Fra il XVII e il XVIII secolo la complessa geografia pittorica italiana non soltanto costituì, all’interno della trattatistica europea, un momento di studio e riflessione sulla varietà artistica dell’epoca, ma spesso rappresentò un elemento imprescindibile delle complesse dinamiche del collezionismo e del mercato artistico dell’epoca. In tale contesto, la storiografia regionale italiana, finalizzata a colmare le numerose lacune e omissioni delle Vite vasariane[1], favorì una visione ad ampio raggio delle diverse realtà artistiche territoriali[2], arricchendo così i principali milieux collezionistici del tempo.
In tale contesto, il recente bicentenario della morte dell’abate Luigi Lanzi (1732-1810) ha permesso agli studiosi non soltanto di riprendere la complessa figura dello storico dell’arte e filologo di Atreia[3], ma anche di sviluppare nuovi spunti e riflessioni attorno all’importanza che ricoprì la Storia pittorica nel contesto artistico italiano.
Sul finire del XVIII secolo, il patrimonio pittorico italiano fu ripreso nella sua totalità nell’opera del gesuita, considerato tutt’oggi come uno dei capofila della storiografia artistica moderna. La sua Storia Pittorica dell’Italia risulta essere il frutto di un lungo viaggio compiuto tra gli anni ottanta e novanta del Settecento che lo vide raggiungere i principali stati e ducati italiani. Il suo primo viaggio in Italia si colloca tra il 1782 e il 1783, il suo percorso toccò Bologna, Venezia, Arezzo, San Sepolcro, Rimini, Siena e San Giminiano, per dirigersi in seguito verso le regioni meridionali. A seguito del suo primo viaggio nell’Italia centrale, Lanzi fece pubblicare la Storia Pittorica dell’Italia inferiore (1789)[4], nella quale ebbe modo di approfondire i suoi studi sulla pittura fiorentina, senese, romana e napoletana, offrendo inoltre una prima classificazione delle scuole regionali del Sud. Tuttavia, una visione più completa di ciò che fu l’evoluzione pittorica italiana giunse alla fine del suo secondo viaggio che lo vide presso il Ducato di Milano, il Piemonte e la Repubblica di Genova[5], a seguito del quale pubblicò altri due volumi presso la stamperia del Remondini tra il 1795 e il 1796.
La struttura dei due ultimi volumi presenta una suddivisione supplementare all’interno della quale l’autore approfondì, nella prima parte, uno studio sulla pittura lombarda e, nella seconda, una visione più precisa della scuola bolognese, genovese e piemontese.
Preceduto da uno studio analitico delle fonti locali secentesche e dalle sue ricerche sull’arte antica edite in diversi volumi[6], la pubblicazione della Storia Pittorica fornì quindi una prima classificazione degli artisti che contribuirono allo sviluppo della cultura figurativa della penisola, abbozzando un primo studio metodologico sull’evoluzione pittorica italiana e sui rapporti intrattenuti tra le diverse aree geografiche della penisola[7]. I tre volumi vennero pertanto ripartiti seguendo l’ordine seguente: nel primo tomo, la scuola fiorentina, senese, romana e napoletana; nel secondo, la scuola veneta e quelle lombarde, ulteriormente suddivise in mantovana, modenese, parmigiana, cremonese e milanese; infine, nel terzo, l’autore trattò per la prima volta le scuole bolognesi, ferraresi e genovesi, consacrando poi gli ultimi capitoli alla pittura piemontese.
Julius von Schlosser, all’interno della sua Letteratura artistica,mostrò nei riguardi di Lanzi un’attenzione particolare, attribuendogli non soltanto il merito di una prima sistemazione della pittura italiana[8], mettendo l’accento sull’aspetto evoluzionistico, ma di aver portato avanti un vero e proprio studio metodologico fino ad allora ʽmai superatoʼ sull’arte figurativa delle diverse regioni italiane[9]. Occorre tuttavia segnalare che le considerazioni dello storico dell’arte italo-viennese risultano ancorate ad una concezione profondamente italocentrica, mostrandosi ben più contenuto nei giudizi espressi a riguardo della produzione storiografica europea e in particolar modo francese, rea, a detta dell’autore, di non aver prodotto una letteratura artistica «equivalente a quella italiana»[10].
In tale contesto la rilettura della trattatistica d’oltralpe restò al di fuori di un’indagine più approfondita, il cui apporto alla codificazione delle scuole regionali fu spesso accantonato in virtù di una cultura italiana dominante[11]. In realtà, lo stesso Lanzi non solo ammetteva l’esistenza di diversi volumi sulla produzione artistica italiana e antecedenti alla sua Storia Pittorica[12], ma non esitò altresì a menzionare tra le opere più rilevanti il noto Abregé de la vie des plus fameux peintres del naturalista francese Antoine Joseph Dezailler d’Argenville (1680-1765):
Uscirono, è vero, in Francia le vite de’ pittori più celebri delle nostre scuole scritte da Mr. d’Argenville d’una maniera molto sugosa e istruttiva; e seguì appresso qualche altra epitome ove solamente si parla del loro stile. Ma dissimulando le alterazioni fatte quivi a’ nomi nostrali, e trapassando sotto silenzio i bravi italiani omessi in quelle opere, che pur considerano i mediocri d’altri paesi; niuno di tali libri […] dà il sistema della istoria pittorica, niuno di essi espone que’ quadri, per così dire, ove a colpo d’occhio si vede tutto il seguito delle cose: gli attori principali dell’arte collocati nel maggior lume; gli altri secondo il merito degradati più o meno e adombrati o lasciati nello sbattimento. Molto meno vi si trovano quell’epoche e que’ cangiamenti dell’arte che sopra ogni cosa cerca un lettor pensatore: perciocché quindi apprende ciò che ha contribuito al risorgimento o alla decadenza[13].
