Tra Otto e Novecento, nella Palermo degli ultimi Florio, l’incremento generale della stampa periodica e in particolare lo sviluppo delle riviste, con la nascita delle prime testate musicali, contribuirono all’affermarsi di nuove modalità di fruizione della musica e persino di nuove tendenze compositive, promuovendole e veicolandole all’interno del respiro europeo frattanto acquistato dalla città[1]. Mentre oggi gli stessi fenomeni editoriali permettono una rilettura fedele dei fatti musicali di quei decenni: fino a una ricostruzione a tratti pressoché completa della vita musicale, del sovrapporsi e intrecciarsi di multiformi pratiche della musica in un momento cruciale della città, interessata anche in questo ambito da un processo di rinnovamento che i vari scritti sulla belle époque hanno lasciato in ombra[2].
Le nuove testate specializzate, come pure le più diffuse e durature riviste ‘eclettiche’ di arte, letteratura, teatri e mondanità, oltre che i quotidiani e i settimanali di argomento in primo luogo politico, documentano talvolta nel dettaglio le importanti novità maturate a cavallo dei due secoli, così come il ruolo essenziale giocato dalla musica nei noti fasti mondani che fecero di Palermo, abbellita dal liberty di Ernesto Basile, una mediterranea «succursale della ville-lumière»[3] capace di celare cadute economiche e contraddizioni sociali dietro la vita di relazione di una raffinata aristocrazia del censo e del blasone e la vivacità culturale di una borghesia emergente di intellettuali, artisti e professionisti.
Anche in assenza di uno spoglio sistematico, il loro esame, integrato da quello di locandine, programmi di sala e musiche superstiti in collezioni pubbliche e private[4], ha permesso innanzitutto di colmare il vuoto di informazioni sulla musica evidente sia negli studi a carattere generale sia nelle rievocazioni che indulgono sull’intensa vita di società di quegli anni «rimasti nel ricordo nostalgico dei palermitani come i più belli della città»[5]. Così, nell’ampio quadro della Palermo ‘felicissima’ tracciato da Orazio Cancila, la musica è presente solo con un cenno alle stagioni operistiche del Teatro Massimo, fulcro della vita di relazione, e all’esordiente direttore d’orchestra Gino Marinuzzi, citato tra le personalità più significative d’estrazione borghese[6]. Mario Taccari ricordava anche il giovane compositore Peppino Mulè, mentre qualche cenno sulla pratica musicale lo forniva Pietro Nicolosi, parlando di rosoli, tenori e melodie alla moda nei salotti liberty, dell’ottima musica eseguita negli après-midi offerti il sabato a Palazzo Statella dalla duchessa dell’Arenella, o del trio formato dalle giovanissime Felicita, Amalia e Maria Alliata di Villafranca, che si esibivano nel palazzo di famiglia a Piazza Bologni[7].
In un libro di memorie pubblicato all’indomani della seconda guerra mondiale (1949), la stessa Felicita rievocò quegli anni in cui «molte signorine [...] coltivavano la musica da esperte dilettanti, mentre adesso con la radio e [i] grammofoni non se ne sente più l’opportunità»[8]. In proposito, qualche spunto interessante lo aveva già offerto nel 1907 un altro testimone diretto, Oreste Lo Valvo, che alla «febbre» di concerti dei nuovi tempi nostalgicamente contrapponeva i decenni precedenti, quando le donne coltivavano la musica in famiglia suonando in casa a quattro mani[9]. E questa rinnovata dimensione pubblica della vita di società agli inizi del Novecento è stata poi evidenziata da Mario Taccari, che ha messo in rapporto il «tramonto dei salotti» con lo sviluppo dei circoli, nuovi centri di aggregazione sociale per le classi più agiate[10].
La rilettura dei periodici di interesse musicale, in linea con la valorizzazione della stampa periodica che interessa da alcuni anni anche la ricerca musicologica[11], sug-gerisce diversi e articolati percorsi di ricerca, sia nell’ambito della storia della pro-duzione che, soprat-
tutto, in quello della recezione, attraverso i quali è possibile indagare ad esempio la diffusione di un genere ‘urbano’ dimenticato quale la canzone sici-liana, individuare specifiche tendenze compositive, o analizzare più approfonditamente il raggiungimento di forme moderne di fruizione della musica[12].
Perché, malgrado l’interesse di storici e musicologi si sia concentrato sulle stagioni del Teatro Massimo[13], la cui inau-gurazione nel 1897, complice la mole imponente, ha finito per oscurare ogni altro evento, la musica della Palermo fin de siècle non è più, finalmente, solo quella operistica, del Massimo o dei teatri minori, come delle tante trascrizioni destinate all’uso privato e di associazioni di dilettanti come l’Accademia Filarmonica Palermitana; né si limita più a semplici romanze e pezzi pianistici da salotto[14]. È anche quella «pura», «classica», «tedesca», che pionieri dell’esecuzione – tra cui Giacomo Baragli, Alice Ziffer e Alberto Favara – propongo-no con perseveranza nei programmi dei loro concerti, tenuti presso sale pubbliche e circoli, o ancora nei salotti aristocratici, accorciando così le distanze accumulate con altre città italiane nella fruizione della musica da camera e sinfonica[15].
Frutto finale di una pratica assidua e di un fervore di iniziative che la stampa periodica restituisce con ricchezza, il moderno concerto pubblico prende forma definitiva negli anni ’20 con la nascita dell’Associazione Palermitana Concerti Sinfonici – attiva dal 1922 al 1931 per la tenacia di uomini di legge e di cultura quali Francesco Orlando, Agostino Ziino, Ignazio Ciotti, Gino Scaglia, Ottavio Tiby – degli Amici della Musica, fondati nel 1925 dall’avvocato Vito Trasselli Varvaro sulla base di una consolidata esperienza organizzativa, e della Sezione palermitana della Corporazione delle Nuove Musiche gestita dal giovane Filippo Ernesto Raccuglia, che tra il 1925 e il 1926 introduce il pubblico al repertorio più moderno attraverso interpreti d’eccezione quali gli stessi compositori Bartók e Hindemith. Tre istituzioni con le quali, tra gli ultimi bagliori della belle époque, la città balza per qualche anno all’avanguardia nella fruizione italiana della musica sinfonica e da camera.
Parallelamente, il balzo in avanti interessa anche la stampa periodica specializzata, che raggiunge un alto livello editoriale con la “Rassegna d’arte e teatri” (1922-1936), punto d’arrivo di un percorso accidentato da cui emergono, come esperienze più significative, la pubblicazione a cavallo dei due secoli de “La Sicilia musicale” (1894-1910) e quella, sia pur brevissima, de “L’arte musicale” (1898). Ed è su queste tre riviste, profondamente legate al rinnovamento della vita musicale, e in particolare su “La Sicilia musicale”, uscita a cavallo dei due secoli, che qui di seguito si concentrerà maggiormente l’attenzione, pur in un quadro generale che serva a contestualizzarle meglio e a fornire ulteriori indicazioni sulla fisionomia e l’utilità, in genere, di queste preziose fonti documentarie.
Spesso più effimere che altrove, le testate palermitane di interesse musicale, pur essendo state in parte utilizzate per una trattazione importante come Il Real Teatro Carolino e l’Ottocento musicale palermitano[16], sono rimaste a lungo ignorate[17]. Riscoprendole, presso le principali biblioteche cittadine e nel fondo di periodici del Conservatorio V. Bellini, si è potuto verificare come la loro linea evolutiva ripercorra, al di là dei ritardi e della misura meno rilevante dei fenomeni, quella dei periodici di taglio analogo usciti lungo l’Ottocento e il primo Novecento a Milano, Firenze e Napoli[18].
Le prime testate con rubriche d’interesse musicale e teatrale – politico-letterarie, istruttivo-dilettevoli o «di mode varietà e teatri», come “Il passatempo per le dame” del marchesino di San Giacinto e “Il Vapore” dei fratelli Linares – nascono tempestivamente, negli anni 1830, insieme alle riviste milanesi di “belle arti, letteratura, teatri e varietà”, per un pubblico tendenzialmente femminile[19]. Il ritardo si accumula dopo, a partire dalle testate di letteratura e varietà, come “La Lira” (1851-1854), “Il buon gusto” (1851-1853) o “Il Baretti” (1856-1857), che si avvicinano più concretamente al teatro e alla musica una decina d’anni dopo rispetto a quanto accade nei maggiori centri della penisola, e si accentua per le riviste specializzate, sia per quelle d’arte musicale e drammatica, sia, ancor di più, per quelle esclusivamente musicali.
Pur sfavorite dall’accorciamento delle stagioni verificatosi con il passaggio delle competenze sui teatri all’amministrazione comunale, e dalla conseguente scarsezza di agenzie teatrali, le prime riviste teatrali escono dopo l’Unità, quando anche a Palermo, a dispetto del diffuso analfabetismo, si assiste ad una impetuosa crescita dei quotidiani e allo sviluppo di svariate riviste, soprattutto letterarie, radicate nella tradizione della ‘terza pagina’ e del giornalismo domenicale (se tra il 1812 e il 1870 vedono la luce circa quattrocento testate, fino al 1900 ne escono infatti più di mille). Nell’ambito di questo incremento, condiviso da vicino con Napoli, nasce stentatamente un “Corriere teatrale” (1867) – a Milano già negli anni ’20 si pubblicavano “I teatri” e “Il censore universale dei teatri” – seguito dall’altrettanto effimero esperimento de “La Gazzetta musicale di Palermo” (1874-1876), diretta dal musicista Vincenzo Bongiovanni, promotore di una Società di mutuo soccorso tra i professori di musica della città[20]. Di breve durata, prima e dopo, anche “L’arte. Rivista della Filarmonica Bellini” (1869-1871) – sorta di bollettino sociale dell’associazione di
dilettanti citata nel sottotitolo di testata[21] –, “La musica. Rivista ebdomadaria musicale” di Giuseppe Lo Verde De Angelis (1886) e il quindicinale “Carmen. Rivista illustrata di letteratura amena e di teatri” (1888-1889), su cui scrive, tra gli altri, Pietro Floridia, valente pianista modicano poi trasferitosi negli Stati Uniti.
Nel frattempo la vita musicale continua a rispecchiarsi sui nuovi quotidiani – il “Giornale di Sicilia” (1863-) e dal 1900 “L’Ora” –, sui longevi settimanali di argomento politico-artistico-teatrale, come “La lince” (1871-1908), “Don Bucefalo” (1875-1894) e “Il caporal terribile” (1887-1917), o ancora sull’elegante “Psiche” (1885-1902), rivista «artistica» con rubriche di «arte, letteratura, musica, moda, gran mondo, teatri, sport, varietà», ricca di notizie e illustrazioni legate alla musica: splendidi i numeri unici sulle opere in cartellone, ricchi i dettagli sui trattenimenti musicali o sulla fortuna della canzone siciliana. Seguita a ruota da “Flirt. Rivista illustrata. Letteraria, artistica, mondana” (1897-1904), “Psiche” si allinea perfettamente, anche per ciò che riguarda la musica, al gusto fin de siècle per l’immagine – diffuso nel resto d’Italia con “L’Illustrazione italiana”, “La scena illustrata”, “Il teatro illustrato”, o le partenopee “L’occhialetto”, “Fortunio”, “Picche” e “Fantasio” – riuscendo a incontrare il favore di un pubblico più vario, borghese ma anche
aristocratico, di nuovo in prevalenza femminile, e incarnando bene
gli orientamenti estetici e sociali a cavallo dei due secoli.
Agli inizi del Novecento, con i giornali di pubblicità teatrale emanazione di agenzie dello spettacolo, si registra un ulteriore allineamento alla realtà nazionale, ma l’affermazione di testate specializzate dal rigoroso impianto musicale risulta difficile per l’assenza di editori del settore che ne sostengano la pubblicazione[22]. Soltanto nel 1894 – oltre mezzo secolo dopo la “Gazzetta musicale di Milano” dei colleghi Ricordi (e una decina d’anni dopo la nascita di testate quali la “Sicilia artistica” e la “Sicilia letteraria”) – Luigi Sandron, fratello del più noto Remo, fonda una rivista in grado di superare le precarie esperienze della “Gazzetta musicale di Palermo” (1874-1876) e de “La musica” (1886), nate dalla debole volontà di musicisti legati all’accademismo musicale: “La Sicilia musicale”[23], prima quindicinale e poi mensile, malgrado due interruzioni e persistenti difficoltà economiche, sopravvive sino al 1910, documentando le trasformazioni in atto grazie alle puntuali informazioni sugli eventi musicali alternativi al teatro d’opera e sulle personalità più attive in campo compositivo, esecutivo e organizzativo.
