiore
diffusione
delle
pubblicazioni
che fin
dalla
metà
dell’Ottocento
sono
dedicate
alla
storia
dell’arte
e
rivolte
a un
pubblico
attento.
Un campo
editoriale
poco
battuto
e aperto
al
dibattito
e al
riscontro
di
documentazioni
storiche
delle
fonti
che si
slegano
dalla
vecchia
cultura
della
letteratura
artistica
raccontata
con uno
stile
narrativo
più
vicino a
una
prosa
quasi
poetica.
Nel 1911
Enrico
Mauceri
pubblica,
su
“Bollettino
d’Arte”,
I
Bellomo
e la
loro
casa[129],
storia
del
palazzo
e della
famiglia
fino
all’acquisizione
da parte
del
Comune
del
complesso
architettonico,
per la
costituzione
del
nuovo
museo di
arte
medievale
e
moderna.
Mauceri
ripercorre
i
momenti
dell’acquisizione
e del
restauro
dell’edificio
da
adibire
a museo
cittadino:
Nel
1900, la
Direzione
del R.
Museo
Archeologico
di
Siracusa,
appena
avuta
notizia
della
imminente
chiusura
del
Monastero
di S.
Benedetto,
ebbe
cura di
far
valere i
diritti
dell’arte,
chiedendo
che la
parte
monumentale
annessa
al
vecchio
fabbricato
monastico
fosse
ceduta
all’Amministrazione
delle
Antichità
e Belle
Arti. E
a ciò
essa fu
mossa da
una
doppia
ragione:
tutelare
nel
miglior
modo
possibile
un
edificio
che in
Siracusa,
in mezzo
ad in
numeri
avanzi
di case
patrizie
e
borghesi,
appena
superstiti
al
fatale
terremoto
del
1693,
rappresenta,
insieme
col
palazzo
Montalto,
l’architettura
medioevale
nella
sua
forma
sontuosa
sebbene
cronologicamente
e
stilisticamente
diversa;
e al
tempo
stesso,
mirare a
renderlo
sede, in
un
prossimo
avvenire,
delle
raccolte
artistiche,
in pochi
anni
accresciutesi.
[…]
L’Ufficio
dei
Monumenti,
con
l’assistenza
amorosa
e
diligente
di un
suo
abile
funzionario,
il prof.
Sebastiano
Agati,
ha
ripristinato
le due
trifore
del
prospetto
sulla
via
Capodieci,
una
terza ed
una
bifora
murata
dalla
parete
del
vicolo;
ha
restaurato
la
scala,
restituito
il
grande
salone
di
rappresentanza
ed
eseguito
altre
opere
strettamente
necessarie,
in modo
inappuntabile.
Ma
ancora
altro
resterebbe
da fare
per
poter
dire il
palazzo
libero
delle
bruttissime
deturpazioni
superfetazioni
settecentesche,
ed è da
sperare
che ciò
avvenga
in tempo
non
lontano.[130]
Tra le
pagine
dell’articolo
compaiono
i
rilievi
di Agati
[fig.
21] e
una
serie di
fotografie
che,
come ad
esempio
quelle
della
scala
nelle
versioni
prima e
dopo il
restauro
[figg.
22-23],
documentano
i
progressi
dei
lavori
dell’immobile
attuati
fino a
quel
momento.
Sono
ancora
inedite
carte
d’archivio
a
precisare
che nel
1917
Agati è
in
contatto
epistolare
con il
segretario
della
Deputazione
della
Galleria
d’arte
moderna
di
Palermo,
per
chiedere
notizie
sulla
dislocazione
delle
opere
all’interno
delle
sale del
museo;
Agati
era
stato
infatti
incaricato
di
redigere
una
scheda
per
l’edizione
del
libro
dedicato
alla
Sicilia
incluso
nella
collana
“Guida
d’Italia”
del
Touring
Club
Italiano:
Ill.mo
Signore,
Come
saprà il
Touring
Club
Italiano
attende
alla
compilazione
della
Guida
d’Italia
in
diversi
volumi,
dei
quali
alcuni
sono già
apparsi.
Ora la
forte
aspirazione
milanese
lavora a
preparare
il
volume
che
riguarda
la
Sicilia
e a tale
scopo ha
incaricato
me di
fornirle
il
materiale
ricorrente.
Naturalmente
parlando
di
Palermo
non
puossi
fare a
meno di
additare
al
visitare
la
Galleria
d’arte
moderna
sorta
come per
incanto
in
cotesta
città.
Ora io
prego
Lei –
che so
che
s’interessa
tanto
dell’istituzione
– di
volermi
fare
avere
una
descrizione
succinta
della
galleria,
indicandomi
le opere
più
importanti,
la
disposizione
delle
sale, i
giorni e
l’orario
delle
visite,
e in
generale
tutto
quanto
Ella
crederà
sia
utile a
sapersi
dal
visitatore[131].
Un
ultimo
articolo
rintracciato,
estratto
dalla
rivista
“Dioniso”[132],
e di
seguito
riportato
integralmente,
è la
commemorazione
per la
scomparsa
di
Sebastiano
Agati
avvenuta
il 21
novembre
1949 a
Siracusa:
Con
l’Arch.
