teCLa :: Rivista

in questo numero contributi di Giuseppe Scuderi, Gabriele Lo Nostro, Eleonora Tardia, Gaetano Palazzolo, Irene Tedesco.

codice DOI:10.4413/RIVISTA - codice ISSN: 2038-6133
numero di ruolo generale di iscrizione al Registro Stampa: 2583/2010 del 27/07/2010

Sul primo inventario della collezione del conte Agostino Pepoli a Bologna di Eleonora Tardia

Seguire gli avvicendamenti che nel tempo hanno interessato le raccolte d’arte legate alla figura di Agostino Pepoli non è semplice. Alla morte del collezionista, com’è noto, la raccolta trapanese era già stata destinata al museo civico, ora Museo Regionale “Agostino Pepoli”, diversamente, le opere rimaste nelle stanze della sua abitazione felsinea, benché anch’esse in origine destinate alla pubblica fruizione, sarebbero state in pochi anni movimentate e in parte disperse.

Ne consegue che i più noti e diffusi contributi bibliografici sulla vicenda abbiano come oggetto Agostino Pepoli (Trapani, 1848-1910) quale fondatore del museo di Trapani e il suo ruolo di connoisseur nella formazione delle raccolte[1]. Per le stesse ragioni, sono state prese in considerazione anche le fonti della letteratura artistica locale, riguardanti il nucleo originario della raccolta trapanese, ovverosia quello del barone Antonio Mazziotta Sieri Pepoli, poi accresciuto attraverso gli acquisti fatti dal figlio Michele durante gli anni di studio e frequentazione dell’aggiornato ambiente intellettuale della vicina Palermo. Anche gli altri familiari, non ultimo un giovanissimo Agostino, emuli dei numerosi esempi di raccolte d’arte della nobiltà isolana, accumularono un’incredibile quantità di oggetti d’arte disparati e curiosi attingendo al mercato antiquario locale[2].

Al contrario, in ambito bolognese, la critica ha sempre privilegiato gli studi di carattere storico e documentario, specialmente quelli riguardanti le vicende dinastiche e gli altri e meglio noti esponenti del ramo comitale della famiglia. La consistente mole di carteggi pubblici e privati, unitamente ai resoconti storiografici, dimostra come i Pepoli fossero tra le più antiche e influenti famiglie cittadine, affermatesi nella scena politica e amministrativa esercitando l’attività creditizia e ottenendo nel tempo importanti incarichi pubblici, titoli nobiliari, privilegi e diversi feudi. Si distinsero anche negli ambienti ecclesiastici, accademici, giuridici e amministrativi, celebrando l’importanza del casato attraverso espressioni di mecenatismo[3].

Solo grazie alla sistematica attività di riordino delle fonti archivistiche, operata nell’ultimo ventennio, l’attenzione è ritornata sul singolare episodio collezionistico che vede Agostino, rampollo del casato dei Sieri Pepoli con la passione per gli studi di storia e genealogia, giungere a Bologna per compiere ricerche sulla sua famiglia e decidere di stabilirvisi, trovando pieno appagamento nel partecipare alla vivace scena culturale della città, destreggiandosi tra aste, mercati d’arte e botteghe antiquarie per compiacere il suo ardore collezionistico[4].

Nel 1886 Agostino avvia la trattativa con Ferdinando e Letizia Pepoli, consanguinei del ramo bolognese, per l’acquisto di una considerevole parte dell’antica domus di via Castiglione e nel ventennio successivo si dedica ad allestire nei suoi appartamenti una vera e propria casa-museo dove esporre una ricchissima quadreria, disegni in cornice, sculture e busti in marmo, moltissime maioliche, terrecotte, mobilio di pregio, cimeli di famiglia, libri, medaglie e ogni sorta di mirabilia[5].Una collezione artistica e documentaria eterogenea ma che chiaramente rispecchia il fervore con cui personalmente Pepoli sceglieva le opere assecondando il suo gusto e i suoi interessi[6].

In seguito alla morte del collezionista e alla pubblicazione del testamento, la raccolta d’arte e il maestoso palazzo furono entrambi vincolati alla città, con l’esplicita finalità di rendere accessibili al pubblico le sale al piano nobile in cui erano esposte le opere. Il testamento recita esattamente così:

Lego alla diletta città di Bologna, culla dei miei avi, ove trascorsi i più begli anni della vita, il mio palazzo in via Castiglione ai civici 6, 8 e 10 con la collezione d’oggetti d’arte del primo piano, a condizione che il Comune la voglia tenere aperta al pubblico a maggior decoro della Città[7].

