Signor Direttore, dunque è stato Crapotti! Ecco il sugo del comunicato scivoloso col quale – diciam pure Minerva, sebbene cuocia dover malmenare una così dotta onorabile deità – ha tentato di togliersi d’impaccio di fronte ai nostri rilievi sullo scandaloso esodo dei pezzi più memorabili della storica collezione Stroganoff.
Così inveiva Bortolo Ghiner da Gorizia sulle pagine della rivista “Vita Artistica” nel 1926[1].
La storica collezione Stroganoff era appartenuta al conte russo Grigorij Sergeevič Stroganoff (1829-1910), il quale, stabilitosi a Roma in una data imprecisata, aveva fatto costruire negli anni Ottanta del XIX secolo un palazzo in via Sistina (attuale palazzo Stroganoff) per raccogliere la sua eclettica collezione, che comprendeva opere d’arte di numerose epoche e ambiti, dall’antico Egitto all’età contemporanea, e di diverse tipologie (pittura, scultura, arti cosiddette minori)[2], nonché una biblioteca di 30.000 volumi[3].
Nell’estate del 1910 il conte Gregorio Stroganoff[4] morì senza lasciare un testamento[5] e la sua intera collezione rimase, tranne che per poche opere[6], nelle mani degli eredi, una figlia e i nipoti che vivevano a San Pietroburgo[7]. Alcune opere vennero certamente vendute[8], ma il grosso della collezione rimase nella dimora romana. Il 1917, però, fu un anno drammatico per i russi e il loro paese: scoppiarono le rivoluzioni e gli eredi diretti del conte vennero tutti uccisi. Si salvò solo la moglie di un suo nipote, la vedova Elena Scherbatoff, che riuscì ad arrivare, dopo diverse tappe, a Roma verso la fine del 1920, assieme alle due figlie minori Olga e Maria[9]. Qui la vedova cominciò a liquidare poco alla volta le opere appartenenti al nonno di suo marito: «non hanno altri mezzi di sussistenza che gli oggetti d’arte raccolti dal proprio avo […]», scriveva uno degli antiquari maggiormente coinvolti nelle vendite della collezione durante gli anni Venti, Giorgio Sangiorgi, in un telegramma datato 20 aprile 1923 e inviato dallo stesso alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti (facente capo allora al Ministero della Pubblica Istruzione)[10].
Il telegramma è contenuto in un carteggio – che raccoglie materiale dal 1910 al 1924 (con una minuta del 1908) – sull’eredità Stroganoff conservato all’Archivio Centrale dello Stato di Roma, nel quale compaiono le firme di diversi funzionari dello Stato italiano. Quelli appunto contro cui Ghiner inveisce. Ma chi era costui? In quella firma leggiamo l’anagramma di Roberto Longhi (1890-1970)[11], storico dell’arte non estraneo al vezzo, se così possiamo chiamarlo, di firmare alcuni articoli con pseudonimi, né tantomeno alle recensioni corrosive[12].
Ma partiamo dall’inizio, accompagnati dalla carta stampata in Italia, quella molto specializzata delle riviste di storia dell’arte[13]. Nel dicembre del 1925 usciva un commento anonimo su “Dedalo”, vi si denunciava «la dispersione della collezione Stroganoff» come «fatto compiuto» e vi si leggeva
quello che nella nostra cara vecchia Minerva credevamo e chiamavamo ingenuità e indifferenza ha sorpassato i limiti del difetto bonario: possiamo dire che ha sconfinato addirittura nell’incompetenza[14].
L’incompetenza, come è facilmente intuibile, è da attribuire alle autorità che avevano concesso i permessi di esportazione di alcune opere appartenute al celebre conte russo. La collezione
era nota nel mondo non tanto per i quadri e le sculture che conteneva, quanto per gli avori, i bronzi, gli argenti, i tessuti, alcuni dei quali senza confronto[15].
Ed ecco che il commento su “Dedalo” prosegue portando ad esempio qualche misfatto di Minerva[16]: l’arazzo rappresentante la lotta dei Vizi e delle Virtù, opera rinascimentale uscita dai telai di Bruxelles, era stato esportato fuori dall’Italia dall’antiquario anglo-americano sir Joseph Duveen in cambio di un quadro attribuito a Lorenzo Lotto; una quindicina di avori, tardoantichi bizantini e italiani, anche erano stati venduti: alcuni erano finiti nella collezione del commendatore Riccardo Gualino, rimanendo così in Italia, altri erano «emigrati»[17].
“Dedalo” spiega: «si racconta che li avesse comprati un grande antiquario di Roma, il quale, in cambio del solito permesso d’esportazione, avrebbe offerto il busto di Marino Grimani scolpito in marmo bruno di Verona da Alessandro Vittoria»[18]. Oggi sappiamo che quell’antiquario romano era Sangiorgi[19], che aveva comprato la scultura di Alessandro Vittoria, oggi conservata al Museo Nazionale del Palazzo di Venezia[20], dagli eredi Stroganoff.
«Minerva, l’astutissima, sicura di farla in barba all’ingenuo antiquario – prosegue ironicamente l’anonima denuncia (ma lo stile rivela la firma dell’autore, che si può identificare senza dubbio con Longhi)[21] – si dice abbia accettato il munifico dono e fatto un’altra bella riverenza agli avori che partivano»[22].
E ancora il vasellame argenteo, che contava pezzi antichissimi, era finito fuori dall’Italia senza domandare nulla in cambio perché sembra che «la vecchia Minerva candidamente ignorasse tutto ciò»[23].
Eppure, continuiamo a leggere, qualche strumento esisteva: era stato pubblicato infatti il catalogo della collezione da un funzionario delle Belle Arti, Antonio Muñoz, dove i pezzi esportati erano descritti, misurati, attribuiti e riprodotti[24].
Il commento si conclude puntando il dito sull’ignoranza e sul mercato:
quando si finirà di mercanteggiare alla chetichella da chi manifestamente ignora il valore di ciò che gli antiquari esperti del loro mestiere rivendono a suon di migliaia di dollari sui mercati d’America?[25]
sollevando così tra le righe il problema della formazione delle competenze[26] e sottolineando immediatamente dopo l’importanza delle arti cosiddette minori e della loro conseguente tutela:
Quando, per la mania del quadro o del busto, si cesserà di sacrificare avori e bronzi, argenti e tessuti, di cui pochi s’interessano in Italia probabilmente perché non se ne intendono?[27]
“Dedalo. Rassegna d’arte” era stata fondata da Ugo Ojetti nel 1920 e da questo diretta fino al 1933, anno nel quale venne stampato l’ultimo numero[28]. La rivista si era distinta, tra altro, per l’attenzione rivolta alle arti minori, ben rappresentate, come abbiamo visto, nella collezione Stroganoff.