Tale affermazione lascia intendere quanto la sistematizzazione adottata dall’autore si ponesse alla fine di uno studio già tracciato precedentemente all’interno degli ambienti accademici tra il XVII e il XVIII secolo. Del resto, sebbene l’Abrégé di questo autore, come ricorda il Lanzi, mostrasse diverse carenze tra le quali un’analisi stilistica completa e sufficientemente strutturata delle diverse realtà regionali, all’interno dei circoli artistici e letterari d’oltralpe, esso comunque costituì un importante approfondimento degli studi affrontati fino ad allora sull’arte italiana. Diverso per origine e finalità dall’opera del gesuita, l’Abrégé di Dezailler, pubblicato per la prima volta in tre volumi tra 1745 e il 1752 e successivamente ampliato e ridato alle stampe nel 1762, si poneva come tentativo di completare uno studio sulla pittura. Infatti a partire dall’età barocca, il mercato artistico francese, nato intorno agli ambienti accademici dell’epoca e spesso segnato da copie e contraffazioni, visse un importante incremento.
Con la nascita nel 1648 dell’Académie Royale de Peinture et Sculpture[14], lo scenario artistico d’oltralpe fu teatro del configurarsi di un approccio tecnico-teorico sempre più uniformato. Prima istituzione artistica dello stato, l’accademia parigina non soltanto ebbe il compito di formare i giovani artisti, ma fornì anche, attraverso una ricca trattatistica, alcuni modelli critico-interpretativi ben definiti per aiutare i conoscitori e i collezionisti nella scelta delle opere d’arte.
A tale riguardo, un primo approccio alla varietà pittorica italiana sembra essere riconducibile a uno sguardo più generale nei riguardi del cromatismo e del disegno che, come risaputo, divennero nel corso del Seicento un soggetto di capitale importanza per il corretto discernimento delle diverse maniere di dipingere[15]. In tale contesto sembra porsi in prima istanza la figura dell’incisore e accademico Abraham Bosse (1604-1676)[16], autore nel 1649 dei noti Sentiments sur la distinction des diverses manières de peinture, dessin et gravure[17]. L’opera in questione, oltre ad offrire un primo aiuto a coloro i quali avessero voluto avvicinarsi per la prima volta all’arte della pittura e del disegno, mostrava infatti una certa attenzione anche agli amateurs desiderosi di una linea guida nella scelta dei quadri. Bosse infatti, nel ricordare i motivi che lo spinsero alla stesura del suo trattato, non esitò a riportare le difficoltà a cui dovettero far fronte numerosi collezionisti nella scelta delle pitture, cercando di offrire loro i mezzi necessari al discernimento degli originali dalle copie:
Ces Curieux-cy trouvent que ce seroit une curiosité trés imparfaites, d’avoir des tableaux et ne sçavoir s’ils sont bons ou mauvais, ny qui les peut avoir faits, et qu’il n’y a guère d’assurance de faire acheter de telles choses par autruy, si l’on le peut faire soy-mesme, à cause qu’il y a des Curieux soy disant connoissant en icelles et mesme des Praticien qui s’y sont souvent trompez, sans y comprendre ceux qui se meslent de tromper les autres[18].
Accostandosi alle teorie espresse dagli italiani Giulio Mancini (1558-1630)[19] e Filippo Baldinucci (1624-1697)[20], Bosse non si limitò ad indicare la freschezza e la genuinità come strumenti essenziali per la distinzione di originali dalle loro copie, ma al fine di rendere servizio ai collezionisti, spesso vittime di sedicenti conoscitori, l’autore introdusse per primo il colorito e il disegno dei corpi come elementi essenziali per la distinzione delle diverse maniere e della loro provenienza geografica:
Toutefois si je ne me trompe, je croy qu’il y a aussi bien une forte maniére ou bon goust de Colorer, qu’une de la proportion, & comme il se remarque des Alterations & différences és proportions en l’airs de plusieurs Figures vivantes de divers païs; […] de mesme il se peut aussi faire qu’il y peut avoir une belle vigueur & proprortion de Colory, puis que mesme il nous apparoist assez ordinairement par les diverses Nations, comme aux païs froids, que l’un en sa proportion paroist foible, & que la couleur de sa chair en demontre aussi la mesme chose & qu’au contraire il se il se recontrera qu’un d’un autre païs chaud, paroist fort & vigoureux en toute ses parties, & pareillement en son Coloris»[21].
Lo stesso concetto venne ripreso ed ampliato all’interno de Le Peintre Converty (1667) dove Bosse indicò i nomi di alcuni artisti cardine della produzione italiana tra il XVI e il XVII secolo:
Vous avez eu autrefois en Italie de tres-grands Peintres, & entre autres L. de Vinci, André Manteigne, M. Ange, puis l’Excellent Raphaël d’Urbin, Jules Romain son disciple, le Georgeon, le Titian, le Corrège et plusieurs autres en suitte dans l’Estat Venitien; puis les Carraces, le Dominicain, le Guide Etc... tous grands hommes en cet Art[22].
L’approccio dell’incisore nei riguardi della produzione artistica italiana risulta alquanto profetico. Individuando tre realtà stilistiche e regionali, l’autore infatti non si limitò a riportare i nomi dei più noti pittori attivi tra il XVI e il XVII secolo tra cui Raffaello Sanzio, Giulio Romano e i bolognesi Carracci, ma collocò artisti come il Giorgione, il Tiziano, Correggio e «molti altri a seguire», all’interno di un ipotetico contesto geografico e politico della regione veneta. Tale identificazione, seppur non ancora determinante ai fini attribuzionistici delle singole scuole locali, rappresentava tuttavia un primo passo verso la classificazione regionale italiana che, nella trattatistica successiva, vide le opere stesse divenire un importante strumento di distinzione.
Le osservazioni dell’incisore furono infatti riprese e sviluppate qualche anno più tardi all’interno dei noti Entretiens sur les ouvrages des plus excellents peintres (1666-1688) dell’accademico André Félibien (1619-1695), dove la suddivisione stilistica delle diverse realtà pittoriche prese contorni leggermente più definiti. L’autore infatti, nel riportare i pittori più illustri del tempo, non mancò di associarli a determinate caratteristiche tecnico-stilistiche proprie dei luoghi di provenienza e formazione:
Vous pouvez remarquer dans ceux [tableaux] de Raphël & des Peintres de son école, le beau choix qu’ils ont fait de toutes les parties qui composent un excellent ouvrage. Vous le voyez encore dans ces grands Peintres Lombards, qui véritablement se sont plus attachez à ce qui regarde la couleur, qu’à ce qui est du dessein, & à ce qu’on appelle le Costume[23].