L’amministrazione comunale accetta il lascito con il proposito di costituire un museo a lui intitolato; progetto che presto è abbandonato in favore dell’idea di un’esposizione delle sole opere riguardanti l’antico e prestigioso casato. Tra il 1913 e il 1914 anche quest’ipotesi naufraga miseramente e la proprietà del palazzo passa dal Comune alla locale Cassa di Risparmio; le opere di maggior pregio vanno a incrementare le collezioni dei musei civici già esistenti, mentre tutte le altre finiscono in un deposito.

Di fatto, le ricerche maggiormente rilevanti per la ricostruzione delle circostanze che portarono alla dispersione della raccolta, provengono dal catalogo della mostra Frammenti di un museo disperso del 1994[8], che ha chiarito ciò che accadde al lascito predisposto da Agostino in favore del Comune, una volta disattesa la proposta di costituire un museo, attraverso un dettagliato regesto dei fondi relativi all’eredità Pepoli dell’Archiginnasio, dell’Archivio Storico dei Musei Civici d’Arte Antica e dell’Archivio di Stato di Bologna[9]. Il volume, nato per indagare sulla provenienza di una parte delle raccolte grafiche e documentarie arrivate all’Archiginnasio attraverso il lascito Pepoli, contiene anche interessanti spunti per l’avvio della ricerca sulle opere confluite nella Pinacoteca Nazionale, nelle Collezioni Comunali d’Arte, nei Musei Civici d’Arte Antica e nel Museo del Risorgimento[10].

Sebbene questi contributi basati sullo studio delle fonti archivistiche siano molto dettagliati, l’allontanamento delle opere della raccolta dalla loro sede naturale ne impedisce la piena comprensione.

Un’idea di come apparivano gli appartamenti all’epoca in cui il collezionista li abitava, si può avere osservando le fotografie della “Premiata Fotografia L. Lanzoni e F.io” di Bologna, custodite presso l’Archivio Fotografico del Museo Pepoli di Trapani e pubblicate in alcuni degli studi appena riferiti[11]. Dei saloni affollati, nei quali si susseguivano stipi e consolles gremiti dei più disparati oggetti, e delle pareti ricoperte di dipinti e disegni, non rimane quasi nulla perché il palazzo, ben noto alla letteratura periegetica in virtù della sua posizione privilegiata nel centro cittadino, dopo essere stato sottoposto nel 1939 a un radicale intervento di restauro ed essere stato per anni adibito a uffici, è entrato a far parte del circuito museale cittadino Genus Bononiae promosso per l’appunto dalla Fondazione Carisbo, diventando sede nel 2012 del Museo della Storia di Bologna. L’allestimento curato dagli architetti Mario Bellini e Italo Lupi ne ha stravolto totalmente l’aspetto; percorrendo le sale tra i grandi e luminosi pannelli espositivi s’intravedono a fatica gli stucchi attribuiti ai luganesi Bernardo e Giuseppe Borrelli e alcuni particolari dei soffitti dipinti facenti parte dell’apparato decorativo di fattura settecentesca[12].

Si fa dunque sempre più urgente l’esigenza di ripercorrere le tappe della dispersione, nel tentativo di quantificare, e individuare quando possibile, le opere e gli oggetti d’arte che un tempo occupavano le stanze del piano nobile. La quasi totalità dei contributi fin ora pubblicati tiene conto dell’elenco stilato in seguito all’istituzione di una commissione per la valutazione delle raccolte che agli inizi del 1911 era stata nominata dal Comune di Bologna per dividere le opere in tre categorie seguendo un criterio qualitativo[13]. Quest’ultimo com’è ovvio, non permette di evincere alcuna informazione utile per quanto riguarda l’aspetto delle sale, le modalità e i criteri con cui le opere erano state esposte dal collezionista, né tanto meno lo fanno gli elenchi successivi, dato che le opere nel frattempo non erano più disposte secondo il pensiero museografico originale[14].

Per questo motivo si propone un approfondimento sul primo inventario dei beni lasciati dal Pepoli al Comune di Bologna, per molto tempo creduto irreperibile e poi ritrovato da Valeria Sola presso l’Archivio Notarile Distrettuale di Trapani. Una copia dell’Inventario legale dei mobili esistenti in Bologna di compendio della eredità del Nobil Uomo fu Sig. Conte Agostino Sieri Pepoli, redatto dal notaio bolognese Carlo Cicognani, si trova infatti nel repertorio n. 4840 del notaio Michele Scaminaci, allegato all’inventario testamentario stilato a Trapani dopo la morte di Agostino. Si apprende da un contributo di Elisabetta Berselli[15] come l’atto sia stato rinvenuto ricercando opportunamente nei repertori del notaio Cicognani, al n. 8232 di repertorio, presso l’Archivio Notarile di Bologna e che successivamente sia stato acquisito in copia conforme dall’Archivio Storico dei Musei Civici d’Arte Antica dov’è conservato il resto della documentazione che riguarda il lascito Pepoli.

