L’affascinante figura del
principe, filosofo e mecenate Alberto
III Pio da Carpi venne portata
all’attenzione degli studiosi da
un’illuminante monografia di Hans Semper
sulla città di Carpi del 1882[1].
Hans, figlio di Gottfried, il più
importante architetto e teorico tedesco
della sua epoca, seppe ricostruire con
efficacia non solo la genesi
dell’intervento urbanistico e
architettonico di Alberto, ma anche e
soprattutto il momento storico e
culturale a lui contemporaneo. I
convegni e gli studi successivamente
dedicati al principe e alla sua città
hanno focalizzato svariati episodi della
biografia di Alberto Pio[2],
ma restano ancora molti punti oscuri da
chiarire. Infatti questo principe
umanista rimase spesso in ombra negli
studi critici del Novecento e venne
inteso, più o meno esplicitamente, come
una figura tutto sommato reazionaria
quale paladino dell’ortodossia
cattolica, avendo avuto l’ardire di
prendere le distanze da Erasmo da
Rotterdam nel decennio rovente che seguì
la pubblicazione delle Tesi luterane del
1517[3].
Leggendo senza preconcetti ideologici le
fonti storiografiche e documentarie
sappiamo invece che Alberto Pio ricoprì
un ruolo politico di primo piano come
ambasciatore dell’imperatore, del papa e
del re di Francia in un delicato quanto
pericoloso triplo gioco condotto con
astuzia ed abilità nel difficile
tentativo di mantenere il controllo del
suo principato di Carpi, minacciato da
nemici interni ed esterni conquistando
così quella posizione di rilievo nel
mondo politico e culturale del
Rinascimento italiano ed europeo, che
oggi ancora non è stata pienamente
riconosciuta.
Questo contributo vuole fornire
una chiave di lettura degli interessi
emblematici di Alberto III Pio volta a
chiarire alcune delle dinamiche
culturali da lui attivate all’interno di
un dotto percorso di interazione tra
testi ed immagini di cui fu parte attiva
Aldo Manuzio il vecchio, in quanto suo
maestro nelle discipline umanistiche e
poi, nel corso degli anni, promotore di
attività culturali che presupponevano la
messa in opera di una fitta rete di
umanisti ed artisti illustratori dei
libri prodotti dall’officina editoriale
aldina. La complessa vicenda della
redazione e stampa dell’Hypnerotomachia
Poliphili, da alcuni attribuita a
Francesco Colonna frate veneto, da altri
invece all’omonimo Francesco Colonna
romano signore di Palestrina, rientra a
pieno titolo in questo problema. Le
numerose prove e i relativi documenti
d’archivio prodotti da Maurizio Calvesi
a sostegno della sua ipotesi
interpretativa e soprattutto la
congruità della sua ricostruzione
storica, storico-artistica, filosofica e
ideologica del problema Polifilo, mi
inducono a considerare
significativamente plausibile
l’attribuzione dell’opera a Francesco
Colonna romano e soprattutto a collocare
la cultura antiquaria dell’autore
all’interno della cerchia dell’Accademia
Romana di Pomponio Leto. Sotto questa
luce i numerosi rapporti di Alberto III
Pio da Carpi con Roma e la sua stessa
parentela con Cecilia Orsini, che
apparteneva alla stessa famiglia di
Orsina Orsini, moglie di Francesco
Colonna romano, pongono dunque l’opera
culturale carpigiana di Alberto in
un’ottica di speciale interesse per
l’Urbe e i suoi abitanti che va oltre la
teorica ripresa dei modelli dell’antico
per arrivare alla diretta frequentazione
dei cultori della storia antica di Roma.
Il mio contributo sul motto «Ne
quid nimis» vuole mettere in luce un
elemento chiave del rapporto culturale
tra Carpi e Roma aprendo la strada a
nuovi, necessari studi sull’argomento.
Alberto Pio da Carpi
La madre di Alberto III Pio da
Carpi Caterina Pico era sorella del noto
filosofo e principe umanista Giovanni
Pico della Mirandola esecutore
testamentario di Leonello, padre di
Alberto. Il Semper ritiene che molto
probabilmente fu proprio Giovanni Pico a
chiamare a Carpi Aldo Manuzio Sr. quale
precettore di Alberto[4].
Marco Pio, zio di Alberto, appoggiò
questa decisione nella speranza di
sottrarre ad Alberto la coreggenza di
Carpi distraendolo con gli studi
umanistici e diede ad Aldo Manuzio il
diritto di cittadinanza a Carpi, oltre
ad altri privilegi fiscali. Intorno al
1485-90 Alberto cominciò a creare una
sua biblioteca di copie di classici
antichi.