L’accademico suddivise la pittura italiana in due macro aree, contrapponendo il colore al disegno. A tale riguardo risultano interessanti le considerazioni dell’autore circa l’opera di Nicolas Poussin il quale, avendo appreso l’arte del disegno attraverso l’opera dei classici e della scuola romano-fiorentina, non poté fare a meno di apprezzare l’uso del colore del veneto Tiziano Vecellio:
Cependant je voy pas qu’il n’ait bien pu considérer les ouvrages du Titien, quoy-qu’il se soit pas attaché à les copier servilement; et j’ay sçeû du Poussin mesme combien il estimoit sa couleur, et le cas particulier qu’il faisoit de sa manière de toucher le païsage[24].
L’importanza degli Entretiens sembra pertanto risiedere nell’aver anticipato le teorie che, da lì a poco, sarebbero divenute oggetto di numerosi dibattiti e querelles all’interno degli ambienti accademici parigini. L’individuazione di due caratteristiche peculiari quali il colorito e il disegno come possibili elementi codificatori di una determinata produzione pittorica, si rivelò difatti determinante per le teorie sviluppate dal diplomatico e accademico Roger de Piles (1635-1709)[25]. Estremo difensore del cromatismo veneto, de Piles non esitò a ricondurre all’interno del suo noto Dialogue sur le coloris l’elemento cromatico alla scuola veneta, attribuendo ad artisti quali Tintoretto, Paolo Veronese e soprattutto al Tiziano, non soltanto la supremazia del colore, ma il merito di aver contribuito al perfezionamento della pittura nord-europea. All’interno del suo pamphlet l’autorepose l’operato di Tiziano come causa di un’accesa discussione tra due distinti accademici:
Voilà, s’écria brusquement Damon, le sujet de nostre querelle, & se tournant vers Pamphile: He bien, dit-il, voilà de quoy vous satisfaire, puisque vous aimez tant le beau coloris[26].
L’importanza della componente cromatica comparì anche nel volume Conversations sur la connaissance de la Peinture et sur le jugement qu’on doit faire des Tableaux (1677) e, successivamente, all’interno delle Dissertations sur les ouvrages des plus fameux peintres (1681) dove, secondo l’autore, l’arte dei grandi maestri veneti comportò un punto di svolta per la pittura fiamminga e, soprattutto, per quella dell’anversiano Pietro Paolo Rubens[27]:
Titien a sçue parfaitement l’accord et la force des couleurs; principalement dans les figures particulières qu’il travaillées avec un soin qui les rends égale à la Nature; Rubens a possédé toute ces choses, et si l’on trouve qu’il ait esté surpassé par l’exactitude du Titien en voyant leurs ouvrages de près, il s’est mis au dessus de luy quand ces mesme ouvrages son regardés dans leur distances, parce qu’il a connu plus parfaitement encore la force de ses couleurs, il les a montées plus haut, et a poussée plus loin l’intelligence des groupes & l’économie du tout-ensemble[28].
Nel 1699, da poco eletto Conseiller Honoraire dell’Accademia parigina, l’autore diede alle stampe la prima edizione il suo Abrégé de la vie des Peintres. L’opera dell’accademico, suddivisa in sei volumi, di cui il primo dedicato alla pittura greco-romana antica, proponeva una visione ad ampio raggio delle principali realtà pittoriche europee quali la scuola fiammingo-tedesca, quella francese e, infine, le tre scuole italiane già menzionate all’interno degli Entretiens: la scuola romano-fiorentina, quella lombarda[29] all’interno della quale figurava anche quella bolognese di matrice carraccesca, e per ultima quella veneta, rappresentante assoluta delle sue teorie coloriste.
Roger de Piles, pur attingendo dal suo predecessore e dalla storiografia secentesca italiana[30], offrì una prima visione più strutturata delle diverse realtà italiane. Alla base dell’Abrégé andava a prendere forma quanto già abbozzato qualche anno prima all’interno del suo Cours de Peinture par principes, dove l’autore attribuì alle tre scuole di pittura precise particolarità e caratteristiche:
Le goût Romain est une idée des ouvrages qui se trouve dans Rome [...] toutes ces choses consistent principalement dans une source inépuisable des beautés du dessein, dans un beau choix d’attitude, dans la finesse des expressions, dans un bel ordre de plis & dans un style élève ou les anciens ont porté la nature, & après eux les modernes depuis près de deux siècle. […] Le goût vénitien est opposé au goût romain, en ce que celui-ci a un peu trop néglige ce qui dépend du coloris, & celui-la ce qui dépend du dessein[...]. Le goût Lombard consiste dans un dessein coulant, nourri, moelleux, & mêle d’un peu d’antique & d’un naturel bien choisi, avec des couleurs fondues, fort approchantes du naturel & employée d’un pinceau léger[31].
Tuttavia è interessante notare che l’autore non esitò ad affiancare all’idea di maniera e di scuola, il termine gusto,inserendo le scuole italiane citate all’interno di un contesto ben più specifico. Come riporta egli stesso all’interno dell’introduzione, la scelta delle tre scuole di pittura non sembra solo dettata dalla consultazione di testi e della trattatistica coeva e precedente, ma risulta essere fortemente ancorata a quel gusto d’oltralpe che dominò il mercato artistico dell’epoca:
Je ne parle que des principaux Peintres, c’est-à-dire, de ceux qui ont contribué au renouvellement de la Peinture, ou qui l’ont élevée au degré de perfection, dans lequel nous la voyons, ou enfin dont les ouvrages ont entrée dans les cabinet des curieux[32].
L’accademico sostenne infatti di aver voluto trattare soltanto quegli artisti che, nel corso della loro vita, ebbero modo non soltanto di contribuire al rinnovamento della pittura, raggiungendo così il più alto grado di perfezione, ma anche quei pittori che riuscirono ad ottenere un posto di riguardo presso i cabinets dei collezionisti.