Proprietario di un fiorente emporio musicale in corso Vittorio Emanuele e di una casa editrice specializzata creata a fianco di quella letteraria di famiglia[24], Sandron utilizza la testata anche come strumento pubblicitario, affidandola inizialmente ad Emanuele
Paolo Morello, bibliotecario al Conservatorio, e preferendo poi, assunta personal-mente la direzione nel corso del 1895 (anno II), il taglio meno didascalico di Stefano Gentile, prima redattore (dal n. 10/1895) e quindi nuovo direttore respon-sabile (dal 1901/III), oltre che proprietario a partire dal 1906/IV[25], quando, dopo quattro «lunghi» anni, la rivista risorge con prestigiosi collaboratori (il 1901/III consta di pochi numeri).
Tra questi, oltre allo stesso Morello, il direttore del Conservatorio Guglielmo Zuelli e Alberto Favara, titolare della cattedra di composizione (ma, lo si vedrà meglio, figura di primo piano anche come direttore d’orchestra, organizzatore musicale ed etnomusicologo), ma anche poeti e letterati come Giuseppe Di Rosa, Virgilio La Scola, Vito Mercadante, Santi Sottile Tomaselli, Federico De Maria e Alessio Di Giovanni, e altri personaggi in vista, tra cui il demopsicologo Salvatore Salomone Marino (Zuelli e Favara figurano anche tra i primi cento associati alla rivista, insieme a colleghi del Conservatorio e di altri Istituti musicali, come Paolo Dotto del Liceo A. Scarlatti, a poeti e personaggi in vista come Ignazio e Franca Florio o le figlie del prefetto De Seta, tra le signorine più attive in ambito musicale).
Inizialmente, sotto il motto «L’arte rinnova i popoli», lo stesso inciso sul frontone del Massimo e attribuito a Francesco Paolo Perez, escono «due pagine di testo e due di musica», con l’obiettivo di colmare l’assenza sul territorio di periodici musicali, a fronte della recente fioritura delle riviste miscellanee di lettere, arti, teatri, musica e mondanità:
Preludio sinfonico - [...] annunziando la prossima pubblicazione di questo periodico, dicevamo che il suo programma si riassume in
ciò: combattere per l’arte, non per le persone. E questo ideale nobile e bello, che sarà nostra guida sempre, speriamo di raggiungere con l’aiuto dei buoni e degli intelligenti, e chi ci seguirà nella nostra pubblicazione potrà accorgersi se saremo coerenti e fedeli al compito propostoci. Il quale se per sua natura ci affida della riuscita, ci dà pure il diritto di affermare che, per quanto modestamente, veniamo a colmare un vuoto. Non nuovi alla vita giornalistica, sappiamo bene che colmare un vuoto è frase vecchia, ma non per ciò è meno vero il fatto che in Sicilia è assoluta mancanza di simili periodici, onde è che in noi nasce legittimo il desiderio ed il nobile orgoglio di mostrare, specialmente a chi sembra volerlo dimenticare, che Sicilia nostra non esiste solo... sulla carta geografica, ma meglio nel mondo dell’intelligenza e specie dell’arte. Sarà perciò il nostro periodico, nelle sue modeste proporzioni tipografiche, una palestra dove chiunque voglia potrà misurarsi inviando articoli o musica inedita alla Direzione. Invitiamo quindi tutti coloro che di musica si occupano o dal lato tecnico o dal lato letterario di volerci esser larghi del loro incoraggiamento.
In questa prima fase il giornale è occupato per più di metà da un saggio storico firmato dallo stesso Morello[26], mentre in meno d’una pagina sono racchiusi cenni sull’autore delle composizioni
pubblicate all’interno, la cronaca della vita musicale locale e qualche informazione su quella italiana ed estera; seguono la corrispondenza, motti e aneddoti musicali, recensioni di pubblicazioni musicali e letterarie e necrologi di musicisti[27].
La volontà di giovare all’arte trapela anche dalla cura nella scelta delle musiche, da quelle di giovani compositori da valorizzare a quelle di autori romantici come Mendelssohn e Chopin, sino a quelle di «classici per eccellenza» come J. S. Bach o di musicisti allora quasi ignorati in Italia, come J. Ph. Rameau[28]. Mentre la rubrica “La nostra musica” fornisce informazioni sui compositori, «specialmente se essi sono nuovi all’arte e fanno i primi passi pubblicando i loro lavori nel nostro periodico. Musiche di autori non siciliani si pubblicano volentieri, perché la loro musica venga meglio conosciuta tra noi».
A partire dal 1895 l’aspetto grafico appare maggiormente curato e il numero delle pagine raddoppia, per contenere più rubriche, oltre che scritti satirici sulla musica e liriche dello stesso Stefano Gentile, o di esponenti di spicco della cultura letteraria cittadina come Alessio Di Giovanni. L’anno IV/1906 presenta ulteriori modifiche tipografiche e nuove rubriche, ma sospesa la pubblicazione di musica (già dall’anno III; successivamente verrà ripresa in modo irregolare), la cadenza diventa mensile (dal n. 3-4).
L’iniziale intento pedagogico, poco efficace sotto il profilo giornalistico, viene presto accantonato dal nuovo redattore, che preferisce trattare, con retorica di facile presa, temi di estetica e problematiche musicali di attualità (come la diffusione dell’educazione musicale, del canto corale e della musica sacra o l’inflazione di compositori dilettanti, argomenti che lo interessano da vicino in veste di organista della Cappella Palatina e direttore di una scuola corale)[29].
Cresce invece l’interesse per i luoghi e le istituzioni musicali, in una prospettiva, come di consueto per i tempi, fortemente municipale. Se già nel primo numero, salutando il «risveglio musicale» in atto, si segnalano tre nuove realtà cittadine – l’Unione Artistica, l’Associazione Musicale diretta da Zuelli e la società Alessandro Scarlatti diretta dal direttore d’orchestra Federico Nicolao – e il fatto che il Circolo Artistico, «dove finora la musica non fu coltivata che con rari concerti per quanto buoni, si è proposto di dare delle audizioni musicali in ogni prima domenica di mese»[30], dal febbraio 1906 (IV, 3-4) i nuovi spazi musicali alternativi al teatro d’opera diventano oggetto specifico della rubrica “La buona musica”[31]:
Per questa nuova rubrica segnaleremo quegl’istituti religiosi e laici, quei convitti pubblici e privati, quelle chiese e quegli oratori, quelle case patrizie e borghesi dove si farà della buona musica, vocale e strumentale.
Vengono così abitualmente documentate le iniziative di circoli (Artistico, di Cultura e Bellini), locali (Hotel de France, Hotel de la Paix, Hotel des Palmes, Caffé Margherita) e istituti a indirizzo musicale (R. Educatorio Maria Adelaide, Vittorino da Feltre, Sorelle Pomar, Turrisi Colonna, Istituto dei ciechi Florio, Cesi, Cherubini, Alessandro Scarlatti), e attentamente segnalati i nuovi appuntamenti cameristici all’Aula Gialla e all’Aula Rossa del Politeama o alla Sala Ragona, che si aggiungono ai concerti di beneficenza, talvolta presso l’ormai decaduto Teatro Bellini, a quelli ospitati dalla nobiltà, alla musica sacra nelle varie basiliche cittadine e a quella bandistica all’aperto (adesso anche al Giardino Inglese)[32]. Al mondo dell’opera, trattato diffusamente dai quotidiani e dai settimanali di argomento vario – che si soffermano sulle stagioni operistiche al Politeama, al Massimo (dal 1897) e poi al Biondo (dal 1903) – il periodico dedica quindi un’attenzione marginale, pur non mancando di rilevare il ritardo nel completamento dei lavori del Teatro Massimo, tema ricorrente sulla stampa dell’epoca («... ed eccomi a voi. Vi parlerò oggi del nostro Politeama Garibaldi, del nostro maggiore teatro, maggiore perché siamo in aspettativa del... Massimo!»).
Un’attenzione privilegiata riceve il Conservatorio, di cui si segnalano persino i diplomi conseguiti (giacché, a partire dal 1906, sul frontespizio compare la dicitura «Pubblica gli atti ufficiali del R. Conservatorio di Musica di Palermo»). È evidente la sinergia con la nuova direzione dell’Istituto, assunta nel 1894 dal compositore e direttore d’orchestra emiliano Guglielmo Zuelli, il cui operato, fino al 1911, farà dell’antico Collegio del Buon Pastore, divenuto nel 1889 Regio Conservatorio accanto a quelli di Napoli, Roma, Milano e Parma, e ora intitolato a Bellini, il centro della vita musicale cittadina, non solo come «vivaio» di musicisti – tra i quali compositori e direttori d’orchestra quali Gino Marinuzzi o Giuseppe Mulè e una serie di professionisti di altissimo livello – ma anche come promotore di capillari e grandi eventi musicali[33]. I primi sono i saggi interni, avviati con l’appoggio dei migliori professori e con il sostegno della rivista, che li documenta in modo molto dettagliato:
Domenica 28 Gennaio 1906 - Prima esercitazione degli alunni
Palestra simpatica ed utilissima: gli alunni si esercitano come in famiglia; infatti non assistono [...] che essi, tutti, tutte e le loro famiglie, se... togli qualche altra persona affezionata a quelle mura, a quel tempio. Si fece musica di Haendel, Schubert, Moszkowski, Beethoven [...]. Si son prodotti [...] allieve ed allievi della Ziffer e dell’infaticabile Baragli che preparò e diresse questa prima, riuscitissima, esercitazione[34].
Pochi mesi dopo massimo risalto è dato a un evento speciale quale l’esibizione di un’orchestra di giovani aristocratici diretta dal maestro Benedetto Morasca[35], con la partecipazione di altri docenti e allievi dell’Istituto[36], pres-so la Sala Scarlatti appena inaugurata e concessa ai comitati di beneficenza.
“La Sicilia musicale” evidenzia la novità di questo tipo di collaborazione, a testimonianza della raggiunta integrazione – fino a quel momento ufficialmente evitata – tra l’alta società e gli ambienti del Conservatorio, mentre su altri periodici viene accentuato l’aspetto mondano dell’evento, a partire dal prestigio dei partecipanti, tra cui il marchese Vincenzo Natoli («nostro distinto musicista»)[37], il marchese di Schysò[38], don Emanuele Lanza, il barone di Lo Monaco, le sorelle Alliata di Villafranca e De Seta (allieve dello stesso Conservatorio) e inoltre esponenti dell’alta borghesia imprenditoriale quali Delia, Norina ed Euphrosyne Whitaker:
Sala Scarlatti (R. Conservatorio) - Mercoledì 25 aprile alle ore 15 1/2 ha avuto luogo il gran concerto vocale e strumentale a favore dell’Educatorio Whitaker; e noi ce ne occupiamo con viva soddisfazione per rilevare il seguente notevolissimo fatto: in quei tempi l’aristocrazia del censo e del blasone la faceva da mecenate con gli artisti asservendoli e stipendiandoli, né sempre decorosamente; oggi essa non disdegna di occuparsi d’arte essa stessa, chiedendo ed ottenendo il diploma ai nostri istituti musicali, e studiando e lavorando insieme agli artisti. Questo è vero progresso, questo è vero amore per l’arte! [...][39].
(Alla crescita d’interesse per lo studio ‘pubblico’ della musica è legata la nascita dei nuovi istituti a indirizzo musicale come il Liceo femminile Alessandro Scarlatti di via Lungarini e il Cherubini di salita Ramirez, pubblicizzati sulla testata con l’elenco dei professori, alcuni dei quali condivisi con il Conservatorio).