Sebastiano
Agati,
morto
nella
sua
città
natale
il 27
novembre
u.s.,
l’Istituto
Nazionale
del
Dramma
Antico
ha
perduto
uno dei
suoi
Consiglieri
più
fedeli e
appassionati,
la
vecchia
Siracusa
un
cittadino
di rara
integrità
morale,
uno
studioso
fra i
più
onesti e
scrupolosi
del suo
patrimonio
artistico
di ogni
tempo,
un
tecnico
del
restauro
monumentale
difficilmente
eguagliabile
per
vastità
di
esperienze,
per
sicurezza
di
gusto,
per
chiara
ed
amorosa
coscienza
dei suoi
compiti
e dei
suoi
limiti.
Non è
possibile
compendiare
in poche
parole
un
giudizio
dell’Agati
che
tenga
conto di
tutte le
sue
veramente
eccezionali
virtù di
uomo e
di
cittadino
e delle
benemerenze
innumerevoli
che gli
vanno
obbiettivamente
riconosciute
nel
campo
specifico
della
sua
silenziosa,
assidua,
disinteressata
attività
professionale.
Non si
avrebbero
parole
per
ricordarne
degnamente
la
profonda
e serena
bontà,
la
schietta
semplicità
del
carattere,
il senso
cordiale
del
rispetto
per le
giuste
necessità
degli
altri. E
non si
saprebbe
con
adeguata
rappresentazione
lumeggiare
quella
sua
intima,
naturale,
impareggiabile
umiltà,
che si
sarebbe
detta di
altri
tempi e
di altre
società,
per cui
del suo
lavoro
sapeva
essere
pago in
se
stesso,
come di
un
dovere
semplicemente
compiuto,
anche
quando
meriti e
plauso
potevano
ufficialmente
convergere
su
personalità
più
rappresentative,
che la
sua
opera
per
altro
mostravano
di
apprezzare
– sia in
privato
che in
pubblico
– nella
pienezza
indiscutibile
del suo
valore.
Collaboratore
prezioso
e
affezionato
di Paolo
Orsi, ne
costituì
il
tecnico
di
fiducia
nel
restauro
di tanti
e tanti
monumenti
classici
e
medievali
cui la
Soprintendenza
rivolse
le sue
cure: ad
Agrigento
come a
Catania,
a
Tindari
come a
Taormina,
e a
Siracusa
soprattutto,
dove non
c’è
opera di
architettura
alla
quale l’Agati
non
abbia
dedicato
con
immenso
amore i
tesori
della
sua
capacità
artistica
e la
trepida
attenzione
dello
studioso
cui
nulla
sfugge,
che
tutto
vuol
salvare
all’ammirazione
e al
godimento
delle
generazioni
che
verranno.
Valga
per
tutti il
restauro
minuzioso
e
veramente
magistrale
del
Duomo,
tra le
cui
strutture
si
annida
il
tempio
greco di
Athena,
del V
sec. a.
C. La
morte ha
colto
Sebastiano
Agati
sulla
breccia.
In
silenzio
come
sempre,
con
azione
di una
costanza
che solo
il suo
carattere
poteva
esprimere,
tra
difficoltà
ed
amarezze
di ogni
genere,
Egli ha
speso
gli
ultimi
anni
della
sua vita
– ed
ancora
vi
attendeva
per gli
estremi
ritocchi
– nella
realizzazione
di un
suo
vecchio
sogno:
il
ripristino
di
Palazzo
Bellomo
e
l’organizzazione
di un
Museo
medievale
degno
della
sua
bella e
nobile
Siracusa.
I
concittadini
gli
siano
grati di
quest’altro
suo
merito:
il mondo
degli
studi,
attraverso
la mia
modesta
parola,
gliene
dà atto
con
commozione
e
riconoscenza[133].
[1] Per l’attività della Commissione rimando a G. Lo Iacono, C. Marconi, L’attività della Commissione di Antichità e Belle Arti in Sicilia. Parte I. 1827-1835, “Quaderni del Museo Archeologico Regionale “Antonino Salinas”, Supplemento n. 5, 1999.
[2] Per Meli vedi R. Cinà, Giuseppe Meli conoscitore nell’inventario del lascito Mandralisca, in Gioacchino Di Marzo e la Critica d’Arte nell’Ottocento in Italia, atti del convegno (Palermo, 15-17 aprile 2003) a cura di S. La Barbera, Aiello & Provenzano Bagheria 2003, pp. 217-224; Ead., Giuseppe Meli e la cultura dei conoscitore nell’Ottocento, in “Tecla – Temi di critica e letteratura artistica”, (http://www.unipa.it/tecla/monografie_noreg/monografia_cina1_noreg.php), Palermo 2010.
[3] Si veda in particolare A. Samonà, L’eclettismo del secondo Ottocento: G.B. Basile, la cultura e l’opera architettonica teorica didattica, ILA Palma, Palermo 1983.
[4] Per Antonino Salinas, archeologo e direttore del Museo Nazionale di Palermo dal 1873 al 1913, rinvio a V. Tusa, Un secolo di studi e ricerche archeologiche in Sicilia, in La Sicilia e l’unità d’Italia: atti del Congresso internazionale di studi storici sul Risorgimento italiano (Palermo, 15-20 aprile 1961), Feltrinelli, Milano 1962, pp. 961 e ss., Id., Antonino Salinas nella cultura palermitana, “Archivio Storico Siciliano”, serie IV, v. IV, 1978, pp. 429-444.
[5] Per Giuseppe Fiorelli (1823-1896) si veda S. De Caro, P. G. Guzzo (a cura di), A Giuseppe Fiorelli nel primo centenario della morte, Arte tipografica, Napoli 1997.