A conferma di quanto affermato da Piles, si collocano le pubblicazioni riguardanti le principali collezioni francesi apparse tra l’età barocca e la prima metà del Settecento. Tra queste si annoverano la collezione del cardinal de Richelieu – pubblicata dallo stesso de Piles nel 1681 –, o il noto Cabinet di M. de Scudery[33] e, soprattutto, l’opera dell’incisore parigino François Bernard Lépicié (1698-1755), il Catalogue raisonné des tableaux du Roy.Pubblicato nel 1752, il primo volume di Lépicié comportava inoltre un compendio delle vite degli artisti le cui opere erano presenti all’interno delle collezioni reali:
Je divise d’abord cette collection par écoles: je donne un abrégé de la vie des Artistes dont les ouvrages se trouvent dans ce magnifique Receuil: je trace une légère idée de leurs talens, de leurs progrès et de leur façon d’opérérer […] Ce premier volume contiendra l’École Florentine et l’École Romaine: je donnerai les autres Écoles dans le même ordre: elles sont déjà fort avancées et je ne compte pas en interrompre le travail[34].
Il secondo tomo dell’incisore venne dato alle stampe due anni dopo, nel 1754, mostrando difatti una certa coerenza con la suddivisione regionale espressa dai suoi predecessori. Nella prefazione al volume, Lépicié infatti riportò soltanto la vita dei pittori veneti e lombardi, proponendo le caratteristiche già evidenziete da Piles:
J’ai rendu compte dans l’Avvertissemt de la premiére partie, qui contient l’École Florentine et l’École Romaine, du plan que je me suis fait, et dont je ne m’écarterai point pour la suite du Catalogue. Je donne aujourd’hui l’École Vénitienne et l’École Lombarde; l’une et l’autre recommandables par la beauté du coloris et le grand goût du dessein, mais non au même degré d’élégance et de correction, pour cette dernière partie, que l’École Romaine[35].
I volumi di Lépicié dimostrano non solo l’impatto che l’Abrégé di de Pilesebbe sulla trattatistica e la storiografia successiva, ma anche quanto l’opera dell’accademico risultasse poco completa e lacunosa, poiché portava avanti un approccio di conoscenza alle scuole pittoriche che dominò lo scenario artistico e teorico francese fino al XVIII secolo. L’imporsi di una rigida ripartizione stilistica all’interno della trattastistica d’oltralpe riconobbero poi un ulteriore riscontro da parte del poliedrico Claude-Henri Watelet (1718-1786) all’interno del sua opera in versi L’Art de peindre, poème, avec des réflexions sur les différentes parties de la peinture. L’artista e letterato, pur non considerando le due componenti, quella colorista e quella disegnativa, come strumenti sicuri per la classificazione regionale italiana[36], le collocò nondimeno alla base del corretto apprendimento dell’arte pittorica. Watelet dedica i primi due capitoli della sua opera all’importanza del disegno e del colore, ricollegando al primo la figura di Raffaello, meritevole di aver riportato l’antico ad un nuovo splendore:
Mais vous aviez prévu des siècle plus heureux:
Des Princes bienfaisant devoient combler vos vœux.
Vous vintes enlever, à l’aide des ténèbres;
Trésor que Raphaël, avide de succès;
Déterra pour guider ses rapides progrès[37].
Watelet, come Bosse e Piles, relativamente al colorito vide in Tiziano non soltanto l’iniziatore, ma gli attribuì il merito di aver ʽepuratoʼ il linguaggio pittorico proprio come François Malherbe epurò la lingua francese attraverso la sua poesia:
Enfin, lorsqu’Apollon, du sommet du Parnasse,
Daigne instruire les Arts, par la bouche d’Horace,
On voit tout à la fois, près du Musicien,
Se former un Malherbe, et naître un Titien[38].
L’adesione d’oltralpe alle due realtà pittoriche appare ancora più esplicita se comparata alla ricca letteratura odeporica apparsa tra il XVII e il XVIII secolo e l’approccio dei francesi al patrimonio artistico italiano. A tale proposito risultano essere particolarmente interessanti le osservazioni di due viaggiatori d’eccezione quali l’imprimeur François Jacques Deseine (?-1715) e il missionario Gabriel-François Coyer (1707-1782), le cui impressioni sul patrimonio artistico e pittorico si focalizzarono sulla produzione colorista e classicista. Se Deseine, all’interno del suo Nouveau Voyage d’Italie (1699), non esitò a considerare la regione veneta come la migliore d’Italia in virtù della sua tradizione pittorica[39], l’abbé Coyer, in una lettera redatta da Bologna, non esitò a decantare la reputazione della scuola bolognese, tra i cui principali interpreti si annoveravano i Caracci, Guido Reni e il Domenichino:
En fait de peinture, vous savez quelle réputation a eu l’École de Boulogne. Elle fut ouverte par les Caraches. Le Guide, le Dominiquin, & l’Albane, en sont sortis. Chaque palais offrent des trésor en ce genre. Les Madones même qui sont fermées ça & là sur les portiques qui bordent les rues, sont, en grand partie, des meilleurs maîtres[40].
In realtà, sebbene le pubblicazioni coeve o appena successive confermino la rilettura delle scuole italiane proposte dai savants académiciens, altri volumi apparsi in Francia nel corso del XVIII secolo lasciano trasparire una realtà ben più eterogenea e ricercata. All’interno della letteratura artistica francese settecentesca, a fianco ai nomi degli artisti veneti e bolognesi, iniziarono a comparirne altri più periferici, di norma omessi dalla trattatistica coeva. A tale riguardo risulta essere sintomatico il caso degli Inventaires des collections de la couronne stilati tra il 1709 e il 1719 da Nicolas Bailly. A differenza di quanto proposto da Piles e Lépicié, Bailly collocò fra le opere italiane presenti nella collezione un quadro del genovese Benedetto Castiglione (1609-1664) raffigurante un pastore con greggi, opera conservata in origine a Versailles presso gli appartamenti del Duca di Bourgogne:
Un tableau représentant un Pasteur menant un troupeau de vaches et autres animaux; figures de 22 à 24 pouces; ayant de hauteur 3 pieds 7 pouces et demi sur 5 pieds un pouce, il a été rehaussé de 7 pouces et demi et élargi de 17 pouces; dans sa bordure dorée. Versailles. Appartement de Mgr le duc de Bourgogne[41].
