L’arrivo della 
																Compagnia di 
																Gesù a 
																Caltanissetta 
																nel 1588 per 
																volere del 
																principe 
																Francesco II 
																Moncada e della 
																madre Aloisia de 
																Luna y Vega 
																suggella la 
																lunga amicizia 
																che legava ormai 
																da tempo i 
																Gesuiti ai 
																Moncada e 
																contribuisce con 
																la costruzione 
																del collegio 
																alla 
																riorganizzazione 
																urbanistica 
																della città, 
																avviata nel 
																tardo 
																Quattrocento con 
																l’apertura della 
																croce di strade 
																incernierata nel 
																trecentesco 
																piano dila 
																Nuntiata. Tale 
																processo 
																prosegue nel 
																1566 con il 
																trasferimento 
																della piazza 
																Maggiore 
																dall’antico 
																borgo medievale 
																di origine araba 
																al piano dila 
																Nuntiata, 
																compiendosi 
																negli anni 
																ottanta del 
																Cinquecento, con 
																l’apertura dello 
																‘Stradone del 
																Collegio’ al 
																termine del 
																quale viene 
																edificata la 
																chiesa di S. 
																Agata[1].
Il 
																progetto del 
																collegio venne 
																realizzato 
																dall’architetto 
																gesuita Alfio 
																Vinci: una 
																figura molto 
																cara ai Moncada 
																per il suo 
																coinvolgimento 
																nei numerosi 
																cantieri di 
																architettura 
																sacra e civile 
																affidatigli 
																dalla famiglia[2]. 
																Il disegno del 
																complesso, 
																impostato su 
																un’organizzazione 
																degli spazi in 
																quattro 
																quadranti di 
																quaranta canne 
																di lato 
																ciascuno, sarà 
																oggetto di 
																discussione nei 
																primi anni del 
																Seicento per le 
																difficoltà 
																tecniche legate 
																alla sua 
																esecuzione. 
																Molti saranno, 
																infatti, gli 
																architetti 
																coinvolti nel 
																cantiere dopo la 
																morte di Vinci 
																nel 1592, 
																impegnati a 
																portare avanti i 
																lavori di 
																costruzione 
																dell’edificio e 
																a risolvere le 
																sue numerose 
																problematiche 
																esecutive. 
Dopo il 
																coinvolgimento 
																in cantiere 
																dell’architetto 
																Giacomo Frini[3], 
																subentrato a 
																Vinci nel 1592, 
																il disegno del 
																complesso verrà 
																fortemente messo 
																in discussione 
																nei primi anni 
																del Seicento da 
																Natale Masucci e 
																dal rettore 
																Francesco 
																Costarella[4]. 
In 
																quella 
																circostanza si 
																darà mano 
																all’elaborazione 
																di soluzioni 
																architettoniche 
																alternative 
																all’idea di 
																partenza, ma 
																nessuna di 
																queste troverà 
																effettiva 
																realizzazione, 
																lasciando 
																pressoché 
																immutato il 
																disegno di 
																Vinci. Unica e 
																significativa 
																variante allo 
																schema 
																progettuale 
																approvata tra il 
																1601 e il 1603 è 
																rappresentata 
																dal nuovo 
																orientamento 
																stabilito per la 
																facciata della 
																chiesa di S. 
																Agata, la cui 
																apertura non 
																doveva più 
																essere 
																sull’antica 
																strada Maggiore 
																o strata Magna, 
																bensì sullo 
																‘Stradone del 
																Collegio’. Con 
																tale decisione 
																si portava a 
																compimento il 
																progetto di 
																strada con 
																fondale voluto 
																dai Moncada 
																nell’ambito del 
																programma di 
																modernizzazione 
																dello Stato 
																feudale nisseno. 
																Nello sviluppo 
																del progetto di 
																Vinci si dà 
																precedenza al 
																compimento dei 
																locali del 
																ginnasio e della 
																clausura dei 
																Gesuiti, 
																lasciando per 
																diversi anni 
																quasi immutato 
																il sito dove 
																andava edificata 
																la chiesa. Per 
																tale ragione, 
																quando nel 1617 
																l’architetto 
																Tommaso Blandino 
																subentra a 
																Masucci nella 
																direzione dei 
																cantieri 
																gesuitici di 
																Sicilia e, 
																dunque molto 
																probabilmente, 
																anche in quello 
																nisseno, 
																dell’edificio di 
																S. Agata 
																risultava 
																definito 
																soltanto il 
																perimetro 
																basamentale 
																secondo l’idea 
																d’impianto a 
																croce greca 
																stabilita nel 
																Cinquecento[5]. 
																La costruzione 
																della chiesa va 
																dal 1617 al 
																1622, anno della 
																sua apertura al 
																culto, 
																proseguendo 
																tuttavia con 
																Bartolomeo e 
																Giovanni 
																Battista 
																Serpotta di 
																Monreale e Marco 
																la Porta di 
																Ciminna nel 
																1647, impegnati 
																nell’intaglio 
																del portale 
																esterno e del 
																finestrone 
																centrale di 
																facciata, e nel 
																1654 con 
																maestranze 
																nissene attive 
																nell’esecuzione 
																della facciata 
																dell’edificio e 
																dello scalone 
																monumentale di 
																accesso al 
																sagrato del 
																tempio, 
																quest’ultimo 
																eseguito con la 
																direzione 
																dell’architetto 
																fra’ Pietro da 
																Genova, 
																impegnato in 
																quel tempo nella 
																costruzione di 
																palazzo Moncada[6]. 
Ma se 
																il Seicento 
																risulta per il 
																complesso 
																gesuitico e per 
																la chiesa, in 
																particolare, il 
																secolo in cui si 
																portano a 
																compimento tutte 
																quelle 
																trasformazioni 
																architettoniche 
																necessarie per 
																dare sviluppo 
																alla fabbrica 
																secondo le 
																scelte 
																progettuali 
																maturate da 
																Vinci e i 
																ripensamenti 
																seicenteschi, 
																bisognerà 
																guardare al 
																Settecento per 
																assistere allo 
																sviluppo del 
																ricco programma 
																di lavori che 
																interesserà 
																l’architettura 
																interna del 
																tempio. Le opere 
																realizzate 
																verranno rese 
																possibili dai 
																ricchi legati 
																testamentari 
																disposti a 
																favore della 
																chiesa da 
																notabili ed 
																ecclesiastici 
																del luogo, 
																determinando 
																l’arrivo in 
																città di diversi 
																esponenti del 
																commesso 
																marmoreo 
																siciliano, 
																impegnati nella 
																realizzazione 
																delle opere 
																decorative per 
																la cappella di 
																S. Ignazio di 
																Loyola e per 
																l’abside di S. 
																Agata[7]. 
																Interessanti 
																fonti d’archivio 
																attestano la 
																volontà di 
																tradurre in 
																chiave 
																monumentale la 
																cappella di S. 