Ma i grandi eventi con cui l’antico Collegio del Buon Pastore si proiettava più compiutamente verso la città erano i concerti annuali per il pio lascito Bonerba, organizzati e diretti da Zuelli recuperando l’antico lascito dell’omonimo monaco olivetano: attesi avvenimenti mondani, oltre che artistici (l’orchestra e il coro potevano superare i trecento elementi), cui partecipavano sia i «plebei» che la «high life», e persino la regina Elena se in visita in città come nel 1906. Anche grazie alle cronache dettagliate, questi concerti contribuirono al radicamento presso il pubblico di nuove abitudini d’ascolto, con la riscoperta della musica sacra di compositori del Sei-Settecento italiano, come Girolamo Frescobaldi, Alessandro Stradella e Benedetto Marcello, ma anche di compositori più vicini come Mozart e Mendelssohn:
Notiziario - L’avvenimento artistico della quindicina è il concerto di Musica Sacra, in adempimento del lascito P. Vincenzo Bonerba [...]. Lo diciamo subito, [...] una esecuzione come quella alla quale assistemmo in questo concerto non è cosa che, a Palermo, possa darsi ogni giorno; e di siffatta riuscita va data precipua lode a quell’infaticabile ed intelligente artista che è il Maestro Guglielmo Zuelli [...]. - Anche lo scorso anno avemmo il piacere di assistere al concerto del lascito Bonerba e potemmo notare con quale compiacimento il pubblico vi assistesse, meravigliato quasi che i secoli passati abbiano potuto lasciarci un tesoro così grande di arte ed arte vera: e potemmo notare quest’anno come tale meraviglia e tale compiacimento siano stati maggiori, fatto che si spiega facilmente se si pensi che il ripetersi di tali concerti non fa che abituare vie maggiormente il pubblico a quel godimento spirituale che solo può dare questa arte classica, grande e vera, questi tesori d’arte che, pur troppo il gran pubblico non sa né anche che li possediamo[40].
Attenta alla diffusione della musica «classica» e «tedesca», lungo i primi due anni “La Sicilia musicale” registra inoltre fedelmente la pionieristica attività della Società del Quintetto, sorta nel 1893 per merito del violoncellista Giacomo Baragli e della pianista Alice Ziffer – approdati a Palermo come vincitori delle rispettive cattedre al Conservatorio – con l’obiettivo, mutuato dalle recenti esperienze cameristiche romane, di educare all’ascolto attraverso «accuratissime» esecuzioni del repertorio di Haydn, Beethoven, Schumann e Brahms, ancora nuovo per il pubblico cittadino[41]:
Cronache della Quindicina - Abbiamo assistito, domenica 17 Febbraio, al 4° trattenimento che la Società del Quintetto ha dato ai suoi soci per l’anno corrente, e dobbiamo, per amor del vero, constatare il notevole incremento di questa istituzione che va sempre più acquistando la simpatia dei nostri buongustai.
Lungo il 1895 si legge ancora:
[...] Mentre è evidente che il pubblico mano mano che viene educandosi a questo genere di musica, classica per eccellenza e pura per sostanza e forma, diventa ad ogni tornata più esigente, egli è pur vero che gl’intelligenti esecutori di codesta musica mettono ogni impegno perché anche da parte loro si noti un notevole perfezionamento nella esecuzione dei grandi capolavori. La musica che venne eseguita era tutta di Beethoven. [...] Ottimo il metodo di ripetere ad ogni tanto qualcuno dei pezzi già eseguiti in altri concerti, e pel pubblico che meglio li gusta, e per gli esecutori, ché più si studia meglio si fa[42].
Eppure, al volgere del secolo, pur dando spazio all’attività di una seconda istituzione cameristica ugualmente proiettata allo svecchiamento dei programmi, ora anche in chiave francese – era il Quintetto Siciliano formato da Riccardo Tagliacozzo, Gustavo Natale, Rosario Profeta, Giuseppe e Giovanni Mulè – il periodico si allinea ai nuovi orientamenti ‘nazionalistici’, alimentati dalle ultime prese di posizione di Giuseppe Verdi, lamentando l’eccessiva presenza di musica «tedesca» nei programmi violoncellistici proposti da Baragli (tendenze poi espanse dal fascismo ed espresse intanto, a livello locale, sia da Zuelli, nel monito a «essere italiani anzitutto», che da Francesco Paolo Mulè, nel discorso tenuto per l’inaugurazione della Sala Scarlatti il 15 maggio 1905):
[...] il programma non poteva essere più attraente (se togli la faccenda della... nazionalità della musica: non una sola nota italiana: perché?)[43].
Attraverso l’attività della Società del Quintetto emerge con forza ancora un’altra dimensione, quella del concerto privato, centrale nella vita musicale a cavallo fra i due secoli, che come altri periodici “La Sicilia musicale” documenta nel dettaglio, ma con il solito maggiore riguardo per gli aspetti musicali:
Cronache della Quindicina - Concerto Vocale e strumentale - Il primo del corrente mese, le sale del Principe di Trabia[44] aprivansi per offrire un’ attraentissima serata musicale alla più scelta aristocrazia. Il programma composto di musica fine e in parte classica prometteva godimenti artistici non comuni, massime che gli artisti preposti all’esecuzione dei pezzi affidavano per la buona riuscita degli stessi. Vi figuravano i nomi di Ziffer, Franco, Baragli, Costantino, Governale nonché dei più scelti professori della nostra orchestra. Si diede cominciamento col maestoso Concerto in Sol minore di Mendelssohn, per Pianoforte con accompagnamento di doppio quartetto, controbasso e 2° Pianoforte. Sosteneva la parte pianistica la Signora Ziffer-Baragli la quale, da quella coscenziosa [sic] ed abile artista che è, con tocco sicuro ed esecuzione brillantissima, dava risalto a tutte le peregrine bellezze dello splendido concerto. [...] Contribuì alla serata la Signorina Franco, artista fine, di voce delicata e buon impasto, fraseggio corretto, pronta emissione. Eseguì romanze di Tosti e Denza con molta grazia [...][45].
(Una dimensione che ha per corollario avvenimenti più prossimi all’ambito della Hausmusik, ma ugualmente descritti sulla rivista, come i saggi in casa dell’arpista Riccardo Ruta e di altri affermati maestri).
Gli annunci e le cronache de “La Sicilia musicale” testimoniano infine il favore goduto da strumenti come l’arpa o il mandolino, suonati da giovani dilettanti anche in nutrite orchestrine, grazie a un fitto repertorio di trascrizioni per gli organici più svariati. Per le stesse ragioni commerciali, legate all’attività editoriale di Luigi Sandron, che fu anche un apprezzato trascrittore, la rivista agisce in profondità nella promozione della canzone siciliana, genere peculiare fiorito a cavallo dei due secoli sull’onda del successo arriso alla canzone napoletana a partire da Funiculì Funiculà (1880) e dalla ripresa della festa di Piedigrotta, in concomitanza con la riscoperta delle tradizioni e dei canti popolari siciliani operata da Giuseppe Pitrè e Salvatore Salomone Marino[46].
L’obiettivo di valorizzare il nuovo genere, vicino al moderno concetto di ‘popular’, favorendone la massima diffusione, si profila sin dal primo numero del 1894, con la pubblicazione della canzone Ucchiuzzi niuri, «composizione indigena sotto tutti i rapporti», del futuro redattore e direttore della rivista, di altri due suoi titoli – Campanedda d’oru (apparsa nello stesso 1894 anche su “Psiche”) e O muntagnola! – e di Bedda Nici di Paolo Dotto, allievo di Alberto Favara. Sospesi gli inserti musicali, la testata resta ricca di articoli e commenti come di annunci editoriali relativi alla collana “Biblioteca popolare siciliana”, nella quale Sandron provvede tempestivamente a riunire numerose canzoni per voce e pianoforte – anche «in edizione di lusso» o «arrangiate per solo mandolino con parole intercalate» – dello stesso Gentile e proprie, o di altri compositori attivi in città (Mario Fulvio, Pier Caronna, Giuseppe Dotto, Carmelo Urbano)[47].
Come quella partenopea più simile ad una ordinaria romanza da salotto che al canto popolare, la canzone siciliana prosperò
grazie a concorsi promossi da privati e a competizioni che ambivano ad emulare quelle appena ripristinate di Piedigrotta.
Il primo concorso fu indetto nel 1888 da Tina Whitaker[48], il cui repertorio di dilettante comprendeva canzoni napoletane di grido come ‘E spingule francese di De Leva: il vincitore, Mario Fulvio, alias Domenico Miceli, fu «il primo a pensare al risveglio della canzone siciliana» e la sua ‘Na virrinedda su versi di Capuana, pubblicata da Sandron e divulgata su “Psiche” in forma di inserto, «andò a ruba pei salotti aristocratici» come le canzoni successive, dedicate sempre a Tina e custodite a villa Malfitano, ora presso la Fondazione intitolata al marito: L’occhio tuo, Vucidda duci e Che aspiette cchiu? (altro inserto di “Psiche” lungo il 1889).
La spinta verso la dimensione pubblica di una canzone che risuonasse come quella napoletana non solo nei salotti, ma anche lungo le strade, in quegli anni di cambiamenti urbanistici, e sventramenti, volti a una veloce modernizzazione[49], venne proprio da giovani come Stefano Gentile, che nel 1893 fondarono una Società per la canzonetta siciliana al fine di incentivarne il repertorio arricchendo la festa popolare del 3 e 4 settembre, appena qualche giorno prima di Piedigrotta: sotto il coordinamento di Pitrè eranoo
infatti riprese anche le celebrazioni per Santa Rosalia, sospese negli anni precedenti per il timore di rivolte.
Nel frattempo il giovane Gentile mise in atto il secondo obiettivo – divulgare il nuovo genere attraverso la stampa periodica, ancora sul fortunato esempio partenopeo – fondando nel febbraio di quell’anno “La lira”, di cui non sembra rimasto alcun numero, e pubblicandovi le sue prime canzoni[50].
Nella primavera del 1894, poco dopo la nascita de “La Sicilia musicale”, un nuovo Comitato per le canzonette al Giardino Inglese, in occasione della ‘Pasqua dei fiori’, bandì un concorso che venne vinto dal dodicenne Gino Marinuzzi, figlio del noto avvocato reduce dall’organizzazione dell’Esposizione Nazionale. Finalmente, e commissari quali Sandron, Pitrè e Salomone Marino[51] (la cui ricostruzione filologica de La baronessa di Carini ispirò due omonimi drammi musicali: il primo con libretto di Morello e musica di Gentile, il secondo di Giuseppe Mulè)[52].
Altri concorsi, con esibizioni canore sui carri della Santa, vennero contestualmente promossi dall’Arte melodram-matica, istituzione fondata nel 1894 dal contrabbassista Carmelo De Barberi e dotata di un proprio bollettino dai ricchi numeri unici illustrati con testi e musiche delle canzoni in lizza (come “Le canzoni siciliane per le feste di S. Rosalia” del 1902 o il non
rinvenuto “Montepellegrino”).
Analogo lo scopo di alcuni numeri de “La canzone siciliana” (1909-1915), su cui figurano i testi presentati ai concorsi indetti dallo stesso periodico ed eseguiti al Teatro Bellini e al Giardino Inglese, il nuovo arioso spazio a disposizione del pubblico.
Quasi una sorella ‘minore’ di quella partenopea – per repertorio, capacità e mezzi di diffusione, senso identitario di appartenenza – la canzone siciliana guadagnò lo stesso, e presto, la fiducia del maggiore editore musicale italiano, Ricordi, che già nel 1890 pubblicava Paruleddi d’amuri di Pietro Gulì Caracciolo per proseguire con brani quali O passareddu! e Comu si campa? di Paolo Dotto, Stidda Diana di Benedetto Morasca o le Cinque canzoni siciliane di Giuseppe Stancampiano[53].
Nel frattempo, sotto il titolo di Canti della terra e del mare di Sicilia (1907; 1921) Ricordi pubblicò con successo anche due serie di canti popolari siciliani armonizzati da Alberto Favara[54] e rivolti a un identico pubblico grazie alla normalità della notazione (linea del canto con accom-pagnamento del piano-forte). Né stilizzazioni alla moda né pura musica di tradizione orale, quindi, come già l’Eco della Sicilia (1883) del catanese Francesco Paolo Frontini o i Canti di Sardegna di Luigi Fara, usciti di seguito nel 1923[55] [56] [57].
Prendendo le distanze dall’entusiasmo dei quotidiani, “La Sicilia musicale” – leggi un acido Stefano Gentile – giudica negativamente la prima raccolta del Favara, esprimendo riserve sulla rielaborazione dei canti popolari e soprattutto sulla loro esecuzione fuori contesto (ancora nel 1931 lo studio-so Cesare Caravaglios si sarebbe chiesto, facendo della domanda il titolo di un saggio, Debbono essere i canti popolari armonizzati?)[58]:
Il canto del popolo è bello in bocca al popolo [...]. Il Maestro Favara, vuol dire, non si contenta di averli raccolti, di averli stampati, vuole a tutti i costi farli sentire questi capolavori dell’arte popolare nostra!