La presenza di un esponente della scuola genovese all’interno delle collezioni reali, lascia intendere di fatto una varietà stilistica di ben più ampio respiro, dove però le realtà pittoriche italiane dovettero soccombere sotto il peso di una teoria artistica dominante. In tale contesto, i volumi di Dezailler D’Argenville dovettero rappresentare un punto di svolta, una significativa rottura degli schemi convenzionali adottati sino a quel tempo. Sebbene il suo Abrégé des la vies des plus fameux peintres evidenzi diverse affinità con le opere dei suoi predecessori, tra cui la predilezione per la scuola fiamminga cinque-seicentesca[42] o, ancora, una disposizione non dissimile da quella adottata in precedenza[43], l’opera del naturalista francese mostra evidenti modifiche e accorgimenti. Dezailler D’Argenville infatti, si preoccupò anche di fornire una visione ad ampio raggio delle singole scuole pittoriche della penisola accostando alle tre scuole già analizzate da Roger de Piles, quella spagnola-napoletana e genovese.
Fra i pittori citati all’interno dell’Abrégé si contano infatti molti nomi mai apparsi prima all’interno della storiografia secentesca d’oltralpe e, probabilmente, desunti dalla più recente letteratura italiana[44]. Fra gli artisti menzionati da Dezailler figuravano Mattia Preti, Salvator Rosa e Luca Giordano, per quanto riguarda la scuola napoletana, mentre gli artisti Luca Cambiaso, Benedetto Castiglione, Valerio Castello e Giovan Battista Gaulli tra i più importanti esponenti di quella genovese.
Tuttavia, come ricorda lo stesso Lanzi, all’opera di Dezailler d’Argenville seguirono nel corso del Settecento altre antologie[45], tra le quali meritano particolare attenzione l’Extrait des différents ouvrages publiés sur la vie des peintres di Denis Pierre Jean Papillon de La Ferté (1727-1794), all’epoca Intendant français des Menus plaisirs de la Maison du roi.
Autore di diversi trattati sulle scienze matematiche e l’architettura militare[46], nonché esperto conoscitore d’arte e collezionista, Papillon de la Ferté raggruppò le principali notizie sui pittori apparse fra il XVII e il XVIII secolo fra cui compaiono le opere dei nordici Karel Van Mander, Houbraken e Joachim von Sandrart, quelle degli italiani Giorgio Vasari, Ridolfi, Boschini e Soprani e, soprattutto, quelle dei francesi Félibien, de Piles e D’Argenville, riproponendone la struttura e lo schema narrativo.
Ancora una volta, all’origine degli Extraits, si manifesta l’esigenza di fornire agli amatori e ai collezionisti dell’epoca gli strumenti necessari al discernimento dei pittori e delle loro maniere[47]. Sebbene all’interno dei suoi volumi non compaiano altre scuole rispetto a quelle già elencate da Dezailler, le considerazioni espresse da Papillon de la Ferté sulle diverse realtà regionali permettono lo schiudersi di importanti riflessioni sull’argomento. Dopo aver riportato un breve compendio sulle vite dei pittori antichi, l’autore cercò di far luce sulle ragioni di una prima definizione di ʽscuola pittoricaʼ, approfondendo quanto già accennato da Abraham Bosse nel secolo precedente:
Quoique chaque peintre prenne la Nature pour modèle, il imprime encore à ses ouvrages un caractère particulier, qui est le résultat de ses qualité individuelle & morales. Les habitants d’un même pays rassemblant une plus ou moins grande partie de ces qualités ont paru agités par la même impulsion: leur goût a semblé le même. Il est devenu comme l’accent national qui les a fait connoître. C’est cette marque frappante à laquelle on a donné le nom d’école[48].
Secondo Papillon de la Ferté, la qualità di ogni buon pittore risiederebbe non soltanto nella la sua creatività, ma, soprattutto, nella capacità di restare fedele all’identità culturale del proprio paese d’origine. Tale riflessione risulta comunque assai più insidiosa quando l’autore affronta la vita di quei pittori non afferenti alle scuole già conosciute. Riferendosi alla produzione genovese e napoletana, l’autore non impiegò il nome ʽscuolaʼ, ma si limitò ad indicarle con il termine ʽclasseʼ, in quanto non capaci di contrarre una maniera più affine alla cultura di provenienza:
Nous en distinguerons huit, sçavoir: l’École Romaine, la Florentine, la Vénitienne, la Lombarde, l’Allemande, la Flamande, la Hollandoise & la Françoise. Nous ferons aussi deux Classes, & non pas deux Écoles des Peintres Napolitains & Génois, & des Peintres Espagnols, parce que les Artistes de ces nations n’ont point contracté une manière assez respectivement propre aux lieux de leur origine, pour qu’on doive leur assigner le titre d’École[49].
Vale la pena ricordare che il termine ʽClasseʼ, impiegato da Papillon de la Ferté era già adottato nel XVII secolo da Filippo Baldinucci nelle Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua’ (1681). Come noto, l’autore fiorentino definì come pittori di «prima classe» coloro i quali, attraverso la loro arte, contribuirono per primi alla nascita della pittura italiana, offrendo una netta distinzione tra pittori di primo e secondo livello[50]. Papillon de la Ferté, pur riprendendo la scuola genovese e napoletana trattate da D’Argenville, ne volle mettere in evidenza soltanto la mediocre qualità, soprattutto in comparazione alle scuole già trattate e conosciute, le quali, attraverso il disegno o il colorito, assursero a modello e al tempo stesso strumento di analisi per la suddivisione delle scuole pittoriche.
I volumi di D’Argenville e di Papillon de la Ferté mostrano quindi un cambiamento parziale, restando ancorati a una ripartizione accademica risalente al XVII secolo. Nel corso del Settecento l’ambiente accademico restò infatti al centro delle nuove teorie estetiche che stavano nascendo all’interno dei salons e dei circoli culturali dell’epoca, contaminando anche il pensiero e la critica del filosofo Denis Diderot (1713-1784) la cui formazione trovava origine nei trattati di Jean Cousin (v.1490-v.1560), Fréart de Chambray (1606-1676), Charles Le Brun (1619-1690) e del sopra citato Roger de Piles[51].