Dopo quest’apparizione, però, le polemiche si svolgeranno tutte sui fascicoli della prima annata di “Vita Artistica. Cronache mensili d’arte a cura di Tullo Gramantieri”[29]. Correva l’anno 1926. La rivista ebbe durata breve, uscì tra il 1926 e il 1932, inizialmente sotto la direzione di Gramantieri[30], poi, già nel 1927, con una nuova direzione e il sottotitolo di “Studi di storia dell’Arte diretti da Roberto Longhi ed Emilio Cecchi”[31]; tra il 1928 e il 1929 cambiò intitolazione e si chiamò “Pinacotheca. Studi di storia dell’Arte diretti da Roberto Longhi ed Emilio Cecchi”, venne interrotta per due anni tra il 1930 e il 1931, e riprese nel ‘32 con un nuovo cambiamento di direzione (ancora Gramantieri), prima della chiusura, e di nome (“Vita Artistica. Studi d’Arte”). Si tratta di una voce importante per quegli anni nel dibattito storico-artistico e, se durante il primo anno non presenta ancora una fisionomia ben delineata[32], essa si impone successivamente per merito di Cecchi e di Longhi «con presenza e incidenza propria e originale accanto ai più diffusi periodici italiani d’arte dell’epoca»[33].
La rivista si occupa anche di temi contemporanei, come appunto il «disfacimento» della collezione Stroganoff. Il caso è affidato a Longhi che sotto lo pseudonimo e anagramma di Bortolo Ghiner firma tre brevi interventi sulla spinosa questione (tutti usciranno, come già detto, sulla prima annata, sotto la direzione di Gramantieri)[34]. Il primo contributo porta l’ironico titolo ‘A dispetto dei santi’. Il disfacimento della collezione Strogonoff[35]. Due lettere del gennaio 1926, pubblicate da Laura Gallo, testimoniano l’attesa di Gramantieri, mittente delle missive, della nota di Longhi, destinatario dei solleciti[36]. Gramantieri scrive che a questa nota «come già le dissi, tengo moltissimo» e per averla «ritardo l’uscita della rivista»[37]. Ignoro la data di consegna dell’articolo da parte di Longhi, ma il primo numero di “Vita Artistica” uscirà finalmente con il contributo dello storico dell’arte piemontese, a quel tempo già affermato nel campo degli studi di storia dell’arte. Nel testo Ghiner si rivolge al Direttore della rivista, col quale sembra essere in amichevole rapporto, e fa riferimento all’articolo di “Dedalo” concordando con le critiche che in quell’occasione si rivolgevano a Minerva, ma un po’ correggendo (alcune opere arrivarono in Russia come dono del conte Gregorio, e potevano trovarsi in Italia con temporaneo permesso di importazione) e un po’ rincarando la dose (di altri pezzi esportati all’estero non si fa menzione in quell’articolo).
Ma “Dedalo”, scrive Ghiner, ha ben lamentato che un busto di Alessandro Vittoria è valso la concessione di esportazione di un celeberrimo avorio bizantino dell’XI secolo[38]. Quel busto, leggiamo
è finito modestamente tra i morioni e le celate dello Hermanin-Museum che ci aveva pur promesso di diventare in breve qualcosa come un South-Kensington, un Cluny, un Kunstgerwerbe Museum! In tal caso pensiamo che quell’avorio avrebbe fatto alla Madonna di Acuto o al trittico di Albe una compagnia al quanto più degna di un busto del Vittoria![39]
In queste parole risuona forte la delusione per il Museo di Palazzo Venezia, ideato da Federico Hermanin[40] e destinato ad ospitare il Museo del Medioevo e del Rinascimento di Roma, che in quegli anni di regime faticava a decollare[41].
Prosegue il critico zelante nella nota ricordando il mirabile arazzo fiammingo che ha ottenuto il permesso di esportazione in cambio del quadro attribuito a Lotto, a quel tempo esposto nella sala dei Veneziani del Cinquecento della Regia Galleria Borghese.
L’argomento apre dunque una nuova questione, quella delle attribuzioni, tema centrale tra le diverse problematiche dibattute sulle pagine della rivista[42]. Quell’opera, infatti, per Ghiner/Longhi non è assolutamente del pittore veneziano, ma bensì di un artista genovese del Seicento, Gioacchino Assereto[43] «ignoto a Minerva anche di nome, come Lotto le era cognito di nome soltanto»[44], pittore validissimo ma quotato sul mercato assai differentemente rispetto a Lotto. Ghiner si augura che questa precisazione possa giungere in tempo
perché lo Stato sulla base dell’insostenibile attribuzione del quadro della Galleria Borghese, possa invalidare il compromesso medesimo e richiedere nuovamente a Sir Joseph Duveen vuoi il prezzo reale della esportazione, vuoi, quanto meno, un vero, autentico, genuino, indiscutibile, inequivocabile Lorenzo Lotto[45].
Nel frattempo Minerva dovrebbe render conto, continua Ghiner, delle esportazioni dei pezzi più salienti della celebre collezione di via Sistina.
Nel fascicolo successivo di “Vita Artistica”, il goriziano Ghiner torna sulla questione che evidentemente gli sta molto a cuore[46]. Minerva volentieri avrebbe lasciato cadere la cosa sotto silenzio se la notizia non fosse arrivata sulle colonne di un quotidiano. Così lo Stato è dovuto uscire dal suo «mutismo certamente isterico», rispondendo «con la lingua grossa e inceppata»[47]. Il primo punto della risposta è il seguente: la Direzione Generale delle Belle Arti non è responsabile della fuga di parecchie opere Stroganoff perché la competenza sul tema dell’esportazione in casi simili è, per gli oggetti senza notifica, attribuita agli uffici locali. Dunque Minerva, scrive Ghiner, fa ricadere tutte le colpe su un capro espiatorio: Crapotti!
Ma al povero Crapotti vorremmo confessare, se ancora oggi potesse sentirci, che alcuni degli oggetti che emigrarono erano già stati notificati nell’agosto del 1912 alla figlia del conte e altri furono notificati nel 1923[48].