In effetti, consapevole dei limiti dell’operazione, Favara aveva armonizzato le melodie popolari soltanto su pressione di Ricordi, che puntava sulla sicura commerciabilità del prodotto editoriale. Il suo interesse si era rivolto esclusivamente alla loro raccolta lungo borghi e campagne della Sicilia occidentale attraverso un’intensa attività di recupero e trascrizione che procedette parallela alla produzione delle canzoni ‘urbane’ tanto in voga. Simile a quella più celebre, e di poco posteriore, dei compositori ed etnomusicologi ungheresi Bartók e Kodály, la pionieristica ricerca sul campo di Favara sarebbe confluita molto più tardi nel monumentale Corpus di musiche popolari siciliane, uscito doppiamente postumo nel 1957 a cura del genero Ottavio Tiby[59]. Con esiti artistici diversi da quelli di Bartók, ma con il massimo rigore, Favara vide inoltre nella musica di tradizione orale il solo alimento capace di mantenere in vita la musica di tradizione scritta, vale a dire la musica colta europea, e su questa idea fondò sia la propria attività di compositore (Sogno in val d’Enna, 1913) che il proprio insegnamento in Conservatorio, determinante per allievi come Marinuzzi (Suite siciliana, 1910) e Mulè (Sicilia canora, 1920), che lo seguirono nella composizione di pagine sinfoniche intessute di melodie e ritmi attinti al folklore (ma il mondo siciliano, in quegli anni, ispirò anche pezzi pianistici e da camera di facile smerciabilità).
La convinzione, oggetto di varie conferenze, viene compiutamente esposta da Favara nel saggio Il canto popolare nell’arte[60]: ad ospitarlo, nel marzo 1898 è “L’arte musicale”, rivista di ben dodici pagine che grazie alla collaborazione di una personalità dello spessore poliedrico di Favara, oltre che di Guglielmo Zuelli, mostra un’impronta particolarmente seria. Una brevissima, densa esperienza condotta da Giuseppe Aglialoro, segretario tecnico del Conservatorio e professore di canto e lettere presso l’Istituto dei Ciechi Florio e il Liceo musicale femminile A. Scarlatti.
Notevole è la qualità degli articoli ospitati nei pochi numeri, forte l’attenzione prestata alla diffusione della musica strumentale, in una prospettiva adesso meno municipale, e ricercata la scelta delle musiche diffuse tramite i fogli allegati (di autori quali Alessandro Scarlatti, Gluck e Wagner). In soli tre mesi di vita il quindicinale pubblica la traduzione italiana, a cura di un musicista palermitano, di un saggio di Stewart Houston Chamberlain su lettere di Wagner, articoli polemici di Zuelli sulla produzione musicale in Italia, un saggio su lettere inedite di Bellini dello storico messinese Francesco Guardione, sempre sensibile a temi musicali[61], un altro di Francesco Paolo Mulè sul libretto per musica e descrizioni dettagliate di opere appena presentate. Il periodico aggiorna poi il suo pubblico con un “Notiziario”, su cui rimbalzano informazioni anche da periodici nazionali, e con altre rubriche fisse, dedicate alla “Cronaca dei teatri”, comprendente quelli esteri, alle “Corrispondenze”, ai “Concorsi”, alla “Rassegna letteraria”.
L’interesse per la musica da camera e sinfonica è testimoniato dalla centralità della rubrica “Concerti”, che offre ampie recensioni dei programmi strumentali più consistenti e innovativi, in Italia e all’estero, con particolare attenzione alle iniziative della
Società del Quartetto di Bologna e della Società dei Concerti annessa al Conservatorio di Parma.
Tra gli avvenimenti palermitani spicca il grande concerto wagneriano organizzato, con il sostegno di Ignazio Florio e della sorella Giulia, principessa di Trabia, al Teatro Massimo da poco inaugurato, in un clima di esaltazione per una volta scevro dalle polemiche che si erano protratte anche dopo la sua sofferta costruzione[62].
Diretto da uno specialista wagneriano, Vittorio Maria Vanzo, il concerto si avvalse di un’orchestra formata, con l’abituale promiscuità, anche dai «più valorosi» dilettanti e venne salutato dalla stampa come «una festa dell’arte quale ancor non si era veduta a Palermo», dal momento che la prestigiosità del luogo e la qualità del programma determinarono un salto di qualità rispetto ai concerti vocali e strumentali di beneficenza che da tempo scandivano le primavere palermitane, rafforzando le speranze sul futuro musicale della città.
L’«eccezionale avvenimento artistico» diede inoltre nuova concretezza al culto per Wagner, alimentato dal ricordo del soggiorno in città del compositore nell’inverno 1881-82[63]. Un culto già tradottosi in tempestivi allestimenti al Politeama del Lohengrin e del Vascello fantasma, in occasione dell’Esposizione nazionale, che sarebbe poi stato assecondato per lunghi anni a venire dagli sforzi di Ignazio Florio per ospitare le migliori messinscene wagneriane al Teatro Massimo e da iniziative private come gli incontri musicali a tema presso Sonia ed Enrico di Salaparuta.
Su “L’arte musicale” il concerto viene recensito da Alberto Favara, che di lì a poco, nella stessa sala del Basile, avrebbe diretto le prime esecuzioni integrali, per la città, di Sinfonie beethoveniane, grazie all’appoggio offerto dal Circolo Artistico a una prima Società promotrice di concerti sinfonici (nella stessa estate del 1901 diresse il poema sinfonico Nerone dell’editore Sandron e lasciò che il giovane Marinuzzi presentasse personalmente una sua primizia).
Profondamente influenzato da Wagner sia sul piano teorico che compositivo, Favara esprime nel suo articolo contenuti più tecnici rispetto agli altri periodici, fino a mettere in guardia i giovani compositori dai pericoli insiti nella semplice imitazione della musica wagneriana, della quale invita a esplorare la ricchezza armonica attingendo piuttosto ritmi e melodie al canto popolare. Il suo ampio commento, salutando il successo dell’iniziativa, si chiude significativamente con l’auspicio «che i Concerti orchestrali diventino finalmente un’abitudine nel nostro paese, e che per essi la cultura di questo genere d’arte progredisca rapidamente».
Per questo obiettivo Favara continuò a lavorare nella duplice veste di direttore d’orchestra e organizzatore anche nel biennio di reggenza del Conservatorio (1912-13). Il suo impegno è testimoniato, oltre che dai quotidiani, da un nuovo serio quindicinale, “L’arte” (1912-1913), con cui il critico d’arte Marco Redi si proponeva di colmare il vuoto italiano di una testata «né superbamente aristocratica né eccessivamente popolare». Diffusa a livello nazionale grazie alla consistenza dei saggi critici, la rivista documenta l’ulteriore fase di sviluppo della musica orchestrale che prende avvio nel 1912 con la nuova Società di concerti sinfonici istituita da Favara (nel cui ambito diresse presso la Sala Scarlatti la Sesta e la Settima di Beethoven, per poi ricevere il duro colpo della nomina di altri musicisti, Cilea e a seguire Fano, alla testa del Conservatorio).
A fronte di queste iniziative, nel 1914 il politico Empedocle Restivo, fondatore della Galleria d’arte moderna presso l’Aula Rossa del Politeama, avanzò la proposta di un’orchestra stabile nella forma di una nuova Società dei concerti popolari, con la moderna finalità di allineare la pratica concertistica ai livelli dell’Augusteo o del Teatro del popolo di Roma e di arginare la fuga dei musicisti costretti ad emigrare dalla Sicilia. Come riportato su “L’Ora”, il programma, non concretizzatosi, proseguiva all’insegna della sensibilità culturale e sociale:
La Società dei concerti popolari sotto la diretta sorveglianza del Municipio e degli Enti locali, nel costituire il pubblico delle sue importanti esecuzioni d’arte, avrà uno speciale riguardo a quelle classi cui le condizioni economiche non permettono di partecipare alla vita artistica e teatrale[64].
Intanto, alle soglie del Novecento, la veste musicale della città si fissava su altre riviste, sia proiettate allo spettacolo, ora sempre più assortito di chanteuses e divettes (“La cronaca teatrale”, 1899), sia al nuovo binomio musica-sport (“Il torneo”, 1896), o più dichiaratamente all’auto-celebrazione internazionale dell’alta società (la lussuosa “Sicile illustrée” dell’editore Salvatore Marraffa Abate, strumento di propa-ganda trilingue suben-trato a “Flirt” dal 1897 al 1904). Meno obiettivamente sui giornali emanazione delle agenzie teatrali, caratterizzati dallo sviluppo dell’aspetto pubblicitario, che tuttavia ben docu-mentano la carriera di cantanti e direttori d’orchestra, privilegiando il Teatro Massimo – in quegli anni sfavillante di allestimenti wagneriani e francesi, oltre che di qualche prima italiana – ma talvolta mirando ad abbracciare l’intero contesto nazionale, pur all’inizio della guerra (“Il teatro in Italia”, 1915).
A guerra finita “Il teatro illustrato” (1918-1920; redattore musicale Girolamo De Fonzo Ardizzone), settimanale legato alle imprese dei fratelli Biondo, e ormai esteso al cinematografo, ospita scritti di Giannotto Bastianelli e del compositore Gianfrancesco Malipiero. Ma l’intento culturale è meglio perseguito su “Dioniso” (1919-1920), rassegna quindicinale cui collabora ancora Alberto Favara, su “Aretusa” (1924-1925), periodico d’arte sul quale scrive la pianista Maria Giacchino, e su “L’anfora” (1920), rassegna bimestrale diretta da Paolo Varvaro e Filippo Ernesto Raccuglia, che vi pubblica le sue prime composizioni[65].
Il tono di queste riviste è quello culturalmente e musicalmente vivace degli anni ’20, lungo i quali all’intensificarsi delle iniziative musicali dei circoli cittadini si affiancò la nascita della Sezione palermitana della Corporazione delle Nuove Musiche, a opera dello stesso Raccuglia, della Associazione Palermitana Concerti Sinfonici (APCS) e degli Amici della Musica, mentre in pacifica convivenza fra vecchio e nuovo proseguivano gli appuntamenti a scopo benefico puntellati di tableaux vivants con curati sottofondi musicali.
L’intensa attività concertistica e il fitto dibattito musicale di quel decennio, finalmente al passo con città come Roma e Milano, si possono seguire nel dettaglio, fianco a fianco con la mondanità musicale, sulla duratura “Rassegna d’arte e teatri” (1922-1936). Animata dall’ingegnere Gino Scaglia e da Ignazio Ciotti – il primo tornato poi nella sua Firenze come critico de “La Nazione”, il secondo rimasto a lungo attivo a Palermo[66] – la rivista ospita pure contributi di Alfredo Casella, cronache napoletane del compositore Pietro Ferro e recensioni del giovane direttore d’orchestra Ottavio Ziino (vicepresidente dell’APCS era il padre Agostino), la cui firma figura negli stessi anni anche su “L’Ora” accanto a quella del critico di professione Adelmo Damerini.
Per la sua solidità e ricchezza di articolazione la “Rassegna d’arte e teatri” s’impone sin dall’inizio come «il più importante e diffuso giornale artistico dell’isola», attento a registrare sia gli avvenimenti locali che quelli internazionali: specchio fedele del mondo musicale cittadino grazie anche ai tanti annunci e alle inserzioni pubblicitarie di nuovi editori quali Balloni, Alfano e Profeta[67] (per i cui tipi eleganti e fantasiosi, presto sacrificati al monopolio Ricordi, scrivevano diversi compositori locali) e ai dettagli forniti regolarmente pure sugli eventi privati.
Dei salotti musicali di Palermo
La Duchessa dell’Arenella ha aperto ancora una volta le sue magnifiche sale a parenti e amici […] cantò con la solita pienezza di voce e padronanza d’arte […]. Ebbe medii di una tale pienezza da farmi ricordare della Bendazzi, il più potente soprano che io abbia udito: ebbe facile agilità di passi che molta ne richiedeano, cantando Casta Diva col relativo recitativo e la cabaletta dove spiegò un magnifico si bemolle. Gliel’avevo sentito cantare parecchi anni fa, con voce più metallica, e l’ho riudita ora con voce più pastosa, bella sempre ora e allora […][68].