L’aderenza di Diderot alle teorie dei savants peintres secenteschi risulta lampante soprattutto nei noti Essais sur la Peinture,dovela ripartizione adottata dalla storiografia dell’epoca restava alla base delle sue riflessioni. L’autore, pur rivendicando il bisogno di una pittura in grado di stupire l’osservatore attraverso le sue composizioni, lasciando quasi in secondo piano l’aspetto tecnico dell’opera[52], non poté esimersi dal chiedersi quanto alcuni concetti stilistici fossero ancora radicati nella mente dei conoscitori:
Mais la peinture n’offre-t-elle pas la même question à résoudre? Quel est le grand peintre, ou de Raphaël que vous allez chercher en Italie, et devant lequel vous passeriez sans le reconnaître , si l’on ne vous tirait pas par la manche, et qu’on ne vous dît pas, le voilà; ou de Rembrandt, du Titien, de Rubens, de Van Dick, et de tel autre grand coloriste qui vous appelle de loin , et vous attache par une si forte, si frappante imitation de la nature, que vous ne pouvez plus en arracher les yeux?[53].
Alla luce di quanto emerso dalla lettura e dall’analisi dei testi presi in esame, le considerazioni di Julius von Schlosser nei riguardi della trattatistica e della storiografia d’oltralpe meriterebbe un’analisi più approfondita. L’approccio degli autori francesi nei riguardi della pittura regionale italiana, risulta essere infatti assai più complessa rispetto a quanto osservato dallo studioso. Vale la pena evidenziare che, sebbene l’innovazione apportata dalla Storia Pittorica dell’Italia, a metà strada tra studio filologico e rivalutazione di un patrimonio esteso al di là dei confini regionali, rappresentasse una prima visione a tutto tondo della produzione pittorica italiana, è altrettanto vero che l’autore ebbe una libertà stilistico-interpretativa ben maggiore rispetto agli autori francesi contemporanei. Alla base di tale differenza si poneva infatti un approccio metodologico e una concezione artistica totalmente diversi e mai del tutto compresi dal Lanzi, il quale considerò la trattatistica d’oltralpe come ancorata ad una mera rilettura stilistica delle scuole pittoriche trattate.
In realtà le ragioni di tale atteggiamento sembrano per contro profondamente legate alla fondazione di un’istituzione accademica centralizzata e sempre più dominante, i cui precetti e teorie determinarono il gusto e gli strumenti critico-interpretativi di tutto il paese.
In Francia, una prima strutturazione delle scuole di pittura italiane nacque quindi all’interno di una trattatistica avente come obiettivo non soltanto l’apprendimento dell’arte del disegno e della pittura, ma anche quello di offrire un primo prontuario teorico per gli amateur. Ciò sembra trasparire non soltanto nei volumi dei secenteschi Bosse, Félibien e Piles, ma anche nelle teorie estetiche di Denis Diderot e negli abrégés di Dezailler D’Argenville e Papillon de la Ferté che, pur estendendo lo studio dell’arte italiana ad altre realtà regionali, non mancarono di attribuire una supremazia stilistica alle tre scuole già conosciute e apprezzate nei principali milieux culturali d’oltralpe.
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1 Come ricorda Ferdinando Bologna, la riscoperta di un’identità regionale sembrerebbe infatti riconducibile alla riedizione secentesca delle Vite di Giorgio Vasari a cura di Carlo Manolessi (16..?-1659?). Per ulteriori approfondimenti sull’argomento si rimanda al contributo Municipalismo seicentesco e prima valutazione dei centri artistici locali come «nazioni» storico-culturali autosufficienti, pp. 135-140, in La coscienza storica dell’arte d’Italia, a cura di F. Bologna, UTET, Torino 1982.
2 Di tal sorta, importanti opere quali Le Maraviglie dell’arte, ovvero Le vite degli Illustri Pittori Veneti e dello Stato, (1648) di Carlo Ridolfi (1594-1658), Le vite de’ pittori, scoltori et architetti genovesi (1674) del genovese Raffaele Soprani (1612-1672) o, ancora, la Felsina Pittrice (1678) di Carlo Cesare Malvasia (1616-1693), rappresentarono, come vedremo in seguito, un punto di partenza per la comprensione di una realtà artistica complessa ed eterogenea.
3 Si fa qui riferimento al recente volume miscellaneo 1810-2010. Luigi Lanzi: archeologo e storico dell’arte, a cura di M.E. Micheli e G. Perini Folesani, Empatiabook, Corridonia 2012. Per ulteriori approfondimenti si veda anche il volume di M. Rossi, Le fila del tempo. Il sistema storico di Luigi Lanzi, Olschki, Firenze 2006.
4 Per ulteriori approfondimenti sulla Storia Pittorica di Luigi Lanzi, si faccia riferimento al volume di Chiara Gauna, La Storia Pittorica di Luigi Lanzi. Arti, storia e musei nel Settecento, Olschki, Torino 2003.
5 Cfr. G. C. Sciolla (a cura di), Viaggio del 1793 pel Genovesato e il Piemonte di Luigi Lanzi, Libreria Editrice Canova, Treviso 1984, p. XIII-LVIII.
6 Si fa qui riferimento alle sue pubblicazioni sulla produzione etrusca e romana, tra le quali si ricordano le Notizie preliminari circa la scoltura degli antichi e vari suoi stili (Roma 1785-1789), e il noto Saggio di lingua etrusca e di altre antiche d’Italia per servire alla storia de’ popoli, delle lingue e delle belle arti, pubblicato a Roma in tre volumi nel 1789).
7 Per uno studio più approfondito sull’argomento si rimanda all’interessante contributo di Paolo Pastres, Lanzi e le scuole pittoriche, pp. 185-232, in 1810-2010. Luigi Lanzi….
8 A tale proposito sono noti i giudizi espressi dal Lanzi nei confronti di Della Valle, accusato di prediligere le fonti documentarie all’aspetto stilistico degli affreschi senesi. Cfr. C. Gauna, La Storia Pittorica…, pp. 173-177.