Eppure, prosegue Ghiner, quella collezione era nota a t[49]utto il mondo e aperta agli studiosi al tempo in cui il conte Gregorio era vivo; non solo, un sontuoso catalogo era stato redatto in francese da Antonio Muñoz[50]. Muñoz aveva curato il volume dedicato all’arte medievale e moderna[51], mentre Ludwig Pollak quello consacrato all’arte antica[52]. Ghiner lascia da parte gli oggetti d’arte antica, «sulla sorte de’ quali nulla ci è noto, e sui quali invitiamo qualche archeologo a dare un responso intelligente», e si dedica a quelli medievali e moderni. Bastava, a suo dire, sfogliare il catalogo e porre il vincolo alle opere meritevoli, il quale in verità ad alcuni oggetti era stato posto, ma per insipienza talvolta inutilmente. «La mancanza di competenza da parte degli uffici di esportazione e di coloro che ad essi sopraintendono»[53], scrive Ghiner, tornando sul problema, si è rivelata fatale.
Egli intanto propone allo Stato alcune soluzioni: primo, completare il catalogo definitivo degli «oggetti che meritino di essere vincolati e conservati […] all’Italia»[54] e abolire gli uffici di esportazione; secondo, convincersi dell’utilità della collaborazione dei privati, ricchi intelligenti che potrebbero fornire i soldi necessari per acquistare opere veramente rare che si trovino sul mercato, una sorta di gruppo simile agli Amis du Louvre[55].
Torniamo però alla risposta di Minerva, al suo secondo punto: non solo fu dato il quadro dello pseudo-Lotto, in cambio dell’esportazione dell’arazzo Stroganoff, ma anche una somma di 184.000 Lire. Ad ogni modo, scrive Ghiner, la valutazione è così errata da lasciare le casse italiane all’asciutto di migliaia di Lire (796.000, secondo i suoi calcoli). Inutile che Minerva si appelli per quel giudizio agli «insigni studiosi» e alla «commissione centrale (composta di eminenti artisti e studiosi)» che riconobbe quel pezzo come «mirabile opera della maturità piena di quell’artista [scilicet Lotto]»[56]. Riguardo ai primi, il critico severo rivela ironicamente che occorre ritirar le patenti di «insigne» e di «studioso»; per quanto concerne la seconda, la «commissione centrale», non sa che dirne non conoscendone i nomi.
L’articolo si chiude con la richiesta rivolta al Direttore di ospitare tra le pagine della rivista «il parere dei più autorevoli specialisti che saranno, non ne dubitiamo, gli stessi cui Minerva accenna come di sua fiducia»[57].
Il programma di “Vita Artistica”, d’altronde, enunciato ad apertura del primo numero si poteva attuare solo gradatamente e con il concorso di molti, dichiarava la Direzione, che quindi auspicava una partecipazione corale: la rivista doveva rappresentare «una libera palestra di critica elevata, di polemica disinteressata, di cronaca esatta, aperta a tutti […]»[58].
È interessante perciò soffermarsi rapidamente sul Referendum che viene indetto sulle pagine di “Vita Artistica”: si accoglie l’invito dell’indefesso Ghiner a esprimersi riguardo all’epoca e all’attribuzione del pezzo ceduto allo Stato con l’assegnazione a Lotto, che si è scoperto costituire una copia parziale del telone a Brera rappresentante la Circoncisione (in realtà la Presentazione di Cristo al tempio), quest’ultima assegnata sul volume di Corrado Ricci a Benedetto Crespi[59]. Nello specifico ci si rivolge ai «più autorevoli conoscitori del ‘500 e del ‘600 e più particolarmente ai senatori A. Venturi e C. Ricci e ai professori P. Toesca, L. Venturi, G. Fiocco, F. Hermanin, R. Longhi, M. Biancale, M. Salmi, W. von Bode, H. Voss, G. Gronau, von Aeden»[60].
Dunque Longhi, che progressivamente acquistava peso sulla rivista[61], manifesta da subito quegli «argomenti che costituiscono la fisionomia originale di “Vita Artistica” / “Pinacotheca”: in primis la scelta della linea metodologica della connoisseurship […] che costituisce, com’è noto, uno dei capisaldi della storia artistica italiana del primo Novecento»[62].
Tra le Risposte al referendum[63] possiamo elencare quelle di: Adolfo Venturi, Pompeo Molmenti, Roberto Longhi (con il parere più argomentato, ovviamente)[64], Giuseppe Fiocco (Ispettore nelle Regie Gallerie dell’Accademia di Venezia e professore incaricato di Storia dell’Arte Veneziana nell’Università di Padova)[65], Pietro Toesca (professore di Storia dell’Arte Medievale nella Regia Università di Roma), Michele Biancale (scrittore d’arte, autore di notevoli saggi sulla pittura del ‘600 italiano), Georg Gronau (già Direttore del Museo di Cassel e autore di scritti fondamentali sulla pittura del Cinquecento in Italia), Hermann Voss (Ispettore nel Kaiser Friedrich Museum di Berlino, autore della Malerei der Spätrenaissance in Rom und Florenz e della Römische Barockmalerei)[66]. Per tutti non si tratta di Lotto.
La rivista poi pubblica Il sugo del referendum (senza firma) e di fronte alla posizione di così eminenti studiosi, scrive:
Minerva ha il dovere di prendere immediati provvedimenti per revocare l’accettazione, scandalosamente avvenuta con grave danno per l’erario, del quadro in parola[67].
Si invita il Ministro della Pubblica Istruzione, l’onorevole Pietro Fedele[68], a far la voce grossa e la Direzione Generale delle Belle Arti ad agire. Si scopre che era stato diffuso un comunicato dall’Agenzia Stefani – storica agenzia di stampa italiana, che in quegli anni divenne portavoce del governo Mussolini[69] – con il quale si attribuiva il quadro a Lotto e che le «alte sfere artistiche ufficiali»[70] avevano invocato anche il nome di Bernard Berenson tra coloro i quali si erano espressi a favore dell’attribuzione dell’opera al pittore veneziano[71]. Ma ecco che in questa paginetta arroventata della rivista compare la lettera della segretaria di Berenson, Nicky Mariano, indirizzata al Direttore: Berenson ci tiene ad informare che egli non aveva attribuito il pezzo a Lotto, ma lo aveva definito «lottesco» e dipinto intorno al 1600[72]. In calce alla pagina si dà la notizia che un illustre senatore (di cui non si fa il nome) ha intenzione di presentare un’interrogazione parlamentare per sapere quali provvedimenti sono stati o saranno presi per difendere la scienza italiana e i diritti dell’erario.
La vicenda si chiude, perlomeno sulle pagine del periodico, con la pubblicazione di alcune puntualizzazioni (dal Soprintendente per l’Umbria Umberto Gnoli, dall’Ispettore delle Regie Gallerie in Firenze Odoardo Giglioli), indirizzate a Ghiner, che pubblica le sue risposte, mai comprensive[73].