[6] Francesco Lanza di Scalea (1834-1919) era figlio di Pietro Lanza principe di Butera e di Scordia e di Eleonora Spinelli principessa di Scalea. Fu senatore del Regno nella XV legislatura (1884).
[7] Si vedano per esempio F. S. Cavallari, S. T., in “La Concordia. Giornale siciliano”, II, t. II, 12, 20 giugno 1841, pp. 95-96. Id., Notizie interne. Palermo 12 giugno, “Giornale di Sicilia”, II, 129, 15 giugno 1864, p. 1; Id., Sulla topografia di talune città greche in Sicilia e dei loro monumenti. Akragas, in “Archivio Storico Siciliano. Pubblicazione periodica della Società Siciliana per la Storia Patria”, a. VI, 1881, p. 349. Interessante pure il bilancio generale dell’attività di tutela in F. S. Cavallari, Relazione sullo stato delle antichità di Sicilia, sulle scoverte e sui ristauri fatti dal 1860 al 1872, Tipografia del Giornale di Sicilia, Palermo 1872; Per Cavallari (1809-1896) si veda E. Mistretta Buttitta, La vita e le opere di Francesco Saverio Cavallari, Scuola tip. Boccone del povero, Palermo 1929; G. Cianciolo Cosentino, Francesco Saverio Cavallari (1810-1896). Architetto senza frontiere tra Sicilia Germania e Messico, Caracol, Palermo 2007.
[8] W. Cortese, I beni culturali e ambientali – Profili normativi, CEDAM, Padova 2002; R. Cassanelli, Tutela valorizzazione reificazione, in R. Cassanelli, G. Pinna (a cura di), Lo stato aculturale. Intorno al codice dei Beni Culturali, Jaca Book, Milano 2005, pp. 17-40.
[9] Con la Carta del 1972 si estenderà il concetto di restauro a tutte le forme di opere d’arte delineando i canoni tutt’oggi osservati.
[10] W. Cortese, I beni culturali…, p. 39.
[11] L’art. 1 dispone che: La tutela degli interessi archeologici e artistici è esercitata, sotto la direzione del Ministero dell’istruzione, per mezzo dei seguenti uffici: 1/A Soprintendenze ai Monumenti; 2/A Soprintendenze agli Scavi e ai Musei Archeologici; 3/A Soprintendenze alle Gallerie, ai Musei Medioevali e Moderni e agli oggetti d’arte. Per questi temi si veda A. Varni, L’organizzazione della tutela: le soprintendenze per le belle arti, in La Nazione allo specchio. Il bene culturale nell’Italia unita (1861-2011), a cura di A. Ragusa, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2012, pp. 49-57.
[12] Paolo Orsi (1859-1935) fu inviato a Siracusa dove diede avvio a una serie di ricerche che gli permisero di tracciare il primo quadro storico, sistematico delle originarie culture della Sicilia preellenica, i Sicani e Siculi, spingendosi fino alla cultura romana e bizantina e al periodo medievale. Svolse un’infaticabile attività di Sovrintendente generale delle antichità e di direttore del museo di Siracusa, oggi a lui intitolato. G. Libertini, Centuripe a Paolo Orsi animatore e Maestro degli studi di antichità siciliane, Libreria Tirelli, Catania 1926; U. Zanotti Bianco, Paolo Orsi, estr. da “Rassegna moderna”, a. 1, fasc. 8, 1921; A. M. Marchese, G. Marchese, Bibliografia degli scritti di Paolo Orsi con prefazione di S. L. Agnello, Scuola Normale Superiore, Pisa 2000.
[13] Cfr. G. C. Sciolla, Le riviste e le guide, in La cura del bello musei, storie, paesaggi per Corrado Ricci, a cura di A. Emiliani, C. Spadoni, Electa, Milano 2008, in part. pp. 66 e ss.
[14] P. Orsi, L’Opera delle Sovrintendenze dei Monumenti, delle Gallerie, dei Musei e degli Scavi, in Cronaca delle belle arti, supplemento a “Bollettino d’Arte”, nn. 5-7, 1917.
[15] Ivi, p. 44.
[16] Ibidem.
[17] Ibidem.
[18] P. Orsi, L’Opera delle Sovrintendenze dei Monumenti, delle Gallerie, dei Musei e degli Scavi, in Cronaca delle belle arti, supplemento a “Bollettino d’Arte”, nn. 5-7, 1917, pp. 44-45.
[19] «È costituita in Roma una società dal nome Società Magna Grecia allo scopo di raccogliere fondi per finanziare campagne archeologiche nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia che ebbero anticamente il nome di Magna Grecia e in Sicilia. I fondi vengono raccolti mediante le quote dei soci che si dividono nelle categorie seguenti: Soci ordinari a L. 10 annue; Soci sostenitori a L. 100 annue; Soci perpetui a L. 1000 una volta tanto; Soci benemeriti a L. 10.000 una volta tanto. Le campagne archeologiche vengono eseguite dal personale governativo delle Soprintendenze. Al Soprintendente vengono versati volta per volta, presi gli opportuni accordi, i fondi necessari per dette campagne. Tutte le cariche della Società sono a titolo interamente gratuito Alla fine di ogni anno i soci riceveranno il bilancio una relazione dell’opera compiuta». Cfr. Paolo Orsi e la Società Magna Grecia, in “Archivio Storico della Calabria e Lucania”, a. V, 1935 pp. 325-326.