																Ignazio di 
																Loyola molto 
																prima della 
																realizzazione 
																dei lavori che 
																ne avrebbero 
																definito a 
																inizio 
																Settecento 
																l’immagine oggi 
																conosciuta. Tale 
																dato emerge dal 
																testamento del 
																chierico 
																Leonardo Abbate 
																del 1658, che 
																finanziava la 
																realizzazione di 
																una struttura 
																marmorea con 
																pietre dure per 
																l’altare del 
																santo:
in 
																abbellimento di 
																fabrica per 
																ditta cappella 
																di Sant’Ignatio 
																in doratura, 
																petri mischi, 
																colonni, marmi 
																et altri cosi 
																necessarij che 
																ricerchirà decta 
																fabrica di decta 
																cappella e 
																finuta che sarà 
																decta cappella 
																di decti 
																ornamenti di 
																fabrica decti 
																renditi di supra 
																assignati si 
																habbia d’erogari 
																e spendiri in 
																tanti giogali 
																per servitio di 
																detta cappella[8].
Si 
																tratta di un 
																intervento mai 
																realizzato, ma 
																assai vicino per 
																forma alla 
																volontà 
																testamentaria 
																dell’abate 
																Giuseppe Sbernia 
																del 1688, con la 
																quale si dà 
																effettivo inizio 
																alle 
																trasformazioni 
																della cappella 
																col 
																coinvolgimento 
																di marmorari 
																trapanesi e 
																messinesi:
totum 
																restans ditte 
																hereditatis 
																debeat applicari, 
																erogari et 
																expendi pro 
																beneficio ditte 
																cappelle tam pro 
																fabrica et 
																struttura 
																marmorea et in 
																alijs lapidibus 
																pretiosis quam 
																pro jocalibus, 
																argenteis et 
																aureis benevisis 
																reverendo 
																procuratori 
																ditte 
																hereditatis, ita 
																quod fructus 
																dicte 
																hereditatis non 
																possint expendi 
																nisi tantum pro 
																benefitio et 
																ornamento dicte 
																cappelle et non 
																aliter nec alio 
																modo. Item 
																voluit dittus 
																testator quod 
																cappella 
																predicta sit et 
																intelligatur 
																confinata et 
																clausa usque ad 
																pilastra 
																Ecclesie 
																predicte 
																vicioniora ipsi 
																cappelle et 
																succedente[9].
I 
																lavori nella 
																cappella di S. 
																Ignazio di 
																Loyola iniziano 
																nel 1702 col 
																trapanese 
																Giovanni 
																Battista 
																Lombardo, 
																impegnato a 
																realizzare su 
																richiesta di 
																padre Antonio 
																Maria de 
																Valenza, 
																procuratore di 
																Sbernia, 
																l’impalcato 
																architettonico 
																centrale 
																dell’altare, 
																organizzato con 
																colonne binate 
																arricchite da 
																motivi fitomorfi 
																e da prominenze 
																scultoree che 
																raffigurano 
																cherubini 
																contornati di 
																turgidi trionfi 
																di frutta. Al di 
																sopra delle 
																colonne binate, 
																oltre la 
																trabeazione, due 
																spezzoni di 
																frontone 
																chiudono 
																l’intera 
																composizione. 
																Nell’opera trova 
																ampio spazio 
																l’uso di «marmi 
																bianchi 
																rabiscati di 
																pietri, cioè di 
																pietra paragone, 
																di pietra gialla 
																di Mezzo Juso, 
																di pietra di 
																libeccio e di 
																pietra bardiglia 
																di Genova giusta 
																la forma delli 
																disegni e lavori 
																che sono fatti 
																nel disegno 
																fatto frà d’essi 
																contrahenti e 
																sottoscritto da 
																ditto mastro di 
																Lombardo»[10]. 
La 
																lavorazione di 
																tutti i marmi 
																avviene a 
																Trapani nella 
																bottega dello 
																scultore, ad 
																eccezione delle 
																quattro colonne 
																marmoree 
																scolpite a 
																Caltanissetta 
																«in octo pezzi 
																cioè ogni 
																colonna in dui 
																pezzi […] e pure 
																d’haverli a 
																stricare et 
																allustrare 
																lustri e 
																lucenti». 
Il 
																programma dei 
																lavori nella 
																cappella non si 
																limita al solo 
																impalcato 
																architettonico 
																centrale, ma 
																prosegue nel 
																1709 con 
																maestranze 
																messinesi 
																esperte nella 
																lavorazione 
																delle pietre 
																dure, impegnate 
																nell’esecuzione 
																del progetto che 
																Francesco Natale 
																Juvarra, 
																fratello del 
																celebre 
																architetto 
																Filippo, elabora 
																per la 
																decorazione 
																delle ali 
																laterali 
																dell’altare. 
																Francesco Natale 
																appartiene ad 
																una delle più 
																importanti 
																botteghe di 
																maestri 
																argentieri 
																attive a Messina 
																tra Sei e 
																Settecento, al 
																cui interno 
																compaiono 
																assieme a lui il 
																padre Pietro, il 
																fratello minore 
																Filippo e il 
																fratellastro 
																maggiore 
																Sebastiano. 
																Pietro emancipa 
																il figlio 
																Francesco Natale 
																nel 1692, 
																consentendogli 
																di diventare 
																«famoso 
																professore di 
																scultura 
																d’argento o 
																cesellatore» 
																grazie a 
																proficue 
																collaborazioni 
																professionali 
																con importanti 
																personaggi del 
																tempo come 
																Giacomo Amato 
																nell’esecuzione 
																di arredi 
																preziosi e 
																Francesco Lo 
																Judice nella 
																realizzazione 
																dei candelieri 
																del duomo di 
																Messina[11]. 
																L’esperienza 
																nissena risulta 
																in tal senso una 
																novità 
																nell’operato 
																dello scultore, 
																rappresentando 
																di fatto allo 
																stato attuale 
																degli studi il 
																primo caso di 
																progettazione 
																architettonica a 
																lui affidato. 
																Tuttavia non va 
																esclusa la 
																possibilità che 
																nel disegno 
																della cappella 
																abbia avuto 
																parte 
																determinante il 
																fratello 
																Filippo, i cui 
																pensieri 
																potrebbero aver 
																suggerito a 
																Francesco Natale 
																il programma 
																decorativo per 
																le fasce 
																parietali 
																collaterali 
																all’altare 
																ignaziano. Primi 
																ad essere 
																coinvolti 
																nell’esecuzione 
																dell’opera sono 
																nel 1709 i 
																messinesi 
																Pancrazio Bosco, 
																Blasio e 
																Pasquale d’Amato 
																e Giuseppe 
																Vizzari[12], 
																impegnati a 
																realizzare un 
																«palio di marmo 
																ad arabeschi 
																commessi […] 
																quali pietre da 
																mettersi per 
																ditti mastri 
																habiano da 
																essere dure e 
																non molli come 
																si è detto e 
																colorite secondo 
																l’altro dissegno 
																farà don / 
																Francesco 
																Juvarra in 
																grande»[13]. 
																Si tratta di un 
																paliotto 
																d’altare 
																disegnato per la 
																cappella di S. 
																Ignazio, ma mai 
																effettivamente 
																usato perché 
																costruito 
																difformemente 
																all’idea di 
																progetto[14]. 