9 «Un’opera di erudizione diligentissima e di notevole acume, molto importante anche formalmente [...] sia nel senso nazionale per il suo attenersi allo schema della storia degli artisti, sia in quello più antico per la sua limitazione al ʽRisorgimentoʼ, che per l’arte e la letteratura italiana ha un senso tutto diverso che altrove non avendo questa conosciuto un ʽMedio Evoʼ nel senso settentrionale. La Storia del Lanzi è tuttora unica come esposizione d’insieme, e non superata, e per questo suo carattere dovrà interessare anche in un avvenire non lontano». J. v. Schlosser, La letteratura artistica: manuale della fonti della storica dell’arte moderna, La Nuova Italia, Firenze 2000, p. 486.
10 Ibidem, p. 481.
11 Lo scetticismo di Schlosser nei riguardi della letteratura artistica francese andò ad investire anche la trattatistica di epoca barocca. Lo studioso infatti scriveva: «Questa terra [la Francia], che vede nel secolo XVII la seconda ascesa della sua cultura e del suo influsso, culminante nell’epoca di Luigi XIV, assume in questo periodo anche la guida della teoria artistica. Non si tratta veramente di concetti nuovi; questo popolo, in cui la vanità fu sempre maggiore dell’ingegno, che non ha prodotto alcuna grande creazione nel massimo senso della parola». J. v. Schlosser, La letteratura artistica…, p. 627.
12 G. Nicco Fasola, Luigi Lanzi, C. Giuseppe Ratti e la pittura genovese, p. 355-400, in Miscellanea di storia ligure in onore di Giorgio Falco, “Fonti e Studi”, 6, Istituto di Storia Medievale e Moderna, Università degli Studi di Genova, 1962.
13 L. Lanzi, Storia Pittorica dell’Italia, a cura di M. Capucci, Sansoni, Firenze 1968, pp. 4-5. Come ricordava lo stesso Lanzi, la Storia Pittorica trovava le sue origini nelle teorie e negli scritti di Jonathan Richardson (1665-1745) e, in particolare, nel suo An Essay on the Theory of Painting,W. Bowyer, London 1715. L. Lanzi, Storia Pittorica.., vol. I, p. 6.
14 Per uno studio più approfondito sull’accademia parigina e i suoi influssi sulla produzione pittorica tra il XVII e il XVIII secolo, si veda C. Michel, L’Académie royale de peinture et de sculpture (1648-1793). La naissance de l’École Française,Droz, Genève 2012.
15 L’importanza del disegno nel discernimento delle opere d’arte venne ripresa anche dalla trattatistica e dalla storiografia settecentesca. Cfr. G. C. Sciolla, La Scienza del conoscitore. Dézallier d’Argenville e il disegno, in Memor fui dierum Antiquorum. Studi in memoria di Luigi de Biasio, a cura di P.C. Ioly Zavattini, A.M. Caproni, Udine 1991, pp. 439-446.
16 Per ulteriori notizie biografiche sull’incisore, si rimanda al volume di Nicole Villa, Le XVIIe siècle vu par Abraham Bosse, graveur du Roy, Paris 1967.
17 Cfr. G. Lo Nostro, Abraham Bosse maître graveur e abile mercante. Le incisioni, gli originali e le copie, pp. 8-13, in Grafica d’Arte, n. 88, 2011.
18 A. Bosse, Sentiments sur la distinction..., Cap. II – Raisons des curieux non praticiens qui se sont portez és connoissances desdites manières et dessin, Paris, chez l’auteur en Isle du palais, 1649, p. 17-18.
19 «Supposto dunque per vero che si possi dar giuditio della pittura da un huomo perito che non sappia maneggiare il pennello, l’intention mia è di propor il modo con il quale da un huomo di mediocre ingegno et giuditio naturale si possa apprendere questo giuditio et simil eruditione; per la quale, oltre al disegno che deve haver appreso […] è bisogno che sappia le seguenti cose, cioè: che sia pittura e quante siano le sue specie e i requisiti per la bontà di qualsivoglia di loro; le nationi che hanno dipinto; i tempi ne quali hanno fatto le lor pitture secondo la perfettione od imperfettione dell’arte [….], il modo vario col quale è stato dipento; et, essendo la pittura un’immittatione […], quante cose dal pittore vengono ad esse imitate». G. Mancini, Considerazioni sulla Pittura, a cura di A. Marrucchi, L. Salerno, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1956, pp. 11-12.
20 «[...] l’osservazione di quel maestrevole ardire si ricerca non solo nella franchezza e sicurezza del dintorno, ma nell’impastar de’ colori, nel posar le tinte, ne’ tocchi, ne’ ritocchi, nel colorito, e molto più in certi colpi che noi diremmo disprezzati e quasi gettati a caso, particularmente nel panneggiare, i quali in dovuta distanza fanno conoscere in un tempo stesso e l’intenzione del pittore» F. Baldinucci, Lettera al Marchese Vincenzo Capponi (28 aprile 1681), in: Notizie dei Professori del Disegno da Cimabue in qua’, a cura di P. Barocchi, Vol. VI, Firenze 1975, pp. 461-485.
21 A. Bosse, Sentiments sur la distinction..., p. 34.
22 A. Bosse, Le peintre converty aux precises et universelles regles de son art, chez l’auteur en Isle du palais, Paris 1667,p. 18.
23 A. Félibien, Entretiens sur les ouvrages des plus excellents peintres, tome V, chez l’imprimerie de S.A.S., Trevoux 1725, p. 6.
24 A. Félibien, Entretiens sur les ouvrages…, p. 317.
25 Cfr. T. Bernard, Roger de Piles et les débats sur le Coloris au siècle de Louis XIV, La Bibliothèque des arts, Paris 1957.
26 R. Piles, Dialogue sur le coloris, N. Langlois, Paris 1673, p. 2.
27 A riguardo della fortuna di Rubens in Francia si veda il volume di A. Merle du Bourg, Peter Paul Rubens et la France (1600-1640), Presse Universitaire du Septentrion, Villeneuve d’Asq 2005.