Editoriali a tutta pagina di Ciotti e Scaglia, peraltro membri del direttivo della nuova istituzione, indirizzano immediatamente l’attenzione sull’Associazione Palermitana Concerti Sinfonici, nata alla fine del 1922 sul modello dell’Augusteo di Roma, con il sostegno della stessa Accademia di Santa Cecilia, e pronta ad assicurare alla città la migliore offerta musicale (facendola balzare «alla testa del movimento musicale in Italia, subito dopo Roma»)[69].
I settantadue concerti proposti fino al 1931 – quando il regime indurì la sua posizione nei confronti del presidente Francesco Orlando, fratello dell’onorevole Vittorio Emanuele – fecero conoscere un repertorio nuovo, spesso al limite dell’avanguardismo, con un dispendioso coinvolgimento dei migliori interpreti e direttori – Molinari, De Sabata, Rhené-Bâton, Gui, Marinuzzi, Guarnieri, Mascagni, Zandonai... – incurante della persistente indifferenza della politica, sorda pure agli appelli per la creazione di un’orchestra stabile lanciati sulla rivista da Scaglia (con l’invito ad abolire la Banda municipale e a seguire il modello della Stabile Orchestrale Fiorentina, istituendo un’orchestra sovvenzionata dal Comune ma gestita da un ente autonomo garante della qualità delle esecuzioni)[70]. Al Teatro Massimo, sede dell’Associazione, si eseguirono, oltre a Beethoven, Berlioz, Brahms e Richard Strauss, musiche di Debussy, Ravel, Dukas, Franck, Stravinskij, Musorgskij, Dvorák, Janácek e Honegger, nuove musiche italiane (Martucci, Pizzetti, Respighi, Pick-Mangiagalli, Nordio, Savasta), la Sinfonia marinaresca del trapanese Antonio Scontrino e pagine d’ispirazione siciliana su melodie raccolte dal Favara, come La giara e la rapsodia Italia di Casella o la Sicilia canora di Mulè. E nel 1924, al proprio maestro da poco scomparso, Marinuzzi tributò un omaggio con brani sinfonici dalla sua opera Urania accostati a pagine wagneriane e alla Sesta di Beethoven, la preferita da Favara.
Il programma proposto da Marinuzzi in quel frangente – uno dei suoi attesi ritorni in città dalle fortunate tournées sudamericane – includeva anche Debussy, compositore fino a quel momento pochissimo frequentato, che l’anno prima si era però ascoltato in tre straordinarie interpretazioni: quella pianistica di Casella sotto la direzione di Stefano Giglio, sempre per l’APCS, quella del pianista Carlo Zecchi al Nuovo Casino e quella di un noto quartetto boemo invitato dall’Ufficio concerti per la Sicilia di Trasselli Varvaro, che la “Rassegna d’arte e teatri” elogia sin dal primo suo numero per la scelta degli artisti, ricercata come nella successiva programmazione degli Amici della Musica:
Concerti. In fatto di concerti si nota a Palermo, da qualche tempo in qua un certo risveglio che ci dà bene a sperare per l’avvenire. L’anno scorso, ad iniziativa dell’Avv. Vito Trasselli Varvaro [...] avemmo la ventura di sentire il gran pianista Backhaus, i violinisti Corti, Ondricek, Vasa Prihoda e Principe, e i violoncellisti Barjanski, Livio Boni e Földesy. Quest’anno abbiamo avuto fra noi due forti violinisti, lo Szigeti e lo Spalding, avremo il pianista Roshental [sic] e il Quartetto Sevcik che costituirà un vero avvenimento per gli amatori della buona musica […][71].
L’ambizioso programma con cui nacque di seguito l’Associazione Siciliana Amici della Musica riceve subito uno spazio speciale sulla rivista, che segnala anche i componenti del Consiglio direttivo presieduto dal principe di Scordia:
[…] La neo-associazione, per raggiungere le sue finalità [prefiggendosi anche «il culto della musica da camera, l’educazione musicale del pubblico, la protezione dell’arte e degli artisti»] si propone di promuovere tutti gli anni in Palermo e nelle altre città dell’isola un ciclo di concerti di solisti e complessi artistici di fama riconosciuta; audizioni di giovani concertisti, a preferenza siciliani; conferenze, concorsi, esecuzioni teatrali ecc. Si propone poi di istituire un quintetto stabile, una scuola di canto corale, una biblioteca di musica, una rivista musicale etc. […][72].
Vito Trasselli Varvaro assunse la carica di direttore per l’organizzazione a fianco, ma per poco, del direttore artistico Giuseppe Mulè, in procinto di passare alla direzione del Conservatorio romano di S. Cecilia.
Secondo tradizione, il primo ciclo di concerti si avvalse del sostegno di un comitato di dame, presieduto dalla duchessa dell’Arenella (la cui prima esibizione canora pubblica, sotto la direzione di Marinuzzi al Teatro Massimo, trova la massima risonanza sulla rivista che vi dedica un’intera prima pagina)[73]. Sino al 1939 gli Amici della Musica invitarono i nomi più illustri della scena internazionale – Backhaus e Serkin, Cortot e Rubinstein e molti altri – offrendo ampie opportunità anche ai musicisti locali, giovani e meno giovani, che si esibivano «prestando gentilmente la loro opera»[74] (le recensioni della rivista riportano alla luce gli esordi di concertiste palermitane come Maria Giacchino, allieva di Alice Ziffer ed erede della sua cattedra al Conservatorio, spesso presente anche al Lyceum femminile, illuminato circolo culturale promosso dalla baronessa di Carcaci). Nel 1929 cantò al Massimo Ester Mazzoleni, ormai da anni a Palermo; sulle stesse scene si ascoltò Maria Caniglia, mentre il violinista Rosario Finizio, tra i valenti musicisti della penisola vincitori di concorso al Conservatorio, si esibì con Ottavio Ziino, che accompagnava abitualmente solisti locali e di passaggio. Tanti gli ensembles da camera invitati nel frattempo e spesso presente, lungo le prime stagioni, il Trio Stabile della stessa Associazione, formato da Gustavo Natale, Franco Umberto Oliveri e il violinista veneziano Attilio Crepax, nuovo «prezioso» acquisto del Conservatorio.
Sempre nel 1925 Filippo Ernesto Raccuglia, all’inizio della carriera che nel secondo dopoguerra lo avrebbe visto sovrintendente del Teatro Massimo, proiettò la città ancora più in avanti fondando la prima sezione decentrata della Corporazione delle Nuove Musiche, ideata dal pianista e compositore Alfredo Casella con D’Annunzio e Malipiero nel 1923[75]. Mentre l’età dei Florio volgeva al termine, con l’imprenditore ormai prossimo a ritirarsi dal Massimo, cedendo al tracollo economico, in una inaudita raffica di concerti presso il vecchio Teatro Bellini, Paul Hindemith col Quartetto Amar e Béla Bartók in recital pianistico stordirono pubblico e critica con musiche nuovissime: anche Gino Scaglia rimase perplesso, tanto da definire la musica di Bartók, e in particolare il suo Quartetto op. 7, «complicata e tormentata, monotona e opprimente», per «la sensibilità attuale», e le sonorità del Concertino di Stravinskij «più acide del succo di limone concentrato…»; mentre a confronto delle «aggressive musiche» di Bartók (Danze contadinesche), Stravinskij e Malipiero (Stornelli e ballate), gli sembrò «più pacata ed equilibrata» la scrittura quartettistica di Paul Hindemith e di Ernest Bloch, quest’ultima nuova per l’Italia. Ma il Quartetto Amar, con il compositore Paul Hindemith alla viola e il fratello Rudolf al violoncello (che l’anno seguente suonò il Concerto per quartetto di Casella), propose anche il fascinoso Quartetto di Ravel – «terribile charmeur» per Scaglia – e Casella, Corti e Crepax ne eseguirono il Trio[76]. (Teatro di un allargamento senza precedenti del repertorio, il Bellini, rivalutato in quegli anni come sede concertistica, ospitò negli stessi giorni un concerto di musica antica del Trio Amstadt-Elhers, accolto tiepidamente da un pubblico che Ciotti, egli stesso spiazzato dall’inedito sovrapporsi di tanto moderno e tanto antico, disse «abituato al gusto piccante di cibi più forti e più saporosi»).
In un programma per archi solisti fu poi coinvolto Michelangelo Abbado, anch’egli approdato a Palermo come docente di violino, mentre l’anno dopo Casella si esibì nuovamente al pianoforte, Pizzetti suonò musiche proprie in trio con Serato e Mainardi e interpreti viennesi eseguirono il Quartetto op. 131 di Beethoven, facendo poi conoscere Kodály ai pochissimi disposti ad affrontare oltre alle asperità del programma anche il gelo della Sala Scarlatti.
La temperatura musicale di quegli anni infiamma la “Rassegna d’arte e teatri”, che la fissa nei suoi commenti entusiastici:
L’inaugurazione della stagione al Circolo Artistico, il secondo e il terzo concerto degli Amici della Musica, un concerto straordinario dell’Ufficio Concerti per la Sicilia, un’audizione di sonate al Conservatorio si sono affollati e quasi sovrapposti [...] e dopodomani anche la Corporazione delle Nuove Musiche inaugura la serie dei suoi concerti ultramoderni [...] Evviva! Continuando di questo passo Palermo diventerà in breve la città più musicale del mondo[77].
Difficile da digerire è piuttosto il grigiore del decennio successivo, senza più gli appuntamenti dell’Associazione Palermitana Concerti Sinfonici né proposte realmente innovative. Anche se gli Amici della Musica e i circoli continuarono a offrire appuntamenti interessanti sino allo scoppio della guerra, dando spazio anche a nuove formazioni cameristiche come il Quintetto Femminile Palermitano formatosi attorno a Maria Giacchino – e tanta musica si facesse per le tournées del Carro di Tespi e per l’Eiar (dotata come le stazioni di Torino e Roma di una propria orchestra) – sotto la cappa più pesante del regime riuscì a sopravvivere soltanto l’Accademia di musica contemporanea, che pur valorizzando giovani compositori dovette mantenersi passivamente nel solco della tradizione nazionale (e nel frattempo il ligio Rito Selvaggi subentrava al compositore catanese Antonio Savasta alla testa del Conservatorio).
Rimpianto per la vivacità appena gustata e desiderio di riprendere il cammino verso la vera modernità, riportando la città a un livello europeo di qualità musicale, alimentano gli interventi critici di Pietro Sgadari di Lo Monaco, riuniti insieme ad articoli di Gino Scaglia sotto l’eloquente titolo di La grande esclusa (mentre la “Rassegna d’arte e teatri” documenta bene le stagioni concertistiche che Sgadari ospitava nel proprio studio, in forma di illuminata, quanto prossima al tramonto, Hausmusik).
La fine della rivista, dal 1933 organo ufficiale dell’Ente siciliano teatrale, è collegata al raffreddamento della temperatura musicale negli anni ’30. La sua pubblicazione, caratterizzata negli ultimi tempi dall’interesse per il nuovo mondo del cinema, che si esprime con una corposa grafica di gusto futurista, si incrocia lungo quel decennio con quella di “Retroscena”, mensile fondato da Giacomo Armò nel 1927 e capace tanto di allinearsi al regime come organo di varie istituzioni teatrali quanto di sconfinare in una nuova epoca durando ininterrottamente sino al 1971[78].
[1] I giornali pubblicati all’indomani dell’Unità sono elencati in F. Puccio, I giornali della provincia di Palermo, Edizioni Giada, Palermo 1984. Della stessa autrice è Cultura e società a Palermo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, in I Whitaker di villa Malfitano, Atti del seminario (Palermo, 16-18 marzo 1995), a cura di R. Lentini e P. Silvestri, Fondazione Giuseppe Whitaker, Palermo 1995, pp. 61-70. Alla ricerca sul giornalismo siciliano di interesse politico, stimolata dallo storico Francesco Brancato, sono stati dedicati vari studi (Mirabella, Chibbaro, Correnti).
[2] La stampa periodica è stata la principale fonte per le mie ricerche sulla musica a Palermo tra Otto e Novecento, confluite in La musica nell’età dei Florio, L’Epos, Palermo 2006.
[3] L. Maniscalco Basile, Storia del Teatro Massimo di Palermo, Olschki, Firenze 1984, p. 197.
[4] Per dettagli sulle fonti cfr. C. Giglio, La musica nell’età dei Florio… passim.