Ancora nel 1485 Giovanni Pico,
Alberto Pio ed Aldo Manuzio progettarono
un’impresa editoriale decidendo di
affidare ad Aldo la direzione di una
stamperia a Novi, ma l’effettiva
realizzazione dell’impresa venne
ostacolata dai problemi politici che
affliggevano Carpi ed Alberto Pio
stesso. Cacciato da Carpi da Giberto
Pio, Alberto si trasferì a Ferrara dove
strinse amicizia con Pietro Bembo che a
quel tempo soggiornava presso il padre
Bernardo Bembo. Inoltre Alberto conobbe
i poeti Strozzi e soprattutto Ludovico
Ariosto insieme al quale ascoltò le
lezioni di Gregorio da Spoleto sui poeti
greci e romani. Sempre a Ferrara Alberto
conobbe anche Iacopo Sadoleto e
soprattutto Celio Calcagnini, con il
quale assistette nel 1498 alle lezioni
di Pietro Pomponazzi.
La Pastorello ricorda come nel «[1497
gennaio] Alberto Pio
propone all’antico precettore la
istituzione, entro i propri dominî, di
una Academia, in qua, relicta
barbarie, bonis litteris bonisque
artibus studeatur. (Inv. 20)»[5].
Vale a dire di un’Accademia nella quale,
abbandonata ogni “barbarie”, ci si
dedichi allo studio delle buone lettere
e delle belle (buone) arti.
Quest’importante informazione attesta
che le relazioni culturali di Alberto
Pio avevano acquistato una sistematicità
programmatica degna di rilievo nella
cultura umanistica del suo tempo. Nel
1504 Alberto Pio concesse ad Aldo
Manuzio il permesso di fregiarsi
dell’appellativo di «Pio» e di usarne lo
stemma, aquila rossa su campo d’argento.
Da quel momento Aldo adotterà il nome di
«Aldus Pius Manutius Romanus»[6].
La Di Pietro Lombardi giustamente
sottolinea quanto fu incisiva la
presenza a Carpi dell’erudito greco
Marco Musuro tra il 1499 e il 1503, che
costituisce uno dei tanti indizi del
filo-ellenismo coltivato dai membri più
significativi dell’accademia aldina fin
dalle sue origini[7].
Questi sono solo alcuni esempi
dell’intensa attività culturale condotta
da Alberto III Pio da Carpi negli anni
della sua formazione.
Il risultato concreto di tale
profonda preparazione umanistica durante
il periodo della reggenza di Carpi fu
una sistematica attività urbanistica
tutta incentrata sul tentativo di
emulare la grandezza della Roma antica e
moderna con la committenza di edifici
tra loro coordinati all’insegna della
romanità e del classicismo. Uno dei
principali artefici di questo
rinnovamento della città di Carpi fu
Baldassarre Peruzzi al quale vengono
attribuiti gli interventi al Duomo,
“firmati” da alcune serliane, con il
tentativo di emulare la Basilica di San
Pietro di Roma; la facciata della Chiesa
della Sagra che intorno al 1515 presenta
un’interessante rielaborazione di
elementi bramanteschi, ed altri
interventi architettonici minori[8].
Il palazzo dei Pio, all’interno del
castello, contiene numerosi affreschi e
lo splendido quanto raro studiolo
rinascimentale in legno policromo di
Alberto Pio, pubblicato dalla Sarchi,
che merita di essere oggetto di
ulteriori studi[9].
Il motto
«Ne quid nimis»
nel cortile d’onore del castello
di Carpi
Lo splendido cortile d’onore del
castello di Carpi presenta
un’interessante serie di peducci
scolpiti con iscrizioni riferite ad
Alberto Pio. In uno di questi emblemi
ricorre un motto latino che si ispira
alla giusta misura:
«Ne
quid nimis»,
traduzione del greco
μηδέν
Ἂγαν, cioè: «nessun eccesso» scolpito,
secondo la tradizione, nel tempio di
Apollo a Delfi e poi mutuato nei
Sermones di Orazio:
«ogni cosa ha la sua misura» e nell’Andria
di Terenzio[10].
La versione greca del motto ricorre
anche in una copia dell’Apologia in
Plautum, splendido esemplare di
cinquecentina miniata dell’umanista
bolognese Achille Bocchi che fu
segretario di Alberto Pio[11].
Il motto appare infine nella versione
aldina degli Adagia di Erasmo da
Rotterdam. Questa circolazione del motto
all’interno di una cerchia umanistica
affine mi ha indotto ad approfondire la
cronologia dell’apparizione del motto
stesso per verificarne le modalità di
mutuazione.
Su una facciata del cortile del
castello dei Pio a Carpi, secondo il
Tiraboschi, una volta si trovava la data
1504[12].