28 R. Piles, Dissertation sur les ouvrages des plus fameux peintres, Nicolas Langlois, Paris 1683, pp. 64-64.
29 A riguardo della distinzione tra la scuola veneta e quella lombarda proposta da R. de Piles si veda C. Michel, Des Vite de Bellori à l’Abrégé de la vie des Peintres de Roger de Piles: un changement de perspective, in “Studiolo. Revue d’Histoire de l’Art de l’Académie de France à Rome”, n. 5, 2007, pp. 193-199.
30 «Plusieurs Auteurs ont écrit & même fort au long, les vies des Peintres; Vasari, Ridolfi, Carlo Dati, Baglioni, Soprani, le Comte de Malvasie, Pierre Bellori, Van-Mander & Corneille de Bie, en ont fait quatorze volumes. Depuis peu Félibien nous en a donné cinq, et Sandrart un grand in-folio, sans compter plusieurs vies particulières qui ont été imprimées: ainsi je ne prétends rien dire de nouveau dans cet abrégé». R. de Piles, Préface, in Abrégé de la vie des Peintres avec des réflexions sur leurs ouvrages, Charles de Sercy, Paris 1699, p. xij.
31 R. de Piles, Éléments de peinture pratique, Arkstée et Merkus, Amsterdam 1766, pp. 480-481.
32 R. de Piles, Abrégé de la vie….
33 Le cabinet de M de Scudéry, Gouverneur de Nostre Dame de la Garde, Augustin Courbé libraire & imprimeur, Paris 1646.
34 F. B. Lépicié, Avvertissement, in Catalogue raisonné des tableaux du roy, avec un abrégé de la vie des Peintre, & une description historique de chaque tableau, Imprimerie Royale, Paris 1752-1754, p. xiij.
35 F. B. Lépicié, Catalogue raisonné…, Tome II, p. 161.
36 Si fa qui riferimento al Dictionnaire des Arts de Peinture, Paris 1792, Tome II, p. 11, dove l’autore ricordava quanto l’elemento cromatico e il disegno non potessero costituire una base di partenza per la definizione di scuola. Watelet infatti scriveva: «On dit pour l’ordinaire que l’école romaine s’est principalement attaché au dessin, l’école vénitienne au coloris ec. On ne doit point entendre par-là que la peinture de ces écoles ayent eu le projet formé de préférer le dessin à la couleur, ou la couleur au dessin: ce seroit leur attribuer des vues qu’ils n’eurent sans doute jamais».
37 C.-H. Watelet, L’Art de peindre, poème, avec des réflexions sur les différentes parties de la peinture, H. L.Guerin L. F. Delatour, Paris 1760, p. 11.
38 Ibidem, p. 28.
39 J.F. Deseine, Nouveau voyage d’Italie contenant une description exacte de toutes les provinces, villes et lieux considérables, & des Isles qui en dépendent, chez J. Thidy, Lyon 1699, p. 187: «Les amateurs de peinture ont de quoy se satisfaire a Venise car il y a plus de tableaux en cette ville qu’il n’y en a dans le reste de l’Italie ensemble, quoi que ce soit le pays de la peinture».
40 G.F. Coyer, Lettre XII - le 27 Octobre, 1763 (de Bologne), in Id., Voyages d’Italie et de Hollande, Tome I, La veuve Duchesne, Paris 1775, p. 94.
41 N. Bally, Inventaires des collections de la couronne. Inventaire des tableaux du roy rédigé en 1709 et 1719, publié pour la première fois avec des additions et des notes par Fernand Engerand, Ernest Leroux éditeur, Paris 1899.
42 Cfr. G. Maës, Le goût français pour la peinture hollandaise et flamande au XVIIIe siècle: goût national ou goût commercial? Réflexions autour de Houbraken, Dezallier d’Argenville et Hoet, in G. Maës, J. Blanc Band, Les échanges artistiques entre les anciens Pays-Bas et la France, 1482-1814, Turnhout, Brespol 2010, pp. 195-213.
43 Come nei volumi di Félibien e de Piles, Dezailler riportò nell’introduzione, un breve excursus della pittura antica greca e romana.
44 Non è da escludere che l’attenzione dell’autore nei riguardi di queste scuole fosse riconducibile alla riedizione delle Vite del Soprani ampliate nel 1768 da Carlo Giuseppe Ratti (1737-1795) e, per quanto riguarda la scuola napoletana, alle Vite dei pittori, scultori ed architetti napoletani pubblicate nel 1742 da Bernardo de Dominici (1683-1759).
45 L. Lanzi, Storia pittorica…, p. 4: «[...] e seguì appresso qualche altra epitome ove solamente si parla del loro stile».
46 Si veda a tale riguardo il Système de Copernic ou abrégé de l’astronomie, la même année (1783); Traité élémentaire sur les mathématiques (1784), Éléments d’architecture de fortifications et de navigation (1787).
47 Papillon de la Ferté, Extraits sur la vies des plus fameux peintres..., Tome I, chez Ruault, Paris1776, Préface: «les Artistes distingués dans la Peinture, indiquer les genres qu’ils ont adopté, et rendre compte de l’opinion publique sur le rang que leur assigne l’estime universelle».
48 Ibidem, p. 31.
49 Ibid.
50 Cfr. M. Capucci, J. Carmine, Storia letteraria d’Italia. Il Seicento, Piccin, Padova 1986, p. 107.
51 A riguardo della formazione artistica di Diderot, si rimanda ai seguenti volumi: A. Fontaine, Les Doctrines d’art en France de Poussin à Diderot, Librairie Renouard, Paris 1909; J. Proust, L’initiation artistique de Diderot, in “Gazette des Beaux Arts”, Avril 1960, pp. 225-232.
52 D. Diderot, Salons. Salon de 1761, 1765. Essai sur la peinture,ed. cons. J. Brière, Paris 1821, Vol. I, pp. 469-470: «On peut, on doit en sacrifier un peu au technique. Jusqu’où? Je n’en sais rien. Mais je ne veux pas qu’il en coûte la moindre chose à l’expression, à l’expression, à l’effet du sujet. Touche-moi, étonne-moi, déchire-moi, fais-moi tressaillir, pleurer, frémir, m’indigner d’abord; tu récréeras mes yeux après, si tu peux».
53 Ibid., p. 495.