[5] Sulla Palermo a cavallo dei due secoli esiste, com’è noto, una vasta letteratura; tra gli scritti a carattere generale in primo luogo la ricostruzione storica di O. Cancila, Palermo, Laterza, Roma-Bari, 1988, pp. 293-379; quindi O. Lo Valvo, La vita in Palermo trenta e più anni fa in confronto a quella attuale, Biondo, Palermo 1907, Id., L’ultimo Ottocento palermitano, I.R.E.S., Palermo 1937; M. Taccari, Palermo l’altro ieri, Flaccovio, Palermo 1966; P. Nicolosi, Palermo fin de siècle, Mursia, Milano 1979. Tra le cronache: Cronache di un secolo. Dalla collezione del Giornale di Sicilia, a cura P. Pirri Ardizzone, Flaccovio, Palermo 1959; P. Nicolosi, 50 anni di cronaca siciliana, 1900-1950, Flaccovio, Palermo 1975. Tra gli scritti a carattere più specifico: M. Taccari, I Florio, Sciascia, Caltanissetta 1967; R. Trevelyan, Principi sotto il vulcano, Rizzoli, Milano 1977, Id., La storia dei Whitaker, Sellerio, Palermo 1988 (con saggi di R. Lentini e V. Tusa); R. Giuffrida, R. Lentini, L’età dei Florio, Sellerio, Palermo 1985 (con saggi di G. Lanza Tomasi e S. Troisi); G. Pirrone, Palermo, una capitale. Dal Settecento al Liberty, Electa, Milano 1989; A. M. Di Fresco, Da Mozia a Palermo. La stagione europea della città felice, in Mozia, Crocevia della comunicazione nel Mediterraneo, Sip Direzione Regionale Sicilia, Palermo 1990, pp. 105-117; A. Chirco, Palermo, tremila anni tra storia e arte, Flaccovio, Palermo 1992; E. Serio, La vita quotidiana a Palermo ai tempi del Gattopardo, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1999, pp. 248-275; S. Candela, I Florio, (1986), ed. cons. Sellerio, Palermo 2008. Per un quadro generale sulla vita musicale italiana nell’epoca umbertina cfr. G. Salvetti, La nascita del Novecento, EDT, Torino 1991, pp. 238-245; per i decenni successivi cfr. F. Nicolodi, Musica e musicisti nel ventennio fascista, Discanto, Fiesole 1984; Id., Orizzonti musicali italo-europei 1860-1980, Bulzoni, Roma 1990.
[6] O. Cancila, Palermo…, pp. 318-319; p. 293.
[7] M. Taccari, Palermo l’altro ieri..., p. 93; P. Nicolosi, 50 anni di cronaca siciliana..., p. 32; Id., Palermo fin de siècle..., pp. 35-36.
[8] F. Alliata di Villafranca (Cose che furono, attraverso la storia di un’antica famiglia italiana, Flaccovio, Palermo 1949, pp. 307-311) fornisce notizie preziose sulle abitudini musicali dell’élite palermitana nella belle époque, mettendo a fuoco la tradizione del concerto privato e citando le personalità più attive in questo campo (i principi di Trabia, Giuseppe e Tina Whitaker, i marchesi De Seta, la duchessa dell’Arenella). La sua testimonianza conferma il quadro vivace che emerge dalla lettura dei periodici e, in particolare, l’abitudine dei nobili di suonare con musicisti di professione (le sorelle Alliata, ad esempio, formavano spesso un quartetto con il giovane violoncellista Giuseppe Mulè).
[9] «Anticamente le madri di famiglia e le ragazze [...] si limitavano a dare concerti in famiglia e ad assistervi. Chi non rammenta ddi gran pezzi a quattru manu, sunati nno pianoforti a cura che spesso confinavano c’à sciarra i atti? Oggi, invece, si va ai pubblici concerti; le donne vanno al Circolo di Cultura a sentire le conferenze e fanno parte dell’Arbitrato per la pace» (O. Lo Valvo, La vita in Palermo trenta e più anni fa…, p. 224).
[10] M. Taccari, Palermo l’altro ieri …, pp. 37-38.
[11] Si vedano più avanti le note 18 e 80.
[12] Sulla sprovincializzazione del gusto musicale e lo sviluppo della musica strumentale in Sicilia ha attirato per primo l’attenzione Roberto Pagano, a partire da Le attività musicali a Palermo nell’ultimo decennio dell’Ottocento, in Dall’artigianato all’industria. L’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-92, a cura di M. Ganci, M. Giuffrè, Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo 1994.
[13] I. Ciotti, La vita artistica del Teatro Massimo di Palermo (1897-1937), 2. ed. a cura di C. Martinez, Tipolitografia Priulla, Palermo 1984; O. Tiby, I. Ciotti, I cinquant’anni del Teatro Massimo, I.R.E.S., Palermo 1947; L. Maniscalco Basile, Storia del Teatro Massimo… passim, G. Leone, L’opera a Palermo dal 1653 al 1987, vol. II L’opera al Teatro Massimo dalle origini (1897) al 1987, Publisicula, Palermo 1988 (con introduzione di U. Mirabelli); G. Leone, S. Leone, 100 anni di musica al Teatro Massimo di Palermo 1897-1996, Publisicula, Palermo 1997.
[14] Anche dopo l’Unità il teatro rimase la manifestazione musicale egemone, ma già negli anni 1850, nonostante un primo scioglimento (1848) dell’Accademia Filarmonica Palermitana, sodalizio di dilettanti i cui ultimi regolamenti prevedevano anche tre/quattro concerti pubblici annuali, si era sviluppata un’embrionale attività concertistica con serate a beneficio e «accademie» (cfr. “Il buon gusto”, 5 marzo 1853). Eccezionali poi quelle tenute in occasione di loro soggiorni da virtuosi come Thalberg (1843) e Bazzini (1846). Secondo una tradizione mantenutasi viva sino agli anni ’80 e oltre, le «accademie», che a Napoli già nei primi anni ’50 si stavano indirizzando verso programmi di omogenea musica «classica», erano caratterizzate dalla promiscuità degli interpreti (professionisti e dilettanti) e dei programmi (pezzi sia vocali che strumentali per lo più di derivazione operistica o quando possibile ‘funambolici’). Così anche quelle offerte, a fianco della attività privata dei soci dilettanti, dalla Accademia Filarmonica, rinata nel 1867 e rinominata ‘Bellini’; cfr. P. Pennisi, L’Accademia Filarmonica Palermitana, in Accademie e Società Filarmoniche in Italia. Studi e ricerche, a cura di A. Carlini, Società Filarmonica Trento, Trento 2001, pp. 181-225; R. Pagano, I Filarmonici in Sicilia, in Accademie e Società Filarmoniche. Organizzazione, cultura e attività dei filarmonici nell’Italia dell’Ottocento, Atti del convegno, (Trento 1-3 dicembre 1995), a cura di A. Carlini, Provincia Aut. di Trento - Società Filarmonica di Trento, Trento 1998, pp. 401-414; O. Tiby, Il Real Teatro Carolino e l’Ottocento musicale palermitano, Olschki, Firenze 1957, pp. 245 sgg., pp. 331-333. Di riferimento, sullo specifico «principio della varietà» nell’accademia ottocentesca e in genere sui percorsi della musica sinfonica lungo la penisola: A. Rostagno, La musica italiana per orchestra nell’Ottocento, Olschki, Firenze 2003.
[15] Alice Ziffer e Giacomo Baragli furono attivi in campo cameristico, mentre Alberto Favara si prodigò per la diffusione della musica sinfonica. L’esigenza di raggiungere città quali Firenze e Milano, ma anche Torino, Modena, Bologna, Lucca, Roma o Napoli, nella recezione della musica da camera si avverte subito dopo l’Unità. Sin dal 1863 si delinea il programma di una Società del Quartetto simile a quelle che stavano sorgendo nella penisola, ma benché nel 1871 la ritenga necessaria anche il direttore del Conservatorio Pietro Platania, quelli che la “Gazzetta musicale di Palermo” del 1° agosto 1874 definisce incidenti ne ritardano la nascita sino al maggio di quell’anno, quando ad istituirla è la Deputazione dell’Accademia Filarmonica Bellini (la Società durerà fino al 1877). Di musica da camera si torna a parlare nel 1886, quando la rivista “La Musica” lamenta il ritardo rispetto a Napoli: se infatti l’esperienza dei Trii beethoveniani proposti dal pianista Joseph Rubinstein è diretta a pochi privilegiati, legati alla cerchia formatasi attorno a Richard Wagner durante il suo soggiorno nell’inverno 1881-82, del tutto sporadiche sono le esecuzioni proposte negli anni successivi da musicisti locali. Negli anni 1880 si registrano intanto i primi esperimenti di concerti sinfonici grazie al direttore d’orchestra Federico Nicolao, reduce dall’attività svolta al teatro di Nizza, ma i primi appelli per la creazione di un’orchestra municipale erano stati lanciati già nel 1870 dalla rivista “L’Arte”, organo dell’appena ricostituita Filarmonica Bellini, e da Pietro Platania, che lamentava le «deplorevolissime» condizioni musicali della città e le difficoltà dei musicisti, suggerendo di seguire gli esempi di Milano e Firenze.
[16] O. Tiby, Il Real Teatro Carolino …, (le notizie ricavate dai periodici sono state fondamentali anche per le successive ricerche di Paola Pennisi sulla Accademia Filarmonica Palermitana, citate alla nota 14).
[17] Soltanto tre testate palermitane – “L’arte musicale” (1898), “La Sicilia musicale” (1894-1910) per le sole annate 1907-1908, e “Il Messaggero d’arte, musica, drammatica, letteratura, attualità” (1913) – figuravano nel fitto elenco curato da Imogen Gellinger per la voce Periodicals del The New Grove Dictionary of Music and Musicians, Macmillan, London 1980 (poi integrato nella nuova edizione del 2001 dalla stessa Fellinger, il cui primo catalogo del 1968 includeva soltanto “L’arte musicale”). Per l’individuazione dei numerosi altri periodici di interesse musicale che ho elencati ne La musica nei periodici dell’Ottocento e del primo Novecento pubblicati a Palermo, in “Fonti musicali italiane”, II, 1997, pp. 95-153 (poi anche Music Periodicals in Palermo. The Nineteenth and Early Twentieth Centuries, in “Fontes Artis Musicae”, XLV, 3-4, July-December 1998, pp. 250-272), ho esaminato le collezioni delle principali biblioteche palermitane: Biblioteca Comunale (l’accesso ai periodici fu poco dopo sospeso per il restauro dei locali), Biblioteca centrale della Regione siciliana e quella della Società Siciliana per la Storia Patria, oltre a quella del Conservatorio V. Bellini (su tempestiva segnalazione di Federica Riva). Oggi “L’arte musicale”, “La Sicilia musicale” e la “Rassegna d’arte e teatri” (1922-1936), conservati presso la Biblioteca centrale della Regione siciliana, e il primo e il terzo anche presso la Biblioteca Nazionale centrale di Firenze, sono catalogati on-line in SBN (catalogo in linea del Servizio Bibliotecario Nazionale: <http://www.sbn.it>).
[18] Sulla realtà nazionale cfr. M. Capra, La stampa ritrovata: duecento anni di periodici musicali, in La divulgazione musicale in Italia oggi, Atti della giornata di studi, (Parma 5-6 novembre 2004), a cura di A. Rigolli, EDT, Torino 2005, pp. 64-85 (pdf: <http://cirpem.lacasadellamusica.it/Ladimus2004.pdf>). Segnalo anche un recente bel contributo utile per un confronto con la realtà palermitana: P.P. De Martino, M. Cuozzo, In punta di penna e di matita: critica e iconografia della canzone napoletana nella ‘cultura delle riviste’, in Studi sulla canzone napoletana classica, a cura di E. Careri e P. Scialò, LIM, Lucca 2008, pp. 5-77: pp. 1-19). Inoltre, un’ampia bibliografia sulla stampa periodica musicale è consultabile on-line a corredo del progetto “Banca dati della critica musicale italiana 1900-1950” (PRIN 2005-2007), coordinato presso l’Università di Firenze da Fiamma Nicolodi (<http://www.ricercaitaliana.it/prin/dettaglio_prin-2005108339.htm>).
[19] Agli inizi dell’Ottocento si pubblicano soltanto giornali politici con generiche informazioni sull’attività teatrale o riviste di cultura con sporadici saggi d’argomento musicale.
[20] Informazioni fornite da “La Lince”, 15 febbraio 1875.