Il Morselli nel 1931 ha pubblicato un
documento che attesta che nel 1506 si
attendeva alla decorazione degli interni
e alla sistemazione delle finestre del
palazzo di Alberto III Pio[13].
Secondo Elena Svalduz, stante l’esiguità
dei riscontri documentari, purtroppo non
è possibile stabilire con certezza la
cronologia del cortile, che comunque
dovette essere realizzato tra le date
1509 e 1523 che furono incise in due
capitelli del quadriportico, come ci
riferisce il Semper[14].
La stessa Svalduz comunque ritiene che
«una campagna consistente di lavori
(forse una ripresa importante del
cantiere già avviato) cada tra 1515 e
1518»[15]ed
è favorevole a riconoscere una paternità
del progetto a Baldassarre Peruzzi, in
particolare «nell’articolazione del
loggiato superiore»[16].
Achille Bocchi e il motto «μηδέν
Ἂγαν»
La cinquecentina miniata dell’Apologia
in Plautum di Achille Bocchi,
stampata a Bologna nel 1508, fu
presumibilmente miniata nello stesso
anno come copia di dedica ed è oggi
conservata nella Biblioteca Casanatense
di Roma. Il motto greco vi appare
miniato in oro su campo azzurro
all’interno di un cartiglio posto in
basso nella prima pagina del libro.
Achille Bocchi aveva ottenuto
proprio nel 1508 la cattedra bolognese
di lettere greche che fu il suo primo
insegnamento universitario[17].
Nel 1513 l’umanista seguì Alberto III
Pio da Carpi a Roma in qualità di
segretario e nella Biblioteca Apostolica
Vaticana sono conservate alcune sue
lettere manoscritte di quel periodo che
ne testimoniano i vivi interessi
umanistici[18].
In età matura il Bocchi pubblicherà a
Bologna nel 1555 i Symbolicarum
Quaestionum … libri quinque, che è
forse la più complessa raccolta di
emblemi del Rinascimento, ricordando le
esperienze romane di quel periodo.
Infatti in questa editio princeps
del 1555 ricorre anche la citazione dei
cosiddetti “geroglifici romani” dell’Hypnerotomachia
Poliphili, la celeberrima edizione
aldina stampata a Venezia nel 1499,
quasi a voler suggellare una
condivisione di interessi culturali con
la cerchia degli umanisti facenti capo
all’Accademia Romana di Pomponio Leto
prima e poi ad Angelo Colocci. Achille
Bocchi dedicò non a caso la citata
Apologia in Plautum proprio al card.
Raffaele Riario, che era un amico di
Francesco Colonna romano autore dell’Hypnerotomachia[19].
Achille Bocchi doveva essere legato ad
Alberto Pio da Carpi e Francesco Colonna
romano dal comune filo-ellenismo
ampiamente dimostrato nelle rispettive
produzioni letterarie e nei fatti
concreti legati sia al mondo umanistico
bolognese, sia alla produzione
tipografica aldina promossa fin dai
primordi dal principe carpigiano, sia al
contesto antiquariale romano di Alberto
Pio[20].
Achille Bocchi, Alberto Pio ed
Erasmo da Rotterdam
A ben vedere infatti la cosiddetta
“magnificenza” di Alberto III Pio da
Carpi va spiegata, oltre che dal
letterario e teorico riferimento ad
Aristotele, come suggerito da Luisa
Giordano[21],
anche e soprattutto come un’adesione ai
valori della romanità sperimentati
personalmente durante il soggiorno
nell’Urbe, con la visione diretta della
Roma antica e moderna coltivata dalla
cerchia degli umanisti dediti allo
studio filologico ed antiquariale della
proto-archeologia. L’adozione di un
motto come il «Ne quid nimis» può essere
considerata un riferimento
autobiografico all’attività diplomatica
di Alberto Pio, che richiede, come noto,
un continuo auto-controllo dei
sentimenti e delle emozioni. Ma la
scelta di questo motto da parte di
Achille Bocchi riporta l’attenzione sul
fatto che gli umanisti coltivavano il
sogno di un Rinascimento dell’antichità
classica intesa soprattutto come fonte
inesauribile di antica saggezza da
mettere al servizio del retto agire e
del buon governo.
Il motto «Ne quid nimis» compare
nell’edizione aldina del 1508 degli
Adagia di Erasmo da Rotterdam,
mentre è assente in quella parigina del
1505 e quindi risulta coevo all’Apologia
in Plautum di Achille Bocchi[22].
L’adesione a quest’ideale della
“misura” si realizzò sia sul piano
filosofico e letterario, che in quello
delle arti e in architettura, tramite
l’intelligente operato di Baldassarre
Peruzzi.