Tuttavia, in Miscellanea Pepoli Valeria Sola tratta principalmente gli aspetti legati alla formazione delle raccolte trapanesi, citando questo atto soltanto in nota; lo stesso accade per Elisabetta Berselli che si dedica più precisamente al Patrimonio artistico comunale e Soprintendenza: trasferimenti, restituzioni, dispersioni. Una traccia documentaria. Tenendo conto di questi accenni, si è ritenuto utile tornare a studiarlo in maniera più approfondita, al fine di favorire la progressione degli studi anche in senso storico-artistico e non soltanto dal punto di vista documentario. In più è da precisare che nonostante l’intestazione possa apparire ingannevole, l’atto non riguarda esclusivamente il mobilio, bensì l’intero patrimonio lasciato dal conte nei suoi appartamenti bolognesi. Oltre agli arredi e alle opere d’arte della raccolta, sono registrati anche oggetti d’uso quotidiano come stoviglie, posate, biancheria, tappeti e tendaggi più o meno consunti.

La vicenda ha inizio quando, qualche mese dopo la morte di Agostino, vengono apposti i sigilli a tutte le sostanze mobili facenti parti del lascito, per verificarne e registrarne l’entità; ciò accade alla presenza del notaio Carlo Cicognani, del cancelliere del tribunale Alfredo Brignole, dell’assessore del Comune di Bologna Luigi Romagnoli, dell’attendente alla casa Emma Zanelli, dell’avvocato Tommaso Terranova e di Rosario Serraino in rappresentanza delle eredi siciliane, figlie del fratello di Agostino, Fabrizio Sieri Pepoli. Non meno importante è la presenza di Cesare Pizzoli e Dante Delfiume, rispettivamente antiquario e rigattiere incaricati della stima delle opere. L’intera operazione si protrae dal 9 settembre al 24 ottobre 1910.

Si comincia con la descrizione del percorso compiuto per accedere al palazzo dall’ingresso nel cortile, ambiente dopo ambiente, fino ad arrivare ai saloni del piano nobile:

da una porta nel cortile si accede ai locali al pian terreno, due saloni e una cameretta, […] poi una scaletta di legno che immette ad un locale ammezzato con porta comunicante con scala principale dell’appartamento».

È di grande interesse notare che nel descrivere gli ambienti al primo piano l’atto riporta:

Appartamento primo piano, scale e corridoi, nei quali si trova un vero e proprio museo comprendente quadri, statue, stampe, […], mobili artistici, monete antiche, arazzi, lampade, ecc.

Le sessioni procedono per ordine di stanza e via via di parete, si parte dalle diciannove sale al piano nobile, per poi passare ai locali di servizio al pian terreno (es. cucine, camerini di sgombero, ripostigli e cantine) e un appartamento al secondo piano, descrivendo sempre per prima la parete d’ingresso nella stanza. Solo in alcuni casi, all’interno della stanza stessa, si procede per tipologia di opera, come per esempio nelle sezioni dedicate a maioliche e terraglie, medaglie o documenti.

A una prima lettura l’elenco può sembrare approssimativo, a causa delle descrizioni stringate e delle informazioni essenziali che sono riportate per ciascuna delle opere, ma in realtà un esame più attento permette di coglierne la sistematicità e di estrapolare informazioni preziose. Più in generale s’intuisce l’attenzione alla descrizione fisica dell’opera; sono sempre specificate materia e tecnica, per esempio: un dipinto su tavola, su tela a pastello, un altro detto su rame, gruppo in terracotta dipinta, altro detto in stucco verniciato, busto in marmo, cammeo in scagliola ecc.; in egual modo sono descritti i disegni e le stampe: disegno al lapis, color sanguigno, lumeggiato, disegno in carta detto all’acqua forte. Indispensabili anche le indicazioni sulle dimensioni (es. quadrone, quadretto), e sul formato del supporto: tavola di forma gotica, tela di forma ottangolare, sagomata, di forma rotonda, bassorilievo di forma ovale. La presenza della cornice è sempre segnalata, così come la tipologia: a bacchetta, a porporina, a cavolo, albana, in legno dorato, intagliato, a tartaruga, verniciato a nero. Interessanti anche le annotazioni sullo stato di conservazione: avariato, avariatissimo, tutto rifatto ecc.