[20] “Archivio Storico per la Calabria e la Lucania”, a. I, 1931, p. 1.
[21] U. Zanotti Bianco, Paolo Orsi e la Società Magna Grecia, in “Archivio Storico della Calabria e Lucania”, a. V, 1935, p. 330.
[22] Ivi, p. 348.
[23] Guido di Stefano (Palermo, 1906-1962) è nominato nel 1948 docente di Storia dell’arte e Storia dell’architettura presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo. Specializzato in storia dell’arte medievale, partecipa ai restauri di palazzo Chiaramonte e della Zisa. Fra le sue principali pubblicazioni ricordo G. di Stefano, L’architettura gotico-sveva in Sicilia, Ciuni, Palermo 1935; Id., Monumenti della Siiclia nomanna (1955), Flaccovio, Palermo 1979.
[24] G. di Stefano, Momenti ed aspetti della tutela monumentale in Sicilia, in “Archivio Storico Siciliano”, serie III, vol. VIII (1956), 1957, pp. 343-369.
[25] Repertite durante le ricerche per V. Di Fazio, Sebastiano Agati fra Critica d’arte e Tutela, tesi di Laurea specialistica in Storia dell’arte, Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Lettere e Filosofia, relatore Prof.ssa Simonetta La Barbera, a.a. 2010-2011.
[26] Luciano, Luigi, Concetta, Gaetana, Carmela, Maria. Luciano ha vissuto e lavorato a Roma a capo della Direzione del Ministero delle Finanze.
[27] Archivio Centrale dello Stato [d’ora in poi ACS], Ministero Pubblica Istruzione – Personale Divisione I, 1908-24, b. 934.
[28] ACS, Ministero Pubblica Istruzione – Personale Divisione I, 1908-24, b. 934.
[29] Per l’attività di Giuseppe Patricolo – architetto palermitano, docente di geometria descrittiva e disegno presso la facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali dell’Università degli Studi di Palermo nonché direttore dell’ufficio regionale per la conservazione dei monumenti in Sicilia – si veda F. Tomaselli, Il ritorno dei Normanni. Protagonisti ed interpreti del restauro dei monumenti a Palermo nella seconda metà dell’Ottocento, Officina, Roma 1994.
[30] Materiali per la conoscenza storica e il restauro di una cattedrale. Mostra di documenti e testimonianze figurative della Basilica ruggeriana di Cefalù, a cura di V. Zoric, S.T.ASS, Palermo 1982, tav. X.
[31] S. Agati, Il “Cicerone” per la Sicilia. Guida per la visita dei monumenti e dei luoghi pittoreschi della Sicilia, introduzione di E. Mauceri, Reber, Palermo 1907.
[32] ACS, Ministero Pubblica Istruzione – Personale Divisione I, 1908-24, b. 934.
[33] «Si distingue nel rilievo e nel disegno dei Monumenti per l’esattezza, sebbene gli manchi l’espressione artistica nel rendere l’antico. Trovasi a Siracusa, in città natale, dal 2 agosto 1905, dapprima per malattia e poi per interessi di famiglia, dove presta qualche servizio. Lavora con esattezza ma è lentissimo». ACS, Ministero Pubblica Istruzione – Personale Divisione I, 1908-24, b. 934.
[34] Per il quale rimando a S. La Barbera, Enrico Mauceri connoisseur, museologo e storico dell’arte, in Enrico Mauceri (1869-1966). Storico dell’arte tra connoisseurship e conservazione, atti del convegno internazionale (Palermo, 27-29 settembre 2007), a cura di S. La Barbera, Flaccovio, Palermo 2009, pp. 31-57. In particolare per il rapporto con Paolo Orsi cfr. D. Levi, I luoghi e l’ombra incerta del tempo. Enrico Mauceri e due suoi mentori, Corrado Ricci e Paolo Orsi, in ivi, pp. 77-85.
[35] P. Orsi, Le chiese basiliane della Calabria, Firenze, 1929, ed. Vallecchi.
[36] Notizie gentilmente fornite da Errico Adorno, attuale proprietario del palazzo.
[37]S. Agati, Opere della Soprintendenza di Siracusa, in “Archivio Storico della Calabria e Lucania”, a. V, 1935, pp. pp. 311-313. Nella chiesa è presente una lapide commemorativa in onore dei restauri effettuati da Paolo Orsi e Sebastiano Agati: […] OPERI ABSOLVENDO PRAEFUIT SEBASTIANUS AGATI ARCHITECTUS PAOLO ORSI VETERUM SICILIAE MONUMENTORUM CURATORE. Per il duomo di Siracusa si segnala anche la lettera indirizzata a monsignore Carabelli nel 1927 da Enrico Calandra “(…) io ho fatto due visite fugaci: una a lavori appena cominciati, l’altra a lavori alquanto inoltrati, e ne ho riportato una impressione assolutamente rassicurante si ogni perplessità o dubbio allora mormorato. Entrando la prima volta, il senso di fiducia era ispirato soltanto dalla conoscenza delle presone alla cui sapienza e scrupolosità erano affidati agli studi prima, e alla direzione poi dei lavori da farsi; uscendo la seconda volta, la fiducia derivava dalle opere già compiute. Le quali, anche se non complete, bastavano a rassicurare sulla risoluzione del problema principale fra i tanti che implicava il restauro: sulla conservazione cioè dell’ambiente cristiano creato tredici secoli prima, sotto i bizantini, entro il tempio pagano anteriore di altri dodici secoli. (…) La differenza fra i tempi del restauro agrigentino del principe di Torremuzza e l’attuale siracusano, la eccezionale cultura del Senatore Orsi, non soltanto nel campo dell’archeologia greco-romana ma anche in quello bizantino e basiliano-normanno, l’amore grande del professore Agati, superato solo dalla di lui scrupolosità e modestia, saranno domani intuiti da ciascuno di quelli che varcheranno la soglia dell’antico opistodomo del tempio di Athena.” in Enrico Calandra – Scritti di Architettura a cura di Paola Barbera e Matteo Iannello, edizioni Salvare Palermo, Palermo 2011, pp.53-56.