L’architetto toscano aveva saputo
portare gli ideali della Roma di
Raffaello nella Carpi di Alberto Pio,
creando un decoro urbano ispirato al
misurato equilibrio dell’architettura
antica, filtrata dalla sensibilità e dai
valori dell’Umanesimo.
In piena armonia con
quest’orientamento culturale Aldo
Manuzio aveva concentrato il suo
interesse sul motto di grande successo
«Festina Lente», vale a dire:
«affrettati lentamente» – analogo a «Ne
quid nimis» per il suo significato
profondo – motto attribuito
all’imperatore Augusto, che, unito
all’immagine dell’àncora col delfino
ispirata ad una moneta antica, divenne
la marca tipografica della stamperia di
Manuzio[23].
Nel giugno del 1502 apparve infatti la
prima àncora su edizione aldina (Poëtae
Christ. Vet. II)[24]
che era stata però anticipata da una
xilografia connessa con il motto «Semper
festina tarde» nella già citata
Hypnerotomachia Poliphili, stampata
nel 1499[25].
A partire dalla princeps
parigina furono pubblicate diverse
edizioni degli Adagia di Erasmo[26],
che differivano per il numero dei
proverbi contenuti: la Collectanea,
cioè la princeps del 1500, ne
pubblicava 818 mentre le Adagiorum
Chiliades, vale a dire l’edizione
veneziana di Aldo Manuzio del 1508, ne
conteneva ben 3.260[27].
Il commento di Erasmo al celeberrimo
motto «Festina Lente» apparve
nell’edizione del 1508[28].
umanistica, in sintonia con lo
spirito dell’arte e della cultura
classica mediate attraverso le ricche
personalità di questi illustri
interpreti.
Appendice
[Da: Erasmus Roterodamus,
Adagiorum chilias, Amsterdam,
1998, vol. II.2.596:]
Alterum diversis verbis eandem
ferme sententiam complectitur
Μηδέν
Ἂγαν,
id est Ne quid nimis, quam quidem
tanquam vulgo celebratam Terentius in
Andria etiam Sosiae libertini personae
tribuit. Diogenes Laertius Pythagorae
adscribit. Aristoteles tertio
Rhetoricorum libro ad Biantem autorem
refert tractans de iuvenum immoderatis
affectibus, quos ait ubique nimia
vehementia peccare; nam et amare nimium
pariter et odisse nimium. Senes non
item, sed ut ipsius Aristotelis utar
verbis: Κατά τήν Βίαντος Ύποθήκην καί
φιλοῦςιν
ὡς
μισήσοντες καὶ
μισοῦσιν
ὡς
φιλήσοντες,
id est Iuxta Biantis admonitionem et
amant tanquam osuri et oderunt tanquam
amaturi. Sunt qui Thaleti tribuant,
sunt qui Soloni teste Laertio. Plato
quodam loco ex Euripide citat. Neque
desunt, qui ad Homerum veluti fontem
referant, cuius hi versus sunt in
Odysseae:
Νεμεσσῶμαι
δὲ
καὶ
ἃλλῳ
Ἀνδρὶ
ξεινοδόκῳ,
ὅς
κ’ἔξοχα
μὲν
φιλέῃσιν
Ἔξοχα
δ’
ἐχθαίρῃσιν̇
άμείνω δ’αἴσιμα
πάντα,
id est
Mihi nequaquam is
placet hospes,
Qui valde praeterque
modum simul odit amatque,
Sed puto rectius esse,
ut sint mediocria cuncta.
Idem in Iliados K:
Τυδείδη, μήτ’ἄρ
με μάλ’ αἴνεε
μήτε τι νείκει,
id est
Ne nimis aut laudes,
Tytida, aut vituperes me.
Equidem ad Hesiodum referre malim.
Cuius illud est in opere, cui titulus
Ἔργα
καὶ
ἡμέραι:
Μέτρα φυλάσσεσθαι καιρὸς
δ’ἐπὶ
πᾶσιν
ἅριστος,
id est
Mensuram serva, modus
in re est optimus omni.
Euripides cum aliis
aliquot locis tum in Hippolyto coronato:
Οὕτω
τὸ
λίαν γ’
σσον
παινῶ
Τοῦ
μηδὲν
ἄγαν,
id est
Sic equidem minus
approbo quicquid
Est vehemens quam
quod vulgus ait:
Ne quid nimium.
Pindarus apud
Plutarchum:
Σοφοὶ
δὲ
καὶ
τὸ
μηδὲν
ἄγαν
πος
αἴνησαν
περισσῶς,
Id est
Sapientes hoc verbum, ne quid nimis,
praeter modum laudarunt.