L’indicazione dei soggetti è piuttosto vaga, a meno che non si tratti di generi iconografici o personaggi molto riconoscibili, il più delle volte si susseguono indefiniti ritratti di uomini o di donne, paesaggi, scene di battaglia, soggetti sacri e mitologici; fanno eccezione crocifissioni, deposizioni, alcune madonne con bambino (del libro, della seggiola ecc.), e taluni altri episodi diffusi in ambito bolognese grazie a opere di grande pregio, come il Matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria. Ancor più difficile trovare vere e proprie informazioni sull’autore, le attribuzioni non sono così altisonanti come ci si potrebbe aspettare e s’incorre spesso in generiche scuole venete, tedesche e fiamminghe. Un’eccezione è data dalle opere che riportano firme, come si legge al n. 1906, «un quadretto su tavola rappresentante Redentore a mezza figura e Angeli su fondo oro a firma Margaritone da Arezzo, L. 140», odediche, come nel caso del n. 440, «tela a pastello rappresentante paesaggio del pittore Raffaele Faccioli di Bologna con dedica al Conte Pepoli in data 1886, L. 60»;o ancora le stampe di traduzione sulle quali è indicato l’autore da cui sono tratte:al n. 879«incisione di Alberto Dürer avariatissima rappresentante Adamo ed Eva in cornice color legno e vetro, L. 20», al n. 589, «incisione di Rembrandt rappresentante la Deposizione di cornice di noce e vetro, L. 30» e al n. 1178 «incisione rappresentante Crocifissione di Bartolomeo Cesi in cornice nero e oro, L. 3».

Imprevedibilmente sono taciuti i nomi di grandi artisti, (per esempio Artemisia Gentileschi e Ludovico Carracci), in favore di più semplici indicazioni “alla maniera di”, tra queste compaiono Guercino, Innocenzo da Imola, Elisabetta Sirani, Lavinia Fontana, Giovan Battista Salvi “il Sassoferrato”, Jacques Courtois “il Borgognone”.

Durante la prima seduta d’inventario è descritta soltanto una sala nella quale sono collocati quarantasei dipinti; il percorso inizia dalla parete d’ingresso e poi continua in senso antiorario, l’elenco delle opere presenti in quest’ultima stanza, prosegue nella seconda seduta il giorno successivo fino al n. 110, insieme alla descrizione del secondo salone. Ulteriori dettagli sono dati dalla presenza di camini e finestre in alcune pareti.

In questo senso è utile il confronto con le fotografie alle quali si è già accennato; di fatto, prendendo come punto di riferimento alcuni degli oggetti maggiormente riconoscibili che si scorgono nelle immagini, è possibile individuare il numero di sala corrispettivo e di conseguenza risalire alla relativa sequenza d’inventario.

È il caso del secondo salone, immortalato nelle fotografie 00048 e 00056 che mostrano da due prospettive diverse la stessa lunga parete di fronte all’apertura d’accesso: a sinistra, si nota la lanterna registrata al n. 212 comelanterna in carta giapponese a soffittoL. 1, insieme a due grossi vasi in maiolica di orientale (oggi esposti nelle Collezioni Comunali d’Arte di palazzo d’Accursio); mentre a destra si riconosce un’imitazione antica di un’armatura in ferro, registrata al n. 193 e valutata L. 75.

Un po’ più in basso, segnato al n. 197 un Bacco giovane a porporina, L. 6. Non si vedono nelle fotografie ma sono presenti nell’inventario della stessa sala: n. 137 «una croce bizantina a fondo oro, scuola giottesca L. 250», n. 168 «altro detto su tela rappresentante Nascita del Redentore in cornice porporina, maniera del pittore Gherardo Dallenotti L. 12» (Gerrit van Honthorst, Utrecht, 1592-1656), n. 169 «altro detto su tavola di forma gotica su fondo oro rappresentante la Crocifissione e Santi L. 25».

Le opere che si riconoscono nella sala seguente suscitano ancor più interesse perché mai segnalate dalla letteratura come facenti parte della collezione: la tela con San Sebastiano senza cornice (n. 220) permette di abbinare i numeri d’inventario dal 217 al 231 della terza sala, alla fotografia numero 00051 e al n. 217 è segnalato un «quadro su tela rappresentante Battesimo di Gesù Cristo in cornice di legno a porporina, L. 6».già scuola del Samacchini, poi attribuito a Denis Calvaert (Anversa, 1540 – Bologna, 1619), oggi esposto presso il Museo Civico d'Arte Industriale e Quadreria Davia Bargellini di Bologna[16]. A seguire il n. 218, «altro detto rappresentante la Crocifissione in cornice di legno dorato, L. 15», e ancora il n. 219, «altro detto su tela rappresentante Sposalizio di Santa Caterina in cornice in legno dorato, L. 40»,già attribuito a Lelio Orsi ma riconosciuto da Francesco Arcangeli come opera giovanile di Ludovico Carracci (Bologna, 1555-1619), oggi in collezione privata[17].