[21] L’Accademia, fondata nel 1827, rimase attiva sino al 1848; ricostituitasi nel 1867, cessò definitivamente di esistere nel 1889, presidente l’ormai anziano marchese di San Giacinto, già tra i suoi fondatori; vedi nota 14 (e 36).
[22] Sulle iniziative giornalistiche degli editori musicali italiani, a partire da Giovanni Ricordi nel 1842, cfr. M. Conati, I periodici teatrali e musicali italiani a metà Ottocento. Una introduzione, in La musica come linguaggio universale. Genesi e storia di un’idea, a cura di R. Pozzi, Olschki, Firenze 1990, pp. 89-100: p. 97; cfr. inoltre R. Verti, Un nuovo centro per l’inventariazione dei periodici musicali, in “Nuova Rivista Musicale Italiana”, XX, 1986, pp. 427-434, dove si evidenzia come molti redattori gestissero lucrosamente agenzie teatrali «con annessa copisteria».
[23] “La Sicilia musicale” si conserva presso il Conservatorio V. Bellini (Anni I-II lac.; IV-VIII), la Biblioteca Comunale di Palermo (Anni II-VII, con poche lacune), la Società Siciliana per la Storia Patria (Anni IV-VI; VII sino al n. 5) e la Biblioteca centrale della Regione siciliana (Anno IV sino al n. 13/14), oltre che, in parte, come adesso visibile nel catalogo in linea SBN, a Bologna (ex Civico museo bibliografico musicale) e a Milano (Museo del Risorgimento).
[24] I cataloghi pubblicitari di Luigi Sandron (1856-1923) costituiscono un’utile fonte di informazioni. Appartenente alla nota famiglia di editori, Sandron si formò alla scuola di composizione di Pietro Platania e fu apprezzato autore di lavori sinfonici e teatrali, oltre che di numerose trascrizioni per la propria e per altre case editrici; numerose sue composizioni manoscritte e alcune a stampa si conservano presso la biblioteca del Conservatorio V. Bellini, altre (originali o più spesso trascrizioni) sono inserite in numeri della stessa rivista, che riporta inoltre il suo ritratto fotografico e un encomio (“La Sicilia musicale”, V, 8-9, agosto-settembre 1907).
[25] Morello e Gentile risultano entrambi inseriti negli organici del Conservatorio aggiornati al 1911: il primo come bibliotecario, il secondo come ispettore (cfr. B. Morasca, Raccolta di programmi, audizioni e concerti vocali e strumentali tenuti nel R. Conservatorio di Musica “V. Bellini” dal 1893 al 1911, Stab. Tipografico Lao, Palermo 1913, p. 108). Morello, che era attivo anche presso l’Istituto musicale L. Cherubini, vi risulta inserito sin dal 1906. Proprio dalle pagine de “La Sicilia musicale” veniamo a sapere che Stefano Gentile fu organista alla Cappella Palatina (IV, 9-10) e direttore della Schola Cantorum Santa Rosalia (IV, 2). La notorietà del Gentile, che si produsse anche come compositore, è dimostrata dalla pubblicazione su “La Sicile illustrée” del 1907 (Anno IV, nn. 8 e 9-10) di una sua fotografia accompagnata da un elogio e una sua composizione vocale; la prestigiosa rivista pubblicò inoltre alcuni suoi scritti, tra cui il saggio I mosaici della Cappella Palatina, appunti di estetica musicale (Anno IV, n. 5; in traduzione francese) che il Gentile diffuse anche attraverso la testata da lui diretta, ricevendo apprezzamenti dai letterati più in vista della città (questo e altri suoi saggi si possono leggere presso la Biblioteca centrale della Regione siciliana e la Biblioteca Comunale, mentre la biblioteca del Conservatorio conserva un altro suo breve scritto, In memoria del M. Antonino Pasculli, con dedica autografa alla biblioteca. Come musicologo Stefano Gentile collaborò anche con gli Amici della Musica (Programmi di sala, Concerti I decennio 1925-1935).
[26] L’impostazione didascalica della rivista è rilevabile anche dai contenuti degli articoli firmati dal direttore, come testimoniano alcuni titoli: Riccardo Wagner, Palestrina, Musica sacra, Orlando di Lasso, La canzone popolare, Critica d’arte, Le scuole Musicali, Gounod, Arte nazionale, Hans Sachs, Giuseppe Tartini.
[27] Tra i necrologi quello di Pietro Platania (“La Sicilia musicale”, V, 5, maggio 1907). Un ampio elogio del musicista si può leggere nel numero successivo.
[28] Nella rubrica “La nostra musica” si legge: «Questo autore [...] è forse poco noto in Italia e specialmente presso di noi, e quindi siam certi di far opera buona nel pubblicare una delle migliori composizioni che non crediamo sia stata pubblicata mai in giornali musicali».
[29] Nel primo numero dell’Anno IV (1906) Gentile presenta così il nuovo contenuto della rivista: «versi, prose poetiche, eleganti questioni d’arte, critiche, note di estetica e di storia dell’arte, recensioni di opere artistiche e scientifiche, corrispondenza dai paesi della Sicilia, intermezzi artistici, notiziari di varietà, di curiosità, di amenità musicali, note spicciole di pedagogia, di sociologia, di filosofia, etc. etc.».
[30] Il Circolo Artistico, allora al centro della vita sociale palermitana, inaugurava una gloriosa tradizione musicale. Basti ricordare, oltre ai numerosi concerti di cui si parla nella rivista, l’organizzazione dei concerti sinfonici promossi e diretti da Alberto Favara tra il 1900 e il 1901, con prime esecuzioni integrali di Sinfonie beethoveniane.
[31] I centri della vita musicale, negli anni immediatamente successivi all’unificazione, erano stati il R. Teatro Carolino (ribattezzato “Bellini”), il R. Teatro Santa Cecilia, l’Accademia Filarmonica Palermitana (dal 1867), il R. Conservatorio del Buon Pastore, i saloni aristocratici e i salotti borghesi, e infine la Marina e Villa Giulia per esecuzioni popolari all’aperto.
[32] La qualità della musica all’aperto era cresciuta in quei decenni grazie al virtuoso Antonino Pasculli, vincitore di concorso nel 1877, come informa “Don Bucefalo” il 30 settembre: «Finalmente dopo uno splendidissimo esame per il posto di capo banda della nostra musica cittadina, ove vi erano molti concorrenti, è risultato vincitore il nostro celebre suonatore d’Oboe Antonino Pasculli. Il paese ne è molto contento, e spera della provata energia dell’ottimo professore che fra non molto la nostra banda cittadina piglierà il posto che gli spetta, e che sempre ha goduto, quello di essere la prima»; lo stesso periodico informava dell’acquisto di nuovi strumenti da parte della Giunta e successivamente del successo riscosso dalla banda cittadina con il suo nuovo maestro a Villa Giulia, tanto da far sembrare Palermo simile a Vienna o a Parigi.
[33] Guglielmo Zuelli (Reggio Emilia 1859 - Milano 1941) impresse un forte impulso all’attività artistica del Conservatorio, ripristinando le esercitazioni orchestrali, inaugurando la Sala Scarlatti e investendo il frutto del lascito di don Vincenzo Bonerba in concerti annuali di musica sacra, secondo le disposizioni testamentarie del monaco olivetano; fu lui, inoltre, ad attribuire all’Istituto il nome di “V. Bellini”. Compositore e direttore d’orchestra, Zuelli proveniva dalla direzione della Scuola musicale di Forlì e dopo Palermo avrebbe proseguito la sua carriera al Conservatorio di Parma (1911). Un suo ritratto, con relativo elogio, è pubblicato in prima di copertina del n. 4-5 dell’Anno VI, aprile-maggio 1908.
[34] “La Sicilia musicale”, Anno IV, n. 3-4 (1° febbraio 1906).
[35] Formatosi alla scuola di Zuelli, Morasca è spesso menzionato nei periodici del tempo. Autore di una preziosa Raccolta di programmi, audizioni e concerti vocali e strumentali tenuti nel R. Conservatorio…, rappresentò una sorta di trait d’union tra il Conservatorio e l’alta società, per la sua intensa attività di docente di canto e accompagnatore pianistico.
[36] Il complesso rapporto tra la condizione nobiliare e l’esercizio pubblico della musica nella Palermo del XVIII e del XIX secolo è stato analizzato da Roberto Pagano in vari scritti, ultimo dei quali Il blasone e la lira: gli aristocratici e la musica nella Palermo dei secoli scorsi, in Giacomo Francesco Milano e il ruolo dell’aristocrazia nel patrocinio delle attività musicali nel secolo XVIII, a cura di G. Pitarresi, Laruffa, Reggio Calabria 2001, pp. 255-279, a proposito del barone d’Astorga e del marchese Pietro Airoldi, che nel 1820-21 fece rappresentare al Carolino il suo Adriano in Siria senza più dovere celare la sua identità. Ma ancora nel 1846 il principe Lanza, deputato amministratore del Real Collegio di Musica, rifiutava la proposta fattagli dal presidente dell’Accademia Filarmonica di mettere gratuitamente a disposizione i migliori allievi del Collegio per le esecuzioni dell’Associazione, nel cui regolamento si suggeriva invece l’abbattimento delle vecchie barriere di casta per giovarsi della collaborazione gratuita di professionisti. Veniva così impedita la frequentazione tra i giovani musicisti e i dilettanti dell’Accademia, i quali in diverse altre occasioni ebbero tuttavia modo di suonare insieme con professionisti.
[37] Nel n. 4-5 dell’Anno VI vengono pubblicati il ritratto e un elogio del Natoli, che fu violinista e sostituto direttore d’orchestra al Massimo. La scelta della professione musicale, insolita per un marchese, viene così commentata: «Faceva il mestiere del nobile, del gran signore... e ... invece volle essere un... maestro di musica».
[38] La formazione dell’orchestrina di dilettanti fu un’iniziativa di Giovanni de Spuches marchese di Schysò, violoncellista e protettore del giovane Giuseppe Mulé; dalle pagine de “La Sicile Illustrée” apprendiamo che la prima di queste esibizioni avvenne il 15 giugno del 1905 a Villa Malfitano.
[39] “La Sicilia musicale”, IV, 9-10, 13 maggio 1906.
[40] “La Sicilia musicale”, I, 9, 1° maggio 1894. La musica sacra risentiva fortemente degli interventi anticlericali seguiti all’unificazione e, in particolare, della soppressione degli ordini religiosi. L’interesse per l’antica musica strumentale italiana caratterizzò, nei decenni successivi, la nascente musicologia italiana.
[41] L’iniziativa era stata preceduta dalla nascita, nel maggio 1874, della Società del Quartetto, come affiliata della Filarmonica Bellini, in linea con una tendenza manifestatasi al Conservatorio sin dal 1870 (vedi nota 15).
[42] “La Sicilia musicale”, II, 9, 1° maggio 1895.
[43] “La Sicilia musicale”, IV, 7-8, 1° aprile 1906. L’accusa di privilegiare la musica tedesca, dimenticando la tradizione nazionale, era stata in effetti rivolta agli allievi del Conservatorio, e dunque ai loro maestri, sin dal 1895.
[44] L’importanza artistica e la magnificenza dei concerti offerti dal principe Pietro Lanza di Trabia e dalla principessa Giulia, nata Florio, è sottolineata anche in F. Alliata, Cose che furono…, p. 310. Altro salotto musicalmente vivace fu quello del prefetto marchese De Seta, come si deduce dalle numerose cronache pubblicate ne “La Sicilia musicale” e in periodici come “Flirt” o “La Sicile Illustrée” e come viene confermato dalla Alliata. Sia in M. Taccari, Palermo l’altro ieri…, pp. 38-39, che in Cronache di un secolo..., p. 148, è riportata la cronaca di uno dei concerti più riusciti.
[45] “La Sicilia musicale”, II, 8, 15 aprile 1895.
[46] La canzone siciliana si sviluppa a partire dal 1888, ma qualche esempio, su versi di Giovanni Meli, si registra già in Pacini e Donizetti, le cui canzonette Dimmi dimmi apuzza nica e Bedda Eurilla inserite nei Passatempi musicali si conservano presso la biblioteca del Conservatorio insieme a pagine come Lu surciteddu di testa sbintata di Ignazio Schiavo e la Bedda Nici di Giuseppe Dotto, cantata nel marzo 1880 dal soprano Talia Luè nel corso di una beneficiata al Teatro Bellini.