Sophocles in Electra:
Μήθ’
οῖς
χθαίρεις
περάχθεο
μήτ’
έπιλάθου,
id est
Ne nimium praeterque
modum te torqueat ille,
Quem odisti, sed nec
neglexeris immemor hostem.
Plautus in Poenulo:
Modus omnibus in rebus, soror,
est optimus. Eodem pertinet
Homericum illud Iliados N:
Παντων μὲν
κόρος
στί,
καὶ
ὔπνου
καὶ
φιλότητος
Μολπῆς
τε γλυκερῆς,
καὶ
ἀμύμονος
ὀρχηθμοῖο,
id est
Cunctarum rerum saties
contingit, amorisque
Et somni et blandae
citharae choreaequae decentis.
Id imitatus videtur
Pindarus in Nemesis:
Κόρον
δ’
χει
Καὶ
μέλι καὶ
τά τέρπν’
νθ’
φροδίσια,
id est
Satietatem habet et mel
et iucundi flores Venerei.
Plinius libro xi.:
Perniciosissimum autem et in omni
quidem vita, quod nimium.
Horatius:
Est modus in rebus, sunt
certi denique fines,
Quos ultra citraque
nequit consistere rectum.
Rursus idem:
Virtus est medium
vitiorum utrinque redactum.
Phocylides:
Ράντον μέτρον
ριστον,
id est Omnium modus optimus.
Et Alpheus in epigrammate:
Τὸ
μηδὲν
γὰρ
ἄγαν
ἄγαν
με τέρπει,
id est
Hoc ne quid nimium,
nimis placet mi.
Quintilianus scripsit modum in
pronunciatione regnare, quemadmodum in
caeteris omnibus. Denique Plutarchus in
Camillo docet pietatem esse mediam inter
contemptum numinum et superstitionem:
Ἡ
δὲ
εὐλάβεια
καὶ
τὸ
μηδὲν
ἄγαν
ἄριστον,
id est Pietas autem, quod aiunt, ne
quid nimis optimum est. Nihil autem
est rerum omnium, in quo non peccari
queat nimietate praeter amorem Dei, quod
aliis verbis fatetur et Aristoteles pro
deo supponens sapientiam. Huc pertinet
quod ex poeta quopiam refert Athenaeus
libro i. de laudibus vini:
Πάσας δ’
ἐκ
κραδίας
ἀνίας
ἀνδρῶν
ἀλαπάξει
Πινόμενος κατ
μέτρον
πρ
μέτρον δ
χερείων,
id est
Atqui omnes hominum
pellit de pectore curas,
[1]
Sono
arrivato
a
studiare
Alberto
III Pio
da Carpi
a
partire
da
ricerche
relative
al suo
segretario
Achille
Bocchi.
In una
conferenza
tenuta
su
Achille
Bocchi
Phileros
ho
parlato
anche di
Alberto
nel
Seminario
su
L’Età di
Bocchi.
La
filosofia
simbolica
nel XVI
secolo
(Bologna,
Accademia
delle
Scienze,
7-9
maggio
1998),
organizzato
dal
Dipartimento
di
Filosofia,
Dipartimento
di
Italianistica
e
Dipartimento
di Arti
Visive
dell’Università
degli
Studi di
Bologna.
Il testo
presentato
in
questo
convegno,
di cui
non
vennero
stampati
gli
atti,
opportunamente
rivisto
ed
aggiornato,
è
pubblicato
in S.
Colonna,
Phileros:
il
soprannome
accademico
e
umanistico
di
Achille
Bocchi
in
Dal
Razionalismo
al
Rinascimento.
Per i
quaranta
anni di
studi di
Silvia
Danesi
Squarzina,
a cura
di
M.G.Aurigemma,
Campisano,
Roma
2011,
pp.
47-52.
Avevo a
suo
tempo
ripreso
l’argomento
bocchiano
all’interno
di un
contributo
sull’Hypnerotomachia,
su
invito
di
Alessandro
Scarsella
dietro
presentazione
di
Silvia
Urbini,
che
ringrazio,
anche
nella
Giornata
di Studi
Verso
il
Polifilo
1499-1999
organizzata
dalla
Biblioteca
Civica,
Assessorato
alla
Cultura
della
Città di
San Donà
di Piave
(Centro
Culturale
Lenardo
da
Vinci,
31
ottobre
1998) e
ancora,
su
invito
di
Manuela
Rossi,
che
ringrazio,
nella
Giornata
di Studi
organizzata
dal
Museo
Civico
del
Comune
di Carpi
(Sala
dei Mori
il 16
dicembre
1999),
con il
mio
intervento
Semper
Festina
Tarde
e Ne
quid
nimis:
storia
di due
emblemi
umanistici.