Al n. 222,«altro detto su tela rappresentante la Primavera in cornice di legno intagliato e dorato, L. 250»,oggi identificato con Venere e Amore di Antonio Bellucci (Pieve di Soligo, 1654-1726) anche questo esposto a palazzo d’Accursio[18].

L’elenco prosegue al n. 223 con una tela raffigurante la Sacra Famiglia con S. Giovanni e S. Caterina, valutata 136 lire, e altri ritratti poco identificabili, fatta eccezione per quello raffigurante un gentiluomo con decorazioni da cavaliere di Malta (n. 225), quello in costume del Direttorio (n. 230) e il ritratto di Federico Barbarossa (n. 229).

È curioso notare come nella fotografia sia riconoscibile la piccola tavola cinquecentesca di scuola emiliana, raffigurante la Deposizione di Gesù nel sepolcro,ora esposta al museo di Trapani[19]. Lo stesso accade per il Busto di Santa di scuola tedesca della prima metà del XVI secolo, riconoscibile nella decima sala ma assente nell’inventario, che riporta al n. 1000 soltanto la cornice ad ancona in legno intagliato, dorato e porporina in cui il reliquiario è inserito (fotografia n. 00055). Questo caso però richiede maggiore attenzione, perchè al n. 1002 è registrata una Testa di Santa in legno naturale e verniciato, L. 15 che potrebbe trarre in inganno se non fosse che è seguita, al n. 1003, da un’altra uguale (oggi esposte entrambe al Museo Davia Bargellini).

La critica ha già segnalato questo gruppo di opere, chiaramente rintracciabili nelle fotografie degli appartamenti bolognesi e oggi esposte nel museo trapanese, ipotizzando che Agostino possa averle personalmente riportate in Sicilia negli anni tra il 1905 e il 1906[20]. A queste, da qualche mese si è aggiunta una formella cinquecentesca in terracotta invetriata raffigurante la Natività, fortunosamente rinvenuta nei depositi del museo e rintracciabile nella fotografia n. 00046 che raffigura la settima sala[21]. Nella stessa stanza si registra al n. 678 «un dipinto con ritratto di uomo in costume di guerriero figura intera, con cornice di legno intagliato verniciato nero, L. 250», nel quale è plausibile riconoscere il Ritratto di gonfaloniere di Artemisia Gentileschi (Roma, 1593 - Napoli, 1653), del 1622, e la tela con Andromeda, di scuola bolognese del XVII-XVIII secolo, entrambi oggi a palazzo d’Accursio. Subito dopo sono segnati: un gruppo in terracotta verniciato raffigurante la Santa Famiglia avariato L. 5 (n. 691), una Madonna in terracotta verniciata valutataL. 100 (n. 708) e una Madonna con Bambino in stucco verniciato L. 80(n. 710). A un primo sguardo, seguendo di pari passo l’ordine dei dipinti sulla parete e quello dell’inventario, si potrebbe pensare di riconoscere la formella del Pepoli in una di queste tre opere, anche perché l’aggettivo “avariatissimo” sarebbe in qualche modo calzante dato che il recente intervento di restauro ha evidenziato il fatto che in passato fosse stata maldestramente aggiustata. Tuttavia, il mancato accenno alla ricca cornice in stile non lascia alcun dubbio, sicuramente una delle tre opere bolognesi ha preso il posto di quella già trasferita a Trapani, trovandosi così ad occupare lo stesso posto nella parete. In realtà al n. 786 è descritto un «tondo in terracotta con Madonna nel centro e cherubini color bianco e blu, imitazione Della Robbia, L. 80» ma dal numero d’inventario è chiaro che si trovi in una sala diversa.

Proseguendo, nella sala 4 l’opera che ha permesso l’abbinamento con la fotografia n. 00064 è stata la piccola figurina di Bacco in terracotta, segnata con il n. 309; a seguire si riconoscono quattro finiti arazzi di due grandezze, rappresentanti feste campestri (n. 328) e una campana di vetro con all’interno un teschio (n. 315). Un’altra campana in vetro si trova nella sesta sala e custodisce «molti coralli grezzi sotto campana di vetro, trovati a Trapani, L. 180» (n. 527). Tra gli oggetti e le opere più singolari vale la pena menzionare anche una «cornice reliquiario in legno intagliato e dorato contenente 4 battenti da porta dei quali uno in bronzo e 3 in ferro ad un pomo di bronzo figurato» (n. 51), un «coro da chiesa in legno noce composto da n. 17 stalli con relativa spalliera ed altri 4 stalli senza spalliera», nonché di un «leggio da centro con relativo sportello, L. 2.500» (n. 922), o ancora «due medaglioncini in terracotta rappresentanti testa di donna fatta dal conte Agostino Pepoli, L. 2 (n. 1209)».