[38] Elenco degli edifici monumentali LXIII: Provincia di Siracusa, Ministero della Pubblica Istruzione, Roma 1917.
[39] L’archeologo romano Giovan Battista De Rossi (1822-1894) è considerato il “padre” dell’archeologia sacra. Per la sua attività rimando a A. Baruffa, Giovanni Battista de Rossi. L’archeologo esploratore delle catacombe, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 1994.
[40] Elenco degli edifici monumentali LXIII: Provincia di Siracusa, Ministero della Pubblica Istruzione, Roma 1917.
[41] Umberto Zanotti Bianco (1889-1963) fonda con Paolo Orsi la Società Magna Grecia (1920), conducendo importanti campagne di scavi archeologici a Sant’Angelo Muxaro (1931-32), con Orsi stesso a Sibari (1928-1930), con Giuseppe Foti a l’Heraion del Sele insieme con Paola Zancani Montuoro (1934). Sempre con Orsi fonda la rivista “Archivio Storico per la Calabria e la Lucania”. Socio fondatore di Italia Nostra, nominato nel 1952 senatore a vita dal presidente Luigi Einaudi, svolse un’intensa attività parlamentare, soprattutto in difesa del patrimonio monumentale e ambientale. V. E. Alfieri, Umberto Zanotti Bianco, La Nuova Italia, Firenze 1956; S. Zoppi, Umberto Zanotti Bianco: patriota, educatore, meridionalista: il suo progetto e il nostro tempo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2009; M. Isnardi Parente, Bibliografia di Umberto Zanotti Bianco, Associazione nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno di Italia, Roma 1979.
[42] Per Agnello vedi I. Di Natale, Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica allo studio della storia dell’arte siciliana dal tardo antico al barocco, in “Tecla – Temi di critica e letteratura artistica”, (http://www.unipa.it/tecla/rivista/3_rivista.php) n. 3, maggio 2011; Ead., Il contributo di Giuseppe Agnello allo studio delle arti decorative in Sicilia, in “OADI – Rivista del’Osservatorio delle arti decorative in Italia”, (http://www.unipa.it/oadi/oadiriv/?page_id=1177) , n. 5, giugno 2012.
[43] Associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia, Biblioteca Giustino Fortunato, Fondo Umberto Zanotti Bianco, sez. A, serie 1, sottoserie 1, 1. “Agati Sebastiano”, 1927-1945.
[44] Ibidem.
[45] Giuseppe Cultrera succederà a Paolo Orsi nella direzione della Soprintendenza della Sicilia Orientale. Una traccia bibliografica degli scritti di Giuseppe Cultrera è in N. D. Evola, Bibliografia siciliana (1938-1953), Pezzino, Palermo 1954, pp. 110-111.
[46] Agati si riferisce a Paolo Orsi.
[47] Associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia, Biblioteca Giustino Fortunato, Fondo Umberto Zanotti Bianco, sez. A, serie 1, sottoserie 1, 1. “Agati Sebastiano”, 1927-1945.
[48] Ibidem.
[49] Ivi, Lettera del 20 settembre 1933.
[50] Ibidem.
[51] «Al T. di Apollo la prima fase dei lavori è compiuta da un pezzo. Bisogna continuare, ma per continuare servono molti quattrini».
[52] S. Agati, Opere della Soprintendenza di Siracusa, in “Archivio Storico della Calabria e Lucania”, a. V, 1935, pp. 309-315.
[53] Ivi, pp. 309-310.
[54] L. Mauceri, Cenni sulla topografia di Imera e sugli avanzi del Tempio di Bonfornello, in “Monumenti antichi, pubblicati dalla R. Accademia dei Lincei”, vol. XVIII, Roma 1907, pp. 386-436.
[55] Il veronese Pirro Marconi (1897-1938), archeologo specializzato alla Scuola archeologica italiana di Atene (1922-1924), fu direttore del R. Museo di Palermo dal 1927 al 1931. Fra i suoi studi ricordo P. Marconi, Agrigento: topografia ed arte, Vallecchi, Firenze 1929; Id., L’Efebo di Selinunte, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1929; Id., Il Museo Nazionale di Palermo. Sezione archeologica, La Libreria dello Stato, Roma 1936.
[56] S. Agati, Opere della Soprintendenza…, pp. 310-311.
[57] Ivi, p. 311.
[58] Ivi, pp. 313-314.
[59] Ivi, pp. 314-315.
[60] Storia del restauro archeologico, a cura di D. D’Angelo, S. Moretti, Alinea, Firenze 2004, p. 40.