Il
presente
testo
inedito
costituisce
una
rielaborazione
di
quello
presentato
nei due
predetti
convegni.
[2]
Si
veda in
particolare
Alberto
III e
Rodolfo
Pio da
Carpi
collezionisti
e
mecenati
(Atti
del
seminario
internazionale
di
studi,
Carpi,
22 e 23
novembre
2002), a
cura di
M.
Rossi,
(Tavagnacco,
Arti
Grafiche
Friulane),
Comune
di
Carpi,
Museo
civico;
Soprintendenza
beni
storici
e
artistici
di
Modena e
Reggio
Emilia,
2004,
con
bibliografia
precedente.
Restano
comunque
fondamentali:
Alberto
Pio III,
Signore
di Carpi
(1475-1975),
Modena,
Aedes
Muratoriana,
Deputazione
di
storia
patria
per le
antiche
provincie
modenesi,
Biblioteca,
Nuova
serie,
36,
Modena
1977; C.
Vasoli,
Alberto
III Pio
da Carpi,
Carpi,
Comune
di
Carpi,
Assessorato
ai
servizi
culturali,
1978;
Società,
politica
e
cultura
a Carpi
ai tempi
di
Alberto
III Pio
(Atti
del
convegno
internazionale,
19-21
maggio
Carpi
1978),
Padova,
Antenore,
1981 ed
E.
Svalduz,
Da
castello
a
“città”:
Carpi e
Alberto
Pio
(1472-1530),
Roma,
Officina,
2001.
[3]
Alberto
III Pio
da
Carpi,
Ad
Erasmi
Roterodami
expostulationem
responsio
accurata
et
paraenetica,
a cura
di F.
Forner,
Firenze,
L.S.
Olschki,
2002, 2
voll.
[4]
H.
Semper,
F.O.
Schulze,
W. Barth,
Alberto
Pio,
amico
dei
dotti e
del
sapere,
in Id.,
Carpi.
Una sede
principesca
del
Rinascimento,
(Dresda,
1882),
traduzione
di A.
D’Amelio,
A.E.
Werdehausen,
a cura
di L.
Giordano,
ETS,
Pisa
1999,
cap. V,
p. 96.
[5]
E.
Pastorello,
Di
Aldo Pio
Manuzio:
Testimonianze
e
Documenti,
in “La
Bibliofilia”,
1965, a.
67, disp.
2, pp.
163-220,
p. 168.
[6]
H.
Semper,
F.O.
Schulze,
W. Barth,
Alberto
Pio,
amico
dei
dotti…,
p. 111.
[7]
Alberto
III e
Rodolfo
Pio…,
p. 215.
Sul
filo-ellenismo
di Aldo
si veda
il
vecchio
ma
ancora
valido
contributo
di A.
Firmin-Didot,
Alde
Manuce e
l’Hellénisme
a Venise,
Typographie
D’Ambroise
Firmin-Didot,
Paris
1875 ed
ora G.
Benzoni,
L’eredità
greca e
l’ellenismo
veneziano,
L.S.
Olschki,
Firenze
2002 e
Bizantio,
Benetia
kai ho
hellenophrankikos
kosmos :
(13os -
15os
aionas);
Praktika
tu
Diethnus
Synedru
pu
organotheke
me ten
eukairia
tes
hekatonteridas
apo te
gennese
tu
Raymond-Joseph
Loenertz
o.p.,
Benetia,
1-2
dekembriu
2000 =
Bisanzio,
Venezia
e il
mondo
franco-greco
(XIII -
XV
secolo),
a cura
di Ch.
A.
Maltezou,
P.
Schreiner,
Venezia,
Istituto
Ellenico
di Studi
Bizantini
e
Postbizantini
di
Venezia,
Venezia
2002.
[8]
Sugli
interventi
carpigiani
di
Baldassarre
Peruzzi
si veda
la
bibliografia
di Carpi
già
citata e
inoltre:
E.
Svalduz,
«Bellissime
investigazioni»:
su
alcuni
progetti
di
Baldassarre
Peruzzi
per
Alberto
Pio da
Carpi,
in
Baldassarre
Peruzzi
1481-1536,
a cura
di Ch.
L.
Frommel,
A.
Bruschi,
H. Burns,
F.P.
Fiore,
P.N.
Pagliara,
Marsilio,
Venezia
2005,
pp.
181-197
e
533-538.
Per
quanto
riguarda
l’urbanistica
carpi-giana
si veda
A.
Corboz,
Le
piazze
imperiali
dell’Italia
del Nord
(Vigevano
e
Carpi):
un’ipotesi
di
lavoro,
in La
famiglia
e la
vita
quotidiana
in
Europa
dal ‘400
al ‘600
Fonti e
problemi,
Atti del
convegno
internazionale
(Milano,
1-4
dicembre
1983),
Como,
New
press,
Roma
1986,
pp.