“Vita Artistica” si era fatta portavoce autorevole, e solitaria, di un triste episodio dell’amministrazione statale italiana del patrimonio artistico.
Come è ben noto le opere di Longhi vennero ristampate, mentre lui stesso era ancora in vita. Tra le polemiche e recensioni Longhi decide di ripubblicare i primi due articoli e la Risposta al referendum usciti su “Vita Artistica” (1926), e nell’Avviamento per il lettore lo stesso studioso sente il dovere di scrivere (stavolta facendo qualche nome tra le alte sfere ministeriali):
[…] aspro fu a quei giorni il mio contrasto al malgoverno italiano del nostro patrimonio d’arte. Alla bonaria saviezza del Direttore Generale Corrado Ricci era succeduta da poco una ben diversa persona come il Colasanti. Il contrasto si produsse quando, sotto il suo reggimento, avvenne la dispersione illecita di una stupenda collezione romana, quella del Conte Gregorio Stroganoff […] fu quello il più grave scandalo della nostra amministrazione artistica. Non volli tacere: e qui amo riprodurre in extenso i miei interventi polemici che mi fruttarono persecuzioni e intimidazioni varie di cui mi son sempre pregiato[74].
Consultando la documentazione d’archivio sull’eredità Stroganoff si evince che Arduino Colasanti[75] cercherà invano di opporsi alla dispersione, alla fine concedendo permessi precedentemente negati[76] o registrando amaramente la ormai avvenuta emigrazione dell’opera. Tra Colasanti e Federico Hermanin (allora Regio Soprintendente alle Gallerie e Musei medievali e moderni e agli oggetti d’arte del Lazio e dell’Abruzzo) sembrerebbe esserci stata una forte incomprensione sulla responsabilità[77]: a chi spettava fare qualcosa?
[1] B. Ghiner, ‘A dispetto dei santi’. Ancora del disfacimento della collezione Stroganoff, ovvero: è stato Crapotti, in “Vita Artistica”, I, 2, 1926, pp. 23-26, in particolare p. 23. Ristampato in R. Longhi, Saggi e Ricerche 1925-1928 (Opere complete di Roberto Longhi, II), Sansoni, Firenze 1967, tomo I, pp. 67-73, tomo II, tav. 71.
[2] Sulla sua figura e la sua collezione a Roma si veda almeno: A. Muñoz, La collezione del conte Stroganoff, in “Rassegna contemporanea”, III, 10, 1910, pp. 85-92; Id., Pièces de choix de la collection du Comte Grégoire Stroganoff à Rome, Seconde partie. Moyen Âge - Renaissance - époque moderne, Imprimerie de l’Unione Editrice, Rome 1911; L. Pollak, Pièces de choix de la collection du Comte Grégoire Stroganoff, Première partie. Les Antiques, Imprimerie de l’Unione Editrice, Rome 1912; A. Jandolo, Le memorie di un antiquario, Casa Editrice Ceschina, Milano 1938 (2a ed.), pp. 57-71; A. Muñoz, Figure romane, A. Staderini, Roma 1944, pp. 133-150; L. Pollak, Römische Memoiren. Kunstler, Kunstliebhaber und Gelehrte 1893-1943, a cura di M. Merkel Guldan, L’Erma di Bretschneider, Roma 1994, ad indicem; V. Kalpakcian, Il palazzo romano del conte G.S. Stroganoff negli acquarelli di F.P. Reyman, in “Pinakotheka”, XVI-XVII, 1-2, 2003, pp. 184-195; S. Moretti, Il collezionismo d’arte bizantina a Roma tra Otto e Novecento: il caso Stroganoff, in Bisanzio, la Grecia e l’Italia, Atti della giornata di studi sulla civiltà artistica bizantina in onore di Mara Bonfioli, (Roma, 22 novembre 2002), a cura di A. Iacobini, Foroellenico, Roma 2003, pp. 89-102; V. Kalpakcian, La passione privata e il bene pubblico. Il conte Gregorio Stroganoff: collezionista, studioso, filantropo e mecenate a Roma fra Otto e Novecento, in Il collezionismo in Russia da Pietro I all’Unione Sovietica, Atti del Convegno, (Napoli 2-4 febbraio 2006), a cura di L. Tonini, Artistic & Publishing Company, Gaeta 2009, pp. 89-113; V. Kalpakcian, Персональное увлечение и общественное благо. Граф Γ.С. Строганов – римский коллекционер, знаток искусства, меценат и общественный деятель конца XIX – начала XX в., in Лазаревские чтения. МатериалЫ научной конференции 2009, Издательство Московского университета, Mosca 2009, pp. 475-510; M. Hill, G. Meurer, M.J. Raven, Rediscovering Grigory Stroganoff as a collector of Egyptian art, in “Journal of the History of Collections”, XIII, 2009, : 10.1093/jhc/fhp043, http://jhc.oxfordjournals.org/content/early/2009/09/13/jhc.fhp043.full; S. Moretti, Sulle tracce delle opere d’arte bizantina e medievale della collezione di Grigorij Sergeevič Stroganoff, in La Russie et l’Occident. Relations intellectuelles et artistiques au temps des révolutions russes, Actes du colloque, (Lausanne, 20-21 mars 2009), a cura di I. Foletti, Viella, Roma 2010, pp. 97-121; cfr. inoltre Stroganoff. The Palace and Collections of a Russian Noble Family, catalogo della mostra, (Portland, 19 febbraio-31 maggio 2000; Fort Worth, Texas, 2 luglio-1 ottobre 2000) a cura di P. Hunter-Stiebel, Portland Art Museum, Portland 2000 - Harry N. Abrams, New York 2000.
[3] A. Muñoz, La collezione…, p. 86; Id., Figure…, p. 143; V. Kalpakcian, Il palazzo romano…, p. 190 e note 49-50 a p. 195.
[4] Così era noto a Roma.
[5] Sulla vicenda del testamento si veda S. Moretti, Sulle tracce…, p. 110.
[6] Per esempio, sedici pezzi vennero donati all’Hermitage, secondo la volontà dello stesso Stroganoff, espressa – a quanto riferisce Ludwig Pollak nelle sue preziose Memorie – su un semplice pezzetto di carta. Cfr. L. Pollak, Römische Memoiren…, p. 228; e inoltre S. Moretti, Il collezionismo d’arte bizantina…, p. 90 e relative note; V. Kalpakcian, La passione privata…, pp. 98-99 e relative note; S. Moretti, Sulle tracce…, pp. 104, 106 e relative note.