La quindicesima sala è invece occupata da grandi scansie contenenti libri e documenti, verosimilmente quelle poi passate all’Archiginnasio; oltre a queste sono presenti tantissimi tra disegni e stampe, documenti di famiglia in cornice, inviti, diplomi, onorificenze. Tra questi colpiscono l’attenzione in particolar modo i numeri: 1290 «schizzo rappresentante il prospetto del palazzo Pepoli, architettura dell’Albertoni in cornice di legno nero e vetro, L. 5»; 1294 «schizzo del palazzo Pepoli dalla parte di via Clavature dell’architetto Antonio Torri, L. 5»; 1310 «incisione di sarcofago Pepoli esistente nella chiesa di San Domenico in Bologna, L. 1». In questa stessa sala abbondano i ritratti di familiari più o meno conosciuti: Gioacchino Napoleone, Taddeo, Odoardo, Guido Pepoli, ecc. come anche nella diciannovesima e ultima stanza del primo piano, dove, accanto al tondo raffigurante lo Sposalizio di Santa Caterina, già di scuola del Francia e oggi attribuito a Cesare Tamaroccio (ambito bolognese, primo quarto del XVI secolo), campeggia il grande dipinto di ignoto autore bolognese del XVII secolo con il Ritratto della marchesa Virginia Pepoli, anche questo oggi nelle Collezioni Comunali d’Arte di palazzo d’Accursio. Segue l’inventario degli oggetti rimasti nei sei locali al piano terreno e di un piccolo appartamento al secondo piano, registrato come «abitazione del sig. cancelliere Alfredo Brignole».

Lungi dall’essere esaustivo, questo contributo sull’Inventario legale dei mobili esistenti in Bologna di compendio della eredità del N.U. fu Sig. Conte Agostino Sieri Pepoli si è proposto di riprendere le ricerche legate alla vicenda dell’eredità che Agostino Pepoli lascia alla città di Bologna, riassumendone in breve i punti principali e individuandone le potenzialità di uno studio sistematico a cui si potrebbe arrivare attraverso la trascrizione integrale del documento. Lo status quaestionis di fatto vede riconosciuta l’importanza che le ricerche sui Pepoli hanno acquisito nell’ultimo ventennio, sia in Sicilia che in Emilia Romagna, soprattutto nell’ottica della riscoperta dei materiali archivistici; pertanto, si è ritenuto opportuno dare uno sguardo anche agli esiti museografici che ne sono derivati e, attraverso la revisione dei materiali già noti, approdare a una prima lettura sulle opere un tempo parte della collezione e oggi ancora non completamente studiate.

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1 V. Scuderi, Il fondatore, in“Persefone”, a. II, 1966, pp. 38-49; M.L. Famà, Agostino Sieri Pepoli: mecenate trapanese del tardo Ottocento, Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali, ambientali e della pubblica istruzione, Trapani 2004. Un aggiornato compendio sui contributi esistenti si trova in E. Tardia, Le collezioni Pepoli di Trapani e  Bologna, tesi di diploma di specializzazione in Beni Storico-Artistici, relatore I. Graziani, Università degli Studi di Bologna, a.a. 2011/2012. 

2 Per riferimenti più precisi sulla formazione della raccolta trapanese si rimanda a V. Sola, La Collezione Pepoli: note sulle vicende di una raccolta ottocentesca, in Miscellanea Pepoli ricerche sulla cultura artistica a Trapani e nel suo territorio, a cura di V. Abbate, Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali ambientali e della pubblica istruzione, Trapani 1997, pp. 291-311.

3 A questo proposito, si ritiene utile segnalare alcune ricerche sui Pepoli a Bologna presentate in occasione della giornata di studi Eroi in carta. Dall’archivio di Gioacchino Napoleone Pepoli e di altri protagonisti del Risorgimento, Bologna, 21 ottobre 2011; in particolare D. Tura, I Pepoli in età medievale in “Percorsi Storici”, Serie Atti, n. 1, 2012; F. Boris, I Pepoli in età moderna a Bologna e in Europa, in ivi.

4 Per un profilo biografico completo, corredato da un ricco supporto documentario si rimanda al volume A. Morabito, L. M. Paladino, L’Archivio gentilizio Pepoli di Trapani, Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali ambientali e della pubblica istruzione, Palermo 2007.

5 I documenti che riguardano il passaggio di proprietà dell’immobile sono custoditi all’Archivio Storico dei Musei Civici d’Arte antica di Bologna, fondo Pepoli (1710-1924), busta 3, fascicolo 40: il comune vende alla Cassa di Risparmio le parti del Palazzo Pepoli che ha ricevuto dall’Eredità Pepoli (via Castiglione nn. 6, 8, 10 con mappe, 1910-1920) Certificato dell’agenzia imposte dirette e catasto di Bologna, II ufficio, dicembre 1912.