																Per tale ragione 
																nel 1710 si 
																ordina la sua 
																sistemazione 
																nell’altare 
																maggiore della 
																chiesa, venendo 
																più tardi 
																rimosso per 
																trovare spazio 
																con molta 
																probabilità 
																nella cappella 
																di San Francesco 
																Saverio. La 
																tavola marmorea 
																potrebbe secondo 
																tale ipotesi 
																identificarsi 
																col paliotto che 
																riproduce 
																l’effigie di S. 
																Ignazio 
																nell’atto di 
																ricevere dalla 
																Madonna il libro 
																degli esercizi 
																spirituali nella 
																grotta di 
																Manresa[15]. 
																Nuovi 
																«marmorari» si 
																impegnano nel 
																1709 a lavorare 
																al progetto 
																juvarriano. Si 
																tratta dei 
																maestri Santo e 
																Lorenzo Bara, 
																padre e figlio, 
																chiamati a 
																realizzare per 
																il prezzo di 50 
																onze l’«opera di 
																marmi piani, 
																commessi e 
																scorniciati 
																dell’ala 
																sinistra della 
																sudetta 
																venerabile 
																cappella»[16]. 
Nello 
																stesso anno 
																accanto ai Bara 
																lo scultore 
																Giacomo Antonino 
																Marchetta lavora 
																alla fattura dei 
																putti e delle 
																statue dei santi 
																collocate entro 
																le nicchie 
																conchigliate 
																ricavate nelle 
																fasce parietali 
																collaterali 
																all’altare di S. 
																Ignazio. 
All’ala 
																sinistra fa 
																seguito nel 1710 
																l’elaborazione 
																dei marmi 
																commessi per 
																l’ala destra 
																della cappella, 
																assieme alla 
																lavorazione 
																della lapide 
																sepolcrale 
																dell’abate 
																Giuseppe Sbernia 
																«di arabeschi 
																commessi con le 
																sue armi». A 
																questo si 
																aggiunge la 
																costruzione di 
																un nuovo 
																paliotto 
																d’altare 
																eseguito su 
																progetto di 
																Innocenzo 
																Trabucco:
di più 
																ditto mastro 
																Sancto s’obliga 
																fare a ditto 
																reverendo padre 
																Sbernia ditto 
																nomine un novo 
																palio di 
																commesso in due, 
																che doverà 
																aprirsi secondo 
																il disegno 
																concertato […] 
																con doverli 
																ancora dare 
																ditto reverendo 
																padre il pezzo / 
																del verde antico 
																venato da 
																Catania nec non 
																e doverli pagare 
																la metà del 
																disegno di ditto 
																palio fatto da 
																ditto di 
																Trabucco così di 
																pacto. Item che 
																ditto di Barra 
																sia tenuto tutti 
																li uccelli come 
																nel disegno 
																lavorarli e 
																commetterli 
																conforme 
																richiede l’arte 
																cosi di pacto[17].
																Innocenzo 
																Trabucco si 
																inserisce nel 
																progetto 
																juvarriano col 
																disegno delle 
																scale e del 
																nuovo paliotto 
																per l’altare di 
																S. Ignazio, non 
																più «in tabula 
																marmorea 
																integra» come 
																quello 
																precedente, ma 
																su due piani 
																commessi, 
																decorato con la 
																riproduzione di 
																motivi floreali 
																e uccelli[18]. 
																Lo sviluppo del 
																cantiere nella 
																cappella va 
																avanti sino al 
																1710, quando i 
																Bara abbandonano 
																i lavori 
																incorrendo nella 
																lunga vertenza 
																legale contro la 
																Compagnia 
																nissena con 
																l’accusa di 
																«furto e 
																baratteria»[19]. 
																Per tale ragione 
																i lavori 
																verranno 
																affidati ai 
																messinesi Masi, 
																Pasquale e 
																Blasio D’Amato e 
																Pancrazio Bosco, 
																impegnati a 
																rifare tutte 
																quelle parti del 
																progetto 
																juvarriano mal 
																eseguite dai 
																Bara.
I 
																lavori nella 
																chiesa di S. 
																Agata proseguono 
																nel 1753 con la 
																riqualificazione 
																architettonica 
																della parete 
																absidale. 
Ciò è 
																attestato dalla 
																licenza che il 
																provinciale 
																Vespasiano 
																Trigona concede 
																al gesuita 
																Antonio Calafato 
																per dar corso 
																alla decorazione 
																dello spazio 
																sacro:
Le 
																significo 
																inoltre d’aver 
																jo dato al padre 
																Antonio Calafato 
																la licenza di 
																continuare gli 
																incominciati 
																ornamenti de 
																marmi per il 
																cappellone, 
																purché lasciate 
																intatta la 
																scalèa 
																dell’altare 
																maggiore, per 
																cui vostro 
																rettore dimostra 
																/ principalmente 
																avere il suo 
																impegno, 
																contentandosi 
																per ora di 
																portare a 
																perfezione li 
																due prospetti 
																collaterali 
																dell’altare 
																maggiore, per li 
																quali egli 
																trovasi non che 
																impegnato ma 
																altresì 
																obbligato in 
																virtù 
																d’alberano: 
																molto più che 
																avendo jo 
																osservato il 
																disegno delli 
																nominati 
																prospetti non mi 
																è sembrato o per 
																la qualità delli 
																marmi o per la 
																loro 
																combinazione 
																disdicevole alla 
																magnificenza di 
																cotesta basilica[20].
																Nell’esecuzione 
																dell’opera 
																vengono 
																coinvolti lo 
																scultore 
																palermitano 
																Giovanni 
																Battista Marino, 
																allievo di 
																Francesco 
																Ignazio 
																Marabitti, e il 
																catanese 
																Domenico 
																Battaglia. Il 
																sodalizio 
																artistico tra le 
																due figure è 
																comprovato dal 
																trasferimento di 
																Marino intorno 
																al 1750 a 
																Catania, dove 
																assieme a 
																Battaglia lavora 
																in diversi 
																cantieri di 
																architettura 
																come a Siracusa 
																tra il 1729 e il 
																1767 nella 
																costruzione 
																dell’altare a 
																colonne tortili 
																dell’ala 
																sinistra del 
																transetto del 
																duomo e nel 1744 
																nella stessa 
																città nella 
																scalinata della 
																chiesa del 
																collegio, 
																facendovi 
																ritorno qualche 
																anno dopo al 
																fianco di 
																Marabitti per la 
																decorazione 
																dell’altare di 
																S. Ignazio, 
																opera portata a 
																termine nel 1752 
																con Battaglia su 
																progetto di 
																Melchiorre 
																Spedalieri[21]. 
A 
																Caltanissetta 
																Marino non viene 
																chiamato 
																soltanto ad 
																intervenire 
																sulla parete 
																absidale di S. 
																Agata, ma esegue 
																per la cappella 
																di 
S. 
																Ignazio 
																l’altorilievo 
																marmoreo che 
																raffigura il 
																santo con le 
																quattro parti 
																del mondo, sul 
																modello 
																dell’apoteosi di 
																S. Ignazio 
																realizzata da 
																Marabitti tra il 
																1749 e il 1751 
																per la chiesa 
																dei Gesuiti di 
																Catania[22].