[7] V. Kalpakcian, I due rilievi di Santa Maria del Monte nella collezione del conte Gregorio Stroganoff, in Opere insigni, e per la divotione e per il lavoro. Tre sculture lignee del Maestro di Trognano al Castello Sforzesco, Atti della giornata di studio, (Milano, 17 marzo 2005), a cura di M. Bascapè, F. Tasso, Silvana Editoriale, Milano 2005, pp. 87-91, in particolare p. 89.
[8] Faccio il caso, “minore” ma significativo, di un avorio francese della metà del Trecento, rivestimento di specchio con la rappresentazione di Amore, oggi alla Walters Art Gallery di Baltimora, che risulta provenire dalla collezione romana del conte Dimitri Stroganoff e viene acquistato nel 1916 a New York da H. Wareham Harding alla vendita all’asta della collezione fiorentina di Elia Volpi (R.H. Randall in Id. et alii, Masterpieces of Ivory from the Walters Art Gallery, New York 1985, p. 226, nr. 332). Dimitri è probabilmente il diminutivo di Vladimir, nipote di Gregorio Stroganoff (cfr. S. Moretti, Sulle tracce…, n. 2 a p. 114). Si veda, inoltre, V. Kalpakcian, La passione privata…, p. 100 e n. 125 a p. 107.
[9] A Roma, Elena Petrovna Stolypin Scherbatoff sposò il principe Vadim Wolkonskij (cfr. V. Kalpakcian, I due rilievi…, n. 26 a p. 91).
[10] Roma, Archivio Centrale dello Stato, Div. V, 4 Roma, 202, 20 aprile 1923. Sul coinvolgimento della Ditta Sangiorgi nella dispersione della collezione Stroganoff ipotizzato in F. Tasso, Tra Otto e Novecento, dalla chiesa al museo: la storia collezionistica dei rilievi del Maestro di Trognano, in Opere insigni…, pp. 79-86, in particolare pp. 79, 83, si veda almeno V. Kalpakcian, I due rilievi…, p. 89 (con testimonianza però anche dell’amicizia che intercorreva tra Giuseppe Sangiorgi, padre del già nominato Giorgio, e il conte Stroganoff: ibid., n. 21 a p. 91); e, in ultimo, S. Moretti, Sulle tracce….
[11] Nell’ampia bibliografia sullo storico dell’arte piemontese cito almeno G.C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento, UTET Università, (1995), ed. cons. Torino 2006, pp. 153-159, 168-170, 331, 334; Dizionario Biografico degli Italiani, 65, ad vocem a cura di S. Facchinetti, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2005, pp. 668-676; S. Benassai, Roberto Longhi. L’occhio del conoscitore, in L’occhio del critico. Storia dell’arte in Italia tra Otto e Novecento, a cura di A. Masi, Postfazione di A. Bonito Oliva, Vallecchi, Firenze 2009, pp. 69-84; L. Gallo, «Vita Artistica» / «Pinacotheca» (1926-1932), Prefazione di G.C. Sciolla, CB Edizioni, Poggio a Caiano – Foligno 2010, p. 381, nota bibliografica 17.
[12] Ricordo quella pubblicata il giorno dopo la discussione della tesi di laurea, il 28 dicembre 1911, su “La Voce” che andava a colpire i volumi separati delle Vite di Vasari curati da E. Calzini, I.B. Supino. Cfr. Dizionario Biografico degli Italiani, 65, ad vocem…, p. 9; e, da ultimo, S. Facchinetti, Il primo articolo di Roberto Longhi per la «Voce», in Per Giovanni Romano. Scritti di amici, L’Artistica Editrice, Savigliano 2009, pp. 76-77.
[13] Sull’importanza delle riviste d’arte per vari aspetti si veda G.C. Sciolla, Per le riviste d’arte, in Riviste d’arte fra Ottocento ed età contemporanea. Forme, modelli e funzioni, Atti del convegno, (Torino 3-5 ottobre 2002), a cura di Id., Skira, Milano 2003, pp. 7-9.
[14] Commenti. La dispersione della collezione Stroganoff, in “Dedalo”, VI, 2, 1925-1926, pp. 479-480 (le citazioni sono tratte da p. 479).
[15] Ibid., p. 479.
[16] Con questo nome si indicava la sede del Ministero (e quindi il Ministero stesso) della Pubblica Istruzione, allora collocato nell’edificio di un ex convento del XVI secolo.
[17] Commenti…, p. 479. Sul prezioso arazzo, la cui ubicazione – a quanto mi è dato sapere – è oggi ignota, si veda V. Kalpakcian, La passione privata…, p. 94 e note 50-51. Su alcuni avori Stroganoff si veda F. Hermanin, Alcuni avori del conte Stroganoff a Roma, in “L’Arte”, 1, 1898, pp. 1-11; H. Graeven, Frühchristliche und mittelalterliche Elfenbeinwerke in photographischer Nachbildung, Nr. 1-80, Aus Sammlungen in Italien, Istituto Archeologico Germanico, Roma 1900, numeri 62-80 e pp. relative; A. Muñoz, Pièces de choix…, pp. 157-175, tavv. CXIV-CXXV; S. Moretti, Il collezionismo d’arte bizantina…, pp. 91-92 e note 31, 33-34, 37-45; S. Moretti, Sulle tracce…, passim. La collezione eburnea del conte russo comprendeva pezzi di diversa provenienza e datazione. Antonio Muñoz scrive di aver fatto il vano tentativo di far acquistare al Museo Vaticano «la sua [scilicet di Stroganoff] raccolta di tavolette d’avorio di soggetto sacro e profano dal secolo sesto al decimoquarto» (A. Muñoz, Figure…, pp. 141-142). Sull’attenzione rivolta alla produzione eburnea bizantina in questi anni e in particolare sulle pagine della rivista di Adolfo Venturi “L’Arte” si veda in questo numero di “teCLa” il contributo di Giovanni Gasbarri.
[18] Commenti…, p. 480.
[19] Si veda S. Moretti, Sulle tracce…, p. 103 e nota 37 (con citazione dei documenti).
[20] A. Muñoz, Pièces de choix…, p. 127, tav. XCVIII; S. Moretti, Il collezionismo d’arte bizantina…, p. 93 e nota 60 a p. 99; P. Cannata in Tracce di pietra. La collezione dei marmi di Palazzo Venezia, a cura di M.G. Barberini, Campisano, Roma 2008, pp. 277-278, numero 53; S. Moretti, Sulle tracce…, p. 103 e nota 36.
[21] Longhi stesso scriverà in seguito di una sua nota uscita su “Dedalo” nel 1925, che può ben identificarsi con questa. Cfr. più avanti.
[22] Commenti…, p. 480.
[23] Ibid., p. 480.