427-441.
[9]
A.
Sarchi,
The “studiolo”
of
Alberto
Pio da
Carpi,
in
Drawing
relationships
in
northern
Italian
Renaissance
art:
patronage
and
theories
of
invention,
edited
by G.
Periti,
with an
introd.
by Ch.
Dempsey,
Ashgate,
Aldershot
2004,
pp.
129-151.
[10]
Un’ottima
pagina
web
sulla
mediocritas
è stata
scritta
da Paola
Cosentino
per il
sito
Italica
della
RAI ed è
leggibile all’indirizzo
internet:
http://www.italiaca.rai.it/scheda.php?scheda=rinascimento_categorie_mediocritas..
Pagina
visitata
in data
28
luglio
2011.
Italo
Pantani
mi
ricorda
gentilmente,
e lo
ringrazio,
che il
motto
«Ne quid
nimis»
appare
anche
nei
Promessi
Sposi
di
Alessandro
Manzoni.
[11]
A.
Bocchi,
Achillis
Bononiensis
Apologia
in
Plautum.
Vita
Ciceronis
auctore
Plutarcho
nuper
inuenta
ac diu
desiderata,
Ioannes
Anto.
Pla [:
de
Benedictis
],
[Bologna]1508.
Ho
consultato
la
cinquecentina
a stampa
con
decoreazioni
minate
posseduta
dalla
Bilioteca
Casanatense
di Roma
ed
avente
la
segnatura:
[RARI
922].
Mentre
le
Orationes,
altro
volume
della
Casanatense,
sempre
di A.
Bocchi,
consistono
in un
codice
pergamenaceo
del XVI
sec.
impreziosito
da
ricche
miniature
ed hanno
la
collocazione:
[MSS.1526].
Ringrazio
Antonio
Adorisio
per la
segnalazione
delle
miniature
presenti
in
questi
due
volumi
della
Casanatense.
[12]
H.
Semper,
F.O.
Schulze,
W. Barth,
Alberto
Pio,
amico
dei
dotti…,
La
residenza
del
principe
Pio,
cap. IX,
p. 162.
Sul
palazzo
del
principe
si veda
A.
Garuti,
Il
Palazzo
dei Pio
di
Savoia
nel
«castello»
di
Carpi.
Appunti
per la
storia
edilizia
e
artistica
dell’edificio,
Panini,
Modena
1983.
[13]
A.
Morselli,
Alberto
e la
corte di
Carpi in
un
documento
d’amministrazione,
in “Memorie
storiche
e
documenti
sulla
città e
l’antico
principato
di
Carpi”,
XI,
1931,
pp.
153-183.
Si veda
ora E.
Svalduz,
«Fabbriche
infinite»:
il
palazzo
di
Alberto
Pio,
in Il
palazzo
dei Pio
a Carpi.
Sette
secoli
di
architettura
e arte,
a cura
di E.
Svalduz,
M.
Rossi,
Marsilio,
Venezia
2008,
pp.
71-115.
[14]
Ibid.
Sul
cortile
si
vedano
anche A.
Sammarini,
Di
alcuni
bassi-rilievi
nel
cortile
dell’antico
palazzo
Pio in
Carpi,
in
“Memorie
storiche
e
documenti
sulla
città e
sull’antico
principato
di
Carpi”,
I, 1877,
pp.
315-328
e L.
Giordano,
Il
cortile
del
Palazzo
Pio in
Carpi,
in
Baldassarre
Peruzzi.
Pittura
scena e
architettura
nel
Cinquecento,
Istituto
della
Enciclopedia
Italiana,
Roma
1987,
pp.
669-687.
[15]
E.
Svalduz,
«Fabbriche
infinite»…,
p. 92.
[16]
Ibid.,
p.
101.
[17]
L’opera
di
Achille
Bocchi è
stata
oggetto
di uno
studio
di
Adalgisa
Lugli
che ha
precorso
i tempi
fornendo
per
prima
una
lettura
critica
moderna
di
questo
importante
umanista
bolognese:
A. Lugli,
Le
“Symbolicae
Quaestiones”
di
Achille
Bocchi e
la
cultura
dell’emblema
in
Emilia,
in Le
Arti a
Bologna
e in
Emilia
dal XVI
al XVII
secolo,
CLUEB,
Bologna
1982,
pp.
87-96.
Si
vedano
poi le
monografie
di
E.S.
Watson,
Achille
Bocchi
and the
emblem
book as
symbolic
form,
Cambridge
university
press,
Cambridge
1993 e
quella
di
A.