																L’intervento di 
																Marino e 
																Battaglia 
																consiste nel 
																«foderare di 
																pietre marmoree, 
																cioè di marmo 
																bianco di 
																Saravezza, di 
																rosso di 
																Francia, di 
																verde di Venezia 
																e di pietra di 
																libice, il fondo 
																del cappellone 
																della chiesa di 
																ditto venerabile 
																collegio»[23], 
																mantenendo 
																inalterata su 
																richiesta del 
																padre 
																provinciale la 
																scalea 
																dell’altare. 
Il 
																programma dei 
																lavori, eseguito 
																probabilmente su 
																progetto degli 
																stessi scultori, 
																pone al centro 
																della parete 
																absidale la 
																grande pala 
																d’altare che 
																raffigura il 
																martirio di S. 
																Agata, 
																impreziosita da 
																una cornice in 
																pietra di 
																paragone al di 
																sopra della 
																quale viene 
																disposto uno 
																scudo, 
																arricchito da 
																due putti 
																realizzati da 
																Marino. A lui si 
																devono pure i 
																putti e i 
																simulacri di san 
																Michele e della 
																Madonna inseriti 
																nelle nicchie 
																aperte nelle ali 
																collaterali 
																all’altare 
																maggiore[24]. 
																Appendice 
																documentaria
Segni 
																diacritici usati 
																nella 
																trascrizione dei 
																documenti:
  
																/       
																inizio di una 
																nuova carta
[…]      
																omissione di 
																parte del 
																documento
 …       
																parte non 
																decifrabile del 
																documento
1702, 1 
																novembre. 
																Capitoli sulla 
																costruzione 
																dell’altare di 
																S. Ignazio di 
																Loyola col 
																coinvolgimento 
																dello scultore 
																trapanese 
																Giovanni 
																Battista 
																Lombardo
																Testamur quod 
																magister Joannes 
																Battista 
																Lombardo 
																scarpellinus 
																civis huius 
																urbis Drepani 
																mihi notaro 
																cognito presens 
																coram nobis 
																sponte teneatur 
																et debeat prout 
																promisit et 
																promittit seque 
																sollemniter 
																obligavit et 
																obligat 
																reverendo patri 
																Antonio Maria de 
																Valenza 
																Societatis Jesu 
																uti procuratori 
																reverendi patris 
																Hieronimi 
																Sbernia eiusdem 
																Societatis Jesu 
																tamquam 
																administratoris 
																generalis 
																hereditatis 
																quondam 
																reverendissimi 
																abbatis […] don 
																Joseph Sbernia 
																eius olim 
																fratris a quo 
																fuit instituta 
																heres 
																universales 
																venerabilis 
																cappella divi 
																Ignatij Loijole 
																Collegij 
																Societatis Jesu 
																civitatis 
																Calatanissette 
																vigore sui 
																testamenti et 
																codicillorum in 
																actis quondam 
																notarii Joseph 
																Falci dicte 
																civitatis 
																Calatanissette 
																diebus 
																preteritis 
																virtute 
																huiusmodi 
																procurationis 
																cum potestate 
																ampliandi 
																celebrate in 
																actis notarii 
																Pauli Curcuruto 
																Calatanissette 
																sub die vigesimo 
																tertio maij none 
																indicionis 1701 
																et stante 
																potestate 
																predicta / 
																ampliandi dictus 
																pater de 
																Valentia 
																procuratorio 
																nomine predicto 
																dictam 
																precalendatam 
																procurationem 
																elargavit et 
																elargat ac 
																ampliavit et 
																ampliat ad 
																faciendum et 
																stipulandum 
																presentem 
																contractum et 
																omnia et singula 
																in presenti 
																contractu 
																contenta omni 
																meliori modo 
																mihi etiam 
																notario cognito 
																presenti et 
																ditto nomine 
																stipulanti etiam 
																me notario pro 
																dicta hereditate 
																dicti quondam 
																reverendissimi 
																abbatis don 
																Joseph Sbernia 
																seu pro dicta 
																cappella divi 
																Ignatij Loiole 
																dicti Collegij 
																Societatis Jesu 
																civitatis 
																Calatanissette 
																legitime 
																stipulante ut 
																dicitur di 
																havere a fare e 
																construere una 
																cappella di 
																marmi bianchi 
																rabiscati di 
																pietri, cioè di 
																pietra paragone, 
																di pietra giarla 
																di Mezzo Juso, 
																di pietra di 
																libeccio e di 
																pietra bardiglia 
																di Genova giusta 
																la forma delli 
																disegni e lavori 
																che sono fatti 
																nel disegno 
																fatto frà d’essi 
																contrahenti e 
																sottoscritto da 
																ditto mastro di 
																Lombardo, da 
																detto padre 
																procuratore e 
																dal reverendo 
																sacerdote don 
																Antonino Castro 
																con che li dui 
																scalini della 
																pradella / 
																dell’altare 
																habbiano di 
																essere di pietra 
																nigra del petro 
																palazzo di 
																questa città di 
																Trapani et il 
																sudetto mastro 
																di Lumbardo 
																tutti li lavori 
																e disegni delli 
																sudetti marmi 
																bianchi 
																rabiscati come 
																sopra scalini et 
																ogn’altra cosa 
																sia obligato di 
																haverli a fare e 
																quelli habbiano 
																d’essere di 
																quella 
																grandezza, 
																altezza, 
																larghezza, 
																lavori, disegni, 
																colonnati et 
																altri come sopra 
																descritti, 
																annotati e fatti 
																in detto disegno 
																fatto e 
																sottoscritto di 
																loro proprie 
																mani come sopra, 
																esclusi però li 
																quattro colonni 
																nudi tantum et 
																dumtaxat per li 
																quali sudetti 
																quattro colonni 
																nudi tantum il 
																sudetto mastro 
																di Lumbardo non 
																sia tenuto né 
																obligato farli e 
																che la sudetta 
																cappella di 
																detti marmi 
																bianchi 
																rabiscati come 
																sopra detto 
																mastro di 
																Lombardo l’habbia 
																da fare qui in 
																Trapani per 
																servitio della 
																detta cappella 
																di Santo Ignatio 
																Loijola di detto 
																Collegio di 
																Caltanissetta e 
																per fare e 
																lavorare detta 
																cappella di 
																detti marmi 
																bianchi 
																rabiscati come 
																sopra scalini et 
																ogn’altra cosa / 
																giusta il 
																sudetto disegno 
																il sudetto 
																mastro di 
																Lombardo sia 
																obligato così 
																per il materiale 
																di detti marmi e 
																di detti 
																rabischi pietre 
																et di ogn’altro 
																materiale ch’è 
																necessario in 
																ordine alli 
																pietri tantum et 
																dumtaxat come 
																per tutte le 
																mastrie che ci 
																vorranno et 
																habbia da 
																incominciare di 
																dimane innante e 
																seguire 
																successivamente 