6 Nel marzo del 1898, undici anni dopo aver acquistato gli appartamenti di Ferdinando Pepoli, Agostino diventa proprietario per un quarto dei fondi documentari dell’archivio gentilizio presente nel palazzo; fondi che fin allora erano stati contesi in un’annosa disputa giudiziaria tra due assi ereditari, tra lo stesso Ferdinando e i Gaddi-Pepoli, eredi forlivesi di Gioacchino Napoleone Pepoli. Successivamente l’archivio nella sua interezza passa alla Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio per volere dei Gaddi-Pepoli, che ne conservavano la custodia legale; in merito si consiglia la lettura di V. Roncuzzi Roversi Monaco, S. Saccone, Per un’indagine sui fondi librari della Biblioteca comunale dell’Archiginnasio: censimento delle librerie giunte per dono, lascito e deposito, in “L’Archiginnasio”, a. LXXX, nn. 51-52,1985, pp. 321-322.

7 Testamento segreto del conte Agostino Pepoli, 6 marzo 1910; Archivio Notarile Distrettuale di Trapani, notaio Luigi Manzo, 28 marzo 1910, n. 3472.

8 V. Roncuzzi Roversi Monaco, S. Saccone, Frammenti di un museo disperso: il collezionista Agostino Sieri Pepoli e la ricostruzione della sua raccolta bolognese di stampe e disegni, Arts e Co., Bologna 1994.

9 Secondo la documentazione prodotta dalla Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna allo stato attuale il fondo Pepoli si compone di 224 buste, 233 registri, 29 mazzi, 1 filza, 1 cartella e cronologicamente si colloca tra il XV e il XX secolo. Mentre quello conservato presso l’Archivio di Stato di Bologna si compone di 764 pezzi, 163 registri e 847 buste e contiene documenti che vanno dal 1099 al XIX secolo. Altra documentazione inerente ai Pepoli è conservata presso l’Archivio storico dei Musei Civici d’Arte Antica di Bologna, Archivio del Museo Civico Medievale: 1 registro e 2 buste, con documenti datati fra il 1710 e il 1921.

10 Tra i fogli presenti all’Archiginnasio si trovano molte opere di scuola emiliana e più in particolare bolognese, come un autoritratto attribuito al Guercino e alcuni fogli della sua scuola, opere di Donato Creti, del Crespi, numerose incisioni con ritratti dei componenti della famiglia, più la celebre serie di quattro dipinti ad olio su supporto in carta gialla di Jacopo Zanguidi detto il Bertoja; mentre il nucleo del Gabinetto di Disegni e Stampe della Pinacoteca è più esiguo e comprende fogli di Amico Aspertini, Raffaellino del Garbo, Denis Calvaert, Domenico Beccafumi e la sua cerchia, Jacopo da Bologna, Carlo Maratta, Vincenzo Spisanelli, Felice Giani e altri ancora. Maggiori informazioni sono contenute nel contributo di M. Faietti, I disegni del lascito Pepoli conservati alla Pinacoteca Nazionale, in V. Roncuzzi Roversi Monaco, S. Saccone, Frammenti…, 1994.

11 Archivio Fotografico del Museo Regionale “Agostino Pepoli” di Trapani, nn. inv. 00046-00064. La maggior parte di queste fotografie è già stata pubblicata in V. Sola, La Collezione Pepoli…, 1997; Palazzo Pepoli Vecchio, in Scrigni di memorie: gli archivi familiari nelle dimore storiche bolognesi, a cura di Associazione Dimore Storiche Italiane, Bononia University Press, Bologna 2006, pp. 42-55; D. Malignaggi, Storiografia e collezionismo fra Settecento e Ottocento, in Maestri del Disegno nelle collezioni di Palazzo Abatellis, catalogo della mostra (Palermo, 15 dicembre 1995 – 29 febbraio 1996) a cura di V. Abbate, Sellerio, Palermo 1995, pp. 80-81.

12 Il nucleo originario del grande palazzo corrisponde all’attuale numero civico 6: eretto nella seconda metà del Trecento aveva l’aspetto di una fortezza con fossato e ponte levatoio; nel corso del Settecento furono aggiunti altri due corpi di fabbrica ai civici numero 8 e 10. Le numerose stratificazioni architettoniche accumulatesi nei secoli successivi furono eliminate dall’intervento di restauro ordinato da Guido Zucchini nel 1939 che riportò il complesso di edifici al suo aspetto originale. In merito si rimanda alle brevi ma assai utili pagine del contributo, edito in occasione delle giornate europee del patrimonio Le grandi strade della cultura: un valore per l’Europa, Luoghi d’arte italiana (Bologna, 30 settembre 2007), Palazzo Pepoli…, 2006, pp. 42-55.