Angelini,
Simboli
e
questioni:
l’eterodossia
culturale
di
Achille
Bocchi e
dell’Hermathena,
Edizioni
Pendragon,
Bologna
2003 con
bibliografia
precedente.
[18]
S.
Colonna,
Arte e
Letteratura.
La
civiltà
dell’emblema
in
Emilia
nel
Cinquecento,
in La
pittura
in
Emilia e
in
Romagna.
Il
Cinquecento,
a cura
di V.
Fortunati,
Electa,
Milano
1995,
vol. I,
pp.
102-128.
Si veda
per
esempio
il Barb.
Lat.
2029.
[19]
Per
l’attribuzione
dell’Hypnerotomachia
Poliphili,
Aldo
Manuzio
Sr.,
Venezia
1499, a
Francesco
Colonna
romano
signore
di
Palestrina
si veda
M.
Calvesi,
Identificato
l’autore
del
Polifilo,
in
«L’Europa
artistica
letteraria
e
cinematografica»,
6, 1965,
pp.
9-20;
Id.,
Il
sogno di
Polifilo
prenestino,
Officina,
Roma
1980 e
Id.,
La pugna
d’amore
in sogno
di
Francesco
Colonna
romano,
Lithos,
Roma
1996,
dove
viene
messa in
luce
l’amicizia
di
quest’ultimo
con il
card.
Raffaele
Riario
alle pp.
61, 97,
144,
217, 260
e 261; e
S.
Colonna,
La
fortuna
critica
dell’Hypnerotomachia
Popliphili,
CAM
Editrice,
Roma
2009 (in
corso di
ampliamento
e di
riedizione).
[20]
Nel mio
articolo
Phileros:
il
soprannome...
citato
nella
nota 1
ho messo
in luce
come il
soprannome
greco «Phileros»
adottato
da
Achille
Bocchi
nell’Apologia
in
Plautum
del
1508,
potrebbe
derivare
dalla
conoscenza
di
un’epigrafe
facente
parte
della
collezione
Carpi in
Roma e
tramandata
da un
disegno
di Pirro
Ligorio,
dove
appunto
ricorre
questo
nome
antico.
[21]
L.
Giordano,
Alberto
Pio e
l’edificare
per
magnificenza,
in
Il
palazzo
dei Pio…,
pp.
117-121.
[22]
Desiderii
Herasmi
...Veterum
maximeque
insignium
paroemiarum,
id est
Adagiorum,
Impressum
hoc opus
Parhisiis,
in via
divi
Marcelli;
ac domo
que
indicatur
Divina
Trinitas,
Augustino
Vincentio
Caminado
a mendis
vindicatore,
1505.
Non ho
potuto
controllare
tutte le
edizioni
parigine
degli
Adagia
di
Erasmo,
comunque
ringrazio
molto
Luisa
Nieddu
che mi
ha aiuto
nella
ricerca
consultando
l’esemplare
della
Bibliothèque
Nationale
de
France “Mitterand”
di
Parigi
segnato
[RES- Z-
945] e
riscontrando
l’assenza
del
motto
«Ne quid
nimis».
[23]
«1499
ottobre
14.
Primo
accenno
ed
interpretazione
personale
della
marca
tipografica
aldina.
(Inv.
42)
Me
semper
habere
comites
(ut
oportere
aiunt)
Delphinum
et
Ancoram.
Nam et
dedimus
multa
cunctando
et damus
assidue»,
Io ho
sempre
come
amici
(come
dicono
sia
opportuno)
Delfino
ed
Ancora.
Abbiamo
fatto e
facciamo,
spesso,
infatti,
molte
cose in
collaborazione.
Cfr. E.
Pastorello,
Di
Aldo Pio
Manuzio…,
p. 169.
[24]
Ibid.,
p. 171.
[25]
Questa
coincidenza
potrà
essere
oggetto
di
ulteriori
approfondimenti.
[26]
Un
elenco è
fornito
in
Bibliotheca
Erasmiana.
Répertoire
des
oeuvres
d’Érasme.
1.er
Serie:
Liste
sommaire
et
provisoire
des
diverses
edition
de ses
oeuvres,
Direction
de la
bibliothèque
de
l’Université
de l’état,
Gand
1893.
[27]
M. Mann
Phillips,
Adages
of
Erasmus:
a study
with
transl.
by
Margaret
Mann
Phillips,
University
Press,
Cambridge
1964, p.
X.
[28]
Ibid.
Ringrazio
Rossana
Castrovinci
per
avermi
aiutato
nel
reperimento
di
fotoriproduzioni
degli
Adagia.
[29]
Orazio,
Odi,
2, 10,
5.