																con tutti quelli 
																mastri che sono 
																necessarij senza 
																mai levare mano 
																e darla lesta di 
																tutto punto ad 
																altius per tutto 
																il mese di 
																aprile dell’anno 
																duodecima 
																inditione 1704 
																et ogni cosa di 
																detta cappella 
																s’habbia da 
																consignare 
																delata e posta 
																qui in Trapani 
																nella potega di 
																detto mastro di 
																Lombardo di 
																havere ad 
																assistere così 
																al carricato di 
																detta cappella 
																come al 
																discarricare et 
																anche habbia 
																d’assistere 
																all’assettare la 
																sudetta cappella 
																con essere pure 
																obligato detto 
																mastro di 
																Lombardo ad 
																andarvi 
																personalmente 
																benché li 
																sudetti pezzi di 
																marmi, rabischi 
																et altri di / 
																detta cappella 
																habbiano 
																d’andare a 
																risico, periculo 
																e fortuna di 
																detto padre 
																procuratore 
																dicto nomine e 
																la sudetta 
																cappella detto 
																mastro di 
																Lombardo sia 
																obligato di 
																haverla a fare 
																del modo e forma 
																come sopra bene 
																e 
																magistrabilmente 
																conforme ricerca 
																l’arte et ogni 
																cosa sia a 
																benvista del 
																sudetto 
																reverendo 
																sacerdote don 
																Antonino Castro 
																alias. Pro 
																pretijs et 
																magisterij in 
																totum unciarum 
																quatricentarum 
																in pecunia justi 
																ponderis ut 
																dicitur a muzzo 
																et accordio 
																inter dictos 
																contrahentes 
																habito et 
																tractato 
																sollemni 
																stipulatione 
																vallato et 
																iuramento 
																firmato in 
																compotum quarum 
																quidem unciarum 
																quatricentarum 
																dictus magister 
																de Lumbardo 
																dixit et fatetur 
																habuisse et 
																recepisse a 
																dicto reverendo 
																patre de 
																Valentia 
																procuratorio 
																nomine predicto 
																stipulante 
																uncias viginti 
																in pecunia iusti 
																ponderis de 
																contanti 
																renunciando. Et 
																reliquas uncias 
																tricentas 
																octuaginta 
																dictus 
																reverendus pater 
																de Valentia 
																procuratorio 
																nomine predicto 
																dare et solvere 
																promisit et 
																promictit ac / 
																se obligavit et 
																obligat dicto 
																magistro de 
																Lumbardo 
																stipulanti seu 
																persone legitime 
																pro eo hic 
																Drepani in 
																pecunia justi 
																ponderis 
																successive 
																videlicet 
																laborando 
																solvendo in 
																pacem. Processit 
																ex patto che 
																detto mastro di 
																Lombardo oltre 
																dette onze 
																quattrocento 
																habbia e debbia 
																d’havere quando 
																và in 
																Caltanissetta e 
																da ditta città 
																di Caltanissetta 
																ritorna in 
																questa città di 
																Trapani accesso 
																e recesso 
																franco, assieme 
																con 
																l’infrascritte 
																tre altre 
																persone e mentre 
																dimora in detta 
																città di 
																Caltanissetta 
																pure habbia d’havere 
																mangiare e 
																bevere franchi 
																assieme con tre 
																altre persone 
																che porterà per 
																assistere così 
																al discarricato 
																come 
																nell’assettare 
																detta cappella. 
																E più detto 
																mastro di 
																Lombardo sia 
																tenuto et 
																obligato 
																conforme in 
																virtù del 
																presente s’ha 
																obligato et 
																obliga al 
																sudetto 
																reverendo padre 
																di Valenza 
																procuratorio 
																nomine predicto 
																stipulante d’havere 
																a lavorare li 
																quattro colonni 
																di pietra di 
																libeccio che ci 
																deve consignare 
																il sudetto / 
																padre di Valenza 
																ditto nomine in 
																octo pezzi cioè 
																ogni colonna in 
																dui pezzi quali 
																quattro colonni 
																in detti otto 
																pezzi detto 
																mastro di 
																Lombardo sia 
																obligato 
																lavorarli in 
																detta città di 
																Caltanissetta e 
																pure d’haverli a 
																stricare et 
																allustrare 
																lustri e lucenti 
																a specchio con 
																quell’altri 
																mastri che ci 
																vorrà fare 
																lavorare ditto 
																di Lombardo et 
																habbiano da 
																essere bene e 
																magistribilmente 
																lavorati 
																conforme li 
																vorrà detto 
																reverendo padre 
																procuratore 
																dicto nomine e 
																di quando 
																incomincia a 
																lavorarli e 
																stricarli et 
																allustrarli come 
																sopra detto di 
																Lumbardo non 
																possa levare 
																mano per infino 
																che sono lesti 
																di tutto punto 
																et anche detto 
																mastro di 
																Lombardo sia 
																obligato dette 
																quattro colonni 
																in detti otto 
																pezzi d’haverle 
																a commettere seu 
																unire con li 
																suoi perni e 
																tutto il 
																materiale ce l’habbia 
																da dare detto 
																padre 
																procuratore 
																solamente sia 
																obligato detto 
																di Lombardo per 
																le semplici 
																mastrie tantum 
																et dumtaxat 
																alias. / Pro 
																magisterio ad 
																rationem 
																tarenorum 
																quatuor in 
																pecunia iusti 
																ponderis singulo 
																die pro persona 
																dicti magistri 
																de Lumbardo et 
																pro alijs 
																personis 
																laborantibus in 
																dictis columnis 
																ad rationem 
																tarenorum duorum 
																in pecunia iusti 
																ponderis etiam 
																singulo die pro 
																quolibet persona 
																et ultra cum esu 
																et potu tam pro 
																dicto de 
																Lumbardo quam 
																pro dictis alijs 
																personis 
																laborantibus in 
																columnis 
																predictis quod 
																quidem 
																magisterium 
																dictus pater 
																procurator de 
																Valentia dicto 
																nomine dare et 
																solvere promisit 
																et promictit ac 
																se obligavit et 
																obligat dicto 
																magistro de 
																Lumbardo 
																stipulanti seu 
																persone legitime 
																pro eo in dicta 
																civitate 
																Calatanissette 
																in pecunia justi 
																ponderis succe. 
																videlicet 
																laborando 
																solvendo in 
																pacem […].
(ASCl, 
																Corporazioni 
																religiose 
																soppresse, vol. 
																184, ff. 68 r - 
																71 v).
1709, 
																18 gennaio. 
																Contratto 
																d’obbligo per la 
																costruzione di 
																un paliotto 
																d’altare in 
																marmi mischi 
																nell’altare di 
																S. Ignazio di 
																Loyola ad opera 
																dei messinesi 
																Brancasio Bosco, 
																Blasio e 
																Pasquale d’Amato 
																e Giuseppe 
																Vizzari
Jesus. 