[24] Ibid., p. 480. Il catalogo a cui ci si riferisce è quello pubblicato dall’Imprimerie de l’Unione Editrice (via Federico Cesi 45, Roma) con l’apparato illustrativo fornito dalla Casa Danesi di Roma (soprattutto fotoincisioni ma anche foto, e una fotocromo, tav. CL, per le placche a smalto di un reliquiario bizantino), che riporta una selezione delle opere medievali, rinascimentali e moderne appartenute al conte: A. Muñoz, Pièces de choix…. Sul ruolo svolto dal proprietario nella pubblicazione, sul catalogo stesso e il suo corredo iconografico, sull’appunto di Longhi (un corretto uso dell’imponente pubblicazione avrebbe evitato errori e dispersione): G. De Lorenzi, Postilla sui cataloghi di collezione: il caso Stroganoff e altri, in Cataloghi di collezione d’arte nelle biblioteche fiorentine (1840-1940), a cura di Ead., Scuola Normale Superiore di Pisa, Pisa 1988 (Quaderni del Seminario di Storia della Critica d’Arte; 3), pp. XVII-XXIV. Sul contributo della figlia di Stroganoff alla pubblicazione del catalogo si veda A. Muñoz, Figure…, p. 149; V. Kalpakcian, La passione…, nota 118 a p. 107. L’amica e collega Vardui Kalpakcian ha rintracciato sulla vicenda documentazione inedita di cui darà presto conto.
[25] Commenti…, p. 480.
[26] Nei successivi contributi Longhi si scaglierà anche più chiaramente contro «la mancanza di competenza da parte degli uffici di esportazione e di coloro che ad essi sopraintendono» (B. Ghiner, ‘A dispetto dei santi’. Ancora del disfacimento della collezione Stroganoff…, p. 24).
[27] Commenti…, p. 480.
[28] Su Ojetti e la rivista si veda G. De Lorenzi, 1920: Ojetti, «Dedalo» e l’arte contemporanea, in “Ricerche di Storia dell’Arte”, LXVII, 1999, pp. 5-22 (Militanze a confronto: vicende di arte e critica nell’Italia del Ventennio, a cura di M.G. Messina); Ead., Ugo Ojetti critico d’arte: dal “Marzocco” a “Dedalo”, Le Lettere, Firenze 2004, pp. 185-325. La rivista nel 1925 era pubblicata dalla Casa Editrice d’Arte Bestetti e Tumminelli (Milano-Roma); per le sue caratteristiche morfologiche si veda Spigolature dal fondo Ojetti: immagini della rivista “Dedalo”, a cura di M. Tamassa, Sillabe, Livorno 2008, pp. 8-9.
[29] Sulla rivista, sull’attenzione prestata all’interno delle sue pagine a problemi urgenti, quali appunto lo smembramento della collezione Stroganoff (ma anche il commercio clandestino delle opere d’arte, la crisi del mercato, l’insegnamento artistico ecc.), si veda: G.C. Sciolla, «Vita Artistica» e «Pinacotheca» (1926-1932): promemoria per una ricerca, con un’Appendice di Laura Gallo, in Percorsi di critica. Un archivio per le riviste d’arte in Italia dell’Ottocento e del Novecento, Atti del convegno, (Milano, 30 novembre-1 dicembre 2006), a cura di R. Cioffi e A. Rovetta, V & P Vita e Pensiero, Milano 2007, pp. 391-455. E ora sull’intera vicenda critica della rivista, breve ma avvincente, si veda L. Gallo, «Vita Artistica»…. Sui collaboratori della prima annata della rivista, tra cui Roberto Longhi (che si firma talvolta con pseudonimi: Pippo Spano, Bortolo Ghiner, Andrea Ronchi, Erminio Caratti), si veda: G.C. Sciolla, «Vita Artistica»…, p. 391 e l’Appendice di Laura Gallo, pp. 403-455; più di recente, L. Gallo, «Vita Artistica»…, passim e p. 21 per l’uso di Longhi di celarsi dietro altri nomi, uso che annovera precedenti illustri. Anche Vardui Kalpakcian ha dato conto in diversi contributi delle critiche sollevate da Longhi sull’argomento, cito almeno: V. Kalpakcian, La statua di Atena dal palazzo Stroganoff e il gruppo scultoreo di Mirone Atena e Marsi, in “Studi Romani”, LIV, 3-4, 2006, pp. 263-277, in particolare p. 276. La studiosa ha in preparazione una pubblicazione, con dati editi e inediti, sullo spoglio delle opere di palazzo Stroganoff.
[30] Su Gramantieri e la sua direzione si veda L. Gallo, «Vita Artistica»…, pp. 7-11, 49, 377.
[31] Su Cecchi e la sua direzione cfr. G.C. Sciolla, La critica…, pp. 162-163, 173-174; L. Gallo, «Vita Artistica»…, pp. 11 e sgg., 371. Il sottotitolo cambiava da “Cronache mensili d’arte” a “Studi di storia dell’Arte” dando subito conto del nuovo indirizzo della rivista, ora rivolta piuttosto allo studio e alla ricerca: ibid., p. 8.
[32] Ibid., pp. 10-11.
[33] G.C. Sciolla, Prefazione, in L. Gallo, «Vita Artistica»…, pp. 5-6, in
particolare p. 5.
[34] La rivista nel 1926 è pubblicata per le Edizioni di Vita Artistica, via Varrone, 9, Roma; sulle caratteristiche fisiche del periodico si veda L. Gallo, «Vita Artistica»…, p. 11 e nota 18.
[35] B. Ghiner, ‘A dispetto dei santi’. Il disfacimento della collezione Strogonoff, in “Vita Artistica”, I, 1, 1926, pp. 12-13. Ristampato in R. Longhi, Saggi e Ricerche 1925-1928…, tomo I, pp. 63-66, tomo II, tav. 37a. In tutto l’articolo il cognome del collezionista è riportato erroneamente così: “Strogonoff”.
[36] L. Gallo, «Vita Artistica»…, pp. 9-10.
[37] Ibid. Le lettere sono conservate presso il Centro di Ricerca e Tradizione Manoscritta di Autori Contemporanei dell’Università di Pavia, Epistolario Longhi, f. 298 (prima lettera senza data, da cui è tratta la prima citazione), f. 299 (seconda lettera del 12 gennaio 1926, nella quale si legge la seconda citazione).
[38] Sulle vicende collezionistiche dell’avorio (oggi al Museum of Art di Cleveland) in questi anni (notifica d’importante interesse, vendita per Lire 80.000 alla Ditta Sangiorgi, esercizio del diritto di prelazione ecc.) si veda: S. Moretti, Sulle tracce…, pp. 97-98, 101-103, 113 e passim.