[61] G. di Stefano, L’architettura religiosa in Sicilia nel XIII sec., in “Archivio storico per la Sicilia”, nn. IV-V, 1938-1939, pp. 39-83.
[62] Ivi, p. 50.
[63] Per l’inda si veda Ombre della parola. Ottanta anni di teatro nella Siracusa del Novecento. 1914-1994, Lombardi, Palermo 1994.
[64] Di Pietro nato a Roma nel 1884 si laurea in Lettere e in Legge. Nel 1906 è Segretario del Gabinetto dei disegni e delle stampe della Galleria degli Uffizi di Firenze. Scrive per il “Bollettino d’Arte” e “Rivista d’Arte”. Nel 1927, dopo l’esperienza presso la Soprintendenza di Ravenna, fu assegnato alla Soprintendenza per i Monumenti e Scavi della Sicilia Occidentale di Palermo, rivestendo anche l’incarico di docente di Storia dell’arte medievale e moderna presso l’Università degli Studi della stessa città. Vedi Dizionario biografico dei Soprintendenti storici dell’Arte (1904-1974), ad vocem, Bononia University Press, Bologna 2007, pp. 227-228.
[65] Archivio della Soprintendenza di Siracusa [d’ora in poi ASdSr], Lettera del 31 luglio 1938.
[66] Ibidem.
[67] Per la rivista, fondata nel 1931 dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico, si rinvia a G. Salvatori, I primi decenni della rivista “Dioniso”: un angolo visuale d’eccezione sulle poetiche del contemporaneo, in Enrico Mauceri (1869-1966)…, pp. 125-133.
[68] V. Bonaiuto, La Casa di Epicarpo, in “Dioniso”, vol. VIII, fasc. I, 1940, pp. 37-39.
[69] Ibidem.
[70] L’architetto napoletano Armando Dillon, soprintendente ai monumenti della Sicilia Orientale dal 1941 al 1949, è autore di saggi e studi di storia dell’arte. A. Dillon, Interpretazione di Taormina. Saggio dell’Architettura e notizie di restauri, Taormina 1948, ed. Società editrice internazionale; Id., La chiesa di S. Benedetto in Catania e gli affreschi di Giovanni Tuccari, Palermo 1950, ed. Monastero di S. Benedetto; Id., Evoluzione della città e degradazioni degli edifici monumentali, in Atti del XII congresso internazionale di storia dell’Architettura, (Palermo, 24-30 settembre 1950), Palermo 1955, ed. F.lli De Magistris & C.. Su Dillon si veda Premio Columbus 1949, in “L’Illustrazione siciliana. Periodico d’arte di pensiero e critica”, a. II, n. 20-21, 30 novembre 1949, pp. 14-15.
[71] Roberto Salvini (Firenze 1912-1985), storico dell’arte e allievo di Mario Salmi, studiò a Firenze, Monaco e Berlino. Dal 1937 nell’amministrazione delle Belle Arti, fu a Trento, Palermo e Modena (1943) come soprintendente alle gallerie. G.C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento, UTET, Torino 1995, pp. 356-357; Dizionario biografico dei Soprintendenti Storici dell’Arte (1904-1974), ad vocem, Bononia Press, Bologna 2007, pp. 571-574.
[72] Archivio del Museo Bellomo - Siracusa [d’ora in poi AMB], Lettera del 24 giugno 1940.
[73] Per le quali vedi D. Malignaggi, Ignazio Marabitti, in “Storia dell’Arte”, n. 17, 1974; G. Agnello, Il prospetto della Cattedrale di Siracusa e l’opera dello scultore palermitano Ignazio Marabitti, in “Archivi”, IV, 1937, pp. 63-74 e pp. 127-134; Id., Il prospetto della Cattedrale di Catania e l’opera di G.B. Vaccarini, in “Arte cristiana”, LVII, 1969, pp. 263-266.
[74] Per il quale rimando a G. Agnello, Capolavori ignorati del Vanvitelli e del Valle nella Cattedrale di Siracusa, in “Per l’Arte sacra”, IV-5, 1927, pp. 3-15.
[75] AMB, Lettera del 24 giugno 1940. Sul problema dei bombardamenti aerei cfr. M. Guiotto, I monumenti della Sicilia Occidentale danneggiati dalla guerra: protezioni, danni, opere di pronto intervento (1946), ed. cons. Fondazione Salvare Palermo, Palermo 2003.
[76] AMB, Lettera del 24 marzo 1941.
[77] ASdSr, Lettera del 23 luglio 1942.
[78] In quegli anni simili interventi e iniziative di protezione del patrimonio artistico sono diffusi un po’ su tutto il territorio nazionale, rimando a Bologna in Guerra. La città, i monumenti, i rifugi antiaerei, a cura di L. Ciancabilla, Minerva edizioni, Argelato 2010.
[79] Il problema della difesa dalle incursioni belliche del patrimonio monumentale e artistico era stato dibattuto durante la grande guerra: si veda M. Nezzo, Critica d’arte in guerra. Ojetti 1914-1920, Terra ferma, Vicenza 2003.
[80] AMB, Lettera del 15 gennaio 1943.
[81] Fra gli articoli più interessanti segnalo La protezione dei nostri monumenti d’arte, in “Giornale di Sicilia” a. LXXXIII, 6 maggio 1943; Chiese ed ospedali obiettivo dei nostri nemici, in “Giornale di Sicilia”, a. LXXXIII, 3 luglio 1943; L’abside del Duomo di Messina distrutto, in “Giornale di Sicilia” a. LXXXIII, 31 agosto 1943.