																Presenti innanti 
																noi nomine 
																testimonijs 
																infrascripti li 
																mastri Brancasio 
																Bosco del 
																quondam 
																Vincentio, 
																Blasio d’Amato e 
																Paschale d’Amato 
																del quondam 
																Giovanni Maria e 
																Giuseppe Vizzari 
																figlio maritato 
																[…] Messani da 
																me notaio 
																conosciuti 
																sponte insolidum 
																renunciando si 
																obligarono et 
																obligano fare al 
																reverendo padre 
																Heronimo Sbernia 
																della Compagnia 
																di Gesù presente 
																cognito et 
																interveniente 
																come procuratore 
																et 
																amministratore 
																dell’eredità 
																della venerabile 
																cappella di 
																Sant’Ignazio nel 
																devoto Collegio 
																di Caltanissetta 
																un palio di 
																marmo ad 
																arabeschi 
																commessi giusta 
																la forma del 
																disegno 
																sottoscritto da 
																ambedue esse 
																parti rimasto in 
																potere di ditto 
																reverendo padre 
																di Sbernia con 
																mettere il marmo 
																e le pietre dure 
																e non molli li 
																sudeti mastri 
																eccettuata la 
																pietra di 
																calcara, la 
																pietra agata, el 
																corallo quali li 
																habia di dare 
																ditto reverendo 
																padre di Sbernia 
																ditto nomine a 
																ditti mastri 
																serrati e boni 
																per patto. Quali 
																pietre da 
																mettersi per 
																ditti mastri 
																habiano da 
																essere dure e 
																non molli come 
																si è detto e 
																colorite secondo 
																l’altro dissegno 
																farà don / 
																Francesco 
																Juvarra in 
																Grande. … di 
																patto che ditto 
																palio l’habiano 
																da lavorare nel 
																venerabile 
																Colleggio della 
																Compagnia di 
																Messina e darlo 
																finito di tutto 
																punto per tutta 
																la festa di 
																Pasqua 
																Resurectione 
																proxima ventura 
																1709. Ita che 
																ditto palio 
																habia da essere 
																ben visto al 
																ditto di Juvarra 
																et al reverendo 
																padre Salvadore 
																Costa di ditta 
																venerabile 
																Compagnia alli 
																quali ditti 
																mastri donano 
																facoltà di 
																potere 
																aggiungere e 
																levare secondo 
																dimanda l’arte 
																[…]. E questo 
																per raggione di 
																prezzo, mastria 
																et ogn’altra 
																cosa a raggione 
																di tarì 18 lo 
																palmo incluso lo 
																marmo mastria et 
																ogn’altra cosa 
																così di accordio 
																e in conto e pro 
																modo li ditti 
																mastri in 
																solidum 
																confessano 
																havere havuto e 
																ricevuto dal 
																ditto reverendo 
																padre di Sbernia 
																ditto nomine 
																stipulante onze 
																otto di denari 
																contanti di 
																giusto prezo e 
																numero come 
																costa, lo resto 
																per quanto 
																importerà lo 
																ditto reverendo 
																padre s’obliga 
																pagarlo alli 
																ditti mastri in 
																/ in solidum 
																travagliando 
																pagando coll’exequtione 
																per patto. In 
																patto che lo 
																disegno di ditto 
																di Juvarra l’habiano 
																di pagare esse 
																parti a metà 
																così di patto. 
																[…].
(ASCl, 
																Corporazioni 
																religiose 
																soppresse, vol. 
																184, ff. 258 r - 
																259 r).
1753, 4 
																agosto. 
																Contratto 
																d’obbligo per la 
																trasformazione 
																della parete 
																absidale della 
																chiesa di S. 
																Agata col 
																coinvolgimento 
																degli scultori 
																Giovanni 
																Battista Marino 
																e Domenico 
																Battaglia
Noi 
																sottoscritti 
																Giovanni 
																Battista Marino 
																della città di 
																Palermo ed al 
																presente 
																abitatore di 
																questa città di 
																Catania e mastro 
																Domenico 
																Battaglia di 
																questa sudetta 
																città insolidum 
																in virtù del 
																presente scritto 
																seu alberano ci 
																oblighiamo al 
																venerabile 
																Collegio della 
																Compagnia di 
																Gesù della città 
																di Caltanissetta 
																e per essa al 
																reverendissimo 
																padre Michele 
																Calafato di 
																ditta Compagnia 
																di Gesù come 
																procuratore del 
																sudetto 
																venerabile 
																Collegio di 
																foderare di 
																pietre marmoree 
																cioè di marmo 
																bianco di 
																Saravezza, di 
																rosso di 
																Francia, di 
																verde di Venezia 
																e di pietra di 
																libice il fondo 
																del cappellone 
																della chiesa di 
																ditto venerabile 
																Collegio in un 
																colli due 
																pelastri di 
																detto 
																cappellone, da 
																farsi però ditti 
																pelastri a libro 
																e di più far la 
																cornice del 
																quadro 
																dell’altare 
																maggiore di 
																pietra paragone 
																e questo a 
																tenore del 
																disegno a tal 
																effetto seriam.e 
																fattosi colla 
																specificazione 
																della diversità 
																delle pietre 
																sudette con 
																dovere noi 
																sudetti e 
																sottoscritti di 
																Marino e 
																Battaglia 
																mettervi tutto 
																il materiale di 
																marmo bianco e 
																pietre diverse 
																sudette e per 
																conseguenza 
																dovrà da noi 
																medesimi sudetti 
																e sottoscritti 
																di Marino e 
																Battaglia 
																comprarsi ditto 
																materiale a 
																nostre spese ed 
																a nostre spese 
																pure di tutto 
																punto lavorarsi, 
																lustrarsi a 
																specchio tutti 
																li pezzi e 
																finalmente 
																collocarsi poi 
																in ditta chiesa 
																seu foderarsi il 
																cappellone e 
																pelastri e farsi 
																e collocarsi la 
																cornice e scudo 
																e sudetti 
																coll’assistenza 
																di noi medesimi. 