[39] B. Ghiner, ‘A dispetto dei santi’. Il disfacimento della collezione Strogonoff…, p. 12.
[40] Su Federico Hermanin si veda almeno S. Rolfi, Appunti dall’archivio di un funzionario delle belle arti. Federico Hermanin da Cavallini a Caravaggio, in “Bollettino d’arte”, serie VI, LXXXV, 114, 2000, pp. 1-28; Dizionario biografico degli Italiani, vol. LXI, ad vocem a cura di P. Nicita Misiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2003, pp. 693-697; Dizionario biografico dei Soprintendenti Storici dell’Arte (1904-1974), ad vocem a cura di P. Nicita Misiani, Bononia University Press, Bologna 2007, pp. 304-316; L. Gallo, «Vita Artistica»…, pp. 379-380. Anche Hermanin pubblica un brevissimo intervento sulla prima annata di “Vita Artistica”, che rivela il suo interesse per la grafica: F. Hermanin, Un disegno di Claudio Lorenese, in “Vita Artistica”, I, 2, 1926, p. 18.
[41] Sulle vicende museali di Palazzo Venezia si veda P. Nicita, Il Museo negato. Palazzo Venezia 1916-1930, in “Bollettino d’arte”, serie VI, LXXXV, 114, 2000, pp. 29-72; P. Nicita Misiani, Un Museo del Medioevo e del Rinascimento per Roma, in Tracce di pietra. La collezione dei marmi di Palazzo Venezia, a cura di M.G. Barberini, Campisano, Roma 2008, pp. 61-88.
[42] L. Gallo, «Vita Artistica»…, p. 10.
[43] Tra i più recenti studi sul pittore genovese cito: M. Ausserhofer, Archivnotizen zu Gioacchino Assereto und anderen genueser Malern des 17. Jahrhunderts, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, XXXV, 2-3, 1991, pp. 337-356; Ead., Genuesische Historienmalerei: Gioacchino Assereto und die Kreuzzüge, ibid., XLI, 1-2, 1997, pp. 119-143; Ead., Archivalische Erkundungen über Gioacchino Assereto (1600-1650), ibid., L, 1-2, 2006, pp. 159-196. L’Autrice ha in preparazione una monografia su Gioacchino Assereto.
[44] B. Ghiner, ‘A dispetto dei santi’. Il disfacimento della collezione Strogonoff…, p. 13. Potrebbe risalire a questi anni l’acquisto da parte di Longhi di un olio su tela con Sansone e Dalila attribuito proprio dallo stesso critico piemontese a Gioacchino Assereto. L’opera è oggi nella collezione Longhi, nella villa fiorentina Il Tasso, e fu esposta in occasione della mostra dedicata ai capolavori di quella raccolta, tenutasi ad Alba tra 2007 e 2008: M. Newcome in La Collezione di Roberto Longhi dal Duecento a Caravaggio a Morandi, catalogo della mostra (Alba 2007-2008), a cura di M. Gregori, G. Romano, L’Artistica Editrice, Savigliano 2007, p. 157, nr. 51. Senz’altro il pezzo era già di Longhi alla fine degli anni Venti (G. Delogu, Quattro dipinti inediti dell’Assereto, in “Pinacotheca”, I, 1928-1929, pp. 214-220, in particolare p. 220).
[45] B. Ghiner, ‘A dispetto dei santi’. Il disfacimento della collezione Strogonoff…, p. 13.
[46] Id., ‘A dispetto dei santi’. Ancora del disfacimento della collezione Stroganoff…, pp. 23-26.
[47] Ibid., p. 23.
[48] S. Moretti, Sulle tracce…, pp. 113-114.
[49] Cfr. qui nota 24.
[50] A questo studioso dobbiamo, oltre al catalogo, alcuni ricordi del conte Stroganoff e della sua collezione (A. Muñoz, La collezione…; Id., Figure…). Muñoz frequentò, in quegli anni per lui giovanili, il nobile russo e il suo palazzo ricco di opere d’arte, ciò comportò senz’altro l’apertura verso un ambiente internazionale, russo in particolare, e un evidente interesse nei confronti dell’arte bizantina (S. Moretti, Gregorio Stroganoff. Il collezionismo russo e l’arte bizantina a Roma tra il XIX e il XX secolo, in Il collezionismo in Russia…, pp. 115-129); d’altronde è documentata la sua gradita presenza al Consolato russo in occasione della stesura dell’inventario dei beni del conte dopo la sua morte (S. Moretti, Sulle tracce…, p. 111). Sugli studi giovanili di Muñoz rivolti all’arte di Bisanzio si veda in questo numero di “teCLa” il contributo di G. Gasbarri (con ulteriori riferimenti bibliografici) e, da ultimo, A. Iacobini, La Sapienza bizantina: il contributo della storia dell’arte (1896-1970), in Sapienza Bizantina. Un secolo di ricerche sulla civiltà di Bisanzio all’Università di Roma, Atti della giornata di studi, (Roma, 10 ottobre 2008), a cura di A. Acconcia Longo, G. Cavallo, A. Guiglia, A. Iacobini, in corso di stampa. Anche Muñoz collaborò alla prima annata di “Vita Artistica” con un breve contributo dedicato al tempio della Fortuna Virile, di cui aveva curato il restauro: A. Muñoz, Il Tempio della Fortuna Virile, in “Vita Artistica”, I, 1, 1926, pp. 10-12. L’anno prima lo studioso e funzionario statale aveva dato conto in una monografia dei lavori che avevano interessato l’edificio: A. Muñoz, Il restauro del tempio della «Fortuna Virile», Società Editrice d’Arte Illustrata, Roma 1925. Cfr. L. Gallo, «Vita Artistica»…, pp. 10-11 (nota 15), 388-390, 407.
[51] Su L. Pollak mi permetto di rimandare a S. Moretti, Roma bizantina. Opere d’arte dall’impero di Costantinopoli nelle collezioni romane, Edizioni Nuova Cultura, Roma 2007, pp. 125-126, (n. 500), 137-138 (note 567-571, 574).
[52] B. Ghiner, ‘A dispetto dei santi’. Ancora del disfacimento della collezione Stroganoff…, p. 24.
[53] Ibid., p. 24. Cfr. qui nota 26.
[54] Ibid., p. 25.
[55] La Società, fondata nel 1897, e tuttora esistente «a pour vocation d’enrichir les collections du musée du Louvre. Elle offre à tous les amateurs d’art un accès privilégié aux collections du musée et la fierté de participer à une oeuvre exemplaire de mécénat collectif. La Société des Amis du Louvre est une association privée indépendante du musée et reconnue d’utilité publique depuis 1898» (cfr. http://www.amisdulouvre.fr/).