[82] ASdSr, Lettera del 23 giugno 1943.
[83] La tavola, dipinta nel 1474 per la chiesa dell’Annunziata di Palazzolo Acreide, è oggi custodita alla Galleria regionale della Sicilia a palazzo Bellomo (inv. 96). Cfr. E. Mauceri, Su alcuni dipinti del Museo Archeologico di Siracusa, in Bollettino d’Arte, giugno 1908, pp. 1-6. Sull’Annunciazione di Antonello da Messina si rimanda a Annunciazione. Antonello da Messina. Il restauro, a cura di G. Basile, V. Greco, Assessorato Regionale dei Beni Culturali, Siracusa 2008, con bibliografia precedente. Per la tavola si veda anche G. Cipolla, Enrico Mauceri e la scoperta dell’Annunziata di Antonello da Messina a Palazzolo Acreide, in Enrico Mauceri (1869-1966)…, pp. 297-305.
[84] Per la storia dei restauri del quadro si rinvia a Il Seppellimento di Santa Lucia del Caravaggio: indagine radiografiche e riflettografiche, a cura di G. Barbera, R. Lapucci, Galleria regionale di palazzo Bellomo, Siracusa 1996.
[85] AMB, Lettera del 22 marzo 1945.
[86] AMB, Lettera del 18 settembre 1945.
[87] AMB, Lettera del 10 aprile 1948.
[88] AMB, Lettera del 26 ottobre 1947.
[89] AMB, Lettera del 13 novembre 1947.
[90] AMB, Lettera del 21 aprile 1948.
[91] AMB, Lettera del 24 giugno 1949.
[92] Ibidem.
[93] E. Mauceri, Opere d’arte inedite nel R. Museo di Siracusa, in “Bollettino d’Arte”, VII, 12,1913 pp. 445-463.
[94] G. Di Marzo, E. Mauceri, L’opera di Domenico Gagini in Sicilia, in “L’Arte”, VI, 1903, pp. 147-158; Sul dipinto di Borremans cfr. G. Barbera, scheda n. 14, in Opere d’arte restaurate nelle province di Siracusa e Ragusa III (1990-1992), Ediprint, Siracusa 1994, pp. 62-64 (con la bibliografia precedente).
[95] Per la chiesa cfr. R. La Duca, Repertorio degli edifici religiosi di Palermo, Edi Oftes, Palermo 1991, pp. 28-29.
[96] G. Di Marzo, E. Mauceri, L’opera di Domenico Gagini…, pp. 151-152.
[97] S. A. [Sebastiano Agati], Una villa signorile del Settecento a Bagheria, in “La Sicile Illustrée”, aprile 1905, pp. 13-14. La bibliografia sulla villa è vastissima, si veda almeno N. Tedesco, L’immago espressa. Villa Palagonia fra norma ed eccezione, Ediprint, Siracusa 1986; R. Scaduto, Villa Palagonia. Storia e Restauro, Eugenio Maria Falcone, Palermo 2007.
[98] F.P. Campione, La cultura estetica in Sicilia nel Settecento, “Fieri. Annali del Dipartimento di Filosofia Storia e Critica dei Saperi”, n. 2, giugno, 2005, pp. 125 e ss.
[99] S. A. [Sebastiano Agati], Una villa signorile del Settecento…, p. 14.
[100] S. A. [Sebastiano Agati], Quel che si fa in Sicilia in pro’ dei monumenti dell’arte, in “La Sicile Illustrée”, ottobre 1905, p. 14
[101] Per l’oratorio vedi D. Garstang, Giacomo Serpotta e gli stuccatori di Palermo, Sellerio, Palermo 1990, pp. 135-145; 296-297; P. Palazzotto, Palermo. Guida agli oratori. Confraternite, compagnie e congregazioni dal XVI al XIX secolo, Kalós, Palermo 2004, pp. 242-252.
[102] S. A. [Sebastiano Agati], Quel che si fa in Sicilia…, p. 14. Il monumento, oggi al Museo Interdisciplinare Regionale “Maria Accascina” di Messina (inv. 455), è stato attribuito a Giovan Battista Mazzolo. Cfr. F. Caglioti, Due opere di Giovambattista Mazzolo nel Museo Regionale di Messina (ed una d’Antonello Freri a Montebello Jonico), in Aspetti della scultura a Messina dal XV al XX secolo, “Quaderni dell’attività didattica del Museo Regionale di Messina”, a cura di G. Barbera, 13, 2003, pp. 37-60.
[103] S. A. [Sebastiano Agati], Quel che si fa in Sicilia…, p. 14.
[104] A. Rovetta, Gli esordi della “Rassegna d’Arte”, Milano 1901-1907, in Riviste d’arte fra Ottocento ed Età contemporanea. Forme, modelli e funzioni, a cura di G. C. Sciolla, Skira, Milano 2003, pp. 101-121; Id., La «Rassegna d’Arte di Guido Cagnola e Francesco Malaguzzi Valeri (1908-1914), in Percorsi di Critica. Un archivio per le riviste d’arte in Italia dell’Ottocento e del Novecento, atti del convegno (Milano 30 novembre – 1 dicembre 2006), a cura di R. Cioffi, A. Rovetta, Vita e Pensiero, Milano 2007, pp. 281-316; Id., Enrico Mauceri e “Rassegna d’Arte”, in Enrico Mauceri (1869-1966)…, pp. 105-112.