																Tal modo che 
																tanto per il 
																materiale 
																sudetto lavoro e 
																lustro di esso 
																quanto per la 
																collocazione del 
																medesimo in 
																niente sia 
																obligato il 
																ditto venerabile 
																Collegio e per 
																esso ditto 
																reverendissimo 
																padre Calafato 
																procuratore come 
																sopra solamente 
																però detto 
																venerabile 
																Collegio e per 
																esso io sudetto 
																e sottoscritto 
																padre Michele 
																Calafato 
																procuratore in 
																virtù del 
																presente scritto 
																seu alberano mi 
																obligo far la 
																fabrica di calce 
																ed arena che 
																abbisognerà 
																farsi al di 
																dietro sopra la 
																quale dovranno 
																collocarsi dalli 
																ditti e 
																sottoscritti di 
																Marino e 
																Battaglia li 
																sudetti pezzi, 
																cornice e scudo 
																lavorati e 
																lustrati a 
																specchio come 
																supra siccome 
																devo io sudetto 
																e sottoscritto 
																padre Michele 
																ditto nomine far 
																trasportare da 
																Catania sino a 
																Caltanissetta 
																tutto ditto 
																materiale a mie 
																spese ed a mie 
																spese pure 
																locarsi le 
																cavalcature che 
																necessiteranno 
																per l’accesso e 
																ricesso di detti 
																di Marino e 
																Battaglia e 
																dell’altri 
																mastri che li 
																medesimi 
																dovranno ivi 
																mandare. Caso 
																che però se / 
																per accidente si 
																fracassasse e 
																scantonasse 
																qualche pezzo 
																per strada 
																dovranno li 
																sudetti di 
																Marino e 
																Battaglia 
																riconciarlo a 
																loro spese e 
																travagli sovra 
																luogo come noi 
																sudetti e 
																sovrascritti di 
																Marino e 
																Battaglia in 
																virtù del 
																presente ci 
																oblighiamo 
																riconciarlo o 
																rifarlo a nostre 
																spese e travagli 
																siccome ci 
																oblighiamo a ben 
																commettere i 
																pezzi sudetti di 
																tutto detto 
																servizo nel 
																collocarli come 
																fare comparire 
																tutto un pezzo 
																li pelastri, la 
																cornice, lo 
																scudo el 
																cappellone 
																sudetti e 
																finalmente in 
																virtù del 
																presente ci 
																oblighiamo 
																comprar detto 
																marmo paragone e 
																pietre sudette 
																di tutta qualità 
																siccome di tutta 
																qualità fare il 
																lavoro senza che 
																vi fossero pezzi 
																scantonati anche 
																in minutis 
																minima parte né 
																collocare pezzi 
																che non ben 
																commettessero 
																l’un coll’altro 
																e sopra 
																ogn’altro tutto 
																ditto materiale, 
																lavoro, lustro 
																ed altri sudetti 
																devono essere 
																benvisti al 
																ditto padre 
																Calafato ditto 
																nomine ed al 
																procuratore del 
																sudetto 
																venerabile 
																Collegio a 
																segnocchè se le 
																pietre comprande 
																non sarranno di 
																qualità o se di 
																qualità non ben 
																lavorate non 
																lustrate a 
																specchio o non 
																ben commesse sia 
																lecito a ditto 
																padre Calafato 
																ditto nomine 
																rifiutarle per 
																rifarsi da noi 
																sudetti e 
																sottoscritti di 
																Marino e 
																Battaglia o 
																farseli fare 
																ditto padre 
																Calafato ditto 
																nomine da altri 
																virtuosi a 
																nostri danni, 
																spese ed 
																interessi con 
																doversi tutto 
																allestirsi e 
																collocarsi pel 
																mese di marzo 
																venturo 1754 per 
																pacto in pacem 
																alias come supra. 
																E questo per 
																ragione di 
																staglio tra 
																marmo, pietre, 
																lavoro, lustro e 
																tutt’altro 
																sopraditti in 
																tutto alla 
																ragione di tarì 
																otto il palmo 
																cioè tarì 8 per 
																ogni palmo 
																quadro 
																superficiale 
																apparente per 
																patto a riserva 
																però dello scudo 
																sudetto pel 
																quale sia 
																obligato io 
																sudetto e 
																sottoscritto 
																padre Calafato 
																ditto nomine 
																pagare ai 
																sudetti di 
																Marino e 
																Battaglia onze 
																... come patto. 
																In conto noi 
																sudetti e 
																sottoscritti di 
																Marino e 
																Battaglia 
																confessiamo in 
																virtù del 
																presente aver 
																ricevuto dal 
																sudetto padre 
																Michele ditto 
																nomine onze 
																cento trenta 
																quattro e lo 
																resto io sudetto 
																e sottoscritto 
																padre Michele 
																ditto nomine in 
																virtù del 
																presente m’obligo 
																soccorrere di 
																tempo in tempo 
																ai sudetti di 
																Marino e 
																Battaglia / e 
																collocato poi e 
																terminato ditto 
																servizio 
																allestirsi e 
																questo per libro 
																in potere di me 
																sudetto 
																sottoscritto 
																procuratore 
																Michele ditto 
																nomine al quale 
																come patto in 
																pace ed in 
																denari alias. Di 
																più io sudetto e 
																sottoscritto 
																Giovanni 
																Battista Marino 
																solo in virtù 
																del presente m’obligo 
																al ditto padre 
																Michele ditto 
																nomine fargli 
																per ditta chiesa 
																di ditto 
																venerabile 
																Collegio due 
																statue di marmo 
																bianco cioè una 
																della Madonna 
																Santissima e 
																l’altra di san 
																Michele Glorioso 
																siccome numero 
																sei pottini pure 
																di marmo bianco 
																da 
																perfezzionarsi e 
																consegnarsi 
																ditte statue e 
																pottini nel 
																sudetto mese di 
																marzo proximo 
																venturo 1754 
																come pacto in 
																pacem alias come 
																supra col patto 
																però che se non 
																piaceranno a 
																ditto padre 
																Michele ditto 
																nomine dovrò io 
																sudetto e 
																sottoscritto di 
																Marino rifarli a 
																mie spese come 
																patto. E questo 
																per ragione di 
																staglio tra 
																marmo e lavoro 
																cioè in quanto 
																alle due statue 
																a ragione di 
																onze trentadue 
																l’una ed in 
																quanto alli sei 
																pottini a 
																ragione di onze 
																cinque l’uno 
																collocate e 
																buone. […].
(ASCl, 
																Corporazioni 
																religiose 
																soppresse, vol. 
																190, ff. 331 r - 
																332 r).
																________________________
[1]          L’apertura dello Stradone, nata dalla necessità di offrire al collegio un sito piuttosto centrale all’interno della città, avviene secondo il modello della strada diritta con fondale tipico della moderna cultura urbanistica. Sulla chiesa di S. Agata si veda F. Pulci, Storia ecclesiastica di Caltanissetta, Ed. del Seminario, Caltanissetta 1977, pp. 398-406; A.I. Lima, Architettura e Urbanistica della Compagnia di Gesù in Sicilia, Novecento, Palermo 2001, pp. 173-181. Per un approfondimento sul progetto del collegio gesuitico e sul suo ruolo nel riordino urbanistico di Caltanissetta si veda il volume in corso di stampa di G. Giugno, Caltanissetta: i Moncada e il progetto di città moderna, Lussografica, Caltanissetta 2012.
[2]          Sulla figura dell’architetto gesuita Alfio Vinci di estrema importanza è il contributo di N. Aricò, Libro di Architettura. Da L.B. Alberti ad anonimo gesuita siciliano del tardo secolo XVI, vol. I, GBM, Messina 2005.
[3]          Giacomo Frini nasce a Messina nel 1543. Divenuto architetto lavora a Palermo come coadiutore di Natale Masucci per la chiesa del Gesù. Cfr. L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani. Architettura, vol. I, a cura di M.C. Ruggieri Tricoli, Novecento, Palermo 1993, p. 186; A.I. Lima, Architettura e Urbanistica…, p. XXXII.
[4]          Sulla figura di Natale Masucci si veda ibid., pp. XXII-XXIII.
[5]          Sulla figura di Tommaso Blandino si veda ibid., pp. XXII-XXIII. 
[6]          Sul ruolo di fra’ Pietro da Genova nel cantiere gesuitico si veda D. Vullo, Palazzo Moncada a Caltanissetta, in La Sicilia dei Moncada. Le corti, l’arte e la cultura nei secoli XVI-XVI, a cura di L. Scalisi, Domenico Sanfilippo Editore, Catania 2006, p. 295. 