[47] Parra! (versi di Martino Palma, musica dello stesso Sandron), Biddicchia nun l’a nesciri! (musica e parole di Alfredo Armò), Lu quarararu e Lu stigghiularu (musica di Urbano, versi di Inghilleri) e la premiata Comu non t’av’amari?! (versi di Martino Palma, musica di Paolo Dotto).
[48] Il concorso ebbe «risultati poco lusinghieri», a detta dell’estensore di un excursus sul nuovo genere ‘urbano’ pubblicato nel dicembre 1909 sul mensile “La canzone siciliana”; dell’attività musicale di Tina Whitaker ho parlato in Tina Whitaker e la musica nella belle époque palermitana, in I Whitaker di villa Malfitano…, pp. 339-364.
[49] In G. Vacca, Canzone e mutazione urbanistica, in Studi sulla canzone napoletana classica…, pp. 431-447 sono individuate e analizzate a fondo le relazioni tra i cambiamenti urbanistici e sociologici di fine Ottocento e lo sviluppo di un genere ‘urbano’ come la canzone napoletana, legato in modo esclusivo alla città di Napoli al contrario degli analoghi generi sorti nello stesso periodo ma connotati in senso nazionale, come la canzone ‘francese’, il fado ‘portoghese’ o il tango ‘argentino’.
[50] L’Allustra, ‘Mpicchiti ‘Mpacchiti e Vasami: preziose le informazioni fornite quell’anno da “La Lince”.
[51] Cfr. “La Lince”, 15 aprile e 15 settembre 1894.
[52] S. Salomone Marino, La Baronessa di Carini. Storia popolare del secolo XVI in poesia siciliana reintegrata nel testo e illustrata co’ documenti (1870), Trimarchi, Palermo, 19143.
[53] L’interesse diminuì già negli anni ’20, ma alle soglie degli anni ’30 Anita Di Chiara pubblicò presso Alfano un Cantu di carritteri su versi di Ignazio Buttitta e nel 1941 Stefano Gentile riapparve con una Sicilianedda manoscritta. L’attenzione sul folklore viene in seguito mantenuta viva dall’attività di cori locali e in particolare, a Palermo, dal Coro della Conca d’Oro diretto da Carmelo Giacchino, che effettuò fortunate tournées sino alla metà del Novecento.
[54] Sulla spessa figura di Favara cfr. T. Samonà Favara, Alberto Favara, la vita narrata dalla figlia, Flaccovio, Palermo 1971; P.E. Carapezza, Favara e Ottavio Tiby, pionieri della musicologia in Sicilia, Accademia di Scienze, Lettere e Arti, Palermo 1980, pp. 9-22; Id., “Urania” (1894) di Alberto Favara: una reazione nietzscheana al verismo, in Opera e Libretto I, Olschki, Firenze 1990, pp. 385-395.
[55] Nel frattempo anche Ottavio Tiby armonizzò alcune melodie e quasi sull’esempio di Bartók propose delle Danze siciliane per violino e pianoforte nei concerti tenutisi a casa Sgadari di Lo Monaco negli anni 1930.
[56] “La Sicilia musicale”, V, 10, ottobre 1907. Interessanti le moderne considerazioni di Pietro Sassu, basate sull’operazione condotta poco dopo dal sardo Luigi Fara, le cui armonizzazioni gli appaiono però più come uno «sciatto e modesto esercizio»; cfr. il suo saggio L’arte popolare in Sardegna tra suoni e segni, Cagliari 1990, cit. in L.S. Uras, Nazionalismo in musica. Il caso Pizzetti dagli esordi al 1945, LIM, Lucca 2003, p. 94 e n.
[57] A. Favara, Corpus di musiche popolari siciliane, a cura di O. Tiby, 2 voll., Accademia di Scienze, Lettere ed Arti, Palermo 1957.
[58] Il saggio, pubblicato su “L’Arte musicale” nel marzo 1898, fu poi inserito da Teresa Samonà Favara nella raccolta di Scritti sulla musica popolare siciliana del padre curata per De Santis (Roma 1959).
[59] L’interesse per la musica di Francesco Guardione trova conferma nel profilo biografico di Pietro Platania che pubblicò a Milano nel 1908 (ristampa palermitana: 1910) e in raccolte di scritti di critici e musicisti a lui appartenute e ora conservate alla Biblioteca Comunale di Palermo.
[60] Il concerto del 18 aprile 1898 fu il primo di una serie di undici concerti organizzati durante le stagioni liriche del Teatro sino al 1937, prima che iniziasse l’attività dell’Ente Autonomo; cfr. L. Maniscalco Basile, Storia del Teatro Massimo…, p. 211; G. Leone, S. Leone, 100 anni di musica al teatro Massimo…, pp. 185-186.
[61] Cfr. R. Pagano, Wagner a Palermo. I fascini combinati di Igea, Mignon e di S. Rosalia, programma di sala di Das Liebesverbot (Il divieto d’amare ovvero La novizia di Palermo) di Richard Wagner, Palermo, Teatro Massimo, Ciclo di opere e di balletti 1990-1991; U. Mirabelli, Nella luce di Palermo-Im Lichte Palermos, Sellerio, Palermo-Frankfurt am Main 1982, pp. 46-60.
[62] “L’Ora”, 19 maggio 1914.
[63] Cfr. F.E. Raccuglia, Io e il Teatro Massimo, Priulla, Palermo 1983; O.M. Fragali, Le attività musicali a Palermo nella prima metà del XX secolo, tesi di laurea, Università degli Studi di Palermo, a. a. 1991-92.
[64] Ignazio Ciotti collaborò poi con Ottavio Tiby alla stesura de I cinquant’anni del Teatro Massimo….
[65] Rosario Profeta, musicista, prima che editore, per trent’anni prima viola al Teatro Massimo di Palermo, presente in varie formazioni cameristiche sin dal 1907, poi nel Carro di Tespi e nei gruppi solistici dell’Eiar, è autore di una Storia e letteratura degli strumenti musicali (Marzocco, Firenze 1942) che conserva la memoria dei migliori musicisti di quel tempo fornendo inedite informazioni. All’indomani della Prima guerra Profeta intraprese contemporaneamente l’attività editoriale e la gestione di un emporio di musica in via Cavour.
[66] “Rassegna d’arte e teatri”, II, 13, 15 gennaio 1923.
[67] “Rassegna d’arte e teatri”, I, 11, 10 dicembre 1922. Tra i soci fondatori dell’Associazione, oltre a esponenti della migliore borghesia delle professioni, anche musicisti quali Favara e i giovani Raccuglia e Tiby. Nel 1928 l’APCS diede alle stampe un Annuario per documentare la sua sorprendente attività: Associazione Palermitani Concerti Sinfonici-Concerti 1922-28 [Palermo, maggio 1928]. Numerosi programmi appartenuti a Raccuglia sono stati raccolti da Giovanna Modica durante il suo lavoro presso la Biblioteca della Fondazione Teatro Massimo.
[68] Sull’APCS cfr. I. Ciotti, La vita artistica del Teatro Massimo di Palermo 1897-1937…; G. Leone, S. Leone, 100 anni di musica al Teatro Massimo…, pp. 187-194; O. M. Fragali, Le attività musicali a Palermo…. Sulle proposte di Scaglia cfr. “Rassegna d’arte e teatri”, IX, 141, 14 febbraio 1930, editoriale “Dalla Banda Municipale ad una Orchestra Stabile”. In precedenza Scaglia aveva pensato alla municipalizzazione e alla conseguente creazione dell’Orchestra stabile municipale del Teatro Massimo (“Abolire la Banda”, in “Rassegna d’arte e teatri”, 18 marzo 1927); cfr. anche R. Pagano, Preistoria, travagliata genesi e nascita di un importante strumento di cultura, in «Et facciam dolci canti», Studi in onore di Agostino Ziino in occasione del suo 65. Compleanno, a cura di B. M. Antolini, T. M. Gialdroni, A. Pugliese, LIM, Lucca 2003, vol. II, pp. 1253-1268: pp. 1259-1261.
[69] “Rassegna d’arte e teatri”, I, 1, 20 marzo 1922.
[70] “Rassegna d’arte e teatri”, IV, 63, 14 agosto 1925.
[71] “Rassegna d’arte e teatri”, I, 7, 30 giugno 1922 (con elogio e ritratto di Gino Marinuzzi).
[72] “Rassegna d’arte e teatri”, VIII, 128, 15 gennaio 1929.
[73] Allievo di Alberto Favara e a Roma di Ottorino Respighi, in quegli anni Raccuglia fu anche maestro sostituto presso il teatro di cui avrebbe poi tenuto le redini. Lo straordinario biennio 1925-26 è ricordato nel suo Io e il Teatro Massimo, Priulla, Palermo 1983, pp. 58-59. A Bartók girò le pagine il giovane Ottavio Ziino, che a sua volta ricordò quegli anni nei Ricordi di un musicista, Flaccovio, Palermo 1994, pp. 21-22.
[74] “Rassegna d’arte e teatri”, IV, 55, 6 marzo 1925; la recensione del recital pianistico di Bartók, sempre a firma di un perplesso Scaglia, è del successivo numero del 19 marzo. I programmi di sala si fregiavano della firma di Adelmo Damerini, in quegli anni, come si è già detto, docente al Conservatorio V. Bellini.
[75] “Rassegna d’arte e teatri”, IV, 68, 8 dicembre 1925.
[76] P. Sgadari di Lo Monaco, La grande esclusa, I.R.E.S., Palermo 1935. Ricordando gli intensi anni dell’Associazione Palermitana Concerti Sinfonici, Sgadari lamentava la scomparsa della tenace istituzione e proponeva la costituzione di un’orchestra stabile attraverso la fusione con quella degli Amici della Musica; cfr. R. Pagano, Preistoria e travagliata genesi…, p. 1266.
[77] La realtà dei concerti a casa Sgadari emerge bene dalle recensioni della “Rassegna d’arte e teatri”; cfr. ad esempio quella del 5 aprile 1935 (XIV, 197).
[78] Dal dopoguerra in poi le vicende di “Retroscena” appartengono ad un’altra epoca i cui periodici più rappresentativi – tra cui le “Cronache del teatro e della musica” (1954-1955) dello stesso Raccuglia – sono descritti in M. Maraventano, Vent’anni di attività culturali a Palermo 1945-1965, a cura di P.E. Carapezza, Cidim, Roma 1984.
[79] Sulla modernità della borghesia ottocentesca palermitana si è espresso con acuti interventi critici lo storico Rosario Lentini: cfr., oltre alla Premessa in C. Giglio, La musica nell’età dei Florio…, il saggio Mercanti, imprenditori e artisti a Palermo nella seconda metà dell’Ottocento, in Francesco Lo Jacono (1838-1915), Catalogo della mostra (Palermo 1 ottobre 2005 - 8 gennaio 2006), a cura di G. Barbera, L. Martorelli, F. Mazzocca, C. Sisi, Silvana, Milano 2005.
[80] A livello internazionale la catalogazione indicizzata dei periodici musicali fa capo al RIPM (Répertoire International de la Presse Musicale; <www.ripm.org>). In Italia, dal 1984, il coordinamento è stato del CIRPeM di Parma, che adesso opera in autonomia presso la Casa della Musica di Parma (<http://cirpem.lacasadellamusicait>), occupandosi in modo specifico della ricerca sui periodici musicali e di interesse musicale italiani attraverso il censimento, la raccolta, lo spoglio e l’indicizzazione. L’attività svolta in sinergia con il RIPM ha prodotto spogli indicizzati di periodici musicali dell’Ottocento, mentre attualmente sono oggetto di spoglio e indicizzazione anche periodici del Novecento e non di precipuo interesse musicale. Sotto la direzione di Fiamma Nicolodi è nato inoltre a Firenze il progetto Periodici musicali del Novecento (Permusica), consistente in un sistema di digitalizzazione e gestione integrata della documentazione, volto a soddisfare le esigenze di accessibilità e di ricerca sui testi di critica musicale novecentesca pubblicati sia in riviste specializzate (come “Il pianoforte”, 1920-1927 o “La Rassegna musicale”, 1928-1950), sia in riviste culturali di interesse musicale; integra semplici funzioni di database con motori di indicizzazione e ricerca full-text (possibile da qualche anno anche sul RIPM) e strumenti di visualizzazione dell’immagine. Descritto su <http://www.disas.unifi.it/CMpro-v-p-507.html>, il database Permusica sarà consultabile all’indirizzo <http://www.disas.unifi.it/CMpro-v-p-507.html>(vedi anche nota 18).