[105] E. Mauceri, S. Agati, Francesco Laurana in Sicilia, “Rassegna d’Arte”, a. 1, 1906, pp. 1-8, con 18 illustrazioni.
[106] La vicenda è ripercorsa da L. Courajod, Observations sur deux bustes du Musée de la Sculpture de la Renaissance au Louvre, in “Gazette des Beaux Arts”, t. XXVIII, 2a serie, lug.-dic. 1883, pp. 24-42. Si segnala inoltre Musée du Louvre. Sculptures de la Renaissance, in “Magasin pittoresque”, a. XXV, 1857, pp. 155-157.
[107] S. La Barbera, La scultura del Rinascimento negli scritti di Maria Accascina, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, atti del convegno internazionale di studi in onore di Maria Accascina (Palermo-Erice, 14-17 giugno 2006), a cura di M. C. Di Natale, Sciascia, Caltanissetta 2007, pp. 129-146.
[108] Per la bibliografia su questo complesso aspetto degli studi rimando a R. Cinà, La scultura siciliana del Rinascimento negli scritti di Enrico Mauceri, in Enrico Mauceri (1869-1966)…, pp. 277-287.
[109] E. Mauceri, S. Agati, Francesco Laurana in Sicilia…, pp. 2-3; B. Patera, Francesco Laurana in Sicilia, Novecento, Palermo 1992, p. 16 e ss. Il portale fu commissionato allo scultore dalmata dal conte Carlo Luna.
[110] La Madonna col Bambino è oggi al Museo Interdisciplinare Regionale “Maria Accascina” di Messina (inv. 346).
[111] E. Mauceri, S. Agati, Francesco Laurana in Sicilia…, p. 7.
[112] Ibidem.
[113] Ivi, p. 8.
[114] Per questo tema rinvio a S. La Barbera, Dalla connoisseurship alla nascita della Storia dell’arte in Sicilia: il ruolo di Adolfo Venturi, in Adolfo Venturi e la Storia dell’arte oggi, atti del convegno (Roma, 25-28 ottobre 2006) a cura di M. D’Onofrio, Panini, Modena 2008, pp. 309-328.
[115] S. Agati, Il “Cicerone” per la Sicilia. Guida per la visita dei monumenti e dei luoghi pittoreschi della Sicilia, introduzione di E. Mauceri, Reber, Palermo 1907.
[116] S. La Barbera, Enrico Mauceri connoisseur…, p. 40.
[117] G.C. Sciolla, Le riviste e le guide, in La cura del bello musei, storie, paesaggi per Corrado Ricci, a cura di A. Emiliani, C. Spadoni, Electa, Milano 2008, in part. pp. 68-69.
[118] Beni culturali e geografia, a cura di C. Caldo, V. Guarrasi, Patron, Bologna 1994, pp. 17-18. Si veda anche V. Scavone, Città, paesaggi, territori nelle geografie di Enrico Mauceri, in Enrico Mauceri (1869-1966)…, pp. 407-411.
[119] Cfr. C. Bajamonte, Il «lavoro attivo e tenace» di Enrico Mauceri per “L’Arte” di Adolfo Venturi, in Enrico Mauceri (1869-1966)…, pp. 255-266.
[120] Bollettino bibliografico, in “L’Arte”, a. X, 1907, p. 158. Per la tradizione degli handbooks vedi D. Levi, Cavalcaselle: il pioniere della conservazione dell'arte italiana, Einaudi, Torino 1988, in part. pp. 147-151.
[121] Bollettino bibliografico, in “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, a. IV, 1907.
[122] Per la guida di George Dennis, pubblicata a Londra nel 1864 col titolo A Handbook for Travellers in Sicily, rimando a S. Di Matteo, Viaggiatori stranieri in Sicilia dagli Arabi alla seconda metà del XX secolo, vol. 1, ISSPE, Palermo 1999, ad vocem, pp. 310-311.
[123] Bollettino bibliografico, in “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, a. IV, 1907, p. 171.
[124] Una copia della lettera è stata pubblicata con il titolo Sull’arte siciliana, in “La Sicile Illustrée”, n. VII, 1908, p. 3.
[125] L. Fiocca, Un tempietto selinuntino (recentemente scoperto), in “Rassegna d’Arte”, a. 5, 1905, pp. 147-148.
[126] Id., L’Arte in Sicilia. Alcuni monumenti siciliani del Medio Evo, inediti o poco noti, in “Rassegna d’Arte”, a. VIII, n. 12, 1908, pp. 207-215; Id., Il Duomo di Messina ed i suoi recenti restauri, in ivi, a. IX, n. 2, 1909, pp. 21-24.
[127] “La Sicile Illustrée, 1908, n. VII, p. 3.
[128] A. Salinas, A proposito della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Forza d’Agrò, in “Rassegna d’Arte”, a. IX, n. 1, 1909, p. V.
[129] E. Mauceri, I Bellomo e la loro casa, in “Bollettino d’Arte”, V, 5, 1911, pp. 183-196.
[130] Ivi, pp. 194-196.
[131] Archivio Storico della Galleria d’Arte Moderna - Palermo, Lettera del 29 gennaio 1917, s. 12, 1917.
[132] P. G., Sebastiano Agati, in “Dioniso”, 1949, vol. XII, fasc. 4, pp. 231-232.
[133] Ibidem.