[7]          Tra le donazioni stabilite per riformare l’immagine architettonica della chiesa ricordiamo quella di 400 onze nel 1625 voluta da Francesco Moncada, fratello del futuro principe di Paternò Luigi Guglielmo. Archivio di Stato di Caltanissetta (d’ora in poi ASCl), Not. F. Volo, vol. 1035, f. 663 r. Alla donazione di Francesco Moncada nel 1625 farà seguito quella dell’abate di Santo Spirito Gaspare Romano nel 1636, la cui volontà di trovare sepoltura nella cappella di S. Ignazio è accompagnata dall’offerta al collegio di un «crucifisso di ramo supra dorato integro come sta una con lo supradicto / quatretto della Madonna et santo Dominico con li cornici di ramo dorato supra expressato nella cappella di esso testatori et lo suo messali grandi novo» (ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 36, f. 260 r).
[8]          Sulla cappella di S. Ignazio di Loyola nella chiesa di S. Agata si veda F. Pulci, Lavori sulla…, pp. 398-406; M.R. Basta, Natura ed esotismo nei paliotti a marmi mischi della chiesa di Sant’Agata al collegio gesuitico di Caltanisetta, in Sicilia barocca. Maestri, officine, cantieri, a cura di F. Maurici, G.E. Viola, “Quaderni Lumsa”, 25, Roma 2005, pp. 73-85; S. Piazza, I colori del Barocco. Architettura e decorazione in marmi policromi nella Sicilia del Seicento, Flaccovio, Palermo 2007, pp. 57-59; G. Giugno, La cappella di Sant’Ignazio di Loyola…, pp. 40-48.
[9]          Il riordino della cappella di S. Ignazio avviato dopo la morte nel 1688 dell’abate Giuseppe Sbernia è diretto da padre Geronimo Sbernia, nominato dall’ecclesiastico amministratore dei suoi beni (ASCl, Not. G. Falci, vol. 886, f. 5 r; ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 30, s.n.). Un codicillo testamentario dell’abate afferma che qualora non fosse stata concessa a Sbernia sepoltura nella chiesa di S. Agata, bisognava in tal caso devolvere l’intera somma di denaro prevista per la trasformazione della cappella alla chiesa di San Sebastiano, «ad effetto in quella fondarsi l’oratorio della congregazione di san Philippo Neri delli padri dell’Olivella» (ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 30, s.n.).
[10]        Cfr. infra Doc. 1.
[11]        Sulla collaborazione artistica tra Francesco Natale Juvarra e Francesco Lo Judice si veda G. Musolino, Argentieri messinesi tra XVII e XVIII secolo, Di Nicolò, Messina 2001, pp. 139-153; G. Musolino, L’ostensorio della chiesa di San Giorgio a Modica e l’attività “eccellentissima” di Francesco Lo Judice e Francesco Natale Juvarra. Proposte ed ipotesi, in Il Tesoro dell’Isola. Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, a cura di S. Rizzo, vol. I, Giuseppe Maimone, Catania 2008, pp. 191-205. Sul rapporto con Giacomo Amato si veda D. Malignaggi, L’effimero barocco negli studi, rilievi e progetti di Giacomo Amato conservati alla galleria regionale di Sicilia, in “BCA Sicilia”, a. II, ff. 3-4, Palermo 1981, pp. 27-41, nota 18.
[12]        Pasquale Amato o d’Amato, scultore messinese, pare sia l’ideatore del monumento funebre dell’arcivescovo Migliaccio nel duomo di Messina, realizzato con i fratelli Antonio e Biagio nel 1728. Cfr. S. Bottari, Il Duomo di Messina, La Sicilia, Messina 1929. 
[13]        Cfr. infra Doc. 2. 
[14]        A causa della mancata esecuzione del progetto juvarriano verrà chiesto ai «marmorari» di costruire un nuovo paliotto in un’unica tavola marmorea con l’uso di pietre dure «ut vulgo dicitur nuovo turchino, novo corallo, nova venturina e novo lapislazoli» (ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 188, f. 354 r).
[15]        Dopo la trasformazione della cappella di S. Ignazio la Compagnia intende tradurre in chiave monumentale anche la prospiciente cappella di San Francesco Saverio, con un progetto architettonico e decorativo del tutto simile a quello juvarriano. Ciò viene documentato nel 1730 dal testamento di Ludovico Morillo, che dispone il pagamento di 100 onze per «abbellire la ditta venerabile cappella, con colonne e statue marmorie come quella in frontispitio di Sant’Ignazio Lojola […] che deve essere marmoria rabiscata con statue e metterci li miei armi» (ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 58, f. 79 r). Un nuovo legato giunge alla cappella nel 1738, con l’ingresso nella Compagnia del barone Michele Calafato, «pro donazione di ditta chiesa in edificio di marmo o pure d’argento per servigio di ditta cappella». (ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 39, f. 566 r). 
[16]        ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 188, f. 526 r.
[17]        ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 186, f. 500 r.
[18]        ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 186, f. 431 r.
[19]        ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 188, f. 347 r.
[20]        ASCl, Corporazioni religiose soppresse, vol. 48, ff. 215 r-215 v.
[21]        Giovanni Battista Marino è probabilmente figlio dello scultore Giuseppe Marino, autore dell’arcangelo Raffaele posto ai piedi della statua dell’Immacolata Concezione nella piazza S. Domenico a Palermo. Assai proficuo risulta il suo operato soprattutto nella parte orientale della Sicilia. Tra le sue opere ricordiamo in particolare le statue per la balaustrata antistante la chiesa di S. Sebastiano ad Acireale realizzate nel 1754 su disegno del pittore Paolo Vasta. Cfr. U. Thieme, F. Becker, Allgemaines Lexikon der Bildenden Künstler, vol. XXIV, Verlag von E.A. Seemann, Leipzig 1930, p. 108. 
[22]        Sullo scultore Francesco Ignazio Marabitti si veda D. Malignaggi, Ignazio Marabitti, in “Storia dell’Arte”, n. 17, 1974, pp. 1-61. Sulla realizzazione dell’altorilievo per l’altare di S. Ignazio di Loyola nella chiesa dei Gesuiti di Caltanisetta si rimanda a D. Malignaggi, La scultura della seconda metà del Seicento e del Settecento, in Storia della Sicilia, vol. X, Società editrice Storia di Napoli e della Sicilia, Palermo 1981, p. 102.
[23]        La lavorazione dei manufatti marmorei per l’abside della chiesa avviene nella bottega dei maestri marmorari a Catania. Solo successivamente l’opera è trasferita a Caltanissetta. Cfr. infra Doc. 3.
[24]        Nonostante l’espulsione dei Gesuiti dall’isola nel 1767, non verrà meno l’attenzione per il decoro interno della chiesa di S. Agata. Infatti, nel tempo in cui il collegio diviene monastero delle Benedettine di Santa Croce, alcuni provvedimenti vicereali come quello del 1781 della Real Segreteria dispongono a favore della chiesa così come accade per i collegi di Trapani e Casa Professa di Palermo la somma di 466.27.15 onze, da impiegare «per le fabbriche, marmii, giogali ed arredi sacri» del tempio (ASCl, Archivio storico comunale, vol. 90, f. 165 r).