13 Archivio Storico dei Musei Civici d’Arte Antica, Fondo Pepoli (1710-1924), Busta 2 (1801-1914), fascicoli 24, 25, 26.

14 L’ultima tappa della dispersione avviene nel corso degli anni Venti. Nel marzo del 1922 il Comune autorizza Francesco Malaguzzi Valeri ad alienare duecentodue opere del Legato Pepoli reputate di scarso valore, tuttavia alla sua morte nel 1928, si apprende che rispetto a quelle registrate in ingresso al momento del deposito in Pinacoteca ne risultano mancanti circa quattrocento, perché vendute privatamente a terzi, non sempre attingendo alla categoria delle opere ritenute di minore importanza. Per riferimenti più puntuali si rimanda a V. Roncuzzi Roversi Monaco, S. Saccone, Frammenti…, 1994, p. 113, 127.

15 In Bologna e le Collezioni Comunali d’Arte. Dalla Mostra del Settecento bolognese alla nascita del museo (1935-1936), a cura di C. Bernardini, Silvana, Cinisello Balsamo 2011.

16 Per questa informazione si ringrazia il professore Daniele Benati, docente di Storia dell’Arte Moderna all’Università di Bologna e si rimanda al catalogo R. Grandi, Museo Davia Bargellini, Comune di Bologna, Bologna 1987.

17 Già attribuito a Lelio Orsi da Adolfo Venturi, fu segnalato come opera di Ludovico per la prima volta da Francesco Arcangeli in I Carracci, catalogo della mostra (Bologna, 1956) a cura di G. C. Cavalli, F. Arcangeli, A. Emiliani, M. Calvesi, Alfa, Bologna 1956.

18 Per tutte le opere del Lascito Pepoli oggi custodite ed esposte presso le Collezioni Comunali d’Arte di palazzo d’Accursio si rimanda a A. Mampieri, C. Bernardini, Nuova guida alle Collezioni Comunali d’Arte di Bologna, Musei civici d’arte antica, Bologna 2011; oltre a quelle individuate nell’inventario, non vanno dimenticate il Ratto delle Sabine di Jacopo Zanguidi detto il Bertoja (Parma, 1544-1574), alcuni piccoli dipinti di carattere mitologico di Pietro Fancelli (Bologna, 1764 – Pesaro, 1850), una tela con Giunone, Minerva e Venere che appaiono a Paride, del bolognese Filippo Pedrini (Bologna, 1763-1856), due copie del XIX secolo da Pietro Novelli, Santi Eremiti e Filippo d’Argirò esorcizza un ossesso, in deposito dalla Pinacoteca Nazionale. Inoltre è il caso di segnalare che studi episodici in occasione di restauri hanno portato alla riscoperta di altri dipinti presenti a palazzo d’Accursio, tra cui due tele di grande formato riconducibili ad ambito napoletano di tardo Seicento e raffiguranti rispettivamente La continenza di Scipione e L’ospitalità di Abramo.

19 La tavoletta figura anche nel testamento olografo di Michele Sieri Pepoli. Archivio Notarile Distrettuale di Palermo, pubblicato il 23 agosto 1858 dal notaio Francesco Di Chiara Manno, vol. 6841. L’inventario testamentario in nove sedute dal 10 settembre al 7 ottobre 1858 si trova nel vol. 6842.

20 All’inizio del secolo scorso il canonico Fortunato Mondello riferisce di un affresco tardo trecentesco, raffigurante la Madonna del miele, staccato dalla chiesa trapanese di S. Antonio e portato da Agostino «a decorare il suo Museo archeologico in Bologna»; si fa riferimento a quanto riportato in F. Mondello, Sulle Pitture in trapani dal secolo XIII al secolo XIX e sui pittori trapanesi profili storico-artistici, (1989-1900), Ms. della Biblioteca Fardelliana di Trapani, a cura di M. Giacalone, Biblioteca Fardelliana, Trapani 2008, p. 40.

21 Tra le altre cose, entrambe le opere sono citate da S. Romano, La solenne inaugurazione del Museo Civico Pepoli a Trapani, in “Archivio Storico Siciliano”, n.s., a. XL, pp. 227-232, «se usciamo dall’Isola, troveremo l’arte toscana e bolognese del Trecento e del Quattrocento un busto di Santa in legno e in un soave e delizioso tondo di Andrea della Robbia, inestimabile gioiello di terra cotta smaltata che il Museo di Trapani è superbo di possedere».

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Temi di Critica - numero 9
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