[56] B. Ghiner, ‘A dispetto dei santi’. Ancora del disfacimento della collezione Stroganoff…, p. 25.
[57] Ibid., p. 26.
[58] “Vita Artistica”, I, 1, 1926, p. 1.
[59] C. Ricci, L’arte in Italia. I. Lombardia, Piemonte e Liguria, Istituto Italiano d’Arti Grafiche – Editore, Bergamo 1911, p. 71 e figura 136 a p. 67.
[60] Referendum, in “Vita Artistica”, I, 2, 1926, p. 17.
[61] I suoi contributi si fanno via via più numerosi di quelli di Gramantieri: cfr. L. Gallo, «Vita Artistica»…, p. 9.
[62] G.C. Sciolla, Prefazione…, p. 5.
[63] Risposte al referendum, in “Vita Artistica”, I, 3-4, 1926, pp. 37-39.
[64] Ibid., p. 37. Ristampato in R. Longhi, Saggi e Ricerche 1925-1928…, tomo I, pp. 73-75. Si veda inoltre R. Longhi, Precisioni nelle Gallerie italiane. R. Galleria Borghese, Pinacotheca, Roma 1928. Ristampato in Id., Saggi e Ricerche 1925-1928…, tomo I, pp. 265-366 e tavv. relative nel tomo II, in particolare pp. 357, 366 e tav. 37b.
[65] Da Fiocco in poi i firmatari delle risposte al referendum sono qualificati da titoli o notizie sulla loro attività e le loro pubblicazioni (che io riporto, come in questo caso, tra parentesi, dopo il nome).
[66] Per questi collaboratori della rivista (escluso Molmenti, Toesca e Longhi per il quale si veda qui la nota 11) rimando alle note bio-bibliografiche in L. Gallo, «Vita Artistica»…, pp. 368, 374, 378, 404-406.
[67] Sugo del referendum, in “Vita Artistica”, I, 3-4, 1926, p. 40.
[68] Pietro Fedele (1873-1943) fu Ministro della Pubblica Istruzione dal 5 gennaio 1925 al 9 luglio 1928.
[69] Nel 1924 il duce pose l’Agenzia sotto il controllo del sansepolcrista Manlio Morgagni che la rese voce di governo in Italia e all’estero. Cfr. S. Lepri, F. Arbitrio, G. Cultrera, L’Agenzia Stefani da Cavour a Mussolini: informazione e potere in un secolo di storia italiana, Le Monnier, Firenze 2001; R. Canosa, La voce del Duce. L’agenzia Stefani: l’arma segreta di Mussolini, Mondadori, Milano 2002.
[70] Sugo del referendum…, p. 40.
[71] D’altronde lo studioso lituano aveva scritto una monografia sull’artista veneziano: B. Berenson, Lorenzo Lotto: an essay in constructive art criticism, G.P. Putnam’s Sons, New York – London 1895 (e successive ristampe e traduzioni).
[72] Sul rapporto Berenson-Duveen per il mercato dell’arte si veda C. Simpson, The Partnership: the Secret Association of Bernard Berenson and Joseph Duveen, The Bodley Head, London 1987; sul loro coinvolgimento con la collezione Stroganoff V. Kalpakcian, I due rilievi…, p. 89 e n. 18 a p. 91. Longhi si affrancherà progressivamente in maniera ostile nei confronti del conoscitore lituano, ma americano di adozione. Il carteggio tra i due è stato pubblicato in: F. Bellini, Lettere di Roberto Longhi a Bernard Berenson, in “Prospettiva”, LVII-LX, 1989-1990, pp. 457-467; B. Berenson, R. Longhi, Lettere e scartafacci 1912-1957, a cura di C. Garboli, C. Montagnani, Milano 1993.
[73] B. Ghiner, ‘A dispetto dei santi’, in “Vita Artistica”, I, 3-4, 1926, p. 46.
[74] R. Longhi, Saggi e Ricerche 1925-1928 …, tomo I, p. VIII.
[75] Colasanti fu Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti dal 1922 al 1929.
[76] Come nel caso dell’avorio bizantino dell’XI secolo, oggi a Cleveland, per il quale Colasanti – che in precedenza si era tanto battuto perché il pezzo non venisse venduto all’estero (S. Moretti, Sulle tracce…, pp. 97-103) – firma una lettera (siglata anche dal Ministro) indirizzata alla Ditta Sangiorgi dichiarando «Questo Ministero, dopo accurato esame delle varie proposte avanzate da codesta Spett. Galleria, relative alla cessione allo Stato del busto di Alessandro Vittoria raffigurante il Doge Marino Grimani, è venuto nella determinazione di aderire in massima prima proposta formulata da codesta Ditta, e cioè: di accettare per le Collezioni dello Stato il suddetto busto del Vittoria e di consentire l’esportazione della placca d’avorio bizantina; del tondo robbiano, replica d’un altro esistente all’Accademia di Firenze; del busto di papa, in bronzo, attribuito al Bernini, e di due santi in marmo di scuola romana del secolo XV, contro il pagamento della tassa d’esportazione di L. 20.000 sul prezzo complessivo attribuito ai suddetti oggetti […]» (Roma, Archivio Centrale dello Stato, Div. V, 4 Roma, 202, 24 maggio 1924). Segue a questa un’altra missiva firmata dallo stesso Ministro della Pubblica Istruzione, Giovanni Gentile, per il Direttore del R. Ufficio di Esportazione d’antichità e oggetti d’arte perché si rilasci la licenza di esportazione per i pezzi (ibid., 28 maggio 1924).
[77] S. Moretti, Sulle tracce…, pp. 101-102 e note 26, 30-31.
[78] Roma scopre un tesoro dalla pinacoteca ai depositi un museo che non ha più segreti, a cura di K. Herrmann Fiore, Tipografia La Neograf, Sesto Ulteriano – San Giuliano Milanese (MI) 2006, p. 182 (così vi leggiamo: Inventario 569. Gioacchino Assereto, copia, La presentazione al tempio, olio su carta riportata su tela, cm. 110 x 74, databile secolo XVII – 1926 ceduto da Lord Duveen). Ringrazio il dott. Lorenzo Riccardi per l’indicazione bibliografica.
[79] Si veda qui nota 17.
[80] A proposito di strumenti, Longhi si occuperà in seguito dell’«uso dei mezzi di comunicazione di massa per la conoscenza e la valorizzazione dei beni culturali» cfr. G.C. Sciolla, La critica…, p. 334.